Capitolo 36: Finvarra, il Candido (2/3)
Raggiunsero la sottile entrata della sala del trono, che il Fiocchetto aprì premendo un bottone su un pannello. Seguì un sonoro cigolio e la porta si aprì, offrendo loro uno scorcio sull'ingresso alla sala del trono. Si trattava di un piccolo corridoio, nel quale erano state radunate delle divise a grandezza umana, perfette per lei e Wulfric. Il ragazzo indossò una delle eleganti tuniche bianche e si rimise il martello a tracolla. Rose nel frattempo accarezzò l'orlo dei vestiti che fluttuavano nell'aria e che la stavano aspettando a braccia aperte. Erano bellissimi, coi loro pizzi e i bordi arricciati e la seta così pura da luccicare, però Rose li declinò. Preferiva di gran lunga la sua tenuta da guerriera a quell'assenza di colore.
Wulfric le si avvicinò e, assieme, seguirono il Fiocchetto, che stava borbottando fra sé e sé. «Che maleducata... rifiutare i vestiti di Finvarra per tenersi quei due stracci...»
«Cos'hai detto, scusa?»
«Niente!»
L'ingresso alla sala del trono era più lungo di quanto avesse immaginato. Era un tubo bianco che, anziché accorciarsi, si allungava e si ingrandiva. Finvarra si divertiva a giocare con le proporzioni e a illudere le coscienze dei suoi ospiti. Dal fondo del tunnel a un tratto provenne un suono di tromba, e a Rose ci volle qualche secondo per capire che il corridoio stesso era lo strumento. C'erano dei fori sul soffitto in corrispondenza dei lampadari, che si alzavano e abbassavano quando delle dita invisibili ci si posavano sopra.
«Assurdo» sussurrarono lei e Wulfric, all'unisono.
Si presero per mano e continuarono a seguire il Fiocchetto, i piedi che affondavano in una morbida moquette bianca sbucata da chissà dove. Il suono della Fantasia per tromba si attenuò man mano che si avvicinavano all'uscita, una porta assai più grande, talmente ampia che ci si sarebbero potuti far passare tre elefanti uno sopra l'altro.
La porta era già spalancata su un salone talmente ampio che Rose non riusciva a scorgerne le pareti, avvolte da una nebbiolina bianca. Forse non c'erano nemmeno le pareti. Di certo lo spazio funzionava in modo strano, lì dentro: era una gomma che Finvarra poteva modellare a suo piacimento.
Chissà se anche il tempo funzionava così nel Mondo del Bianco. Se fosse stato vero, cent'anni sarebbero potuti diventare un secondo, e viceversa. Rose pregava che il suo buon senso si sbagliasse, anche perché lì per una cosa come il buon senso non c'era posto.
Il salone era attraversato da una serie di navate, intervallate da colonne in marmo nel quale erano state scolpite Ninfe dell'aria, avvolte in vestiti leggeri come un foglio di vapore. Il soffitto si apriva sul cielo, e le colonne salivano e salivano; le Ninfe si aggrappavano le une ai vestiti delle altre, fino a scomparire anch'esse nelle nuvole. Al centro del salone c'erano due rampe di scale, che conducevano fino a uno spiazzo di proporzioni gigantesche, del tutto vuoto.
Rose e Wulfric si guardarono e tornarono a scrutare il vuoto.
«Dove diavolo è Finvarra?» chiese la ragazza, rubando il cappello al Fiocchetto per usarlo come ricatto.
«Non lo so!» gemette il folletto. Si mise a saltare per recuperarlo, ma non riusciva a sollevarsi per più di dieci centimetri. «La sala del trono è questa. Io vi ho portato nel luogo richiesto, adesso non siete più un mio problema. Ridammi il berretto!»
Rose stava per rispondergli che se la poteva sognare la sua bombetta, ma venne interrotta da un mormorio che proveniva proprio dallo spiazzo vuoto. Come in una botola all'interno di un palcoscenico, dalla piana emersero dei Fiocchetti che tenevano sotto braccio degli strumenti, in particolare arpe, tamburelli e flauti. Erano tutti addobbati a festa, con delle giacche troppo grandi per loro, dotate di doppiopetto.
