Capitolo 29: L'Orso e la Nebbia
Qualcosa di puntuto le stava pizzicando una guancia senza darle requie. Rose aprì gli occhi e vide il becco affusolato di un Airone Cinerino dall'aria familiare. Le sembrava enorme, come se lo stesse guardando da un gradino più in basso. La creatura la osservava col collo piegato a esse e stava gonfiando le penne del petto.
«Skreech» le disse. Riprese a becchettarle il viso.
"Wulfric, piantala!" avrebbe voluto dirgli, ma dalle sue labbra uscì solo un cinguettio.
Rose raggelò e abbassò lo sguardo sul proprio corpo. Wulfric non era in una posizione sopraelevata, ma solo più grande di lei. Rose si era trasformata in un pettirosso. Si era trovata in quella forma solo un paio di volte; non era molto versata nella metamorfosi, il che le fece chiedere come diavolo potesse esserci riuscita mentre era priva di sensi.
«Cirp?» chiese a Wulfric, mentre si alzava. Agitò le minuscole ali, che sollevarono un nugolo di polvere.
«Skreech. Skreeeech» le rispose lui, mentre le girava attorno, come se volesse controllare che non fosse ferita.
Rose abbassò lo sguardo sul proprio addome pennuto e notò che c'era una chiazza priva di piume nel punto in cui era stata trafitta dalla spada di Morgaine. Trasse un sospiro e guardò Wulfric, che aprì il becco. Lo tenne abbassato in un modo che sarebbe stato comico, se non si fossero trovati in quella situazione.
Rose cercò di riportare alla mente gli ultimi avvenimenti. Rammentava gli Gnomi, la casa di Martin, lei e Wulfric che facevano il bagno... e poi i giramenti di testa. La zuppa era stata corretta con qualche intruglio. Li avevano drogati.
«Cirp!» Rose zampettò nella polvere e guardò a destra e sinistra. Non c'era traccia della Terra del Rosso. Si trovavano in un sentiero stretto che si apriva su una sorta di tundra, popolata unicamente da alberi dai tronchi alti e stretti. Non c'era traccia delle piante rigogliose di prima, e nemmeno di altre forme di vita a parte la vegetazione.
Dovevano trovarsi in una Volta Variante, come aveva detto Martin. Gli Gnomi li avevano abbandonati lì sperando che si perdessero e non tornassero più nel mondo degli umani.
Rose venne invasa da un'ondata di rabbia. Era stata una sciocca a fidarsi di quelle fate, ma non aveva pensato che Medb potesse arrivare a tanto. In fondo loro erano solo due apprendisti, non sarebbero comunque stati un pericolo, secondo i canoni delle Daone Sith.
Rose trasse un profondo sospiro. «Cirp-cirp» fece a Wulfric, scuotendo la testa. Dovevano recuperare la calma e pensare razionalmente al da farsi.
La ragione era la loro ancora, dopotutto. Il primo problema era liberarsi della loro seconda forma. Non potevano sopravvivere a lungo nell'Oltremondo, bloccati in quell'unica immagine. Non avevano modo di comunicare in modo efficiente. Un Mundbora esperto avrebbe potuto usare la mente per conversare, ma Rose non ne era in grado, e nemmeno Wulfric. Ci volevano decenni di allenamento per imparare quell'arte, però recuperare la forma umana era alla loro portata.
Rose chiuse gli occhi e si concentrò. Immaginò il proprio corpo che si allungava, le ali che diventavano braccia, le zampe che tornavano a essere gambe...
«Skreech» sbottò Wulfric, dopo averla osservata in silenzio per almeno cinque minuti senza che accadesse nulla.
Rose si abbandonò a dei cinguettii di frustrazione e zampettò attorno all'airone, che la seguiva con lo sguardo. Wulfric si indicò l'occhio destro con un'ala, e Rose capì. Niente Nimueh, niente magia e, soprattutto, niente controllo sulle loro abilità.
Questo la fece andare nel panico, e Rose planò nella polvere. Wulfric la agguantò col becco. «Skreech» la rimproverò.
«Cirp, cirp, CIRP, cirp» cercò di spiegargli Rose, ottenendo solo un'espressione confusa da parte dell'airone.
Il pettirosso sospirò e cessò di arruffare le piume. Wulfric aveva ragione. Non aveva senso agitarsi tanto. Non avrebbe cambiato la loro situazione. Se erano bloccati in quella forma, avrebbero dovuto pensare a un modo di arrivare da Finvarra anche così. Sarebbe stato difficile, ma non impossibile.
