(R) Capitolo 23: Il destino dell'Orso (1/2)
Attorno al fuoco erano rimasti solamente Rose, Wulfric e Myr, più un paio di Puck assonnati che continuavano a sfregarsi gli occhi e un nugolo di Silfidi che avevano deciso di nidiarsi nei capelli del maestro.
Myr porse ai ragazzi una caraffa di nettare. «Ne volete un po'?»
Rose aggrottò le sopracciglia, esaminando il suo volto arrossato, e scosse la testa. Aveva bevuto abbastanza per quella sera.
Wulfric invece accettò e bevve un lungo sorso di nettare, che gli colò lungo le guance. Il ragazzo si pulì il viso con una manica della tunica, incurante di tutto il lavoro che gli elfi sarti ci avevano messo - sembrava che i Mundboran fossero destinati a distruggere qualsiasi capo d'abbigliamento – e le posò il mantello sulle spalle.
Myr tentò di sorridere all'allievo, ma gli venne più una smorfia, e bevve un altro, ricco sorso di nettare, prima di gettare la caraffa vuota alle sue spalle.
«Allora, ecco la storia che volevi.» Si rilassò contro il tronco e allargò le braccia. Il suo sguardo si perse nella contemplazione del buio senza fine che li circondava, interrotto solo dalle braci dei falò rimasti. «Da dove cominciare? Artri... c'è molto da dire su quel ragazzo. Gli hanno dedicato così tanti libri che non saprei davvero che immagine vi siete fatti di lui. Credo sappiate già che, dopo aver convinto Medb, è stata la Dama del Lago a prendermi sotto la sua ala. Mi ha sempre guardato con estrema diffidenza, ma pensava potessi esserle utile.»
Rose trattenne il respiro e avvertì Urchin agitarsi all'interno del suo borsello. Anche lui stava ascoltando.
L'espressione di Myr si addolcì e un largo sorriso comparve sul suo volto.
«Passai gli anni successivi con Freya, e quello fu il periodo più bello della mia vita. Lei era la mia... non so nemmeno se potrei definirla "compagna". Era molto complicato fra noi. Io ero vecchio già allora, pensavo che non avrei mai potuto affezionarmi in quel modo a una creatura tanto giovane, eppure Freya, malgrado la sua età, aveva un'anima centenaria. Era sempre sorridente, ma dietro il suo viso si nascondeva una profonda malinconia, mista a compassione per la condizione umana. Non potrei mai spiegarvi il suo carattere in poche parole, tutto ciò che posso dirvi è che lei è stata l'amore della mia vita. Dopo quello che avevo passato, Freya era l'unica luce che mi restava, assieme al piccolo Artri.»
Myr si interruppe e scosse la testa, soffocando una risatina.
«Per gli dei, quel ragazzino mi ha fatto penare come non mai. Era pieno di energie. L'avevamo portato ad Avalon su richiesta di Ygraine, per poterlo crescere lontano da Uther.»
«Conosco un po' la storia» intervenne Rose, con voce timida. «Uther era davvero così terribile?»
Myr la fissò in silenzio e il suo sorriso scomparve. Si passò una mano fra i corti capelli biondo scuro e abbassò il capo.
«Non era peggiore di tanti altri uomini. Quando lo conobbi, nei primi anni della sua gioventù, non era davvero malvagio. Era pieno di ambizione, ma voleva solo tornare a casa e liberare la terra in cui era nato. Un desiderio comprensibile, entro i parametri umani.»
