Capitolo 36: Finvarra, il Candido (1/3)
Il terreno era sassoso e scricchiolava sotto gli stivali di Rose. La ragazza teneva gli occhi spalancati nel tentativo di vedere qualcosa. Era come se fossero caduti in una boccetta di inchiostro. Non c'era la minima luce, e nemmeno i suoi occhi riuscivano a scorgere niente in quell'oscurità, nonostante fossero più affilati di quelli di un essere umano.
«Abbiamo sbagliato strada» gemette Wulfric, sbuffando sotto il peso di Artri.
Si era caricato il re sulla schiena, con tutti i suoi novantotto chili di peso, senza contare Eftwyrd, che pesava come un tredicenne. Wulfric boccheggiava a ogni passo, e Rose avrebbe voluto aiutarlo, ma il ragazzo diceva che dividendo il peso sarebbero rimasti troppo vulnerabili. Qualcuno doveva essere pronto a reagire se fossero stati attaccati. L'unico fardello che si era sentito di affidarle era il suo martello, che di per sé doveva pesare almeno dieci chili. La tracolla in cuoio del martello segava la clavicola e le costole di Rose, che tentava di sistemarla senza ottenere risultati. Nella mano destra, ricoperta di sudore, stringeva l'elsa della spada.
Quello era l'ingresso del Mondo del Bianco, eppure dell'utopia descritta da Artri non c'era nessuna traccia. Sembrava più una propaggine del Tartaro, che la terra del Re Candido. Ma perché il vecchio re avrebbe dovuto ingannarli in quel modo? Forse mancavano solo pochi passi e lei ancora non riusciva a vedere l'uscita. Tutto ciò che potevano fare era avanzare in quel calamaio, sperando che prima o poi si sarebbe aperto uno spiraglio di luce.
«Guarda il lato positivo» disse la vocetta di Urchin, attutita dal borsello dove riposava. «Almeno non siamo morti.»
«C'è mancato poco» sibilò Rose. «E guarda Artri, manco si regge in piedi. La ferita si è rimarginata, però ha di nuovo la febbre, e stavolta ha bisogno di cure serie. Il problema è che qui non c'è nessuna fonte! Tu vedi qualcosa o sono io che non ci riesco?»
«In effetti non vedo un bel niente.»
«Sembri molto calmo davanti alla prospettiva di aver fatto tutta questa strada per finire bloccato in una stanza nera senza uscita.»
«In confronto a tutte le battaglie che ho passato nel tuo borsello, questa è una passeggiata. Ho ricevuto tante di quelle gomitate. Guarda, metà dei miei aculei si sono storti!»
«Mi avevi detto che non ti eri fatto niente!»
«Cercavo di farti sentire meglio. Con quelle tue crisi di autostima...»
Rose avrebbe voluto rispondergli per le rime, ma una folata di aria fresca la zittì. Annusò a fondo quel refolo di speranza e lo seguì come un cane randagio rincorre una bistecca su un amo, mentre stringeva un lembo del mantello di Wulfric per guidarlo.
«Hai visto qualcosa?» grugnì il ragazzo, mentre riassestava Artri sulla propria schiena con un tintinnio metallico.
«No... però sento che siamo vicini a un'uscita. Non senti il vento?»
«Quale vento?»
Rose soffocò un ringhio di frustrazione. Non se l'era immaginato. Era lì, da qualche parte. Doveva soltanto raggiungerlo.
I suoi occhi notarono una discrepanza nel velo nero che la circondava, come se due lembi di tessuto fossero stati sovrapposti, ma parte della luce dall'altro lato riuscisse a filtrare. Si avvicinò a quella piega con una mano tesa e le sue dita incontrarono finalmente una resistenza. Si trattava davvero di tessuto, dalla consistenza simile a quella del feltro, appesantito da uno strato di metallo sul fondo. Per quanto assurdo, le ricordò un sipario. Rose tirò forte e, da qualche parte, ci fu un "clack", seguito da una serie di piccoli "click" e da un rumore di tessuto che si ripiegava su se stesso.
Il velo nero scomparve, e una luce bianca talmente intensa da far formicolare la pelle li accecò. Rose si coprì gli occhi con un gemito, mentre teneva ben stretta la spada, puntandola contro eventuali nemici. Trasalì nell'avvertire delle piccole dita stringersi attorno alla sua mano; avrebbe ferito l'aggressore, se una voce infantile non l'avesse rassicurata.
