(R) Capitolo 16: I Sali (1/2)
Il sole stava già cominciando a tramontare quando Rose raggiunse la foresta che si trovava nell'estremità opposta di Avalon, vicino al mare della nebbia. La ragazza si strinse nel soprabito e rabbrividì. Ad Avalon faceva meno freddo rispetto al mondo esterno, tuttavia c'era comunque una brezza sufficiente a farla tremare nella leggera tunica da apprendista. Myr aveva insistito che lei indossasse quell'abito, utile quanto un mantello di carta velina. Era abitudine delle fate vestirsi poco per via del loro sangue caldo, e il maestro ormai non sapeva più capire quando faceva freddo per un essere umano.
La tunica era rosso fuoco e aveva dei ricami dorati lungo l'orlo delle maniche svasate che lei trovava eccessive, dato che continuavano a impigliarsi ovunque. Sarebbe stato bello avere un mantello come Geodfrith o un pastrano in pelliccia d'orso decorato da un collo piumato, come Myr: ma no, invece era costretta ad andarsene in giro avvolta in quel fazzoletto. Si sorprendeva di non avere dei piccoli ghiaccioli al posto delle dita dei piedi.
Rose tirò su col naso e si fece largo nella foresta. Tutti camminavano scalzi ad Avalon, e lei era stata costretta a fare lo stesso.
"Non vogliamo che ci sia niente fra noi e il suolo sottostante. Dobbiamo restare in contatto con la natura", si era messo a filosofeggiare Wulfric. Al che Rose gli aveva risposto che la filosofia non la proteggeva dal raffreddore stagionale, ma il vichingo non aveva voluto saperne e le aveva sequestrato le scarpe. Credeva di poterle dare degli ordini solo perché era un "apprendista anziano", come si era autodefinito. "Vedrai, un giorno mi ringrazierai", aveva aggiunto, prima di nascondere gli stivali di Rose chissà dove.
In quel momento la ragazza aveva provato un forte sentimento per lui, ma non si era trattato di gratitudine. Per consolarsi si era immaginata che a Wulfric crescessero dei porri sulla pianta dei piedi, dato che amava così tanto andarsene in giro senza scarpe. Si stava davvero trasformando in un piccolo hippie.
«Quel cretino» sibilò Rose, quando i suoi piedi affondarono in un atollo di muschio molliccio.
La ragazza tentò di scrollarsi di dosso l'erba e il fango, e si guadagnò i sibili di protesta di alcune Piote Vaganti che stavano passando di lì. Le fate raccolsero delle foglie e le usarono come ombrelli. «E guarda dove stai sporcando, apprendista!»
Un'altra cosa positiva che le era derivata da quel vestito era che tutti ora la chiamavano "apprendista" e soffrivano di amnesia quando Rose tentava di ricordare loro il proprio nome.
"E' Rosemary."
"Cos'hai detto, apprendista?"
"Niente, lascia perdere."
Rose aveva rinunciato a presentarsi di volta in volta e aveva accettato quell'epiteto. In ogni caso avrebbe dovuto mantenerlo solo finché non fosse riuscita a ottenere l'aiuto di Nimueh.
Non che osasse farsi delle speranze riguardo ad Alan, ma a una parte di lei piaceva pensare che tutti gli sforzi che avevano fatto lei e sua sorella non fossero stati inutili. La lettera che Rose aveva spedito ad Ann tramite la Fata del Passaggio era stata ricevuta, e sua sorella le aveva inviato una risposta con lo stesso metodo. Quella mattina stessa Rose aveva trovato accanto al proprio giaciglio una Pietra delle Fate, tutto ciò che restava dopo aver pagato la Fata del Passaggio, e un foglio di carta a quadretti sotto di essa.
Rose lo aveva dispiegato e aveva letto più volte il suo contenuto col cuore che sprofondava sempre più a ogni lettura. Ann aveva scritto che, nonostante Alan fosse molto più rilassato, non c'erano stati altri miglioramenti.
Era stato allora che Rose aveva realizzato che Alan non sarebbe guarito senza l'aiuto di qualcun altro. Tutto ciò che poteva fare era convincere Nimueh, a qualunque costo.
Quando arrivò al vecchio tempio abbandonato, Rose avvertì il clangore delle spade ancor prima delle voci dei combattenti. Una era affannata e articolava parole rese incomprensibili dalla rabbia, mentre l'altra era calma e stava impartendo delle nozioni.
«Non così. Non imparerai mai, se continui a esporti in questo modo. Copri il tuo fianco destro! Avrei potuto ucciderti già quattro volte, Fritz!»