«Ma cosa...»
«Attaccate!» sussurrò una voce che non si poteva nemmeno definire voce. Assomigliava di più a una vibrazione, e il suo solo suono fu sufficiente a scombussolare Rose. Anche Wulfric non fu immune a quell'effetto e si portò una mano alla testa, come se volesse controllare di averla ancora attaccata al collo.
In quel momento i folletti cominciarono a strimpellare con gli strumenti. Non avevano idea di quello che stavano facendo, e ne uscì un concerto degno dei Musicanti di Brema, tale da spingere il più tenero dei critici a scrivere una recensione indignata.
«No, no, no!» disse di nuovo quella voce non-voce. «Non così! Ma l'avete studiato lo spartito, o...»
«Mio signore» mormorò uno dei Fiocchetti, sollevando un dito con fare sentenzioso. «Ci avete dato lo spartito solo un quarto d'ora fa. Come pretendete che conosciamo già la vostra musica? E poi non ci si capisce niente... duecentoventiquattro ottavi... centoventotto quarti... cosa...»
«Se non sapete apprezzare la buona musica, non è colpa mia! Per gli dei, cosa devo sopportare ogni giorno! Sudditi incompetenti! Almeno andatevene, così posso fare il resto del numero da solo.»
«Ma mio signore...»
«Sciò! Pussate via!»
Un'ondata invisibile sollevò i Fiocchetti, che vennero catapultati verso il cielo come delle comete in retromarcia. Le creaturine aprirono le loro giacche e le usarono come paracadute, planando verso il basso.
«Ecco, ci siamo. Un bel respiro. Do-mi-sol-do-do-sol-mi-do. Perfetto.»
Una piattaforma di trenta metri per trenta emerse dallo spiazzo, e su di essa, seduta su un trono, c'era la creatura più grande e maestosa che Rose avesse mai visto. L'essere aveva dei lineamenti maschili molto aggraziati, e c'era qualcosa di infantile nella linea dei suoi occhi, puri come due perle, e nella morbidezza delle sue labbra; tutto ciò però veniva contrastato dalla durezza del suo naso, ben dritto, e da una lunga barba irsuta che gli scendeva fino a sfiorargli il petto, raccolta in tre trecce arruffate, trattenute da degli anelli di oro bianco. Sulla testa della creatura galleggiava una corona paragonabile a un'aureola, che pareva fatta di pura luce. A una seconda occhiata si rivelò essere un vortice di Silfidi che volavano a una velocità incredibile, in un girotondo folle, e che nel mentre riversavano dei fiorellini bianchi sulla testa del loro signore.
Una volta che la piattaforma ebbe raggiunto la sua postazione ideale, dalle colonne circostanti vennero sparati dei festoni di capodanno che ricoprirono la tunica del sovrano, del bianco più bianco che Rose avesse mai visto, impreziosita da un ricamo lucente che raffigurava la testa di un cervo.
«Ecco a voi, il grande Finvarra!» esclamò il Fiocchetto che li aveva condotti lì. Con un salto riuscì finalmente a recuperare il cappello dalle dita inerti di Rose e filò via, verso l'ingresso.
Rose e Wulfric restarono in silenzio a contemplare il Re Candido, senza riuscire a crederci. Dopo tutta la strada che avevano fatto per arrivare da lui, eccolo lì, davanti a loro. Più pomposo che mai.
«Allora?» esclamò Finvarra. Era sua quella voce inclassificabile, profonda eppure lieve, inquietante e amica al tempo stesso. Solamente sentirla faceva venire le ginocchia molli. «Vi è piaciuto?»
Rose aprì la bocca, ma non riuscì a dire niente.
Finvarra spalancò gli occhi e aggrottò le sopracciglia. Scese dal suo trono di marmo, semplice e squadrato in confronto al resto della sua magione, e si abbassò per poterli guardare. Il suo volto era grande come un pianeta nano, e li guardava con interesse dall'alto della sua orbita.
«Non vi è piaciuto?»
«Ehm...»
«Lo sapevo! Dovevo preparare in anticipo lo spartito. Se non si fosse...»