«Siamo amici! Tieni, prendi questi. Mettili su, avanti!»
Rose, a occhi chiusi, accettò la sagoma di metallo e vetro che le stavano premendo contro le dita. Occhiali. Li indossò e finalmente poté aprire gli occhi. Impiegò comunque qualche istante per abituarsi allo sfolgorio, attenuato dalle lenti opache che le erano state fornite da dei... cos'erano quegli affari?... non aveva mai visto delle simili creature negli annuali di fatologia. Erano piccoli, le arrivavano a malapena al ginocchio, ed erano dovuti salire l'uno sulle spalle dell'altro per toccarle una mano. Erano bianchi come il latte: la pelle, i vestiti, i capelli, persino gli occhi. Tutto slavato, manco avessero fatto un bagno nella candeggina. Però la cosa non sembrava turbarli, anzi. Portavano con orgoglio i loro cappellini bianchi a bombetta, sui quali avevano appuntato un giglio bianco o dei mughetti, e anche le loro giacchette abbottonate erano candide.
«Come siete colorati!» fu il loro primo commento, mentre accarezzavano l'orlo del mantello di Rose e quello di Wulfric. Emisero dei mormorii d'apprezzamento, mentre confabulavano fra loro. Rose vide uno di loro estrarre un paio di forbicine di ceramica e usarle per tagliare un lembo del suo mantello. «Scusa, signorina. Non te la prenderai, vero? Siamo così a corto di colori, qui! Ogni volta che ci portano qualcosa di colorato, finisce per diventare bianco dopo un po', e abbiamo così pochi visitatori!»
«Fate pure» sussurrò Rose, frastornata dalla loro aggressione.
Fu come rinunciare al proprio mantello, perché un attimo dopo le creaturine, che le parevano sempre più dei piccoli sarti psicopatici, si erano avventate su di esso e avevano cominciato a sminuzzarlo con cura. Ognuno di loro ne prendeva un pezzo delle dimensioni di un francobollo. Erano così tanti! Come granchietti scivolavano l'uno sul capo dell'altro, si arrampicavano sui compagni e si allontanavano stringendo un pezzettino di stoffa blu o di pelliccia con sguardo raggiante.
«Toglietemeli di dosso!» gemette Wulfric, scrollandosi come un cane.
Gli gnometti che si erano arrampicati sulle sue gambe caddero a terra con dei gridolini, finendo a gambe all'aria.
«Solo un po' di colore, signore! Quel suo mantello... che se ne fa? Perché non ce ne dà un pezzettino?»
«Quanto è avaro. Guarda, con tutti quei colori si rifiuta di darne uno a noi!»
«Ma pensa te. I Mundboran non erano così, una volta.»
Anche Wulfric dovette capitolare e contemplò la sorte del proprio mantello con aria mesta, mentre le creaturine se ne appropriavano. Fecero per prendere anche quello di Artri, ma dall'uomo provenne un ringhio minaccioso, seppur nel sonno. Allora gli esseri si accontentarono di una striscia della sua tunica rosso sangue.
Una volta che tutti e tre ebbero donato un colore, gli esseri misero via le loro forbicine e gli aghi, con cui alcuni si erano appuntati la stoffa alle giacchette bianche, portandola come se fosse stata una medaglia. Molti di loro si allontanarono, finché non ne rimasero solo tre.
«Seguiteci. Vi porteremo dal Grande Finvarra!» esclamarono, avanzando con passettini che facevano pensare a un millepiedi frenetico.
Rose annuì e ciondolò dietro alle creature, chiedendosi se quello che aveva vissuto fosse accaduto davvero o si fosse trattato di un'allucinazione. Si era abituata alla confusione mentale dovuta al contatto con le fate, ma alcune di esse ancora non riusciva a capirle.
«Perdonatemi» chiese alle creature, che alzarono i nasi a punta per guardarla. «Voi chi siete?»
«I tuttofare di Finvarra! Al vostro servizio» si presentarono le creature, togliendosi il cappello. Si profusero in un inchino e si calcarono le bombette sulle teste. «Lui ci chiama Fiocchetti, perché dice che si è ispirato alla neve per crearci. Ci assomigliamo tutti, ma non siamo mai perfettamente uguali, come i fiocchi di neve.»
