(R) Capitolo 25: Lacrime di acquamarina (1/2)
Quando Rose si svegliò, fuori era ancora buio. I rumori della battaglia al confine erano sovrastati dai lamenti dei feriti che occupavano le brandine improvvisate dell'infermeria. Gli elfi si chinavano sui pazienti e li spingevano a ingerire dei Sali miscelati in modo che rimarginassero le loro carni.
Rose emise un fievole gemito e scostò la coperta nella quale l'avevano avvolta. Un debole "toc" le fece abbassare lo sguardo sul pavimento. Era il fischietto di Wulfric. La ragazza fece per raccoglierlo, ma una fitta al fianco glielo impedì.
Il fischietto venne raccolto da una mano tremebonda, che glielo porse. Lo sguardo di Rose risalì lungo il braccio.
«Geodfrith!» sussurrò la ragazza. Afferrò il fischietto e tornò a distendersi con una smorfia di sofferenza. «Grazie a Dio sei vivo. Credevo che... volevo salvarti, ma non ho potuto. Morgaine mi ha...»
«Lo so» la interruppe il Mundbora. La sua voce era talmente debole che Rose dovette aguzzare l'udito per sentirlo. «Sei stata brava, sei riuscita a fermare un suo attacco. Ti ho vista, dal mio rifugio. Avrei voluto aiutarti, ma l'effetto dei Sali concentrati si era esaurito, e ho cominciato a contorcermi per il dolore... terribile... non sono mai stato tanto male in tutta la mia vita. Pensavo che sarei morto. L'unica cosa che sono riuscito a fare è stata strisciare dietro i cespugli per non intralciare te e Myr nella lotta. Se Morgaine mi avesse visto, mi avrebbe usato come ostaggio.»
Rose provò una stretta alla bocca dello stomaco, mentre osservava il volto emaciato di Geodfrith. Il vecchio Mundbora aveva perso almeno dieci chili per lo sforzo, e gli si erano formate delle pesanti borse violacee sotto gli occhi azzurri. I lunghi capelli erano allargati fra i cuscini, e li ricoprivano come una fodera di seta. Il corpo di Geodfrith era ancora scosso da tremori, ma erano diventati più tollerabili, come quelli causati da una febbre che stava perdendo l'affilatura.
«Ero così preoccupata per te.» Rose avrebbe voluto abbracciarlo, ma ancora non se la sentiva di camminare. «Ti prego, non prendere più quei dannati Sali. Sei utile ad Avalon anche senza ridurti in fin di vita. Qui ti adorano, Geodfrith. I Quercini sarebbero smarriti senza il loro maestro.»
Da Geodfrith provenne un lieve sbuffo, seguito da un sorriso che gli addolcì i lineamenti. «Mi adorano quanto le mie lezioni sulla storia delle fate. Quel giorno avevo i capelli talmente pieni di palline di carta che da allora li ho sempre raccolti, prima di presentarmi in classe» mormorò, perdendosi nei meandri confortevoli della memoria. «Ma tu, Rose? Stai bene, adesso? Io sono un rottame, mi ci vorrà un bel po' per recuperare le forze, ma tu sei giovane, e il sangue che Nimueh ti ha dato è fresco. Dovrebbe averti aiutato con quella ferita.»
Rose sollevò la tunica che le avevano fatto indossare mentre era priva di sensi. Era nuova, di un colore indefinito a metà fra il marrone e il grigio, con l'orlo decorato da motivi geometrici. La sua vita era stata fasciata saldamente per permettere alla ferita di rimarginarsi; sul fianco sinistro, in corrispondenza al foro lasciato dalla spada di Morgaine, c'era una macchia giallastra lasciata dai medicinali, assieme a delle leggere macchioline violacee, il sangue di Rose.
«Mi fa male» sussurrò la ragazza. «Voglio dire, è sopportabile, ma mi sento ancora debole. Appena arrivata qui facevo fatica anche solo a respirare e mi si stava gonfiando la lingua. E' già tanto se sono riuscita a trascinarmi fino alle retrovie. Non appena Morgaine ha affondato la spada nella mia carne, si è trasformata in una poltiglia verdognola.»
Geodfrith aggrottò le sopracciglia e osservò la ferita con attenzione. Di tanto in tanto tendeva il collo cercando di eliminare la tensione e stringeva i pugni per controllare i tremori.
