(R) Capitolo 15: Geodfrith (1/2)

«Chi l'ha lanciata?»

I Quercini restarono tutti immobili, improvvisamente impegnati nella copiatura dalla lavagna.

Rose, rannicchiata dietro uno dei banchetti, si sentì molto dispiaciuta per Geodfrith, che trasse un sospiro simile a quello di una madre sulla soglia di una crisi di nervi. L'anziano Mundbora si occupava dell'educazione dei Quercini, e in quel momento anche di quella di Rose, dato che in quanto a conoscenza del mondo fatato era alla pari di una scolaretta.

Geodfrith si passò una mano su una guancia, raccolse la minuscola pigna che gli era arrivata sulla testa e la posò sulla cattedra accanto alle cinque pigne precedenti. Rose fulminò con lo sguardo il selkie che l'aveva lanciata e il bambino le fece una linguaccia. Geodfrith aveva la pazienza dell'onda che erode la scogliera giorno dopo giorno, per tentare di ficcare qualche nozione nelle teste bacate delle fate: tutto ciò che loro volevano era fare festa.

Il Mundbora si voltò con il gessetto in mano e rivolse loro un sorriso. «Dunque, se avete finito di copiare la definizione di "Daone Sith", possiamo passare alle fate meno potenti rispetto a loro. Avete qualche domanda?»

I bambini risposero con dei grugniti soffocati. Avevano la stessa reattività di un topo morto.

Geodfrith stava cominciando a disperarsi. «Proprio nessuna?»

A giudicare dai suoi gesti misurati e remissivi, non era stato affatto un guerriero prima di diventare un Mundbora e si era portato dietro questo problema nella sua seconda vita: mancava di polso, specie quando si trovava di fronte a un paio di occhietti lucidi, e si era lasciato ammorbidire dall'età. Era molto più anziano di Myr, nonostante l'unico accenno di vecchiaia fossero le sottili rughe attorno ai suoi occhi affilati, dei quali il destro era di un azzurro iridescente, mentre il sinistro di un azzurro molto più tenue, umano.

La Quercina seduta accanto a Rose, una bambina dalle orecchie a punta e i capelli color paglia, sollevò una mano.

Geodfrith le elargì un sorriso raggiante. Lei era una dei pochi che seguivano davvero le sue lezioni. «Dimmi, Rea.»

Scese dal gradino che lo separava dagli studenti e ci si sedette sopra con un grugnito di sforzo, mentre si massaggiava il collo con la mano sporca di gesso.

«Ma Geodfrith, perché Medb e Nimueh restano qui? Perché non hanno seguito loro fratello Finvarra nell'Oltremondo?»

Geodfrith aggrottò le cespugliose sopracciglia nere, accarezzandosi la punta dell'orecchio destro con le dita.

«Beh, ecco, bambini» balbettò, imbarazzato dall'attenzione che tutti quanti gli stavano rivolgendo. Non era mai riuscito a ottenere l'interesse di un'intera classe di fate per tanto a lungo in tutta la sua vita. «Non c'è un motivo preciso.»

«Andiamo, Geodfrith» lo incalzò Rea, facendo gli occhi dolci. «Tu sai così tante cose. Sei molto più vecchio di Myr! Sono sicura che tu c'eri, quando Nimueh ha creato Avalon.»

Geodfrith deglutì una seconda volta. Ormai il suo volto era paonazzo. I bambini erano scesi dalle loro seggiole e gli si erano radunati attorno, aggrappandosi alla sua veste di cuoio e ai suoi lunghi capelli blu scuro.

«Andate via! Tornate ai vostri posti, razza di...»

«Geodfrith!»

«Dai! Per favore!»

Rose sogghinò: Geodfrith aveva diversi punti di pressione, e i Quercini li conoscevano tutti. Alla fine, dopo un altro, profondo sospiro, il Mundbora cedette.

«E va bene, ve lo dirò! Basta che la smettiate di tirarmi le orecchie» brontolò, tastandosi le parti lese con una smorfia.