Myr fece una pausa e trasse un profondo sospiro. «E' stato il potere a dargli alla testa, e non posso negare che parte della colpa sia stata mia. Se non gli avessi sussurrato certe cose all'orecchio, forse non sarebbe diventato un orco disposto a prendersi Ygraine con la forza: era arrivato a pensare che sarebbe bastato eliminare suo marito per spingerla ad amarlo. A quel tempo aveva già perso contatto con la realtà. Le sole cose a suo favore sono che, per quanto potesse essere dispotico, è stato un sovrano giusto e sotto il suo comando il regno ha prosperato per diversi anni. Inoltre, amava davvero Artri. Io però decisi di compiere il volere di Ygraine, e abbandonai Uther. Da tempo non mi piaceva come si stava evolvendo il suo carattere, e fui felice di portare via Artri alla prima occasione. Uther ne soffrì molto. Diventò un'altra persona, il suo carattere si mitigò, e cominciò a crogiolarsi nell'autocommiserazione. Sapeva che la Dama non gli avrebbe mai restituito il figlio. Ne avevamo abbastanza di violenza. Avremmo cresciuto il bambino secondo altri principi, senza ficcargli in testa tutte le manie di grandezza di cui gli uomini si nutrono in una corte, e senza viziarlo. Un'infanzia spartana l'avrebbe aiutato a restare consapevole dei propri limiti... o almeno così speravamo.»
Myr fece una pausa, come se stesse cercando le parole, ma Rose capì che stava tentando di controllare le proprie emozioni. Stringeva le labbra e a tratti guardava in alto, come se avesse temuto di piangere davanti a loro.
«Artri, il nostro Orso, era destinato da sempre alla rovina. Era così che le fate lo chiamavano... l'Orso.» Per un istante la malinconia di Myr venne sostituita da uno sbuffo divertito. «Riescono sempre a trovare il paragone più calzante. Artri era proprio così: uno spericolato orsetto negli anni che trascorse qui, intento a scorrazzare dappertutto e a mettersi nei guai per attirare la mia attenzione, e un burbero orso silenzioso da adulto. Se solo l'avessi ascoltato di più da ragazzino, se fossi stato meno freddo, forse non sarebbe andata così. Forse Artri sarebbe qui con noi in questo preciso momento. Sarebbe dovuto diventare un Mundbora, ma, una volta compiuti i diciassette anni, se ne andò da Avalon maledicendo me, Nimueh e tutte le fate. Voleva condurre una vita normale, vivere col suo vero padre e la sua vera madre. Io l'avevo tenuto all'oscuro di molte cose, non gli avevo mai detto che anche Uther era morto. Volevo solo proteggerlo, ma lui pensò che non lo ritenessi abbastanza capace da difendersi da solo. Credo che, negli ultimi anni, fosse arrivato a disprezzarmi.»
Myr deglutì a fatica. I suoi discorsi stavano cominciando a perdere il filo, e Wulfric gli posò una manona sul braccio per consolarlo. «Maestro, non...»
«Non sono più il tuo maestro, Wulfric» mormorò Myr, con una risata amara. «Sei un Mundbora, adesso! Alla tua salute!»
Myr sottrasse un calice di nettare ai Puck, che non osarono dirgli niente. Avevano delle espressioni preoccupate e lo lasciarono fare, osservandolo mentre trangugiava il nettare. Rose si chiese se quella roba non potesse fargli male, e cominciò a mordersi l'interno delle guance. Myr non stava bene quella sera. Per niente.
«Myrddin, io ti considero ancora il mio maestro» disse Wulfric, aggrottando le sopracciglia. «Ho tanto da imparare da te.»
Myr si rigirò il calice vuoto fra le dita e serrò la mascella, senza dire nulla.
«Non riesco a capire perché Artri abbia reagito in quel modo» lo incalzò Wulfric. «Voglio dire, posso comprendere che volesse incontrare suo padre, ma non che se la sia presa con te in quel modo. Io non potrei mai disprezzarti.»
Myr si abbandonò a un'altra risata, più tagliente della precedente. «Davvero lo pensi?» I suoi occhi avevano assunto una piega crudele, come se non riuscisse a contenere il fiele che aveva nell'animo.
Erano quelli i momenti in cui Rose comprendeva perché Urchin sosteneva che Myrddin fosse cambiato.
Il Mundbora sollevò lo sguardo sul volto di Wulfric, che lo stava fissando in silenzio. Era evidente che le sue parole l'avevano ferito.
