(R) Capitolo 15: Geodfrith (2/2)
«Geodfrith!»
Il Mundbora la ignorò e proseguì per la propria strada.
«Geodfrith, aspetta!» lo chiamò Rose, a voce più alta.
Corse lungo la collina, il fianco che doleva, e raggiunse l'uomo mentre lui era alle prese col chiavistello della sua casa. Le mani tremanti gli impedivano di stringere la chiave come avrebbe voluto, e Geodfrith soffocò un'imprecazione.
Rose gli posò con gentilezza le dita sul polso e lui le cedette le chiavi, guardando altrove. La ragazza aprì la porta e Geodfrith passò oltre senza nemmeno ringraziarla, dopo essersi ripreso le chiavi.
Si fermò sulla soglia, le spalle ancora volte verso di lei, e da lui provenne un basso mormorio.
«Puoi lasciare il soprabito sopra quella sedia.»
Rose lo interpretò come un invito a entrare e chiuse la porta alle proprie spalle. Lasciò il soprabito dove le era stato indicato e camminò nella scia di Geodfrith, che aveva abbandonato il suo mantello azzurro dagli intarsi argentati su un divano recuperato dal mondo degli umani.
Il Mundbora emise un gemito di dolore, mentre si toglieva le scarpe. Si accomodò in una poltrona davanti a un focolare dalle braci rossastre, dove gettò un paio di legni. Davanti al caminetto, sorretta da un supporto in ferro battuto, c'era una pesante teiera nera.
«C'è del the lì...» mormorò Geodfrith, facendo per alzarsi.
«Lascia stare, faccio io» disse Rose. Aveva un'ottima esperienza con le persone che volevano aiutare a tutti i costi nonostante stessero male, specie dopo l'infanzia passata con una nonna-bulldozer come Maria.
Afferrò delle grandi presine bruciacchiate e prese due tazze sbeccate dalla credenza accanto al focolare e le posò sul tavolino da the, versandoci la bevanda color caramello. Il the era particolarmente concentrato, così Geodfrith le disse di aggiungere un po' d'acqua. La ragazza ubbidì sotto lo sguardo diffidente del Mundbora.
Rose si accomodò sulla poltrona davanti a quella di Geodfrith, i cui piedi pallidi si stavano scaldando davanti al fuoco, e si guardò attorno. La casa del Mundbora era molto diversa da quella di Myr, che aveva un aspetto assai più, come dire, medievale.
Geodfrith invece viveva in una vera e propria capanna, con un pavimento piastrellato, un caminetto, un lavandino e l'acqua corrente. Mancava solo l'elettricità, e sarebbe stata una casa confortevole anche per un abitante del mondo moderno. I mobili erano stati presi da scarti degli umani, ma venivano tenuti bene. Sulla destra, accanto a un'ampia libreria, c'era anche un letto a una piazza e mezza, indubbiamente più comodo rispetto al grumo di paglia dove sonnecchiava il Vecchio Merlo.
«I libri me li porta Myr» spiegò Geodfrith, che si sentiva in dovere di intrattenere la sua ospite, malgrado non sapesse esattamente come. «Quando va nel mondo esterno, riesce sempre a racimolare un po' di soldi con i trucchetti mistici che colpiscono l'immaginazione degli umani, e mi compra sempre qualcosa di nuovo da leggere. E' solo grazie a lui se non sono ancora morto di noia.»
Geodfrith si soffiò il naso in un fazzoletto e frugò in un cesto di vimini accanto alla poltrona. Ne estrasse una scatola di latta con delle immagini sbiadite sopra.
«Vuoi un biscotto?» chiese a Rose, le guance arrossate per l'imbarazzo.
«Sì, grazie» disse la ragazza, pensando di metterlo ancor più a disagio se avesse rifiutato.
Prese un biscotto e ci diede un morso. Era duro come la roccia, ma Rose simulò entusiasmo e cercò di mandarlo giù. Sarebbe stato più semplice inghiottire un'aspirina gigante, e fu un miracolo se quel bon-bon letale non le si incastrò in gola.
«Gira voce che tu voglia diventare una Mundbyrnes» mormorò Geodfrith.
Appallottolò il fazzoletto e se lo ficcò in una manica. Sciolse la sua lunga treccia e si massaggiò lo scalpo con un gemito di sollievo. I suoi capelli erano una cascata di seta e a Rose venne voglia di accarezzarli. Prima che potesse controllarsi, la ragazza si ritrovò inginocchiata accanto alla poltrona, intenta a passare le dita in quella trama finissima.
«Ehm» farfugliò Geodfrith, assumendo una sfumatura color carminio.
«Scusa!» disse Rose, appena uscita da una trance. «Non so cosa mi sia preso! Ti giuro che non sono una stalker col feticismo dei capelli!»
«Va bene, va bene. Mi ero dimenticato che gli umani possono restare un po' confusi in presenza di un Mundbora» disse Geodfrith, elargendole una burbera carezza. «Più il tempo passa, più assomiglio a una fata, e loro affascinano gli esseri umani»
Rose annuì e si affrettò a nascondere la faccia nella tazza di the, pregando che il rossore defluisse in fretta dalle proprie guance. I capelli di Geodfrith luccicavano davanti al fuoco, riflettendo le fiamme in modo innaturale. Finché erano stati raccolti, Rose non si era accorta di quanto fossero belli; ancora non riusciva a capire cosa le fosse passato per la testa. Che figura. Se solo Wulfric l'avesse saputo, l'avrebbe presa in giro per mesi.