«Penso tu abbia ragione. Forse potrebbe essere un veleno sul quale ha praticato una magia, allo stesso modo in cui noi benediciamo i Sali perché abbiano un effetto più intenso, o quando creiamo una pozione con degli Effetti. Difficile dire quale sia stata l'intenzione di Morgaine, a parte quella di rendere l'avversario inerme.»
«Inerme» ripeté Rose. Piegò le gambe e cercò di rilassare i muscoli dell'addome, mentre respirava solo di petto per non sentire dolore. «Il suo obbiettivo era catturare Myr. Credo che quella spada fosse riservata a lui, Medb lo vuole vivo.»
Geodfrith annuì e si incupì. «Allora perché l'ha usata su di te? Sei solo un'apprendista. Sprecare così un incantesimo di tale portata è assurdo» sussurrò. «Tu e io per lei non rientriamo nemmeno nella categoria "avversari". Ho visto Morgaine solo un paio di volte, quando capitava che seguisse Myr fino al confine di Avalon, e non mi ha mai degnato di uno sguardo, nonostante io fossi dall'altra parte della barriera, pronto a intervenire.»
«Io l'ho attaccata per proteggere Myr. Mi sono messa in mezzo al suo prezioso combattimento, e lei me l'ha fatta pagare; poi penso volesse anche far soffrire Myr. Gli ha detto delle cose orribili su Artri, e di come la sua morte fosse stata colpa sua.»
Era stata così stupida ad affrontare Morgaine. Ma che altra scelta aveva avuto? Se non fosse intervenuta, Myr sarebbe morto, ma ora si trovava con un fianco in panne. Non avrebbe mai potuto combattere in quelle condizioni, era evidente. Se gli Unholdan avessero sfondato la loro resistenza e avessero invaso Avalon, lei non avrebbe potuto farci niente.
Però quello era un problema secondario, rispetto a quanto si era ricordata.
Era stato Myr. Il maestro aveva avvelenato il fiume, non Geodfrith. Rose aveva sempre saputo che il Mundbora anziano non avrebbe mai fatto una cosa simile: era troppo affezionato a quel luogo, malgrado per lui comportasse una grande sofferenza fisica viverci. Era il suo dolore, ma anche la sua gioia. In quanto a Myr, invece... lui era pieno di fiele. Voleva solo che le Daone Sith si uccidessero a vicenda, ma non aveva pensato a cosa questo avrebbe comportato per le fate minori che sarebbero rimaste coinvolte nella battaglia. Forse aveva sperato che Nimueh e Medb si affrontassero subito, ponendo immediatamente fine al combattimento. Le cose però non erano andate secondo i suoi piani.
Rose doveva dire ogni cosa alla Dama, prima che a tutti gli altri. Lei le avrebbe dato retta. In quanto a Geodfrith e a Wulfric, Rose sospettava che fossero troppo legati a Myr per darle ascolto. Non avrebbero mai messo in dubbio la buona fede di un compagno di una vita o di un maestro che aveva fatto tanto per loro. Pensare che fosse un traditore era inaccettabile.
Persino Rose, che conosceva la verità, faceva fatica a disprezzarlo. Sapeva ciò che Myr aveva passato; la sua reazione, nonostante lui lo negasse, era quanto di più umano potesse esistere: vendetta. L'umana emozione in cui tutti prima o poi si immedesimavano, e che metteva le radici nel desiderio di fare giustizia, trasformandolo in un grottesco riflesso. Però, per quanto lo comprendesse, Rose non poteva permettergli di portare oltre i suoi obbiettivi. Il suo piano aveva falle in ogni dove. Uccidere le Daone Sith, oltre a essere quasi impossibile, era ingiusto. Nimueh poteva essere stata crudele con lui, ma Myr aveva una parte di sé che era altamente instabile, e la Daone Sith l'aveva vista sin dal momento in cui gli aveva salvato la vita. Chissà se, anziché maledire Freya, nel momento in cui le aveva fatto dimenticare il mago, non le avesse conferito una benedizione.
Un elfo si avvicinò al suo lettino e la distolse dai suoi pensieri, rivolgendole un sorriso confortante.
Le tastò con delicatezza l'addome. «Come ti senti? La ferita ti fa ancora male?»