I tre fecero un giro per mettersi in mostra, ma a Rose sembravano comunque delle gocce d'acqua. Lo stesso valeva per Wulfric, data la sua espressione confusa, che si sommava alle rughe di sforzo per dover portare Artri sulla groppa.
«Eh, già, siete proprio diversi» disse Rose ai Fiocchetti, per farli contenti. «Ma ditemi, il posto dove vive Finvarra è tanto lontano? Wulfric ha portato Artri per diverso tempo, ed è stanco. Lo porterei io, ma non credo che ci riuscirei.»
«Ci sono degli Ascensiluci ovunque che portano al palazzo di Finvarra, non preoccuparti.»
«Ascensiluci?»
«Sì. Sono delle colonne di luce dove entri e puf! eccoti a destinazione. Portano tutte al palazzo di Finvarra. Non c'è rischio di perdersi. Il Re Candido vi sta aspettando da tempo! Non vede l'ora di incontrarvi.»
«Abbiamo anche bisogno di un medico per Artri. E' stato ferito gravemente da Morgaine, e...»
«Sappiamo già tutto! Non preoccuparti, il Rappezzaciccia si occuperà di lui.»
Va bene. Ascensiluci. Rappezzaciccia. Finvarra pensava davvero che fosse tutto un gioco. Rose sperava che avrebbe preso sul serio almeno la loro missione.
«Fantastico. Allora mettiamoci in marcia. Meglio non ritardare ancora.»
Rose e Wulfric seguirono le creature lungo un sentiero bianco crema che si dipanava in una pianura di erba soffice, color zucchero a velo. Le nuvole pallide si rincorrevano nel cielo, altrettanto slavato. Ovunque l'occhio si posasse, non c'era nessuna traccia di colore, a parte i loro vestiti e i pezzetti di stoffa rubati dai Fiocchetti.
La luce del sole, dalla curiosa forma di mano a pugno con un indice che puntava verso destra, era talmente accecante che, senza occhiali, Rose non sarebbe riuscita a proseguire. Probabilmente quella luce sarebbe riuscita a privare della vista persino l'Elfo con più diottrie di tutta Avalon.
Malgrado la maestosità del luogo, con le sue morbide curve pianeggianti, simili a persone che si erano distese a schiacciare un pisolino; le casette dei Fiocchetti, dalla sagoma invitante come quella di una profiterole al cioccolato bianco; e la sagoma lontana del palazzo di Finvarra, più ampio ed elaborato di quello di Minosse, con alte guglie provviste di bandierine, quel luogo diventava noioso in fretta. Sembrava bidimensionale, come un rilievo in carta bianca su carta ancor più bianca, e non c'era neanche un'ombra nella quale lo sguardo potesse trovare sollievo.
«Non c'è proprio neanche un po' di colore, qui? Niente di niente?» chiese Rose ai Fiocchetti, che ciondolavano davanti a loro, diretti verso un bosco di abeti candidi.
«Purtroppo qui non esistono cose come il colore o... beh, tutto quello che c'è fuori. Il nostro mondo funziona in modo completamente diverso, con una logica tutta sua. E la luce, la luce è così forte che, anche se arriva del colore, lo sbianca subito! Infatti voi non dovrete fermarvi qui troppo a lungo. I vostri colori sono forti, certo, ma basterà una settimana al massimo perché la luce li diluisca fino a cancellarli. E se questo dovesse accadere, non potreste più lasciare questo luogo.»
«E perché?» rantolò Wulfric, sgranando gli occhi.
«Perché qui ogni cosa è magia allo stato puro» spiegò un Fiocchetto, sollevando un indice. «La sia può trovare solida, liquida, gassosa. Insomma, in tutte le sue qualità. Questo luogo non si trasforma mai, perché è perfezione, e se la perfezione uscisse da qui, non potrebbe più esistere. Se qualcosa di imperfetto, come voi, entra, viene invece reso perfetto. Diventereste molto potenti, restando nel Mondo del Bianco... ma non potreste più uscirne. Quindi, insomma, scegliete voi cosa fare. Noi vi abbiamo avvertiti. Ma avevamo fatto lo stesso con tutti i Mundboran che sono passati qui, e solo il Grande Orso se n'è andato. Gli altri vivono ancora da queste parti, godendosi il massimo dei propri poteri, o si sono dissolti nel tentativo di uscire da questo mondo.»