Rose superò il roseto che la separava dal tempio e restò in silenzio a osservare il combattimento in corso.
Myr indossava solo un paio di mutande talmente old-style da far pensare a un pannolino medioevale. Teneva una zweihander nella mano destra, una spada dalla lama lunga e pesante, adatta a vibrare colpi molto potenti. Nonostante quell'affare avesse la stessa massa di un bambino di dieci anni, Myr si muoveva con leggerezza e schivava gli attacchi taurini di Wulfric, che tentava di placcarlo come se stessero giocando a rugby.
Rose restò meravigliata per qualche istante, intenta a fissare il corpo bizzarro di Myr. Non le era mai successo di poter osservare la sua stranezza senza venire giudicata da uno sguardo tagliente. Si poteva scorgere l'uomo che era stato nella linea della mascella e nella muscolatura fluida, adatta a scontri prolungati; tuttavia la sua fisionomia era distorta: le spalle erano esili come quelle di un ragazzo, e il modo in cui si muoveva... l'agilità di Myr era innaturale. Era come se le sue articolazioni potessero compiere movimenti che per un umano sarebbero stati impossibili, se non fatali. Rose ne ebbe la certezza quando Wulfric tentò di aggredire il maestro con un gladio e Myr si piegò all'indietro per evitare il colpo. Il Mundbora posò le mani a terra, piegando la schiena come se fosse stata di gomma, e scalciò via la spada di Wulfric con un piede, prima di tornare in posizione eretta.
Wulfric si allungò per recuperare la sua spada, ma Myr ne pestò l'elsa e poggiò la propria lama contro la giugulare dell'allievo. Da Wulfric provenne un rumore di deglutizione. Il suo ampio petto si contraeva come se non ci fosse stata abbastanza aria; era talmente ricoperto di sudore che la maglietta a maniche corte che aveva indossato per l'allenamento si era ricoperta di chiazze grigie.
«Non ci siamo» mormorò Myr, e piantò la lama nel terreno. Si accucciò di fronte a Wulfric, annunciando la fine dell'allenamento.
Il ragazzo abbassò il capo e tentò di mettersi seduto a gambe incrociate, ma i muscoli non lo sostennero. Gli era venuto un crampo alla gamba. Wulfric digrignò i denti e tentò di stenderla.
«Che ti succede, Fritz?» mormorò Myr, mentre gli massaggiava la gamba. «Oggi non eri per niente in forma.»
«Mi dispiace, maestro» rispose il ragazzo, passandosi una mano sul viso sudato. «Io... io non riesco a starti dietro. Sei troppo forte per me. Per quanto mi alleni, non potrò mai competere, se non berrò l'Acqua Rafforzante! Perché non mi lasci...»
«No» lo interruppe Myr. Gli strappò un gemito quando si premette il suo piede contro la spalla e lo tese a martello per allungare i muscoli del polpaccio. «Non sarebbe un bene per te. Stai già bevendo e mangiando il cibo di Avalon da mesi e preferirei che continuassi così: lentamente. Non sai cos'ho dovuto fare io per abituarmi al mio, di corpo. Sono cambiato in un istante, ed è stato come per un neonato dover imparare a camminare. Non sapevo come usare la mia forza... non potevo neanche cucinarmi le uova sode! Riducevo in briciole tutto ciò che tenevo in mano. Una volta ho cercato di prendere in braccio una delle mie galline, Koké, e a momenti riducevo la poveretta in una palla di petti di pollo.»
Rose emise uno sbuffo: Myr con una gallina in braccio. Smorzava parecchio la sua solennità.
Quel sospiro appena accennato fu sufficiente per far virare le lunghe orecchie di Myr in sua direzione. Il Mundbora fece schioccare la lingua. «Non si dovrebbero origliare le conversazioni altrui, Rosemary.»
Rose provò l'intenso desiderio di diventare invisibile, poi trasse un sospiro e si alzò, raggiungendo i due. Wulfric la guardò con disappunto, ma non ebbe tempo di rivolgerle delle parole di rimprovero, perché Myr gli stirò la gamba e gli strappò un grido.
Il Mundbora gli stava impastando il polpaccio come se avesse avuto a che fare con una pizza molto ostinata. «Oh, scusa, piccolo. Ti ho fatto male?»
Da Wulfric provenne un gemito.
«Dai che hai la scorza dura, non fare il piagnucolone!» lo rimbrottò Myr. Cominciò a lavorare sulle sue dita.
«Maestro, ti prego, mi stai... mi stai facendo... porca put...»
«Non si dicono le parolacce! E' un luogo sacro!»