Rose fece una smorfia e annuì. L'elfo trasse un profondo sospiro e si raccolse i capelli biondi con un nastro, prima di occuparsi delle fasciature. Le tolse quella che aveva, pulì la ferita con cura e vi applicò un'altra dose di medicinale. Rose osservò la pelle nuda, senza il filtro delle bende, e rabbrividì. Il cratere nel suo addome sembrava più piccolo e al posto della carne viva si era formato uno strato di tessuto cicatriziale, ma le venuzze verdognole che si irradiavano dal foro non erano per niente incoraggianti. Rose distolse lo sguardo, mentre l'elfo terminava di praticarle la medicazione.
«Cosa pensi che sia?» gli chiese, mentre lui mischiava dei Sali essiccati in un bicchiere.
«La spada di Morgaine era velenosa, su questo non c'è dubbio» mormorò l'elfo. «Vi ho sentiti chiacchierare prima, e sono d'accordo con Geodfrith. Dev'essere un veleno maledetto. Ne abbiamo estratto la maggior parte prima che ti entrasse in circolo, ma un po' è rimasto. Ci vorrà del tempo prima che il tuo corpo riesca a smaltirlo del tutto. C'è anche la possibilità che il veleno non lo abbandoni mai.»
«E' possibile che non riesca a espellerlo?»
«Il veleno è maledetto, come ti ho detto. Non sappiamo ancora di che genere di veleno si tratti. Ti abbiamo dato una serie di antidoti, ma possono solo tenerne a bada gli effetti. Temo che dipenda tutto dalla magia di Morgaine; dovrebbe essere l'artefice dell'incanto a depurare il tuo sangue da questa mistura. Tutto ciò che possiamo fare ora è fornirti di Sali per favorire la guarigione della ferita. Da quanto abbiamo capito, l'unico effetto evidente di questo veleno è che causa indebolimento. Dunque potresti non essere in grado di combattere al massimo delle tue possibilità, finché l'avrai nel sangue.»
Rose sibilò un'imprecazione e strinse l'orlo della coperta. L'artefice del maleficio avrebbe dovuto diventare la sua benefattrice. Che stupidaggine, non sarebbe mai accaduto! Doveva esserci un altro modo per liberarsi di quel veleno. Forse, se Rose avesse chiesto a Myr di aiutarla? No. Lui sapeva che lei aveva recuperato la memoria. Rose doveva stare attenta a non restare mai sola con lui da quel momento in poi, o la faccenda avrebbe potuto ripetersi.
«La ferita in compenso è in buona via di guarigione. Un paio d'ore, e sarà solo una cicatrice» cercò di consolarla l'elfo, controllando che lei bevesse fino in fondo i Sali. «Non temere, troveremo una cura anche per questo. Nimueh sarà a conoscenza di un modo per vincere la magia di una Mundbyrnes. In fondo è una Daone Sith, lei può tutto.»
Rose annuì e seguì l'elfo con lo sguardo finché l'orlo della sua tunica non scomparve dietro un paravento.
«Ha ragione, Rose» sussurrò Geodfrith, soffocando un colpo di tosse. «Vedrai, supereremo anche questa. Magari non ti servirà nemmeno l'aiuto di Nimueh. Sono sicuro che Myr potrà fare qualcosa.»
L'ingresso dell'infermeria si scostò di lato, e una figura luminescente fece il suo ingresso. Rose impiegò qualche istante per riconoscerla. Non l'aveva mai vista tanto piccola.
Nimueh si avvicinò ai loro letti e li guardò con apprensione. I suoi capelli d'acqua bagnarono le coperte di Rose, quando la Daone Sith si sedette sul bordo del suo letto e le posò una mano su una guancia. La fata controllò anche le condizioni di Geodfrith e trasse un profondo sospiro.
«Mi dispiace che siate rimasti feriti.» In quel momento a Rose sembrò una persona qualunque, come se avesse perso la sua divinità assieme all'altezza statuaria che l'aveva sempre caratterizzata. La Daone Sith aprì una mano e cercò di creare un globo d'acqua, che continuava a evaporare senza prendere forma. «L'attacco alla barriera mi ha reso debole. Ho sempre riversato molte delle mie energie in quello scudo, e quando è andato in pezzi non ho nemmeno fatto in tempo a riprendermele. Non sono mai stata tanto debole, ma non posso attendere oltre: devo affrontare Medb. Va fermata, per quanto mi dispiaccia. Mia sorella è solo un cane sciolto, ormai. E' furiosa perché l'ho accusata di aver avvelenato il mio fiume, e purtroppo ho capito troppo tardi che non è stata lei.»