Rose strinse un braccio di Wulfric per rassicurarlo. Non sarebbero rimasti lì a lungo. Però quel discorso riguardo i poteri... no, meglio non pensarci. Anche se un po' di forza in più sarebbe stata loro utile, specie ora che non potevano più usare la magia di Nimueh.
«Allora dobbiamo davvero muoverci.»
I Fiocchetti sorrisero e indicarono una struttura in pietra al centro di un piccolo piazzale. Rose e Wulfric li raggiunsero, superando la fascia degli abeti, e osservarono la scultura a forma di spirale sotto i loro piedi. Dal centro della spirale fuoriusciva una fontana di luce liquida, che, anziché cadere seguendo il principio della gravità, saliva nel cielo, schiumando fra le nuvole.
«Assurdo» sussurrò Wulfric. «Però mi piace. Come funziona?»
«Metti un piede dentro, e oplà!»
Uno dei Fiocchetti venne risucchiato nel mantello d'acqua e scomparve. Gli altri due lo seguirono a breve e a Rose e Wulfric non restò altra scelta che imitarli.
«Ci vediamo dall'altra parte» sospirò il ragazzo. Era talmente stanco che, nonostante stesse cercando di sorriderle, fece una smorfia.
Una volta che Wulfric fu scomparso, Rose trasse un profondo respiro e, trattenendo il fiato, scivolò nella luce. Fu come tuffarsi in un torrente d'acqua tiepida, che l'avvolse come un bozzolo, trasportandola altrove. Attraverso quel tubo lucente che si disperdeva nel cielo, Rose vide i villaggi dei Fiocchetti sfrecciare sotto di sé. E poi eccolo, il palazzo di Finvarra che si avvicinava come una bocca pronta a inghiottirla.
La fontana di luce la condusse oltre le guglie e le diramazioni dell'edificio, che si distingueva in una cittadella e un'ampia città bassa popolata da Fiocchetti e altre creature, terminando la propria corsa in un giardino interno di marmo bianco, attraversato dal bassorilievo di una spirale.
I Fiocchetti e Wulfric la stavano aspettando, e una ventina di creaturine aveva preso in consegna Artri. Sbuffando e sudando, fungevano da barella vivente, portando il Grande Orso dal Rappezzaciccia di palazzo.
«Seguitemi» disse l'unico Fiocchetto rimasto, rivolgendo loro un sorriso smagliante. «Vi porterò dal Re. Vi aspettano un banchetto e un sacco di altri divertimenti! Il Grande Finvarra ha così pochi stimoli in questo luogo: non vedeva l'ora che arrivassero dei nuovi ospiti, e ha in serbo un sacco di giochi e tornei e meraviglie per voi!»
«Basta che non ne abbia per più di una settimana» sospirò Rose.
Per fortuna, il Fiocchetto non la sentì. Solo Wulfric le strinse una mano, e la guardò intensamente.
«Cercheremo di farci da cronometro a vicenda. Questo posto è talmente... non c'è nulla cui aggrapparsi. Sembra di essere in un sogno. Davvero non saprei come tenere il tempo, in un posto fatto solo d'immaginazione... però non abbiamo altra scelta se non provare.»
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Il palazzo di Finvarra si sviluppava senza alcuna logica, seguendo motivi geometrici, salendo verso l'alto e sprofondando nel terreno. Un attimo prima stavano arrancando lungo una scala, quello dopo slittavano su uno scivolo, circondati da Fiocchetti ridenti che si lanciavano nuvole di zucchero a velo.
Per tutto il tempo Rose tenne stretta la mano di Wulfric, che non osava lasciarla andare. Entrambi avevano la sensazione che si sarebbero persi per sempre se si fossero abbandonati ai divertimenti dei Fiocchetti. Dopo un secolo o due sarebbero stati ancora impegnati a ridere e a ruzzolare sui materassi colmi di piume, e sarebbe stato un gran traguardo se si fossero ricordati anche solo i loro nomi.
«Ma dov'è questa sala del trono?» sussurrò Rose, quando si ritrovarono nell'ennesima, folle sezione del palazzo.
Quell'ala era adibita alla produzione di sapone, e stavano scivolando fra una serie di alti e stretti tavoli davanti ai quali erano seduti dei Fiocchetti con indosso dei camici da scienziati. Le creaturine maneggiavano provette e becher, e mescolavano pentolini, pentole e pentoloni, dai quali colavano delle strisce opache di sapone che parevano cera rappresa.
