Capitolo 31: Il volo dell'Aquila (1/2)
«Davvero intendi farci passare di qui?» sbottò Wulfric, inarcando un sopracciglio.
Sollevò una torcia per illuminare l'ingresso del passaggio. Sottili strisce di muschio di un arancione malaticcio si arrampicavano lungo le pareti della grotta. Delle stalattiti in pietra calcarea pendevano dal soffitto, ricoperte da uno strato di umidità che le faceva luccicare.
«Sembra la gola di un mostro» mormorò Rose, con una smorfia. «Siamo sicuri che non finiremo digeriti dall'Oltremondo, se ci infileremo in questo passaggio?»
«Ci sono passato diverse volte» sbottò Artri, incrociando le braccia sul petto. La sua muscolatura pesante scorreva sotto la pelle, sulla quale spiccavano delle vene bluastre. «Se non vi fidate di me, potete sempre scegliere la strada più semplice e passare attraverso la Terra dell'Arancio, sperando che i Nani non decidano di trasformare le vostre teste in incudini per far piacere a Medb; con la testaccia dura che vi ritrovate non sarà difficile. Poi dovete tener conto che questo passaggio attraversa anche la Terra del Giallo, e lì trovereste gli adorabili Elfi del Fuoco. Ah, loro sì che sanno accendere un falò come si deve. Di sicuro le vostre ossa saranno un ottimo combustibile!»
«Va bene, va bene, abbiamo capito» sibilò Wulfric, avanzando per primo nella grotta. «Hai ragione tu, noi siamo nel torto, facciamo come ti pare.»
Rose lo sentì borbottare altre cose assai meno carine sul conto di Artri, e soffocò una risata. Il re senza corona la guardò di sbieco, ma, nonostante tentasse di sembrare minaccioso, i suoi occhi sprizzavano divertimento.
«Andiamo dietro al tuo Troll.» Artri abbassò la voce e si chinò al suo fianco per sussurrarle in un orecchio. «Non potevi sceglierti un compagno meno suscettibile? Gli uomini che conoscevo io non erano così. Se fosse vissuto alla mia epoca, lo avremmo fatto correre con la sella al contrario attorno al perimetro di Camelot solo per averci guardati male.»
«Quindi Wulfric secondo te sarebbe suscettibile? Non è ancora arrivato a sventrare nessuno solo per un guanto di sfida.»
La spada che Artri aveva donato a Rose era molto pesante, e la punta graffiava il terreno, nonostante lei avesse fatto del proprio meglio per fissarla in alto. L'elsa era a due mani, decorata da delle minuscole pietre azzurre. Un pesce d'argento si trovava alla base della lama e faceva pensare che quella spada fosse stata un dono della Dama. Il filo era ancora talmente aguzzo che bastava praticare una lieve pressione con la punta dell'indice per ferirsi.
Artri notò la sua difficoltà nel maneggiare la lama e sbuffò, come se ritenesse assurdo che una bambina che non riusciva nemmeno a brandire uno stuzzicadenti avesse il coraggio di rispondergli a tono. «Forse non sarebbe un male, se si fortificasse un po'. Potresti dare a lui la spada. Io non avrei mai lasciato che la mia donna toccasse una lama. Nemmeno che ci si avvicinasse.»
Artri, per quanto alla mano, aveva ancora delle idee arcaiche riguardo al genere femminile, e Rose si disse di non imbarcarsi in quel genere di discussioni con lui. Sarebbe stata una perdita di tempo. Però la sua bocca si mosse ancor prima che riuscisse a rendersene conto. «Sono perfettamente in grado di conficcare questa lama nel petto di qualunque avversario, se lo desidero.»
Artri scoppiò a ridere, e la sua voce cavernosa echeggiò nel passaggio, facendo girare Wulfric, che non riusciva a capire il motivo di tanta ilarità. «Mi stai forse minacciando, bambina?»
«No.» Rose si trattenne a stento dall'alzare gli occhi al cielo. «Sto solo dicendo che posso farcela senza che Wulfric mi guardi sempre le spalle, e lo stesso vale per te.»