«E allora chi?» intervenne Geodfrith, che aveva molto a cuore quell'argomento. «Morgaine ha gettato una malia su di me. E' ovvio che è stata Medb, le ha fornito lei il sangue. Mi hanno usato, potente Nimueh. Se potessi rimediare, lo farei, ma...»
«Penso tu abbia dimostrato la tua fedeltà a sufficienza, Geodfrith» lo interruppe di nuovo la Dama, e gli strinse una mano con fare affettuoso. «Mi dispiace di averti accusato ingiustamente. Avrei dovuto indagare meglio, specie su chi ti ha puntato il dito contro.»
Geodfrith, che a stento riusciva a restare sveglio, la guardò con aria interrogativa. Ma Nimueh stava fissando Rose, e la ragazza capì. La Dama sapeva.
La Daone Sith le si avvicinò e mise qualcosa nella mano di Rose, che la strinse, facendola scomparire fra le coperte. Era una pietra ovale, fredda al tatto, e assorbiva il calore della sua pelle.
«E' un incantesimo» sussurrò Nimueh nell'orecchio di Rose, in modo che solo lei potesse udirla. «Se Medb conquistasse Avalon o se io morissi, tu dovrai usarla. Puoi portare con te Geodfrith e Wulfric, ma non prendere Myr per nessuna ragione. Quando romperai questa pietra, aprirai un portale verso l'Oltremondo. Cerca Finvarra, mio fratello maggiore. Lui è l'unico di cui Medb abbia davvero paura, e forse potrebbe convincerla ad abbandonare questa guerra insensata. Affido a te questo compito perché sei la sola di cui possa fidarmi. Non farti incantare dalle parole di Myr, se mai tentasse di convincerti che lui è nel giusto. Conto su di te, Rosemary.»
Rose deglutì a fatica e annuì. Nimueh le rivolse uno sguardo colmo di affetto e le diede un bacio sulla fronte, prima di volare fuori dall'infermeria con la consueta grazia.
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Dovette passare un'ora prima che il medicinale degli elfi facesse effetto, riducendo il dolore a sufficienza da permetterle di camminare. Rose allora raccolse le proprie cose e indossò di nuovo l'armatura. Si premette una mano sul fianco, stringendo i denti per soffocare il dolore.
L'armatura era stata trapassata dalla spada di Morgaine, che per fortuna aveva lasciato un foro di modeste dimensioni nell'usbergo: la cotta di maglia l'avrebbe protetta quanto bastava per riuscire a trovare Wulfric.
Rose scoccò un'occhiata al letto dove stava riposando Geodfrith e accarezzò la testa del Mundbora con la punta delle dita. Gli controllò la febbre e trasse un sospiro di sollievo nel sentire che si era abbassata.
Geodfrith si agitò nel sonno e Rose fece un passo indietro, avvicinandosi silenziosamente all'uscita dell'infermeria. Gli elfi erano talmente indaffarati che nessuno badò a lei.
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Rose raccolse una lama evanescente dai cumuli di armi che venivano rimpolpati dalle Silfidi, dopo che i Puck le forgiavano di fresco dal ghiaccio del palazzo di Nimueh.
La ragazza strinse l'elsa della spada a una mano e mezza che aveva recuperato e si intrufolò fra le fila ancora radunate al confine. La pietra datale da Nimueh sbatacchiava contro la sua coscia destra, racchiusa nel suo borsello. L'artefatto magico conferitole dalla Dama sembrava un uovo trasparente all'interno del quale si agitava un tuorlo di un blu spumeggiante. La magia contenuta in quell'oggetto era sufficiente a far rizzare i peli delle braccia di Rose ogni volta in cui lo sfiorava. Sperava che non ci sarebbe stato motivo di ricorrere a quell'uovo mostruoso, nonostante avesse un brutto presentimento: Nimueh non sarebbe mai arrivata a darle una tale responsabilità, se fosse stata certa di riuscire a sconfiggere Medb.