«No, no» farfugliò Wulfric. «E' stato... spettacolare. Siamo talmente sconvolti da tanta magnificenza che non riusciamo a spiccicare parola.»
Il volto di Finvarra si allargò in un grande sorriso ed emise un'ondata di luce bianca che li spinse a coprirsi gli occhi per non restare accecati.
«Davvero?»
«Ma certo. E' stato incredibile.»
«Davvero davvero?»
Rose e Wulfric gemettero. Quel bambinone in cerca di conferme!
«Sono talmente incredula e scioccata che a momenti non sto in piedi per l'emozione» disse la ragazza, cercando di sorridere.
Finvarra emise un grido di giubilo tale da stordire persino le Silfidi, che si dispersero in un mare di lucciole, volando via. Il Re Candido si tastò il capo ricoperto dai lunghi capelli bianchi che gli scendevano fino a metà coscia, e fece una smorfia triste.
«La mia corona! Oh, vabbè» sussurrò. «Posso sempre mettere la solita.»
Fece un gesto della mano e fra le sue dita comparve un cerchio d'argento bianco dal quale si dipanavano rami viventi, che davano a loro volta vita a fiori argentati. Se la pose sulla testa e tornò a guardare Rose e Wulfric.
«Siete piccini, però» mormorò, grattandosi la barba. «Parlare così non va bene. E' troppo per le vostre orecchie.»
Finvarra ci pensò ancora un po', poi si illuminò e fece un giro su se stesso. La sua veste si allargò come una ventola, producendo un vortice d'aria che sollevò Rose e Wulfric da terra. I due vennero sbalzati da una parte all'altra dalle correnti ascensionali, e si strinsero disperatamente per mano, gridando a squarciagola.
Poi, così com'erano saliti verso l'alto, scesero rapidamente verso il basso, secondo un moto a spirale, fino a toccare terra davanti a un omone di due metri e mezzo. Finvarra, le mani incrociate sullo stomaco ammorbidito da lauti pasti, li guardò con disappunto.
«Sono ancora troppo grande. Ma va bene lo stesso» disse, rivolgendo loro un sorriso che mise in mostra i suoi denti perfetti. Porse loro le mani, dalla pelle candida e morbida, e strinse le loro. «Sono così felice di avervi qui con me. E' da secoli che sogno di far vedere la mia nuova scacchiera a qualcuno. La mia bellissima, fiammante scacchiera. Ci ho messo cinquanta dei vostri anni per finirla! Su, venite con me che ve la faccio vedere.»
Senza attendere una loro risposta, gli strinse forte le mani e si sollevò in aria, trascinandoseli dietro come il vento porta con sé le foglioline autunnali.
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Rose si aggrappò al polso e alla tunica di Finvarra con tutta la forza che aveva. La pelle del sovrano luccicava a contatto con la sua, e la ragazza notò che anche la propria mano stava cominciando a risplendere, come se stesse venendo contagiata dall'energia del sovrano. Avrebbe voluto gridargli di lasciarla andare, ma forse a un chilometro e mezzo da terra non era una buona idea.
Il vento fischiava talmente nelle loro orecchie da impedirgli di sentire le parole di Finvarra, che stava chiacchierando a briglia sciolta, ridendo delle sue stesse battute. Rose teneva gli occhi socchiusi per difendersi dalle carezze violente delle correnti. Wulfric non era in condizioni migliori: si reggeva alla tunica di Finvarra e, con il braccio libero, tentava di coprirsi il viso, contratto in una smorfia di terrore.
Se quel re incosciente li avesse lasciati andare per un solo istante, si sarebbero schiantati al suolo, e allora avrebbero finalmente capito come doveva sentirsi un caco maturo in autunno, la cui unica salvezza era un minuscolo picciolo.
Sotto di loro sfilava il Mondo del Bianco, con i suoi campi immacolati, le colline bianche e le foreste d'avorio. Qua e là era possibile vedere gli Ascensiluci, che creavano una complessa rete di luce circa cinquecento metri più in basso. Fiocchetti, Elfi e altri esseri non meglio identificati gli facevano ciao ciao con la manina, prima di venire risucchiati verso la loro destinazione.