Artri storse le labbra, ma non disse nulla. Non l'aveva affatto convinto. Rose dovette trattenersi dal dirgli di togliersi quel sorriso idiota dalla faccia, ma quello era pur sempre re Artù, e forse era più pieno di sé di quanto non avesse creduto all'inizio. Vivere in una società governata dagli uomini e poi nella completa solitudine non gli aveva aperto la mente. Specialmente nell'ultimo caso, stare solo tanto a lungo doveva avergli fatto perdere un paio di rotelle.
Artri si portò una mano al petto con fare solenne. «Se fossi stata uno dei miei uomini, l'avrei presa come un'offesa, ma dato che tu e il tuo amico mi fate tenerezza, stavolta lascerò stare. In ogni caso, non ho mai puntato la mia spada contro una donna quando ero in vita, e non ho intenzione di cominciare adesso. L'unica con cui abbia mai combattuto è stata mia sorella, ma Morgaine era un uomo, diciamocelo chiaro. Era più feroce persino del mio amico Parsifal, e lui era conosciuto perché adorava la mischia in sé, più che la vittoria. Il suo sogno era tagliare più teste possibile e, se fosse giunto il suo momento, morire con una spada nel cuore.»
«Eri circondato da persone affabili, insomma.»
«Non ne hai idea. Lancillotto sì che era affabile. Forse anche troppo» ridacchiò Artri, come se il ricordo di quanto lo aveva fatto soffrire in passato ora fosse divertente. «Mi ha soffiato la moglie da sotto il naso. Un tempo mi sarei infuriato solo a parlare di queste cose, ma ora... è passato tanto tempo, e non credo sia stata solo colpa loro. Lasciavo Ginevra sempre sola, e non ho mai fatto un mistero del fatto che l'avessi sposata per motivi di politica. Lei era molto più giovane di me, a malapena una ragazzina. Non mi sono sentito di toccarla. Preferivo donne più mature, e lei era ancora una mela acerba. Lancillotto invece amava quel genere di donna, ancora dallo sguardo innocente, che ti guarda come se fossi il suo intero mondo. Non è riuscito a resistere. Nonostante tutto, le volevo molto bene, e per me fu un duro colpo. Con gli anni avevo cominciato ad aprirmi con lei, ed ero arrivato a pensare che un giorno saremmo davvero potuti essere marito e moglie. Ma invece è andata così. Sei stata fortunata a essere stata promessa in sposa a un uomo della tua età.»
«Io non sono stata promessa in sposa!» gli fece notare Rose, che fino ad allora aveva seguito il discorso con sguardo rapito. «Io e Wulf siamo stati amici per tanto tempo, siamo andati all'università assieme. E poi nessuno ha detto che siamo una coppia, chi è venuto a raccontartelo?»
«Si vede che lo siete.» Artri sollevò un indice con fare sentenzioso. «Dal modo in cui vi guardate. E poi cosa sarebbe questa università? Il modo in cui nella tua mente femminile definisci il talamo?»
Le orecchie di Rose erano sul punto di mettersi a fumare, quando andò quasi a sbattere contro Wulfric, che si era fermato al centro della caverna.
«Che fai? Perché ti sei fermato?» ringhiò la ragazza, desiderosa di sfogare la propria frustrazione su qualcuno, nonostante lui non c'entrasse niente.
Guardò oltre la sua spalla e le si formò un groppo in gola. Il passaggio si apriva su tre corridoi, che si snodavano come serpenti verso mete ignote. Da uno di essi si sollevava una nebbiolina gialla, mentre l'aria degli altri era più pulita.
Rose si coprì il naso con l'orlo della tunica per soffocare l'odore di uova marce che stava saturando l'aria.
Wulfric illuminò quel corridoio con la torcia. «Cosa c'è da quella parte?»
Artri lo superò, aggrottando le sopracciglia. «Non ho mai visto questa nebbia» sussurrò. Alzò una mano per intimargli di tacere e restò in ascolto. «Sento dei rumori, come di un fabbro che batte su una spada. Non li sentite anche voi?»
Rose si avvicinò alla parete che faceva da conduttore per il suono e aguzzò l'udito. Dopo qualche istante le pervennero dei clangori lontani che corrispondevano alla descrizione data da Artri.