Doveva trovare Wulfric, subito, senza allarmare Myr, e per ciò Rose teneva il suo fischietto legato attorno al polso destro. Preferiva non spaventare Wulfric usando quel richiamo magico: una singola distrazione in battaglia avrebbe potuto essergli fatale. Rose si era portata dietro l'Evocatore semplicemente perché era un oggetto molto prezioso. Non c'era regalo più grande che un Mundbora potesse fare a qualcuno, e Rose l'avrebbe protetto nello stesso modo della vita di Wulfric.
Diverse ondate di Unholdan si erano abbattute su Avalon, mentre lei si trovava in infermeria. La foresta di pini ormai era ridotta a un ammasso fumante, e a Rose sembrava di camminare in un cimitero. Guardava con orrore i tronchi caduti di quegli alberi talmente antichi che avevano avuto già centinaia d'anni prima dell'arrivo dei Romani in Britannia. Nei cerchi concentrici che indicavano la loro età Rose intravedeva facce congelate in un grido muto.
Il terreno ricoperto di rami secchi e bruciacchiati scricchiolava sotto i suoi piedi, mentre procedeva a testa bassa per evitare di farsi notare, scivolando da un'ombra all'altra. I latrati degli Unholdan, il clangore delle spade e le urla dei combattenti diventavano sempre più vicini.
Rose procedette con più cautela e si accucciò dietro un tronco caduto. Ne accarezzò la corteccia e si abbandonò alla malinconia per un istante. Come poteva Medb, la divinità più legata alla natura fra tutte, aver permesso quello scempio?
La ragazza strinse un pugno e il dolore delle unghie che le incidevano il palmo della mano le schiarì la mente. Batté le palpebre, ignorando gli occhi che bruciavano, e proseguì. Ormai la notte stava cedendo il posto alle luci dell'alba, e presto non avrebbe più avuto il favore dell'oscurità.
Rose raggiunse la prima linea, dove la battaglia stava ancora infuriando. I combattenti erano rimasti in pochi, da ambo le parti. La ragazza aguzzò la vista e, nonostante la lontananza, identificò subito Wulfric. Si stava battendo contro una serie di Unholdan piccoli e agili come lupi, che si muovevano attorno a lui in branco, cercando di intrappolarlo. Wulfric li teneva alla larga con la sua lunga spada, maneggiandola come se fosse stata una piuma. Rose si gonfiò di orgoglio a quella vista. Quanto era diventato bravo, in così poco tempo: del combattente impacciato di sei mesi prima non era rimasto niente. L'unica cosa in cui fosse ancora insicuro era l'esprimere i propri sentimenti, ma in quello Rose gli faceva un'ottima concorrenza.
La ragazza scese lungo la collina, continuando a nascondersi. Realizzò che a breve sarebbe dovuta uscire allo scoperto e soffocò un gemito. Tastò il fianco con delicatezza e, in risposta, ricevette una fitta di dolore. Non era nulla in confronto a prima, ma l'avrebbe rallentata. I suoi muscoli erano ancora intirizziti e ci sarebbe voluto parecchio tempo prima che potesse tornare a essere scattante come una vera Mundbyrnes. Non avrebbe mai potuto competere con una fata in quelle condizioni, tantomeno con un Unholda. Doveva evitare il combattimento e prendere con sé Wulfric.
Avrebbe dovuto usare la magia per non imbarcarsi in un corpo a corpo che avrebbe potuto esserle fatale, e inventarsi una buona scusa per convincere Wulfric a rientrare nelle retrovie. A pensarci bene, forse la sua sola presenza nel campo di battaglia sarebbe stata sufficiente a fargli perdere le staffe al punto da riportarla là di persona. Allora Rose, in infermeria, avrebbe potuto raccontargli parte della storia. Che il buon Myrddin fosse un serpente incantatore che faceva solo ciò che sembrava giusto nel suo piccolo mondo era una questione che gli avrebbe spiegato in seguito, se la battaglia si fosse rivelata fatale per Nimueh.
Rose chiuse gli occhi e attinse alla sua scorta di Sali, che era stata rimpolpata dal soggiorno in infermeria. Li percepiva come tante piccole particelle lucenti che vivevano nei suoi muscoli.