Superarono una catena montuosa a forma di brontosauro sdraiato su un fianco, e finalmente raggiunsero la scacchiera di Finvarra.
Rose ne fu talmente colpita che si arrischiò ad abbandonare la presa della mano destra per schermarsi gli occhi e guardare in basso. La scacchiera si estendeva per almeno un chilometro, ed era completamente deserta, fatta eccezione per i pezzi di scacchi più elaborati che Rose avesse mai visto. Erano alti almeno cinque metri, ed erano molto diversi rispetto a quelli degli umani, per quanto fossero comunque riconoscibili: la torre era un alto scoglio con una sirena che si pettinava i capelli, la regina una donna dalle sopracciglia severe con uno scettro a forma di conchiglia in mano, il re un uomo che, una volta privato del lungo mantello e del sorriso amorevole, sarebbe assomigliato molto ad Artri.
E, a proposito di Artri, Rose si rese conto che c'era una piccola sagoma che agitava un ago scintillante su una delle caselle bianche. Quello spillo si rivelò essere Eftwyndr, e il suo proprietario si avvicinò al punto verso il quale stava planando Finvarra, nel centro esatto della scacchiera.
«Guarda chi c'è!» esclamò il Re Candido, una volta che i loro piedi ebbero toccato terra.
Lasciò andare Rose e Wulfric, dimenticandosi temporaneamente di loro, e strinse il Grande Orso in un abbraccio soffocante.
«Anche io sono felice di rivedervi, mio signore» rantolò Artri, il mento premuto sulla sua spalla destra. «Grazie per avermi curato.»
«Come avrei potuto lasciar morire il mio Mundbora?»
Il Re Candido fece un giro su se stesso, tenendo Artri ben stretto a sé, mentre rideva a gran voce.
«Non sono un vero Mundbora, signore» gli ricordò Artri. «Mi avete trasformato in un orso, ricordate?»
Finvarra lo lasciò andare e lo guardò con le sopracciglia aggrottate. Si grattò la testa, stringendo la corona nella mano destra, e diede un morso all'argento, che si ruppe con lo scricchiolio di un wafer. Rose sbirciò all'interno della corona: era ripiena di cialda e cioccolato bianco.
«Ah, sì! Ora ricordo. Ma certo, un orso!» Il Re Candido si diede un colpetto sulla fronte e si abbandonò a un'altra risata. «Ho pensato fosse una cosa carina permetterti di trasformarti nel tuo animale guida. In vita ti hanno sempre chiamato l'Orso, no?»
«Già. Per qualche motivo hanno sempre pensato che fossi un buzzurro! Orso... ma anche "cinghiale" e "ariete". Ne ho sentiti di epiteti» sospirò Artri, massaggiandosi il petto dolorante. Rose e Wulfric gli andarono incontro, guardandolo con occhi sbarrati. «Che c'è? Che succede?»
«Sei... sei vivo!» farfugliò la ragazza, indicandolo con entrambe le mani.
«L'ultima volta che ho controllato lo ero.»
«Morgaine ti aveva fatto un buco nella pancia!»
«Mi avete portato dal Rappezzaciccia, no?» disse Artri, mentre il suo volto si ammorbidiva in uno dei suoi rari sorrisi. Sollevò la tunica per far vedere loro l'addome liscio. Sulla sua pelle olivastra, cosparsa di cicatrici rosa chiaro, se n'era aggiunta un'altra, poco lontana dallo stomaco. «Grazie per avermi difeso contro Morgaine, Rose. Sei stata coraggiosa.»
Rose avrebbe voluto dirgli che lui invece era stato un gran stupido a fidarsi così della sua sorellastra, ma Artri la mise a tacere con un "Ah, venite qui!" e li strinse in un abbraccio. La ragazza trasse un profondo sospiro, sputacchiando per non ingerire la peluria del suo mantello, e ricambiò l'abbraccio. Era felice di rivederlo di nuovo in piedi, nonostante le avesse fatto prendere uno spavento. Morgaine forse era folle, ma non si sbagliava sul fatto che Artri era un incosciente. Bravo a combattere, senza alcun dubbio, ma talmente restio a puntare la spada verso qualcuno che c'era da chiedersi come avesse fatto a costruire Camelot. Sotto il suo modo di fare grezzo e ruvido c'era un cuore tenero.