«Scusami, Fritz» disse Myr, chiudendo gli occhi. «E' solo che a volte mi ricordi talmente Artri che non riesco a distinguervi. Penso che lui non vorrebbe nemmeno guardarmi in faccia, se fosse qui. Comunque, se volete davvero sapere il motivo per cui se n'è andato da Avalon, è stato il mio cambiamento. Quando Artri era piccolo, credo non gli sia mancato nulla: io e Freya ci prendevamo cura di lui, Ygraine veniva a trovarlo di nascosto... anche io ero diventato una sorta di genitore per lui. Artri aveva bisogno di una figura maschile nella sua vita da prendere a modello. Credevo che io sarei stato una figura paterna migliore di Uther, ma mi bastò poco per trasformarmi in qualcuno che forse era anche peggiore di lui.»
Myr deglutì e il suo volto si contrasse, come se avesse avuto un disperato bisogno di liberarsi del suo dolore, di piangere, eppure non ne fosse capace. I suoi occhi si erano seccati.
Il mago trasse un profondo sospiro. «Per farla breve, Freya era scomparsa dalla mia vita. La Dama preferì allontanarci, ritenendo che io fossi pericoloso per lei. Capii che non avrei mai potuto riaverla, che si era dimenticata di me a causa di una malia della Dama e, se fossi all'improvviso spuntato di nuovo nella sua vita, vi avrei portato solo caos. Dunque mi rinchiusi ad Avalon e cercai di focalizzarmi sulla cura di Artri, ma ero talmente annientato dalla perdita di Freya che pensai di non avere più una ragione di vita. Continuai a insegnare al bambino, a dargli un tetto e del cibo, ma, tutte le volte in cui lui aveva bisogno di una carezza o una parola gentile, io mi voltavo dall'altra parte. Fui troppo severo con lui. Lo crebbi nelle ristrettezze, e Artri finì per detestarmi. Il nostro rapporto fu irrimediabilmente rovinato e, quando riuscii a convivere con la mia perdita e tornai da lui, era un uomo.»
Myr sollevò lo sguardo e bevve un altro sorso di nettare.
«Non mi ascoltava più come un tempo. Per fortuna, riusciva a cavarsela anche da solo, e riottenne il trono, che era stato controllato da Medb negli anni prima della morte di Uther, quando il vecchio re era troppo sconvolto dalla perdita del figlio per ragionare.»
«Io aiutai il ragazzo per quanto mi era possibile e lo accompagnai nell'Oltremondo per recuperare Caladbolg, o Excalibur, l'unica minaccia in grado di spaventare Medb e scacciarla da Lloegr. Si tratta della spada di Finvarra, una scheggia di magia pura: l'unica in grado di ferire la Regina. Brandirla però ha un costo, e il braccio della spada... il braccio destro di Artri, non fu più lo stesso, da allora. Caladbolg divora la carne umana. E' come cercare di unire due essenze opposte, magia e ragione, e sperare che non accada niente.»
«Dopo aver sconfitto Medb, Artri sposò Ginevra per assicurare stabilità al regno. Sapete com'è andata. Ginevra si innamorò di Lancillotto e, per quanto Artri non la amasse, soffrì dei suoi continui tradimenti, perché avrebbe voluto avere un rapporto più profondo con lei. Provava pietà sia per entrambi. E poi arrivò Morgaine, il cui unico scopo era rendere la mia vita infelice. Io tentai di impedire che accadesse, ma non servì a nulla: Artri si innamorò di lei, senza nemmeno sapere chi fosse. Concepirono un figlio, Mordred, sotto la guida di Medb, che ne influenzò la nascita per usarlo come soldato. Sapete ciò che accadde: Mordred e Artri si uccisero in battaglia, a malapena a trenta metri da dove mi trovavo io, intento a combattere contro Morgaine. Ero ferito mortalmente...» Si interruppe per un istante e indicò la cicatrice pallida sul suo petto. «...e non potei fare niente. Quella volta le chiesi di finirmi, ma lei si rifiutò. Ricordo ancora il suo sguardo. Diceva che sarebbe stato troppo compassionevole impedirmi di assaporare fino in fondo il dolore e il senso di colpa.»
Myrddin si coprì il viso con le mani.
«Tutto questo è accaduto perché Medb e la Dama non riescono a fare a meno di litigare e stravolgere le vite di chi le segue. Tutto ciò che potrei fare ora sarebbe tentare di rimediare al mio errore, ma il dolore non se ne andrà mai del tutto. Ormai vivo solo per il mio passato e per le poche persone che ancora riesco a tenermi strette, anche se ho paura di avvicinarmi troppo, visto quello che è successo a chiunque mi abbia voluto bene.»
