(R) Capitolo 20: A una condizione (2/3)

Rose si sentì rinascere quando la lasciarono uscire dall'antro di Myrddin. Respirò a fondo l'aria fresca di Avalon, colma dello stesso odore che precede un temporale, e si strinse alle braccia di Myr e Wulfric. I due Mundboran erano passati a prelevarla, perché quello era un giorno molto importante: dopo quelli che le erano parsi secoli, era arrivato il momento dell'udienza con Nimueh.

La ragazza non aveva idea quale merito le avesse procurato una tale considerazione; era più propensa a credere che Nimueh avesse fretta di acquisire nuovi soldati, vista la tensione che saliva di giorno in giorno.

Myr e Wulfric erano riusciti ad arginare la diffusione del veleno, facendo sì che non si estendesse oltre i rami contenenti il Sale Rafforzante e quello Cangiante. Il fatto che il ramo dell'Acqua di Lunga Vita fosse rimasto intatto aveva rinfrancato le fate, non abituate a confrontarsi con l'idea della morte. Gli esseri umani, a forza di conviverci, finivano per dimenticarsi dell'Ultimo Addio, mentre gli Elfi, le Piote Vaganti e tutti i loro compatrioti si erano sentiti tanto vulnerabili da nascondersi nelle loro capanne, senza osare mettere naso fuori.

A Rose il loro atteggiamento faceva pensare a quello estremamente superstizioso dei Romani, che avevano arricchito il calendario con la deliziosa idea dei giorni Fasti e Nefasti. Inutile dire che, quando si trattava di un giorno Nefasto, la maggior parte della popolazione scompariva dalle strade. Un bene per il traffico, un po' meno per l'economia. Applicando quel principio alla loro situazione, da un lato Myr aveva appena guadagnato le preziose ore di sacrosanto silenzio che fino ad allora gli erano state precluse; dall'altro, era stato costretto a raddoppiare gli sforzi per pattugliare il confine di Avalon, con il solo aiuto di Wulfric per mantenere l'ordine. Solo quando Geodfrith era assente ci si accorgeva di quanto contribuisse al piccolo ecosistema di Avalon.

Myr era l'arma di Avalon, ma Geodfrith era il tiepido collante che impediva a quella comunità di sgretolarsi.

La situazione si era complicata perché Nimueh aveva deciso di istituire comunque l'annuale Festa dell'Inverno, ricoprendo Avalon con un manto di neve e sostituendo il proprio abito d'acqua con un vestito di brina, ghiaccio e condensa.

Ogni singolo angolo di Avalon era stato adibito a festa. Myr aveva dovuto ingollare diverse bottiglie di Sale Rafforzante per avere abbastanza energia da preparare i festeggiamenti. Rose credeva che il poveretto non avesse mai dormito negli ultimi tre giorni, e persino sul suo volto senza età si scorgevano i segni della stanchezza. I suoi occhi sembravano due uova sode, e continuava a distrarsi, come se il suo cervello non riuscisse a evitare di spegnersi per qualche secondo.

«Ti fa ancora male la nuca?» la interrogò Myr.

«No» fu lieta di rispondere Rose. Era talmente nervosa che il suo sorriso si trasformò in una smorfia di sofferenza, e preferì tornare a guardare dritto davanti a sé per non lasciare che le proprie emozioni straripassero di nuovo. «Io... Myr, lei capirebbe comunque. E' troppo intelligente, troppo potente. Che speranza avrei di mentirle?»

«Rose...» sospirò lui, esausto.

«Maestro, Rose ha ragione» le diede manforte Wulfric, e le strinse con più vigore il braccio. «Nimueh è una Daone Sith, per gli dei! Cosa succederebbe se decidesse di fare del male a Rose? A questo ci avete pensato?»