Le ricordava talmente Wulfric che Rose si chiedeva se quei due, scambiatisi di posto nelle rispettive epoche, avrebbero compiuto le stesse azioni.
«Però non lo fare mai più!» continuò Artri, tornando a essere il solito burbero. Le puntò contro un indice e lo fece andare su e giù, sottolineando ogni parola. «E' stato molto sciocco da parte tua affrontare così una Mundbyrnes esperta. Conoscendo mia sorella, ti avrebbe trapassata con la sua spada senza alcun rimorso...»
«Come ha fatto con te, insomma» lo interruppe Rose.
Artri restò interdetto per un istante, poi si incrociò le braccia sul petto. «Non è questo il punto! Fra me e lei è diverso. Lei è un...»
«Un uomo. Sì» sospirò Rose.
«Non volevo dire che è un uomo! Beh, è vero che è un uomo, però non c'entra. Anche tu, insomma, te la cavi, per essere una donna. Intendo solo che Morgaine è pericolosa, ecco, e non mi piace che tu e Wulfric vi mettiate contro di lei. Se le lega al dito le battaglie, e col fatto che ora anche voi siete dei Mundboran dalla vita disgustosamente lunga potreste trovarla a rompervi le palle per un secolo o più se non finirete di antagonizzarla! Ecco, questo volevo dire. Se solo mi lasciaste parlare, una buona volta.»
«Io non ho detto niente» si lamentò Wulfric, portandosi una mano al petto. «E' Rose che...»
«Che coda di paglia, sei» sbottò Rose, dandogli una gomitata. «Prenditi la sgridata e basta.»
«Ma...»
«Signori!» disse Finvarra, in tono irritato. Aveva cominciato a tamburellare a terra con uno dei piedi nudi, e ormai aveva mangiato l'intera corona. Ne fece comparire un'altra e se la sistemò in testa. «Vorrei ricordarvi che vi ho riuniti qui per provare la scacchiera, non per chiacchierare di Morgeil.»
«Morgaine» lo corresse Artri.
«Morguille, Morgiana, chi se ne importa! Dopo tutto il tempo che ho impiegato per costruire questo magnifico posto, così bello che qualunque umano anche solo guardandolo cadrebbe stecchito per la gioia, voi siete qui a discutere di baggianate!»
Doveva irritarlo molto non essere costantemente al centro dell'attenzione.
«Ci dispiace molto, grande Finvarra» cercò di mediare Wulfric, chinando il capo. «Ascolteremo tutto quello che avete da dire. Siamo solo un po' stravolti da tutti gli avvenimenti che ci hanno portato fin qui.»
«Non capita tutti i giorni di affrontare una Mundbyrnes invasata» continuò Rose. «Il che ci porta al vero motivo per cui siamo giunti fin qui, o potente, egregio Finvarra.»
Il Re Candido aggrottò le sopracciglia e cominciò a giocherellare con la barba. Il suo sguardo andava da un'estremità all'altra della scacchiera, come se li trovasse sempre più noiosi e non vedesse l'ora di poter fare qualcosa di più appassionante, come una partita all'ultimo sangue.
«Non siete venuti per fare una partita a scacchi, allora?»
«Purtroppo no, mio signore» disse Artri. «I ragazzi hanno fatto tanta strada per parlare con voi. Sono venuti a chiedervi aiuto.»
«Aiuto? A me?» Finvarra si indicò, a bocca aperta. «Non sono molto bravo in questo. Ma se volete sono un asso a scacchi! Perché non ci facciamo una bella...»
«Finvarra, vi prego» insistette Rose. «Ascoltateci.»
Il re trasse un profondo sospiro e tacque. Il suo volto, se possibile, era ancor più bianco di prima.
«Ci dispiace tanto disturbare la vostra quiete, ma non sappiamo a chi altri rivolgerci. Non ho idea di quanto sappiate di ciò che accade nel mondo esterno, dunque vi farò un resoconto.» Rose si premette una mano sul petto e poi la posò su una spalla di Wulfric. «Io e Wulfric siamo due Mundboran di vostra sorella Nimueh. Siamo ancora molto giovani, poco più che apprendisti.»
