(R) Capitolo 10: Vigilia solitaria (2/2)

«Ann, tu lo puoi vedere?» balbettò Rose, col cuore in gola. Urchin si agitava fra le sue dita, ancora troppo spaventato per guardare fuori.

Sua sorella non rispose, ancora ansimante. Appese il giubbotto, deglutì a fatica e si sistemò il maglione per darsi un tono. «Speravo che a te non sarebbe toccato» mormorò.

«Toccato cosa, Ann?»

«Vederli! Questa casa è sempre pullulata di mostriciattoli! Li ho visti sin da quando ero bambina, e anche pà! Lui faceva amicizia con quelle dannate creature... e adesso anche tu.»

«Ann, di cosa stai...»

«Sono state loro a farlo impazzire, Rose! Gli hanno sussurrato cose nelle orecchie, lo hanno convinto a farci del male. Lo hanno rovinato» mormorò Ann, con voce sommessa. Di solito sua sorella era impassibile, ma, in quel momento, i suoi occhi scintillarono di lacrime. «Pensavo che quegli esseri se ne fossero andati tutti, dopo che pà ha abbandonato la casa, e invece sono ancora qui.»

Rose avvertiva un blocco di ghiaccio all'altezza della gola. Non riusciva a parlare. Non avrebbe nemmeno saputo cosa dire. Allora le cose che aveva visto Alan... i suoi dipinti... erano reali tanto quanto la neve che stava cadendo in quel momento.

Rose schiuse le dita in modo da far vedere Urchin ad Ann. Sua sorella si avvicinò e lo esaminò con più attenzione. Il folletto emise un singulto e si infilò in una manica del maglione di Rose per proteggersi.

«Non è cattivo, Ann» riuscì a biascicare la ragazza. Provava una forte sensazione di irrealtà, come se non fosse stata davvero lei a parlare. «Si chiama Urchin, è un folletto-riccio. Mi ha tenuto compagnia da quando l'ho trovato nel mio bagno, in Scozia, e lui mi ha seguito fin qui. Mi ero convinta che fosse solo un'allucinazione.»

«Ti piacerebbe» brontolò Ann. Trasse un profondo sospiro e scosse la testa. «Pà aveva una vera fissa per queste creature, le ha ritratte quasi tutte.»

«Credevo si fosse immaginato tutto.»

«Ne sarebbe stato capace, ma in questo caso, no. L'ispirazione non gli mancava, la nostra casa era piena di fate. Non so se ci siano ancora da quando lui se n'è andato, ma hai presente il ramo di glicini che c'è sotto lo studio di pà?»

«Sì. Ha cercato di insegnarmi a disegnarlo, ogni tanto» sussurrò Rose, ancora scombussolata, mentre Urchin emergeva con cautela dal maglione.

«Ecco, quei glicini erano zeppi di Silfidi. Quelle creature sono minuscole, grandi quanto una capocchia di spillo, e appaiono come una nebbiolina. Ce ne sono di tanti tipi, e noi avevamo quelle che assomigliano a delle api. Pà diceva che facevano anche il miele... un miele che, se mangiato, aiutava a distendere i nervi. In giardino invece, sotto la legnaia, viveva un Puck, un folletto grande tanto quanto un ratto con la testa sproporzionata e un umorismo del cavolo. Faceva sempre scherzi o battute idiote. O ancora, tu non te lo ricordi, ma quando avevi tre anni io e papà ti abbiamo trovato in giardino che giravi in tondo: due Piote Vaganti si divertivano a confonderti, senza permetterti di tornare in casa. Potrei parlarti per ore di cose del genere, ma penso tu abbia capito. C'erano davvero tante fate da queste parti, fin troppe.»

Ora che ci ripensava, Rose ricordava che da bambina aveva passato ore in giardino a giocare. Non si era mai annoiata, perché si era convinta che ci fossero delle creature che si nascondevano negli alberi o sotto i sassi. Un paio di volte le era anche sembrato di vedere qualcosa, ma con gli anni l'aveva liquidato come parte della sua fantasia di bambina e nulla più. Le era capitato di prendere un animaletto selvatico col retino, una specie di coniglio. Rose pensava "una specie" perché si ricordava ancora che la creatura aveva avuto qualcosa di molto strano: l'aveva guardata con due occhi talmente intelligenti e tristi, talmente umani, che Rose l'aveva lasciata andare. Il coniglio poi era tornato a farle visita durante le sue esplorazioni del giardino, e Rose gli aveva offerto delle carote, ma l'aveva creduto solo uno dei tanti animali da cortile che Alan e Ilenia tenevano per far andare avanti Ca' dei Glicini. Gli aveva anche dato un nome, Tippete. Però lui dopo un po' non si era più fatto vedere. Rose aveva creduto che fosse scappato o, il cielo non volesse, che fosse finito nelle pance dei loro clienti.

«E tu non mi hai mai detto niente?» gorgogliò Rose, con voce soffocata. «Sapevi di queste cose e sei stata zitta?»

«Come potevo dirtelo, Rose? Dopo quello che è successo a nostro padre, speravo che quei piccoli mostri non sarebbero più venuti qui. Dopo quello che gli avevano fatto...»