Rose sollevò lo sguardo. Il cielo si stava scurendo. Dovevano trovare un riparo per la notte, prima di ogni cosa. Non aveva idea di cosa potesse accadere nelle Volte Varianti una volta calato il sole, o che creature abitassero in quegli scorci fra un mondo e l'altro.
Lei spiccò il volo, e Wulfric la seguì. Per un attimo il pettirosso fu troppo preso dalla gioia di volare per ricordarsi di quello che stava facendo. Riuscì a recuperare la concentrazione solo quando notò un troncò cavo.
«Cirp» disse, indicandolo a Wulfric.
I due volatili planarono su un ramo della betulla. Wulfric entrò nel foro nel legno e Rose lo seguì. Wulfric la accolse sotto un'ala e le becchettò affettuosamente la schiena. Almeno c'era lui ad aiutarla.
Ma Urchin? Urchin dov'era finito?
Rose pregò che gli Gnomi non gli avessero fatto nulla, essendo lui una fata, e affondò il capo nelle piume di Wulfric per scaldarsi. Restò sveglia a lungo, intenta a tormentarsi sulle loro prossime mosse.
Gli Gnomi dovevano aver rifilato loro una massiccia dose di Sale Cangiante per costringerli ad assumere quella forma. Rose e Wulfric avrebbero potuto aspettare che gli effetti del Sale terminassero: forse uno di loro sarebbe riuscito a tornare normale, perché gli intrugli delle fate non avevano una durata eterna.
"Per la maggior parte", pensò Rose, contemplando la propria ferita. Forse si stava solo suggestionando, ma le sembrava che le facesse più male rispetto al giorno precedente. Quella chiazza calva stava risucchiando le sue energie come se l'emorragia si fosse trasformata in un piccolo buco nero che si cibava di forza vitale.
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Il giorno seguente si alzò una nebbia fitta, talmente fitta che non si riusciva a vedere più in là del proprio becco. Fu Rose a svegliare Wulfric, che schiuse gli occhi ed emise un gorgoglio di disappunto.
«Cirp» disse Rose, zampettando sul ramo all'esterno.
L'airone mise il collo fuori dal loro rifugio e si incupì. Era pericoloso volare con quella nebbia. Sembrava che si estendesse all'infinito, come un mantello opaco calato sulla tundra.
Dovevano trovare qualcosa da mangiare perlomeno, e Wulfric fece segno a Rose di salirgli sul collo per non essere costretti a separarsi durante la ricerca del cibo. Con quella nebbia avrebbero finito per perdersi, e quello sarebbe stato un problema.
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Wulfric volava raso terra, dove la nebbia era meno persistente, e becchettava il terreno in cerca di vermi. Ogni tanto Rose scendeva dal suo dorso e, standogli molto vicina, lo aiutava. Da umana quel cibo non le sarebbe piaciuto per niente, ma sotto forma di pettirosso era davvero delizioso, e non c'era niente di più appagante di avvertire la carne succulenta di un verme che scendeva lungo la gola.
Una volta terminata l'esplorazione di una fetta di territorio, Rose risaliva sulla schiena di Wulfric, e ripartivano.
Svolsero quell'operazione diverse volte, finché Wulfric, volando, non andò a sbattere contro un tronco. Rose emise un verso stridulo e venne scalzata fra dei cespugli spinosi. Se ne tirò fuori con cautela e identificò la sagoma del compagno abbandonata nell'erba rada.
«CIRP», gridò, planando accanto al suo muso. «CIRPCIRPCIRP!»
Wulfric emise un gemito soffocato e aprì gli occhi. Cercò di mettersi seduto, ma non riusciva a muovere l'ala destra. Ogni volta in cui la estendeva, il suo muso si contraeva per il dolore. Rose esaminò la sua ala e si sentì smarrita.
«Skree-eeech» sussurrò Wulfric, aprendo a malapena il becco.
Il suo occhio azzurrognolo, quello da umano, la osservava, supplicandola di lasciarlo lì e andare a cercare un riparo. Rose scosse la testa e si sistemò accanto al suo collo. Non aveva nessuna intenzione di abbandonarlo. Lo zittì becchettandogli le piume e appoggiò la testa accanto alla sua. Avrebbe vegliato su di lui finché l'ala non gli avesse fatto meno male.
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Passarono la notte facendosi compagnia. Rose di tanto in tanto controllava la sua ala e lo guardava per chiedergli se stava meglio. Wulfric emetteva dei fievoli richiami e tornava a chiudere gli occhi. In fondo era un Mundbora: nonostante l'assenza di magia, sarebbe dovuto guarire più in fretta di un umano o di un comune airone. Wulfric a un certo punto riuscì a prendere sonno, e Rose si sentì sollevata. Se poteva dormire, stava cominciando a guarire.