I bambini si radunarono in cerchio attorno a lui. Alcuni di loro osarono persino sederglisi in braccio o appoggiarsi contro le sue spalle, dato che sapevano non sarebbero mai incorsi in nessuna punizione.

«Allora, prima di tutto vi devo dire che la mia memoria è un po' offuscata. Malgrado io sia un Mundbora, la mia mente è rimasta quella di un umano sotto alcuni aspetti, e lo spazio per i ricordi è ristretto.»

«Smettila di rimandare» sbottò un elfo bambino dai capelli biondo platino. «Vogliamo sapere tutti i pettegolezzi.»

«Non sono pettegolezzi! Comunque, il fatto è che Medb e Nimueh sono capricciose.»

«Sai che novità» borbottò qualcuno.

Geodfrith incrociò le braccia sul petto e si fece più serio. «Gli piace invischiarsi negli affari degli umani, riannodare le trame delle loro vite e, a volte, farli impazzire. Penso dia loro qualche tipo di piacere dimostrare a se stesse quanto siano potenti e come nessun mortale sia in grado di far loro nemmeno un graffio. E' questo ciò che intendo con "capricciose".»

All'improvviso l'aula era diventata tanto silenziosa che si sarebbe potuto sentir cadere uno spillo. Geodfrith notò lo sgomento dei bambini e tentò di liquidare la faccenda con un sorriso, pizzicando una guancia al selkie che aveva appoggiato la testa contro il suo petto: era lo stesso che gli aveva lanciato le pigne.

«Non date troppo peso alle mie parole» ridacchiò. «Sono solo un rimbambito, in fondo. Non so neanche perché Nimueh mi tenga ancora qui, a insegnare. A volte vorrei solo...»

Il Mundbora si interruppe, passandosi la lingua sulle labbra, e Rose, solo per un istante, intravide nei suoi occhi azzurri la stessa tristezza che strisciava dietro l'irascibilità di Myr.

«Com'è che sei diventato un Mundbora?» chiese un altro Quercino, un ragazzino alto e allampanato. Aveva indosso una veste molto succinta che a malapena copriva le zone importanti del suo corpo. I suoi lunghi capelli erano raccolti in una serie di rasta e, più lo si guardava, più era difficile capire se era un maschio o una femmina. Molte fate, aveva notato Rose, avevano quella natura ambivalente. Era come se ognuna di loro avesse il suo sesso, diverso da quello di tutti gli altri; un po' come i funghi, ora che ci pensava. «Non ce l'hai mai detto, Geoddie.»

Rose sbuffò divertita e si guadagnò un'occhiataccia da Geodfrith, che però sembrava compiaciuto di quel nomignolo affettuoso.

«E' una storia complicata, Lys.»

«Abbiamo ancora un quarto d'ora alla fine della lezione.»

«Infatti! Io dovrei insegnarvi, non raccontarvi la mia vita.»

«Oh, andiamo! Questo è molto più interessante che studiare quante pustole ci sono nel deretano di un Troll o qualunque altra cosa Nimueh voglia che ci insegni! A che mi serve sapere quante varietà di pustole di Giganti esistono nell'Oltremondo?» brontolò Lys, giocherellando con uno dei suoi rasta.

L'ennesimo dei sospiri di Geodfrith pervase la stanza, più profondo e pesante dei precedenti, ma il mago pensò di dover approfittare della loro attenzione e decise di accontentarli. Oppose solo un'ultima, debole resistenza. «La mia vita era noiosa, bambini.»

«Geoddie, non farti pregare!»

«Ah, e va bene! Va bene. Quando ero un umano, sono stato uno scriba, se così si può definire, in una tribù nomade di vichinghi che percorreva la zona pianeggiante della Gran Bretagna. Mio padre avrebbe voluto che io diventassi un guerriero, ma io avevo sempre preferito le attività intellettuali, e così divenni un sacerdote dell'Antica Religione. Era uno dei pochi luoghi in cui potessi praticare la scrittura e la lettura senza venire guardato come un pazzoide o un fallimento dai miei coetanei. Ero solo un sacerdote qualunque, eppure, quando ero io a pregare prima di una battaglia, la mia tribù vinceva sempre.»