Rose si strinse nel mantello di Wulfric e guardò Myr di soppiatto. Aveva l'impressione di sbirciare oltre un muro che non avrebbe mai dovuto superare, e si dispiacque di essere stata tanto interessata alle parti più oscure della sua storia. Quanto doveva essere straziante per lui rivivere quei momenti, se lei stessa non riusciva nemmeno a rievocare l'aggressione di Alan senza tremare?
«Maestro, hai fatto del tuo meglio» sussurrò Wulfric, con un'espressione seria, malgrado le guance simili a due mele mature. «Sei sempre così duro con te stesso. Sei umano, in fondo. Come me e Rose.»
Myr deglutì a fatica e abbozzò un sorriso, ricomponendo la propria espressione. Rose riusciva ancora a intravedere il dolore, una massa nera che premeva dietro le pieghe del suo volto.
«E' da tanto che non mi ritengo un uomo, Wulfric. Darei ogni singola stilla di magia nel mio corpo per esserlo di nuovo.»
Restarono in silenzio, in sola compagnia del rumore delle fiamme. I Puck, finora rimasti ad ascoltare in un angolino, se ne andarono silenziosamente, continuando a scoccare occhiate ansiose a Myr.
Il maestro si alzò dopo di loro e si stiracchiò con un gemito di sollievo, tendendo il suo corpo come quello di un gatto. Gli ci era voluto solo un istante per smaltire la sbornia, a differenza di Wulfric. Tese loro una mano e il ragazzo la afferrò, tirandosi dietro Rose come se fosse stata un ramoscello impigliatosi nella sua veste.
«Forza, andiamo a casa. Ho parlato anche troppo» mormorò Myr, facendo loro strada.
«Non è vero» disse Rose, senza pensarci. «Ci piace ascoltarti.»
Avrebbe voluto dirgli che parlare di quelle cose aiutava, per quanto fosse difficile. Quando si era nella giusta disposizione d'animo era meglio approfittarne e far uscire tutto. Rose sperava che anche a lei si sarebbe presto presentata una situazione del genere, e si pentì di non aver bevuto qualche bicchiere in più di nettare. Forse l'avrebbe aiutata a parlare con Wulfric, a essere più disinvolta. Se nemmeno Myr, con la sua parlantina, riusciva a parlare di argomenti tanto importanti per lui, le appariva chiaro perché lei non sapesse nemmeno come approcciarli.
Myr brontolò a mezza voce, ma il suo viso, per una volta, sembrò sereno.
Uscirono dal tempio, lasciandosi alle spalle le ossa candide del Gigante, e si fermarono nei pressi del sentiero che conduceva in cima alla collina dove vivevano Geodfrith e Rose.
«A domani, allora.»
Myr sogghignò. «Ora che sei un vero Mundbora, ti aspetta una sessione intensiva di raschiamento deretano di gigante.»
«Non posso darmi per malato?»
«Ti piacerebbe!» sbottò Rose, incrociando le braccia sul petto. «Mentre tu eri impegnato a prepararti per la cerimonia, io mi sono dovuta sorbire tutti i lavori più ingrati. Non vedevo l'ora che tu ti unissi alla squadra; almeno non dovrò più fare tutto da sola.»
Wulfric inorridì e fece per ribattere, ma Myr tagliò corto e gli mise una mano su una spalla.
«Sarà meglio che riposi almeno un po'. Anche tu, Rosemary. Domani sarà una lunga giornata.»
Wulfric aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma si bloccò, ipnotizzato da un bagliore nel cielo.
Rose seguì il suo sguardo e un'ondata di panico e orrore le risalì lungo la gola, non appena la sua mente processò quanto stava vedendo.
«Cosa... cos'è?» riuscì a balbettare con voce fievole, nonostante una parte di lei conoscesse già la risposta.
Myr, immobile come una statua di sale, contemplava il cielo con le labbra socchiuse e le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Due grandi occhi di un verde cangiante erano emersi dal buio e troneggiavano su Avalon come due globi fantasma. Poco sotto quelle due sfere una bocca nera si aprì come una cerniera, rivelando una chiostra di denti di vetro.