L'uomo li invitò a restare lì, mentre lui andava a controllare. Dovevano sapere cosa si sarebbero trovati ad affrontare o se avrebbero finito per trovare altri corridoi infestati da quella nebbia dall'odore soffocante.
Rose e Wulfric si sedettero e attesero che Artri tornasse. Passarono dieci minuti, poi venti. La ragazza cominciò a camminare su e giù, incapace di contenere l'agitazione. Cosa poteva trattenerlo tanto a lungo?
Dopo mezz'ora di attesa, Rose perse la pazienza e si diresse a passo deciso verso la nebbia. Wulfric le afferrò un polso. «Dove diavolo pensi di andare?»
«Potrebbe essergli successo qualcosa! Dobbiamo andare a prenderlo.»
«Ci ha detto di aspettare qui» mormorò il ragazzo, mentre esaminava la nebbia gialla come se fosse stata una nube di pestilenza. «Non sappiamo cosa possa esserci là sotto. Non voglio che nessuno si faccia male, men che mai tu.»
Rose, punta nell'orgoglio dalle insinuazioni di Artri e dal fatto che Wulfric non la ritenesse in grado di difendersi da sola, si scrollò di dosso la sua mano in modo più brusco di quanto volesse. «Se lui muore, siamo senza una guida! Chissà quanto tempo potrebbe passare prima che il suo corpo si rigeneri, e noi non ne abbiamo. Posso sopportare un po' di sofferenza per la nostra missione, non sono fragile come credi tu!»
Senza aggiungere altro, Rose proseguì dritta verso la nebbia, annodandosi la sopra veste attorno a naso e bocca come unica precauzione. La ragazza sprofondava nel corridoio facendo scorrere una mano sulla parete umida per avere un'idea di dove andare. La nebbia stava diventando talmente fitta che non si riusciva a vedere oltre un metro. L'odore di uova marce era tanto intenso da rendere l'aria irrespirabile, e nemmeno la sopra veste le impediva di sentirsi nauseata. La puzza le impregnava la lingua, come se la stesse mangiando.
I passi di Wulfric echeggiavano alle spalle di Rose, e spesso lei si voltava per controllare che il ragazzo fosse ancora lì. Si sentiva in colpa per avergli risposto male, ma era in imbarazzo per aver perso la pazienza tanto facilmente e non riusciva a dire nulla.
Più proseguivano nel corridoio, più questo si allungava. Rose stava cominciando a chiedersi se ne avrebbero mai trovato il fondo, o se si stessero solo perdendo nella nebbia.
Il terreno scricchiolò sotto i suoi piedi e Rose abbassò lo sguardo. Uno strato di pietruzze giallo brillante ricopriva la roccia, simili alle squame di un pesce. La ragazza passò una mano sul pavimento e si rese conto che quello era un minerale, che le ricordò vagamente il quarzo citrino.
Il clangore che aveva udito era aumentato d'intensità, fino a far contrarre i loro volti in una smorfia di fastidio. Avevano un udito più acuto di quello di un umano normale, e a volte non era molto vantaggioso.
Il corridoio si aprì su un'altra caverna sotterranea, più ampia delle precedenti. Rose si fermò all'entrata e si accucciò. Fece cenno a Wulfric di spegnere la torcia e lui ne soffocò la luce avvolgendola nel mantello, per poi pestarlo fino a soffocarla. Il ragazzo si chinò accanto a lei e, malgrado Rose avvertisse la sua freddezza, la seguì senza fare storie. I due gattonarono lungo il perimetro della caverna e si nascosero dietro un agglomerato di rocce dorate, abbastanza grandi da celarli alla vista dei lavoratori nella caverna.
Stavano passando davanti a un buco nella parete di pietra, quando una mano afferrò Rose alle spalle e la trascinò all'interno del cunicolo. Wulfric per poco non si lasciò sfuggire un grido, ma la voce gli morì in gola, quando scorse il bagliore bluastro degli occhi di Artri. Lo raggiunse all'interno della caverna, e Rose si divincolò dalla presa dell'uomo, che la lasciò andare.