«Mi devi credere un vero idiota, discepolo» borbottò il Mundbora, inarcando un sopracciglio. «Certo che ci ho pensato. Io conosco le Daone Sith più di chiunque altro. So quali tasti premere per spingerle a fare ciò che vogliamo, e se tu desideri aiutare Rose almeno quanto lo voglio io, metterai da parte il tuo disappunto per guarire la mente di Alan.»

«Non è che non voglio aiutare» balbettò Wulfric, cercando di correggersi. «Vorrei solo evitare che Rose venga trasformata in una statua di ghiaccio da una dea infuriata, o che finisca per diventare una di noi e restare imprigionata ad Avalon per sempre.»

Rose si sentiva come se fosse stata circondata da due trombe che le suonavano a pochi millimetri dai timpani. Aveva sperato che quei due l'avrebbero rassicurata, e tutto ciò che stavano facendo era crearle ulteriori dubbi.

«Va bene» li interruppe, con un sospiro tremante. «Ho capito che non esistono risposte corrette a questo problema. Cercherò di fare quello che mi sembra giusto, una volta davanti a Nimueh.»

In fondo non la conosceva ancora. Poteva essere che Myr, accecato dalla sua antipatia verso le Daone Sith, stesse esagerando il suo punto di vista; Wulfric, invece, era troppo in buona fede. Lei avrebbe dovuto trovare il filo del rasoio, quella sottile scaglia di diplomazia sulla quale camminare, sperando di non cadere dall'una o dall'altra parte e far insospettire Nimueh.

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Lo strato di neve che ricopriva le strade di Avalon era intonso, a parte per le orme leggere di qualche volatile e quelle delle lepri confuse che emergevano dalle loro tane, chiedendosi chi avesse premuto dato vita a quell'inverno improvviso.

I piedi di Rose erano arrossati e doloranti, quando lei e i Mundboran si trovarono a camminare sotto l'ombra della grande quercia al centro di Avalon, nella quale rilucevano fuochi fatui di un azzurro brillante. Sarebbe stato uno spettacolo stupendo, se Rose non fosse stata tanto impegnata a immaginarsi ogni orribile scenario che si sarebbe potuto verificare e non avesse temuto le venissero i geloni ai piedi.

Myr e Wulfric la accompagnarono fino al punto in cui l'acqua sgorgava dal sottosuolo, o meglio, dal vuoto. Rose spesso si dimenticava che l'isola di Avalon galleggiava nel nulla più assoluto, come un souvenir palla di neve sul comò dell'antimateria. Si era persino abituata al rollio costante, e non avvertiva più la nausea che l'aveva colpita non appena aveva messo piede lì. Forse, come tutti marinai, si era adattata al mal di mare.

La polla da cui sgorgava l'acqua di Avalon era l'unico posto in cui il fiume non si fosse congelato, e su di essa galleggiava uno strato appena accennato di schegge di ghiaccio. Bastò rimuoverle con un bastone, e la via fu libera.

Rose lasciò i suoi accompagnatori e si avvicinò alla pozza. Era talmente profonda che non riusciva a scorgerne il fondo. Tutto ciò che intravedeva era una luce blu che palpitava a intervalli regolari come un cuore. L'acqua non aveva la stessa consistenza che poteva esserci nell'anello che circondava la quercia e dal quale poi emergevano i tre rami del fiume; lì era talmente densa che Rose dubitava ci sarebbe affondata.

Delle mani le si posarono sulle spalle e Rose si voltò, stringendo le labbra per impedirsi di implorarli di seguirla. Non si sentiva per niente coraggiosa in quel momento. Voleva solo aiutare suo padre, non affrontare degli dei. Per l'ennesima volta si chiese come diavolo fosse finita in quel casino e perché dovesse essere toccato proprio a lei. Forse Myr avrebbe potuto capire la sua preoccupazione, dato che Rose sospettava lui si ponesse la stessa domanda ogni giorno.

Rose si aspettava che sarebbe stato proprio lui a incoraggiarla, e invece si ritrovò davanti Wulfric.