Rose non avrebbe voluto sbagliarsi, ma il suo sesto senso le diceva che Myr si stava divertendo parecchio a tormentare il suo unico allievo. Forse faceva tutto parte del suo piano di sabotaggio per convincerlo a rinunciare.
«Luogo sacro di 'sto gran ca...»
Wulfric si morse la lingua per non gridare e, finalmente, Myr lo lasciò andare. Il ragazzo si sedette a fatica e si tastò la gamba.
«Non mi fa più male» mormorò, con l'aria di un anziano che ha appena scoperto i social network.
«Non ti fidi mai del tuo maestro» borbottò Myr.
Rose credeva che Wulfric avesse tutte le ragioni per non fidarsi di lui, ma preferì non mettere il becco fra loro due. Il ragazzo si tolse la maglietta sudata e la gettò lontano con un verso schifato. Si trascinò a un ruscello per darsi una lavata.
«Pulisciti bene, il tuo tanfo si odora anche da qui!» lo ammonì Myr, gridando a squarciagola.
«Tu non hai una goccia di sudore addosso, bastardo» gemette Wulfric, scuotendo la testa, prima di svestirsi in fretta e furia e tuffarsi in acqua.
Rose sogghignò. Povero Wulfric, quasi si sentiva in pena per lui. Quasi.
«Su, siediti» la invitò Myr, che aveva steso una coperta ricamata sull'erba. Vi aveva disposto un cesto con dei panini, assieme a una caraffa contenente una bevanda di un inquietante azzurro brillante e tre bicchieri. «Wulfric mi ha iniziato a delle tradizioni umane. Sostiene che questa si chiami picchi-nicchi. E' corretto?»
«C'eri quasi. Pic-nic» ridacchiò Rose, afferrando uno degli involucri. Stava morendo di fame, i biscotti rocciosi di Geodfrith non erano stati molto soddisfacenti. Affondò i denti nel pane e incontrò uno strato di formaggio, pomodoro e mandorle. Non era niente male.
«Oh, vabbè» borbottò Myr, deluso. Si sedette accanto a Rose, che riuscì a stento a non ridere nel vederlo con indosso quell'assurdo paio di mutande, e prese un panino a sua volta.
«Cos'è quell'acqua? Contiene escrementi di medusa marziana?»
«No. Molto meglio» disse Myr, dandole una pacca su una spalla. «Questa è Acqua Salina, anche se molto diluita. Serve ai Mundboran per compiere magie. E' questa l'essenza della magia: i Sali.»
Rose raccolse la caraffa e ne annusò il contenuto. Non aveva nessun odore; l'unico elemento scoraggiante era quel colore improbabile, che suggeriva al suo cervello sarebbe stato più salutare divorare un isotopo radioattivo, ancora squittente.
«Se stai parlando di quello che credo, i Sali sono molto comuni, Myr... anche per noi umani.»
«No, non sono i sali della classificazione chimica.»
«Caspita, il vecchietto è aggiornato, allora.»
«Su alcune cose sì, su altre, come i picchi-nicchi, no... ma sorvoliamo. I Sali sono delle sostanze che vengono prodotte esclusivamente nell'Oltremondo, la terra delle fate. I corpi delle fate in parte li sintetizzano da sé, nel caso dei più basici; mentre gli altri, più complessi, devono essere integrati tramite l'assunzione.»
«Un po' come le proteine per il corpo di un umano» mormorò Rose, leccandosi le dita. Quei panini erano davvero ottimi. Ne prese un altro e lo scartò con dita avide.
«Proprio come le proteine, brava. E' corretto dire che i Sali, o quella che comunemente viene chiamata Magia, impregna i corpi delle fate e degli altri esseri eterei almeno quanto le proteine sono il materiale da costruzione di quelli degli umani. Per loro è naturale, Rosemary. E un umano che si voglia avvicinare alla magia deve abituare il proprio corpo all'assunzione dei Sali, finché essi non cominceranno a mutarne la struttura. E' quello che sta succedendo al nostro gigante, laggiù» disse Myr, accennando a Wulfric col capo. «Mi hai sentito, prima. E' da mesi che si nutre solo di cibo di Avalon. E guardalo, non hai notato qualcosa di diverso in lui? La sua fibra è più forte. Non è più umano, non al cento percento. Sta cominciando a cambiare, e non se ne rende neanche conto, perché è un processo molto lento, nel suo caso. Ed è un bene che sia così.» Myr spostò lo sguardo su di lei e sospirò. «Per te, invece, temo che dovremo adottare un altro approccio.»
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