«Perché ti sei nascosto in questo buco?» sussurrò la ragazza, premendosi una mano sul petto. Il battito del suo cuore rimbombava ancora nella cassa toracica per lo spavento. «Ci siamo spaventati. Non tornavi più.»
«Vi avevo detto di aspettare» sibilò Artri, e si allungò oltre la tana per controllare che non ci fosse nessuno.
«E' passata mezz'ora! Credevamo ti avessero fatto del male!» sibilò Wulfric, fulminandolo con lo sguardo.
Prima Artri li prendeva in giro, poi li rimproverava per aver fatto la cosa giusta, nonostante fosse anche la più pericolosa.
Il re trasse un profondo sospiro e annuì, come se avesse voluto concludere quella discussione in fretta. «Mi sono nascosto qui perché stavo aspettando il momento più propizio per uscire e recuperare il vostro amico.» Fece una smorfia di fronte alle loro espressioni interrogative. «Sto parlando del folletto!»
«Urchin?» sussurrò Rose, con un'improvvisa leggerezza al petto. «L'hai trovato? Dove?»
«E' fra i minatori.»
Rose fece capolino dalla tana e si sporse oltre il riparo delle rocce per verificare quanto detto da Artri. Wulfric le strinse un lembo della tunica, pronto a strattonarla indietro per impedirle di essere vista, mentre pattugliava l'ambiente circostante con lo sguardo.
Si trovavano in una miniera di quello strano minerale giallognolo, che doveva esistere solo nell'Oltremondo, malgrado avesse un odore simile allo zolfo. Centinaia di fate picconavano la roccia, e le punte dei loro strumenti creavano delle scintille nel momento in cui la impattavano. Era il loro lavoro a creare quella nebbia gialla: quando raggiungevano un giacimento particolarmente fecondo di materiale e questo veniva liberto dal suo loculo, generava degli sfiati di gas che facevano tossire i lavoratori.
La maggior parte degli operai erano Nani, assai simili agli Gnomi, malgrado fossero più alti e muscolosi rispetto a loro, e le loro barbe di metallo puro. Indossavano solo dei pantaloni logori e degli elmi per proteggersi la testa, sui quali erano stati fissati dei barattoli di vetro contenenti nugoli di Silfidi. La luce emanata dai loro minuscoli corpi permetteva ai lavoratori di vedere dove stavano per affondare il piccone.
Gli occhi dei Nani erano di un arancio intenso, e la loro pelle, assai più coriacea di quella umana, ricordava l'esoscheletro di un granchio, con sfumature fra l'arancione e un bianco tendente al crema. Fra i lavoratori naneschi ce n'erano altri, trattenuti da catene di diverse dimensioni: Puck, Elfi dai lunghi capelli biondi e anche diversi Urchin avvolti nei loro abitini colorati, che percuotevano le pareti con dei picconi a loro misura. Fra essi ce n'era anche uno dai capelli viola e l'abito blu, che dava un paio di colpi e poi si appoggiava alla pietra per riposare, le guance arrossate per la fatica.
«E' lì! L'ho visto!» sussurrò Rose. Strinse le mani di Wulfric, che le sorrise. Anche lui era felice di aver ritrovato il folletto. Era rimasto nello sfondo dei suoi pensieri per tutto quel tempo, assieme alle altre persone che erano stati costretti ad abbandonare per seguire le indicazioni di Nimueh. «Però c'è troppa gente. Non possiamo avvicinarci.»
«E' per questo che non ho fatto nulla» si inserì Artri, che si stava grattando la schiena con aria seccata. «Dobbiamo aspettare che facciano una pausa. Gli accampamenti dovrebbero essere sulla destra, da dove ho visto arrivare alcuni lavoratori. Potrebbe volerci qualche ora, ma dovremmo riuscire a raggiungere Urchin, una volta allontanatosi dagli altri.»
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N/A: spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ci addentriamo sempre più nell'Oltremondo, che ha ancora molte sorprese per voi :) Mi spiace che gli ultimi due capitoli siano stati più corti, ma se non li avessi divisi ci sarebbe stato un capitolone lungo, e ho preferito fare così. Ringrazio tutte le persone che hanno cominciato a leggere in questi ultimi giorni, spero che arriverete fino a questo punto della storia e che vi abbia coinvolti :)
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