Un grido disumano pervase la vallata di Avalon e svegliò tutti gli abitanti dal pesante sonno che aveva seguito i festeggiamenti. Rose si tappò le orecchie e urlò di dolore: era come se le avessero piantato due aghi nei timpani. Cadde in ginocchio e fu seguita da Wulfric, che si rannicchiò accanto a lei e la avvolse con le proprie braccia.
Myr traballò, ma riuscì a restare in piedi, continuando a fissare quegli occhi, due squarci di follia nella superficie silenziosa del cielo invernale.
Il grido cessò e Rose si sentì svuotata. Crollò su un fianco, con le orecchie che fischiavano. Due mani familiari la aiutarono a rimettersi in piedi e fecero lo stesso con Wulfric, mentre la voce aliena riprendeva a parlare, stavolta a un volume tollerabile, nonostante facesse stringere i denti a Rose per il fastidio.
«Abitanti di Avalon» disse, scandendo le parole, in modo che tutti potessero capire. «La Dama mi ha arrecato un grave torto, accusandomi di una colpa che non mi appartiene, e mi ha dichiarato apertamente guerra. Sono venuta qui per liberarvi dal suo giogo e chiunque desideri unirsi a me, è libero di farlo, ma chi resterà ad Avalon non si dovrà aspettare un trattamento di favore.»
Rose guardò Myr in cerca di risposte, con la sensazione che una mano le stesse stringendo la gola. Sul volto di Wulfric vide la sua stessa espressione sconvolta.
«Myr, cosa facciamo?»
Il Mundbora cercò di parlare, ma non riuscì a emettere suono.
«Maestro!» gridò Wulfric, scuotendolo per un braccio.
Myr si riprese e, dopo aver rivolto un ultimo sguardo a occhi sbarrati alla figura nel cielo, si focalizzò su di loro. Vederlo tanto spaventato fece sentire Rose ancor più terrorizzata.
«Corri a casa, metti l'armatura e raggiungimi al confine» le ordinò, guardandola negli occhi, mentre le teneva le mani sulle spalle.
«Cosa? Io...»
«Ti sei allenata con me per mesi. Sai cosa devi fare. Prendi la spada che ti ha dato Nimueh. Ne avrai bisogno per purificare le fate infette dal sangue di Medb.»
Rose esitò: aveva atteso quel momento a lungo, eppure l'aveva colta impreparata. Nonostante avesse tanta paura da aver l'impressione che le sue gambe si stessero sciogliendo, annuì. Myr le diede una carezza d'incoraggiamento e, mentre lei si avviava verso la casa di Geodfrith, bloccò Wulfric, parlando con lui a bassa voce.
Rose si voltò ed esaminò i loro volti, entrambi corrugati. Stavano parlando animatamente, ma Myr cercava di mantenere un tono basso. Wulfric era rigido e aveva un ringhio impotente impresso sul viso.
La ragazza pensò che l'avrebbe raggiunta dopo. Non c'era tempo, doveva indossare l'armatura. Geodfrith aveva appena terminato di sistemarla, e Rose pregava che non ci fossero delle parti deboli nell'usbergo, visto il poco tempo che aveva avuto a disposizione.
Fece irruzione nella casa del vecchio Mundbora, che stava dormendo sulla sua poltrona preferita.
Geodfrith si svegliò di soprassalto, rischiando di cadere. Vide Rose e le andò incontro con la sua andatura claudicante, ancora mezzo stordito.
«Rose, che succede? Qualcosa non va?»
Tutto ciò che lei fu in grado di fare fu mormorare che le serviva l'armatura.
«Saranno le tre di notte» mormorò Geodfrith, sempre più perplesso.
Rose lo trascinò davanti alla finestra e indicò il cielo. Geodfrith sbiancò e la guardò con occhi tondi. «No. No, non può essere. E' la Festa dell'Inverno, Medb non trasgredirebbe nel giorno della Dama» farfugliò Geodfrith.
«Eppure è qui! E ci trasformerà in suoi mostri se non faremo qualcosa!»
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