«Ho la sensazione di sapere dove state andando a parare» mormorò Finvarra. Tutta la gioia era scomparsa, sostituita da una profonda angoscia, che traspariva dal suo stesso corpo, che tendeva a curvarsi sotto un peso invisibile.
«C'è stata una battaglia.»
«Non mi dire.»
«Fra Nimueh e Medb.»
«Come sono sorpreso.»
«E Medb si è impadronita di Avalon!»
Rose afferrò una delle mani di Finvarra, che il re aveva abbandonato lungo i fianchi.
«Vi prego, aiutateci. Noi non sappiamo che fare. Nimueh ci ha chiesto di venire da voi, sostiene che siate l'unico in grado di tenere testa a Medb» sussurrò, guardandolo dritto negli occhi.
«Io, tenere testa a Medb!» ripeté Finvarra, con aria triste. Emise una risata, del tutto diversa da quelle di poco addietro. Era fredda, sembrava appartenesse a un'altra persona. Sottrasse la mano dalla presa di Rose e fece un passo indietro. «Temo che vi sbagliate sul mio conto. Io sono il re dell'Oltremondo. Non posso immischiarmi nelle faccende delle mie sorelle. Sono abbastanza grandi per badare a loro stesse.»
Rose avvertì una sensazione di gelo allo stomaco. «Per favore! Faremo qualunque cosa...»
«Ho già detto quello che penso» sussurrò il re, sfilandosi la corona dal capo.
«Allora è vero. Non vi importa niente di quello che succede fuori dalla vostra tana» mormorò Rose. Si alzò e strinse i pugni, contenendo a stento la rabbia.
Il volto di Finvarra venne attraversato da un sorriso triste. «Mi dispiace. Ho già visto le mie sorelle uccidersi l'un l'altra eoni fa, supplicando che io mi schierassi dall'una o dall'altra parte. Io non posso aiutare nessuno. Devo restare neutrale.»
«Ma potreste mettere fine al combattimento! Riportare la pace!»
«Non potrebbe mai esserci pace fra le mie sorelle. Sono troppo coinvolte nelle faccende degli umani.»
«E voi siete troppo distaccato! L'Oltremondo si è aggrappato al nostro mondo per sopravvivere perché voi siete dei, e avete bisogno di qualcuno che creda in voi. E' assurdo che non vi importi nulla di quello che succede nel mondo reale!»
«Rose!» la ammonì Artri, stringendole una spalla.
Lei se lo scrollò di dosso, guardandolo con astio. Perché la rimproverava? Non era lei quella che aveva bisogno di una ramanzina!
«Abbiamo bisogno del vostro aiuto, Finvarra» intervenne Wulfric, in tono più sommesso, ma c'era una vena di polemica anche nella sua voce. «Non potete voltarci le spalle. Se anche Nimueh e Medb si annientassero a vicenda, voi rimarreste solo. Lo capite questo?»
«Ragazzo, io sono sempre stato solo» mormorò Finvarra. Ormai il suo volto sembrava quello di un vecchio, ricoperto di rughe e chiazze grigiognole. «Sono il cuore dell'Oltremondo. Sono la magia stessa, l'essenza di questo posto. Le mie sorelle non potrebbero capire. Non hanno mai capito. Alcune di loro sono sempre state proiettate all'esterno, alla ricerca di nuovi mondi da abitare, di nuove strade per il nostro popolo, mentre altre più conservatrici. Io non sono né l'uno nell'altro. L'unica con cui avessi qualcosa in comune è la piccola Devnet, che ha sacrificato tutto per voi, proprio come io ho fatto per le mie fate. Lei ha cercato di offrire la scienza all'Oltremondo. E io? Credete che io non abbia fatto niente?»
La voce del Re Candido si era incrinata, e la sua pelle bianca si crepò come una maschera di porcellana.