Il pettirosso si sistemò nell'incavo del suo collo e continuò a vegliare, controllando costantemente l'ambiente circostante. La nebbia se ne andò con l'arrivo della mattina, e la visuale tornò a essere chiara: Rose non conosceva quella parte della tundra. Si erano allontanati parecchio dall'albero cavo dove avevano trovato rifugio.
Il pettirosso si allontanò solo qualche metro in cerca di cibo per Wulfric. Riuscì a trovare dei vermi grassi per lui e altri insetti, che l'airone mangiò solo per farla contenta. Non sembrava per niente affamato, e il suo sguardo le diceva che era una perdita di tempo: doveva lasciarlo lì. Non avevano tempo da perdere.
Ma Rose non ne voleva sapere. Se fosse arrivata una bestia feroce, Wulfric non avrebbe avuto scampo. E lei, per quanto fosse piccola, avrebbe pur sempre potuto cavare gli occhi al suo aggressore. La stanchezza la vinse solo in tarda mattinata. Il pettirosso si abbandonò fra le piume di Wulfric e sprofondò in un sonno pesante e privo di sogni, concedendosi una breve pausa.
A svegliarla furono dei passi pesanti. Rose non aveva idea di quanto avesse dormito, né di cosa fosse successo. Era stata talmente esausta che non si ricordava nemmeno di essersi addormentata.
«Skre...ee...» sussurrò Wulfric, dandole delle spinte col becco. Voleva che lei se ne andasse.
«Cirp!» gli gridò contro Rose. Continuava a tornare a sedersi sul suo collo.
Wulfric alla fine si diede per vinto e abbandonò il capo a terra. Non ce la faceva più a combattere contro di lei.
I passi si fecero sempre più vicini. Appartenevano a una creatura a quattro zampe. Rose doveva allontanarla da Wulfric, non poteva permettere che gli si avvicinasse troppo.
«Skree...?» chiese Wulfric, vedendola mentre si allontanava in volo.
Rose sorvolò i cespugli. Un enorme orso nero si aggirava fra gli alberi in cerca di cibo e si stava dirigendo verso la loro radura. Il pettirosso decise di distrarlo e planò su di lui, graffiandogli il muso con le zampe. La bestia grugnì e cercò di darle una zampata, ma era troppo lenta. La seguì per qualche metro, ma poi venne attirata dai richiami preoccupati di Wulfric.
Rose si rese conto che l'orso aveva perso l'interesse per lei, e il cuore le saltò in gola: la bestia stava galoppando verso l'airone, coi suoi trecento chili di muscoli, grasso e pelo.
«CIRP!»
Rose si mise davanti all'airone per proteggerlo, nonostante fosse minuscola. Wulfric si infuriò con le poche energie che gli restavano e la scacciò rabbiosamente, ma Rose tornò a mettersi davanti a lui con le ali spalancate per apparire più grande. Non che per un grizzly facesse molta differenza, ma l'animale, che fino a quel momento aveva ringhiato, si zittì e osservò il loro scambio con interesse. Il predatore si sedette e cessò di minacciare Wulfric con gli artigli. Una volta che anche Rose e Wulfric ebbero realizzato che non aveva intenzioni ostili, l'airone abbandonò il capo nell'erba e perse i sensi.
«Cirpcirpcirp» gemette Rose.
Esaminò il suo muso e gli becchettò il collo per tentare di svegliarlo. Wulfric non reagì, e lei guardò l'orso in cerca di aiuto. La bestia aveva un folto pelo nero, e degli occhi di un blu molto particolare, identico a quel miscuglio di grigio e azzurro che precede una tempesta.
Che si trattasse di Artri? Rose non osava crederci, ma lo sguardo così umano di quella creatura le fece riconsiderare quella possibilità. Di certo non era un vero grizzly.
L'orso emise un bramito sommesso e raccolse Wulfric fra le fauci, senza stringere. Fece cenno a Rose di seguirlo e il pettirosso volò nella sua scia, pronto a ricoprirgli il muso di graffi, se avesse osato far del male a Wulfric. Il grizzly fece loro strada nella tundra e li condusse fino a una zona rocciosa dalla quale scrosciava una cascata. Il torrente si suddivideva in tre rami che non si mescolavano, come olio e acqua.
L'orso depositò Wulfric su una roccia, quindi si tuffò in acqua. Rose sgranò gli occhi e guardò nelle profondità. Riusciva a scorgere una sagoma che si contorceva sul fondo. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
Delle bolle d'aria risalirono in superficie, seguite da un braccio muscoloso ricoperto di cicatrici. Una mano dalle vene in rilievo si aggrappò alla sponda rocciosa e, poco dopo, un uomo nudo emerse dalla fonte. Aveva dei corti capelli neri, quasi rasati, e un fisico da guerriero. Raccolse dell'acqua dalla fonte e la accostò al becco dell'airone, costringendolo a berla.