Geodfrith si rilassò contro la cattedra e il suo sguardo si perse nei ricordi. «Col tempo diventai il prediletto del capoclan, che mi portava sempre con sé in guerra, affinché lo aiutassi a vincere. Io non sapevo nemmeno da dove arrivasse tutta quella fortuna. Credevo fosse opera di qualche dio, ma non ci avevo mai creduto davvero nella sua esistenza. Pensavo fossero solo delle coincidenze, e pregavo con tutto me stesso che la mia fortuna non si sarebbe esaurita, altrimenti sapevo che mi avrebbero conficcato un'ascia in testa.»

«Poi un giorno mi arrecai a un fiume, e lì incontrai una creatura incredibile. Indossava un abito d'acqua ed era più bella di qualunque donna avessi mai visto in tutta la mia vita. I suoi occhi erano dello stesso colore del cielo prima di una tempesta, di un lago di montagna, della rugiada che si trova sull'erba al mattino... indescrivibili. Capii che stava aspettando me. Avrei voluto scappare, gridare, ma non riuscii a far nulla di tutto questo. La mia mente era incantata da quella creatura, e non potei fare altro che ubbidire al suo ordine silenzioso. Una volta che fui abbastanza vicino, lei mi prese, e mi trascinò nelle profondità del fiume. Quando mi risvegliai, l'occhio destro mi bruciava, ed era diventato come voi lo vedete adesso. Mi trovavo nella piana di Avalon, e da allora non sono più uscito da qui, se non per brevissimi momenti, quando era urgente.»

«Allora Nimueh ti ha salvato dalla morte» commentò Lys, aggrottando le sopracciglia. «Ti ha dato la vita eterna.»

Il volto di Geodfrith si rabbuiò. «Salvato? L'unica cosa che volevo era esplorare, studiare, scoprire nuovi luoghi... e invece, sono rimasto rinchiuso qui, legato a questo luogo. Il rituale col quale Nimueh mi ha mutato non è andato come avrebbe dovuto. Mi ha storpiato. Un tempo ero forte e vigoroso, mentre ora...»

Il Mundbora strinse una mano, che, pur non essendo sottoposta a sforzo di alcun tipo, stava tremando in modo visibile. «Sono come un vecchio sclerotico. Nella mia cultura era meglio morire giovani che aspettare il logorio del tempo. Avevo già sessantatré anni, quando Nimueh mi cambiò... ero prossimo alla morte. Non avrei dovuto sopportare ancora per molto i miei acciacchi, mentre grazie a lei sono peggiorati. Non avete idea dei dolori che io abbia ogni giorno, di come il sangue di Nimueh bruci nelle mie vene. Col tempo ho imparato a conviverci, ma non mi ci sono mai abituato. I Sali stessi, la magia, mi divorano le ossa.»

Geodfrith chiuse gli occhi e si premette una mano sulle costole, mentre espirava lentamente, come se avesse avuto una fitta al fianco. Quando li riaprì, i Quercini lo stavano guardando in modo diverso, pentiti di avergli causato tanti fastidi nel corso degli anni.

«Ecco, questo è il genere di facce che non amo vedere attorno a me» brontolò Geodfrith, depositando a terra l'inquilino che si era stabilito sulle sue ginocchia. Si alzò in piedi, stirò con cautela la schiena e raccolse il bastone che usava per camminare. «Non desidero la vostra compassione, bambini, né quella di nessun altro. Non raccontate in giro quello che vi ho detto, è una confidenza.» Geodfrith puntò l'estremità del bastone contro Rose. «Lo stesso vale per te, signorinella.»

Rose annuì, e il vecchio Mundbora emise un grugnito d'approvazione. Poi si diresse fuori dall'aula intagliata in una quercia, annunciando che la lezione era finita.

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