Rose scoccò una veloce occhiata a Myr e notò che le sue labbra avevano preso una piega intenerita, come se approvasse il modo di fare dell'allievo. Era felice che loro due avessero risolto.

Wulfric si fece coraggio e la strinse in un abbraccio, appoggiandole il mento sulla testa. Rose chiuse gli occhi e avvertì il calore del suo petto. Per un momento, per quanto effimero, pensò che sarebbe andato tutto bene.

Si separarono lentamente, guardandosi in viso, e Wulfric le diede un buffetto sul naso. «Stai attenta là sotto, e non dire alla Dama niente che la faccia arrabbiare... non troppo, almeno. Non mi piacerebbe dover raccogliere i tuoi pezzi e ricucirti, anche se così potremmo essere come Viktor Frankenstein e il mostro.»

«Grazie per avermi dato del mostro, anche io penso tu sia bellissimo. Comunque credevo avessi una completa fiducia nella bontà delle Daone Sith» sussurrò Rose, con un sogghigno.

«Forse la mia fiducia è meno salda di quello che pensavo» disse Wulfric, facendo un passo indietro. «Forza, vai. Ti aspetteremo qua fuori.»

Myr si avvicinò a Rose e le indicò di tuffarsi a chiodo, senza timore.

«Non preoccuparti. Non ti renderai nemmeno conto di essere passata dall'altra parte» la tranquillizzò. «Ricordati il tuo obbiettivo. Alan è più importante dell'orgoglio di Nimueh... lei non ha bisogno di sapere. Non tutto, perlomeno.»

Rose annuì rigidamente e spostò lo sguardo sullo specchio d'acqua. Trasse un profondo respiro e, tenendo le braccia dritte lungo i fianchi, si tuffò.

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La consistenza dell'acqua era vischiosa e Rose ebbe l'impressione di restare bloccata all'interno di uno strato di gelatina. Tuttavia non ebbe il tempo di farsi prendere dal panico che cadde su un pavimento gelido e rotolò sul ghiaccio.

Si mise seduta con un gemito, massaggiandosi il fianco sul quale era atterrata. Guardò il soffitto e notò che l'acqua galleggiava su di esso, come se la gravità avesse deciso di andare in vacanza. Aguzzando la vista, Rose riuscì anche a notare un banco di Fiskoldi che le mostrarono la lingua prima di nuotare via.

Rose si issò in piedi, si passò una mano sulla nuca per controllare che fosse tutto a posto e fece qualche passo.

Ovunque attorno a lei c'era ghiaccio; persino le pareti erano di quel materiale e riflettevano la luce bluastra delle torce, all'interno delle quali risiedevano delle alghe luminose dalla grandezza di capocchie di spillo. A una seconda ispezione, si rivelarono delle fate microscopiche, almeno quanto le Silfidi. Quando Rose passava davanti a loro le macchioline blu si avvicinavano al vetro, guardandola incuriosite. Era da secoli che non gli capitava di vedere un essere umano.

Rose rischiò di scivolare sul pavimento e si aggrappò a una torcia. Raddrizzò la schiena e trasse un sospiro di sollievo. Abbandonò il corridoio collegato alla stanza dell'ascensore acquatico e raggiunse una camera più ampia e luminosa. Le torce blu avevano lasciato posto alla luce naturale del sole, che entrava nel luogo tramite un sistema di specchi, riflettendosi su un lampadario di cristallo scosso da un vento invisibile. Le pareti erano decorate da dei fini bassorilievi scolpiti nel ghiaccio che ritraevano fate o motivi floreali, ma gli occhi di Rose si fermarono ben prima, attirati da una gabbia di un bianco opaco, simile a una voliera. Sul fondo di essa, rannicchiato in un nido di coperte nel tentativo di stare al caldo, c'era Geodfrith.