«La sala è molto vicina» rispose la loro guida, rivolgendo loro un ampio sorriso. Gli indicò una porta alta e stretta che si trovava dalla parte opposta della stanza. Era di un bianco lucido, attraversato da una serie di ghirigori opachi. «Quello è l'ingresso!»
«Bene. Muoviamoci, allora.»
Rose si guardò attorno ed ebbe un tuffo al cuore. Aveva perso Wulfric. Fra le dita della ragazza era rimasto solo il guanto dell'armatura, ma il suo proprietario era sparito.
Il cuore della ragazza accelerò vertiginosamente. Sondò l'intera zona con lo sguardo.
Poi, davanti a uno dei banchi dove lavoravano i Fiocchetti, eccolo, l'idiota. Guardava uno dei folletti con aria incantata, e rideva delle sue battute come se fossero state quelle di un cabarettista nato. Mentre Wulfric era distratto, le altre creaturine ritagliavano pezzetti dei suoi vestiti per tenersi i colori.
«Wulfric!» urlò Rose, andandogli incontro.
I Fiocchetti emisero dei gridolini spaventati e chi aveva derubato Wulfric si nascose sotto i tavoli, scomparendo fra le nuvole di bolle che emergevano dalle pentole. Un folletto ficcò una mano in una pentola, fece toccare pollice e indice della mano destra, formando un cerchio, e ci soffiò dentro. Una nuvola di bolle sommerse Wulfric e Rose, facendoli scivolare sul pavimento.
La ragazza tossì e sputò il sapone che le era finito in bocca. Sapeva di nontiscordardimé salati.
«Wulfric» rantolò Rose, fra un colpo di tosse e l'altro.
Prese la borraccia e la usò per sciacquarsi la bocca e gli occhi, che bruciavano al punto che non riusciva a tenerli aperti. Vide un braccio umano nel mare di bolle viola che la circondava e lo afferrò, trascinandolo all'esterno. Era Wulfric, ed era ancora tutto intero. Era in salute, ma del tutto privo di vestiti, fatta eccezione per le mutande, che i Fiocchetti gli avevano lasciato indosso in un momento di compassione. O forse l'avevano fatto solo perché quelle erano bianche e non gli interessavano.
Per fortuna il martello non l'avevano preso, ed era ancora fissato al petto di Wulfric tramite la tracolla di cuoio, di un noioso e banale marrone che non aveva colpito i folletti.
Rose si chinò su Wulfric e gli diede dei buffetti su una guancia finché lui non si riprese. Il ragazzo tossì e dalla sua bocca fuoriuscì una serie di bolle. Emise un fievole rutto e si massaggiò lo stomaco.
«Credo che mi abbiano fatto mangiare qualcosa...» sussurrò, guardandola con aria stordita. «Dove... dove siamo?»
«Nel palazzo di Finvarra!» sbottò Rose. Lo adorava, ma in quel momento avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. «Cerca di restare in te. Guarda, ti hanno già fregato tutti i colori. Se non starai attento, finirà che ti prenderanno pure i capelli!»
Wulfric si rese conto di essere in déshabillé e le sue guance si imporporarono. Si passò una mano sul viso e chiuse gli occhi.
«Che imbecille» sussurrò. «Mi avevano chiesto di aiutarli a fare non so cosa. Io mi sono avvicinato, e loro...»
«Ti avranno fatto qualche incantesimo» lo interruppe Rose. Spostò lo sguardo sulla loro guida e la afferrò per la giacchetta bianca, sollevandola da terra. Le diede una bella scrollata, e l'esserino emise un gemito di protesta, tenendosi il berretto per impedire che volasse via. «Che gli avete dato? Ditemelo subito, piccoli scarafaggi, altrimenti...»
«Niente! Era solo un dolcetto per tenerlo allegro» disse l'esserino, con un sorriso di scuse. «Guardalo, sta benone, non è vero?»
Wulfric venne scosso da un singhiozzo e altre bolle fuoriuscirono dalla sua bocca.
«Forse era una saponetta» mormorò il Fiocchetto, aggrottando le sopracciglia. Rose emise un ringhio e la creaturina rise nervosamente. «Non preoccuparti, ecco! Dagli questo. Lo farà stare bene.»
Le porse una boccetta contenente un liquido trasparente. Rose la afferrò e la rimirò in controluce. Guardò il Fiocchetto con le palpebre ridotte a due fessure.