«Per salvare il mio mondo ho dato tutto. Sono diventato magia pura, ho rinunciato ai colori, alla possibilità di cambiamento. Nel mio mondo non esistono né spazio né tempo. Tutte le creature che vedete qui sono solo emanazioni del mio essere, non hanno una loro vera volontà: è tutto un'illusione, una grande sceneggiata per tenermi compagnia! Ho rinunciato alla mia libertà, e voi avete il coraggio di dirmi che a me non importa di niente?»
«Mio signore» sussurrò Artri, allungando una mano verso il suo braccio. Fulminò Rose e Wulfric con lo sguardo e prese Finvarra da parte. «Mio signore, perdonateli. Loro non sanno. Sono troppo giovani per capire cosa significhi il vostro sacrificio. Qua fuori pensano che voi passiate tutto il tempo a divertirvi, ma sono dei cretini, scusate la parola.»
Da Finvarra provenne una debole risata, mentre raccoglieva le scaglie di porcellana che erano cadute dal suo viso e le rimetteva a posto.
«Non fa niente, Artri. Capisco le motivazioni di questi piccoli umani. Ma se io uscissi da qui e affrontassi Medb... l'Oltremondo cadrebbe a pezzi. Sarebbe come asportare un cuore da un petto e sperare che il corpo vada avanti lo stesso. Ho già fatto la mia scelta. Gli unici che possano intervenire in un mondo che è fermo da eoni sono le creature in grado di cambiare, cioè voi.»
Finvarra guardò Rose e lei si sentì trapassare da quei suoi occhi dall'iride lucente, che a un tratto le parvero così tristi. La solitudine di Finvarra era talmente profonda, talmente totalizzante. Non c'era nessuno, lì con lui. L'intero Mondo del Bianco era un mondo vuoto, partorito dalla mente di Finvarra, che ormai era solo in grado di creare paesaggi di carta bianca. Eppure i Fiocchetti erano così reali, nel loro desiderio di trovare un colore, di cambiare e diventare dei bambini veri.
«Non credo che tutte le vostre creature siano un'illusione, Finvarra» mormorò Rose. «Forse non lo sapete, ma alcuni Fiocchetti hanno raccolto parte dei nostri vestiti, quelli colorati, per uscire da qui. Sono delle creature che decidono per conto loro e hanno un libero arbitrio. Non sono voi.»
«Tu dici?» ridacchiò Finvarra. Diede un morso alla corona, ma stavolta i suoi denti incontrarono solido argento. Il re emise un gemito e si mise pollice e indice in bocca. Ne estrasse un molare luccicante, al posto del quale ne crebbe subito un altro. «Sto davvero perdendo colpi... comunque, Rosemary, il loro desiderio di andarsene non è nient'altro che il mio. Credo che loro cerchino di soddisfare il mio bisogno di libertà. Ma fidati, tornano sempre. Quando il loro biglietto si scolora, non hanno altra scelta che restare qui. Proprio come me. Alcuni hanno persino smesso di provare.»
Un sentimento familiare montò nel petto di Rose, tanto forte da assottigliarle il respiro. Finvarra aveva sacrificato tutto per qualcuno, nonostante l'avesse fatto soffrire più di chiunque altro. Rose sapeva quanto facesse sentire soli. E lei, come Finvarra, era sempre stata qualcuno che adorava crearsi un mondo fantastico per stare meglio con se stessa. Ma, in fin dei conti, aveva bisogno degli altri. Proprio come lui. Quanto era solo quel re triste, e quanto era stato coraggioso a scegliersi quella solitudine per impedire che l'Oltremondo cadesse in pezzi, senza un fuoco centrale cui aggrapparsi.
Rose strinse una delle mani inerti di Finvarra con la propria e lui la guardò con aria sommessa, come se temesse altre richieste cui non avrebbe potuto rispondere.
«Vi ringraziamo lo stesso, Finvarra. Troveremo un altro modo, vedrete... non ve ne facciamo una colpa.» Rose esaminò Wulfric e poi anche i propri vestiti. «Però, dato che non siamo ancora del tutto sbiaditi e siamo qui... perché non ce la facciamo lo stesso, una partita a scacchi?»
Il Re Candido restò in un attonito silenzio per qualche istante, poi un lieve sorriso si allargò sul suo volto.
«Volete i bianchi o i bianco perla?»
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