Rose appoggiò la testa sul collo di Wulfric, pregando che si riprendesse. Poco dopo la sua sagoma cominciò a mutare, e Rose si ritrovò seduta sulla spalla nuda del ragazzo, ancora privo di sensi. Il suo braccio destro era abbandonato a terra e aveva una brutta angolatura.
L'uomo dai capelli neri lo afferrò e lo raddrizzò come se non facesse altro tutto il giorno, sotto lo sguardo incredulo di Rose. Quindi le indicò l'acqua per ordinarle di fare come lui.
Il pettirosso esitò e zampettò sulla spalla di Wulfric. Voleva accertarsi che lui stesse bene, prima.
Cinguettò nel suo orecchio finché il ragazzo non aprì gli occhi. Il colore era tornato sul suo volto e, non appena la vide, sorrise. «Rose?»
Wulfric si guardò le mani e spostò lo sguardo sullo sconosciuto.
«Immagino che dobbiamo ringraziare te» mormorò, sfregandosi le braccia per scaldarsi.
L'uomo rispose con un grugnito e si strinse nelle spalle. Prima che Wulfric potesse fare qualcosa, afferrò il pettirosso con una prontezza di riflessi disumana e lo portò alla fonte, incurante dei suoi cinguettii spaventati.
«Lasciala!» ringhiò Wulfric. Cercò di aiutare Rose, ma era ancora debole. L'uomo riuscì a tenerlo a bada con una mano, e lo spinse a terra.
Rose venne sommersa dall'acqua del fiume, e cadde a fondo come un sasso. La inghiottì, la inalò, e un intenso bruciore le ricoprì tutto il corpo. Le piume caddero, disperdendosi nella corrente, e il suo corpo recuperò le sembianze umane.
Rose si sentì mancare l'aria e nuotò freneticamente verso la superficie. Emerse e inspirò a pieni polmoni. «Sei pazzo!» rantolò, tra un colpo di tosse e l'altro. «A momenti annegavo!»
Il volto dell'uomo, che sarebbe stato piacevole se non avesse avuto quella smorfia perenne che gli ricopriva la fronte di rughe, assunse una piega di tetro divertimento.
Senza dire nulla, si diresse verso un deposito nascosto, mentre Wulfric aiutava Rose a uscire dall'acqua. I due si abbracciarono, prima di venire colpiti da due tuniche pesanti che li colpirono dritti in testa.
«Che modi!» sibilò Rose, infilandosi la tunica in fretta. Era molto più grande della sua taglia, ma era calda e pesante, e lei aveva un disperato bisogno di calore. Non riusciva a smettere di tremare. «Ci hai salvato, è vero, e te ne sono grata» aggiunse, rivolta all'uomo, intento a vestirsi a sua volta. «Però non ti sembra di essere un po' brusco?»
L'uomo sbuffò e scosse la testa.
«Femmine» disse soltanto, senza nemmeno premurarsi di infilare un paio di mutande. Preferiva lasciare tutto all'aria aperta, sotto la tunica. «Seguitemi, bambini. Vi porto al mio campo.»
Rose e Wulfric si scambiarono un'occhiata incerta, ma alla fine capitolarono. Non avevano molta scelta. Quell'uomo, per quanto rude, sembrava sapere il fatto suo.
Se quello era Artri, Rose si chiedeva come diavolo potessero aver scritto dei poemi su di lui.
«Sembra quasi scocciato di averci dovuto salvare» mormorò Wulfric, mentre camminava al fianco di Rose. «Però l'importante è che ha un campo. Passiamo lì la notte e pensiamo a cosa fare dopo.»
«Spero solo che non sia un'altra trappola» sospirò Rose, prendendolo a braccetto per scaldarsi. «Per un momento ho temuto il peggio.»
«A proposito del peggio, perché ti sei messa in mezzo? Avrebbe potuto schiacciarti con uno sputo» sbottò Wulfric, riferendosi a quanto accaduto prima.
«E tu perché hai gridato come un pazzo, quando lui è corso dietro a me?» ribatté Rose.
I due si guardarono con la coda dell'occhio, e le loro smorfie si sciolsero in un sorriso.
«Grazie per essere rimasta. Anche se è stata una cosa davvero stupida da fare.»
«E tu per averlo distratto, anche se avrei voluto prenderti a testate in quel momento. Non ce l'avrei fatta, senza di te.»
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