«Meglio per te che sia una vera medicina» disse. «Altrimenti quella bombetta te la faccio mangiare.»
Il Fiocchetto annuì e si strinse il cappello al petto. Rose accostò la boccetta alle labbra di Wulfric, che la svuotò con un sorso. Il ragazzo fece una smorfia di disgusto e tossì anche l'anima, mettendosi carponi. Però, dopo essersi schiarito la gola, la nausea finalmente gli passò, e persino le bolle.
Wulfric si alzò, ancora scombussolato dall'esperienza. I suoi occhi azzurrognoli si fissarono sul Fiocchetto, e si trasformarono in quelli di una roccia offesa.
«Credevo foste piccoli e carini!» sbottò il ragazzo, afferrando il folletto con una delle sue manone. «Che fine hanno fatto i miei vestiti?»
«Quali... ehm... quali vestiti?» ridacchiò il Fiocchetto, accarezzandogli il dorso della mano per blandirlo.
Wulfric lo guardò male, ma la creatura non capitolò finché a lui non si fu unito anche lo sguardo glaciale di Rose.
«Allora?» disse la ragazza.
«Mi spiace, ma i suoi vestiti se li sono spartiti i miei compagni» si scusò il Fiocchetto. «Però nell'ingresso troverete altri abiti per voi. Ci sono delle belle tuniche e...»
«Tutte bianche, immagino.»
«In questo posto non ci sono altri colori, già.»
«Provate a prendere altri dei nostri colori, e dovrete vedermi arrabbiata» minacciò Rose. «E, credetemi, non volete vedermi arrabbiata. Posso diventare molto sgradevole.»
«E' vero» confermò Wulfric.
Rose lo guardò male.
«Beh, che c'è? E' vero» farfugliò il ragazzo, senza capire il perché di quell'ostilità.
Rose scosse la testa. Era inutile prendersela con lui. In fondo quei mostricini gli avevano appena rubato tutto approfittandosi della sua ingenuità.
«Ma, ditemi, perché siete così fissati con i colori?» chiese Wulfric, poggiando la loro guida a terra. Gli sistemò il cappello sulla testa con delicatezza e il Fiocchetto gli sorrise.
Il solito cuor di burro, pensò Rose. Wulfric non era proprio in grado di essere cattivo.
«Beh, ecco... i colori sono il nostro biglietto d'uscita» disse il Fiocchetto, dopo un istante di esitazione. «Sapete quella faccenda sul fatto che non si può uscire da qui una volta che si sono persi tutti i colori... noi non ne abbiamo mai avuti, quindi non abbiamo mai messo naso fuori da questo posto. Il colore di uno straniero è l'unico modo per andarsene. Ce lo cuciamo sulla giacca e il biglietto è fatto! Ci permette di stare all'esterno quanto vogliamo! Possiamo fare la spola fra dentro e fuori, almeno finché il nostro biglietto non diventa del tutto bianco, e ci ritroviamo di nuovo bloccati qui.»
«Perché non l'avete detto subito?» disse Wulfric, mentre il suo sguardo si ingentiliva.
«Pensavamo che non ci avreste lasciato un po' del vostro colore, se l'avessimo fatto» mormorò il folletto, abbassando lo sguardo. «Mi spiace per i tuoi abiti. Però, se andassimo nell'altra stanza, potresti avere qualcosa con cui coprirti.»
«Non erano poi così importanti quei vestiti. L'importante è avere ancora qualche colore con me. Non è vero, Rose?»
La ragazza trasse un sospiro e annuì. Bastava che i Fiocchetti non si prendessero ulteriori libertà e decidessero di derubare anche lei, e sarebbe andato tutto bene.
«Però non provate più a fregarci» sbottò.
Il Fiocchetto sventolò il berretto a mo' di bandiera bianca. «Non lo faremmo mai.»
Rose aveva dei dubbi sulla sua sincerità, ma non indagò oltre. Non avevano tempo per preoccuparsi anche di folletti ladruncoli. Il loro obbiettivo era chiedere aiuto a Finvarra e recuperare Artri, pregando che il Rappezzaciccia non fosse un appassionato di collage, più che un dottore.
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N/A: ciao. ragazzi, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Finalmente siamo nella terra di Finvarra. Nel prossimo capitolo, vedrete finalmente il Re Candido. E' uno dei miei personaggi preferiti :)
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