Geodfrith le chiese di nuovo se avesse intenzione di diventare una Mundbyrnes e Rose gli fu grata per aver cambiato argomento.
«Ehm, sì. Sì, mi piacerebbe molto» biascicò la ragazza, che si era ustionata la lingua col the bollente.
Geodfrith strinse le labbra e i suoi occhi si velarono di tenerezza. «Rosemary, io non ti conosco, ma mi permetti di darti un consiglio?»
«Certo.»
«Ecco... valuta bene questa scelta. Ho detto queste cose anche al giovane Wulfric, e gli sono entrate da un orecchio e uscite dall'altro» disse Geodfrith.
«Non mi sorprende. Ha la capacità di concentrazione di un pesce rosso.»
Il Mundbora rise piano e recuperò un vasetto di vetro contenente una pomata. Cominciò a spalmarsela sulle gambe doloranti e trasse un profondo sospiro. «Diventare un Mundbora è molto dura. Con me Nimueh non ha avuto fortuna: avrebbe voluto essere come Medb, in grado di mutare un umano con uno schiocco di dita, ma la Dama è meno portata per queste cose; alla fine ha deciso di optare per un processo più lento, visto com'è andata con me. Ormai Nimueh si è quasi dimenticata che io esista, dunque non credo che presti orecchio alle mie parole... posso dirtelo: vattene da qui finché sei in tempo, bambina. Non diventare come me e Myr. Non si torna indietro dall'essere un Mundbora. Una volta che hai giurato, sei legato a vita; una vita dolorosamente lunga, quando hai dei rimpianti. E io so che le vite precedenti degli umani che diventano Mundboran non sono mai felici.»
Rose provò una profonda empatia per Geodfrith. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma si trattenne. Non poteva parlare a nessuno delle sue vere intenzioni. Aveva frequentato un paio di lezioni di Geodfrith solo perché le era stato imposto da Myr: mostrarsi interessata alle faccende delle fate l'avrebbe aiutata a far girare delle buone voci sul proprio conto. La recita le era riuscita sorprendentemente bene, dato che, al di là delle finzioni, quegli insegnamenti le piacevano molto.
Doveva tenere per sé quei pensieri e mostrarsi determinata. Nimueh avrebbe potuto ascoltare in qualunque momento e osservarla proprio attraverso l'occhio destro di Geodfrith senza che lui se ne rendesse conto.
«Apprezzo molto il tuo consiglio, Geodfrith, davvero» gli disse, con voce flebile. «Tuttavia ho già soppesato la mia scelta e mi piace molto Avalon. Voglio imparare un sacco di cose sulle fate e, se servire Nimueh è il prezzo, lo accetto volentieri. Poi c'è anche un altro motivo... vorrei diventare abbastanza brava con la magia da poter aiutare mio padre, che è stato ferito da Medb. Ho un motivo per combattere la Regina Eterna, e darei tutto perché possa venire punita.»
Ecco, il seme era stato piantato. Se Nimueh avesse ascoltato quelle parole, si sarebbe fatta una buona idea di lei; le sarebbe apparsa come una soldatessa indomita, pronta a fare ogni cosa per suo padre. Per fortuna ancora non aveva idea di quanto fosse incapace in battaglia, specie perché le uniche che avesse affrontato erano state ai videogiochi con Wulfric.
"Gli dei sono tronfi e saccenti, Rosemary", le aveva spiegato Myr, il giorno addietro. "Se ti mostrerai in un dato modo, si fermeranno all'apparenza. Dalla tua parte gioca anche il fatto che Nimueh è molto interessata a te, e vuole nuovi soldati per combattere Medb, quindi non andrà per il sottile. Se c'è qualche piccola cosa che dovrà darti per tirarti dalla sua parte, non farà troppo la difficile, ma non dovrai farle sospettare nulla, dunque stai molto attenta a come parlerai con chiunque, a parte con me e Wulfric. Io non sono un Mundbora di Nimueh, mentre Wulf è solo un apprendista, la Dama non può usarlo per spiarti. E poi, anche se Medb ascoltasse attraverso di me, sarebbe solo felice di poter danneggiare sua sorella: non ti ostacolerebbe."
Geodfrith si sforzò di sorridere come se non volesse disilluderla, e Rose si sentì talmente triste per lui che pensò di essere sul punto di rivelargli tutto. Quel vecchio gentile voleva solo aiutarla, e lei lo stava mettendo di fronte a un muro, proprio come aveva fatto Wulfric.
«Bene. Se ne sei così sicura» sussurrò Geodfrith. Le accarezzò una guancia. Le sue dita erano ruvide per aver lavorato a lungo con inchiostri acidi. «Tutto quello che posso fare è darti una buona istruzione. Ci vedremo domani a lezione. Puntuale, mi raccomando.»
«Grazie, Geodfrith» mormorò Rose, deglutendo a fatica. Gli sorrise. «Per quello che vale, penso che tu sia un ottimo insegnante.»
L'espressione di Geodfrith si distese, e nei suoi occhi malinconici affiorò un timido focherello. «Anche tu lo sei, Rose» disse. «Vorrei solo che giovani come te e Wulfric potessero ottenere solo felicità dalla vita. A domani.»
Rose chiuse la porta della capanna alle sue spalle. Strizzò le palpebre per scacciare le lacrime e si pulì il viso sulla tunica da apprendista che Myr le aveva dato. Scese lungo la collina e rientrò nell'allegro caos di Avalon, tenendo stretto a sé il soprabito.
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