Un Mundbora col tempo sviluppava degli organi simili a quelli delle fate per processarli al meglio, e questo differenziava una creatura come Myr da Rose, ancora alle prime armi: lui poteva compiere magie eccezionali con un dispendio di energia minimo, mentre lei doveva dar fondo a tutte le proprie scorte per evocare uno scudo o scagliare un fulmine. Nel corpo di Myr ormai i Sali non venivano più processati dai muscoli, che li bruciavano come accadeva nel caso di zuccheri, grassi e proteine; venivano radunati in degli apparati ghiandolari appositi, che si formavano in corrispondenza della cosiddetta Ghiandola Pineale, nel cervello, e accanto al cuore.
La sacca cerebrale in genere si limitava a espandere la Ghiandola Pineale, e il cambiamento era talmente infinitesimale da non creare problemi neurologici, tuttavia i suoi effetti erano enormi. La percezione umana stessa veniva espansa. Geodfrith, il più interessato a quegli argomenti, non era ancora riuscito a comprendere in quale modo questo accadesse. Poteva esaminare i Mundboran solo indirettamente, studiarne l'anatomia era impossibile. In quanto alla Sacca Cardiaca, invece, quella poteva raggiungere dimensioni considerevoli, ed era anche per quello che diversi Mundboran apparivano deformi. Il loro corpo si adattava per non togliere spazio al cuore e conferirne altrettanto al nuovo organo, e dunque i loro busti finivano per diventare sproporzionati rispetto al loro corpo esile. O, almeno, così era accaduto a Myr, che possedeva una delle Sacche Cardiache più grandi che Geodfrith avesse mai visto. Era per quello che veniva ritenuto molto potente. Poteva andare avanti per giorni senza nutrirsi di Sali, e allo stesso tempo compiere magie che avrebbero sfinito un Mundbora comune.
Rose non aveva idea quanto ci sarebbe voluto prima che anche lei sviluppasse quelle sacche per processare i Sali, dunque usava la magia con parsimonia. Il modo migliore per attraversare il campo era evocare un incantesimo di illusione attorno a sé, anziché cambiare forma. La prima era una magia semplice, che si limitava a deviare l'occhio dell'osservatore, mentre la seconda era molto dispendiosa e complessa. Si era trasformata in un pettirosso solo un paio di volte, e non era quello il momento di tentare la fortuna.
Rose si concentrò e respirò a fondo. I battiti del suo cuore rallentarono, mentre i Sali all'interno del suo corpo si radunavano in sottili striscioline di magia che raggiungevano l'esterno attraverso i dotti naturali del suo corpo. Si concentrarono attorno alla sua figura come una pellicola e, quando Rose riaprì gli occhi, notò con soddisfazione che persino lei stessa faceva fatica a concentrarsi sul proprio corpo. Ogni volta in cui guardava la sua mano, si chiedeva se in realtà non fosse solo una foglia o un altro elemento del paesaggio.
Quello sarebbe stato sufficiente a distogliere l'attenzione di guerrieri già abbastanza impegnati da non rendersi conto di quanto accadeva a dieci metri da loro.
Rose uscì dal suo nascondiglio e corse verso Wulfric. Il fianco gemeva sotto ogni falcata, ma Rose non osò rallentare. Volò lungo la pianura, fino a raggiungere il giovane, che si era liberato degli Unholdan e si stava dirigendo verso est, pronto ad aggredire un altro nugolo di nemici.
Rose lo intercettò e annullò l'incantesimo in modo che la riconoscesse. Wulfric aveva già sollevato la spada per difendersi, quando si rese conto che era lei. Il suo viso era costellato di escoriazioni e l'armatura ricoperta di ammaccature, ma non presentava ferite gravi. Aveva perso l'elmo da tempo e l'unica protezione che avesse ancora era l'armatura.
«Rose?» rantolò. Strizzò gli occhi come se non riuscisse a crederci, mentre si detergeva il volto dal sudore. Le strinse forte un braccio e la rabbia si fece strada nel muro di sbigottimento che l'aveva colpito. «Cosa cazzo ci fai qui? Dovresti essere in infermeria!»
«Mi dispiace, dovevo vederti» ribatté lei, troppo agitata per essere tollerante di fronte alla sua aggressività. «Devi venire con me. Nelle retrovie. E' importante.»
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