Rose lo chiamò ad alta voce e corse incontro alla gabbia, rischiando di finire lunga distesa. Strinse le sbarre e spiò un cenno di vita sulla sagoma appallottolata, dalla quale emergevano solo i capelli arruffati, lasciati sciolti sul ghiaccio. Faceva così freddo che le punte si erano ricoperte di brina.

Il Mundbora si svegliò dal sonno tormentato in cui era sprofondato e la mise a fuoco. I suoi occhi azzurri da confusi diventarono tristi, mentre Geodfrith si metteva seduto. Stava tremando per il freddo al punto che non riusciva a controllare il tremito della mascella e delle ginocchia.

«Ciao, Rosemary» le disse, con voce roca. Si abbandonò a un ascesso di tosse e lo mise a tacere con un paio di manate sul petto. «Come mai sei da queste parti?»

«Sono venuta a parlare con la Dama. Mi ha convocata» sussurrò Rose. «Però sono felice di vederti. Come stai? Hai freddo? Fame?»

«E' molto gentile da parte tua preoccuparti per un vile come me» rispose Geodfrith, con una risatina che lasciava trapelare quanta poca stima avesse di sé.

«Non dire stupidaggini. Non sei vile, per niente. Avalon non è più la stessa, senza di te. I Quercini non sanno che fare... Myr come maestro è impossibile, non sa cosa sia la pazienza. Sono tutti che pensano a te.»

Geodfrith tossì di nuovo, scosso da un grande brivido. Le sue guance si erano arrossate, e sorbì un sorso d'acqua da un bicchiere di cristallo.

«Mi dispiace essere scortese, Rosemary, ma sei tu che stai dicendo stupidaggini, ragazza mia. Si dimenticheranno di me. Lascia che passino un paio di giorni, e sarà come se non fossi mai esistito. Poi Wulfric, o forse persino tu, mi sostituirete, e la Dama non avrà nessun altro uso per me, se non mettermi a lucidarle le scarpe» mormorò il Mundbora. Aveva gli occhi gonfi e arrossati, sembrava avesse dormito poco. «Non che mi meriti qualcosa di meglio. E' colpa mia se Avalon è in pericolo. Sono stato io ad avvelenare il Grande Fiume, sono stato io a rovinare tutto. Io ho messo in pericolo i Quercini.»

Rose allungò una mano fra le sbarre, per quanto le era possibile, e la posò sulla sua. «Sei troppo duro con te stesso. Non avresti potuto difenderti da Morgaine... l'ha detto anche Myr. Non è colpa tua, è la magia di Nimueh a non aver funzionato a dovere con te.»

Geodfrith sgranò gli occhi e le strinse la mano. «Non dire così» sussurrò, guardandosi attorno come un uccellino spaventato. «Potrebbe sentire.»

«Che mi senta pure! Tu sei l'ultima persona che si merita di stare in gabbia» ribatté Rose, aggrottando le sopracciglia. «E poi questo freddo ti farà male.»

La ragazza si sfilò il mantello che Geodfrith stesso le aveva donato e, nonostante sentisse già la mancanza del suo calore, glielo diede.

«Ne hai più bisogno tu di me» gli disse.

Geodfrith avrebbe voluto dirle che lo rifiutava, ma i tuoi tremiti ebbero la meglio, e si avvolse nella lana con un sospiro di sollievo.

«Grazie, anche se non dovevi» mormorò, elargendole un sorriso affettuoso, nonostante stesse stringendo i pugni per la vergogna di aver accettato quel dono che credeva di non meritarsi. «Adesso però vai. Non è bene far aspettare Nimueh. Non vorrei mai che si arrabbiasse con te per causa mia. Ho già fatto abbastanza danni.»

Rose gli strinse di nuovo la mano. Se solo avesse potuto, l'avrebbe abbracciato.

Trovava talmente ingiusta quella situazione. Ne avrebbe fatto parola con Nimueh, sempre che la dea non l'avesse ridotta in cenere al primo sguardo.

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