Urchin si schiarì la gola e alzò un dito indice.

«Mi scusi, irruente signorina, ma credo che si stia sbagliando. Qualunque cosa sia successa ad Alan, non credo sia stata opera delle fate stabilitesi nella vostra magione. Noi folletti e fate non siamo degli ingrati! Se ci trattano bene, proteggiamo la casa dove abitano i nostri amici, portiamo fortuna e un sacco di altre cose buone. Teniamo d'occhio i bambini, giochiamo con loro...»

«Rubate il cibo e i vestiti! Smangiucchiate le tende e le scarpe, e vi infilate dappertutto, peggio delle cimici. Una volta stavo pulendo la tenda e mi è caduto un nido di Silfidi in testa» lo interruppe Ann, fulminandolo con lo sguardo. «Mi rubavate anche i compiti e i libri di scuola.»

Urchin rise piano, come se approvasse l'operato dei suoi predecessori. «Diciamo che alcuni di noi possono essere un po' dispettosi, ma non siamo cattivi, ecco.» Sembrava molto più a suo agio, dopo aver capito che Ann non aveva più intenzione di schiacciarlo. «Qualunque cosa sia successa ad Alan, non è stata opera nostra. Non gli avremmo mai fatto del male. Da come me ne avete parlato, sembra un uomo molto gentile, e le fate non si accaniscono su chi è buono di cuore, anzi. E' stato qualcuno molto più vendicativo e malvagio di un folletto a fare del male a vostro padre.»

Rose e Ann si scambiarono un'occhiata, entrambe col fiato sospeso.

«Hai idea di chi potrebbe essere stato?»

Urchin trasse un profondo sospiro.

«Esistono molte fate, ma una delle poche in grado di tormentare un essere umano al punto da fargli perdere il senno potrebbe essere una Banshee o una Daone Sith gravemente offesa.»

«Le Daone Sith sono quelle di cui mi hai parlato nella tua storia, vero? Nimueh e Medb» mormorò Rose, con un filo di voce.

«E il potente Finvarra» completò Ann, con un sospiro.

Rose la guardò storto. Certo che ne sapeva, la mentitrice. Ancora non riusciva a credere che le avesse nascosto tutto.

«Ma dubito che lui abbia in antipatia nostro padre. Finvarra vive nell'Oltremondo, non sta nemmeno con gli umani.»

«Oltremondo?» chiese Rose, che non aveva avuto il tempo per imprimersi tutti quei nomi nella memoria.

«Il luogo dove vivono le fate» sbottò Ann, come se fosse stata un'ovvietà. «Allora? Chi è stato fra loro?»

«Non ne sono sicuro, non vorrei saltare a conclusioni affrettate» farfugliò Urchin, tormentandosi le mani. «Ma non penso proprio sia stato Finvarra, e nemmeno Nimueh. L'unica che ha sempre mostrato un odio feroce verso gli umani è Medb, ma non so perché se la sia presa proprio con vostro padre. Non ha senso. E' vero, voi riuscite a vedere le fate e al giorno d'oggi ci sono poche persone che possono farlo, ma Medb in genere tenta di attirare a sé gli umani dalla vista più ampia per tenerli come alleati. Li ritiene preziosi, non vorrebbe mai distruggerli. Mi dispiace, ragazze, ma non so proprio spiegarmi le sue azioni.»

Ann digrignò i denti e strinse i pugni. «Bene. Almeno sappiamo chi è stato, se non altro. Anche se devo ancora capire se posso fidarmi o no di te, mostriciattolo.»

«Io non sono un mostriciat...»

«Rose, qualunque cosa accada, sappi che puoi sempre chiamarmi e accorrerò subito da te.»

«Che cambiamento» sbottò Rose.

Ann fece finta di nulla e proseguì: «Se questa Medb tentasse di fare del male a te, a Ilenia o alla nonna non so se potrò farci qualcosa, ma forse possiamo proteggere la casa. Papà aveva smesso di praticare i rituali di protezione talmente era abituato alla presenza delle fate, ma io me li ricordo. Dobbiamo riprenderli in mano, se vogliamo stare al sicuro... e ripeteremo lo stesso processo nella camera di papà, a La Serenità. Forse questo lo aiuterà a riprendersi. Che ne dici?»

Rose annuì, esitante. Le sembrava troppo sperare in una guarigione, ma forse, se fossero riuscite ad allontanare quella simpaticona di Medb dalle loro vite, Alan sarebbe migliorato almeno un po'.

«Ci sto, sorellona. Sperando di non finire entrambe fulminate da Zeus, dovrebbe funzionare.»

Ann sorrise e le diede una pacca sulla spalla.

«Sono ancora arrabbiata con te, eh» ci tenne a precisare Rose. «Mi hai nascosto tutto, non sei mai andata a trovare papà, e ora...»

«Andiamo, Rose. Sto cercando di redimermi.»

«Ma l'avresti fatto, se non avessi visto Urchin?»

Ann le rivolse un sorriso impacciato e la spinse verso la cucina. «Certo che te l'avrei detto, sorellina! Ma adesso andiamo dentro, che è tardi e la nonna si infuria se facciamo freddare la cena.»

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