Chapter XI

Jocelyn
«Guarda guarda chi si vede, la nostra piccola Einstein»

Avrei potuto riconoscere quella voce dal timbro talmente chiaro e definito dovunque.

«Guarda chi si vede, il nostro piccolo orsacchiotto» risposi ironicamente nel frattempo che mi voltavo in direzione di quella voce tanto limpida e che sapeva di famiglia.

Le nostre labbra si piegarono in due enormi sorrisi prima che entrambi ci avvicinassimo per unirci in uno stretto abbraccio pieno d'affetto fraterno. Perché anche se non aveva il mio stesso sangue, per me era il miglior fratello che si potesse immaginare.

«Ah fatti vedere!» disse Logan sciogliendo l'abbraccio e parandosi di fronte a me così da squadrarmi completamente.

«Stai invecchiando» affermò dopo avermi fissata a lungo.
«Vaffanculo» risposi ritornando a poggiare il mento sulla sua spalla, cosa che mi risultava più facile con lui invece che con Kendall, dato che Logan era, seppur di poco, più basso del biondo.

«Mi sei mancato»
«Anche tu» rispose sfregando la mano sulla mia schiena.

E mi era mancato veramente. Mi era mancato il suo modo di fare superiore ma in fondo spassoso, mi erano mancate le sue battute di spirito e le sue pacche sulla testa, perché nonostante avessimo soltanto tre anni di differenza, si ostinava a trattarmi come una bimba; e mi erano mancate le numerose notti insonni che trascorrevamo insieme: lui a cercare inutilmente di inserire nel mio ottuso cervello complicati concetti di biologia e chimica, materie delle quali non avevo mai capito un accidente, io a cercare disperatamente di assimilare il più possibile dalle parole di Logan, che alla fine altro non facevano che accrescere lo stato confusionale già presente nel mio cervello. E mi era mancato il modo in cui, colto dall'esasperazione più totale, immergeva la faccia sul cuscino, sconsolato, con una voglia matta di dormire in quanto la notte era già calata da un bel pezzo.

Mi era mancato il mio quasi fratellone.

«Ciao lady Einstein»

«Ma insomma, ho un nome!» sbottai scherzosamente allontanandomi da Logan per avvicinarmi a lei.
Era lì, radiosa più che mai.

I capelli biondi raccolti disordinatamente con un pinzettone, perché lei, al contrario di mia madre, non incentrava l'attenzione sulle apparenze. Il sorriso radioso stampato sul volto che sapeva di famiglia e il viso piacevolmente acqua e sapone, vero, reale.
Camminai verso di lei e mi gettai fra le sue braccia, immergendomi subito nel suo gradevolissimo profumo.

Quello era profumo di famiglia.
Quella era famiglia.
La mia famiglia.

«Come stai piccola?»
«Tutto bene Lydia»

Eccolo lì. Lo svantaggio di essere stata sua alunna delle elementari. Anche se ormai erano passati quattordici anni, per lei rimenevo sempre la piccola Jo che a cinque anni aveva mandato a fuoco la sala ricreativa.

«Come va con il fidanzato?» ammiccò furbescamente.
Mi staccai dall'abbraccio e roteai gli occhi al cielo.
«Chi é questo idiota che sopporterebbe una pazza omicida come me?»

A tal punto papà si voltò verso di noi, e tutti i sensi gli si fecero all'erta.
«Lydia, é ancora una bambina!»
«Certo, una bambina che piace a molti bambini»
«Mia figlia è ancora giovane per avere alcun tipo di contatto con un ragazzo» insistette mio padre.
Signore e signori, ecco a voi il più puro esempio di padre geloso e iperprotettivo.

Ormai è risaputo che ogni padre riservi delle particolari attenzioni nei confronti delle figlie, ma quando si è figlie uniche il tutto si moltiplica all'ennesima potenza, e io ne sapevo qualcosa.

In tutto quello mi portai una mano in fronte, colta dall'esasperazione, e Logan venne in mio "aiuto". Mi si avvicinò e iniziò a ridere sulla mia spalla.

Tolsi la mano dalla mia faccia e mi voltai a fissarlo, rosso, con minuscole lacrime che luccicavano ai lati degli occhi, la dentatura bianca e perfetta in mostra, le fossette ai lati della bocca.

«Hai finito?» domandai quando sembrava aver superato la sua crisi di riso.

Lui mi guardò serio per un secondo.

È ritornato tutto normale.

«No» disse prima di ricominciare a ridere ancora più forte.

Puntai gli occhi al cielo e mi avviai a prendere posto a tavola.
La mia sedia era sempre stata affiancata da un'altra sedia perennemente vuota da qualche tempo, posto che spettava a Logan. Tuttavia quella sera non andò così. La sedia alla mia destra venne occupata dal membro mancante della mia famiglia, finalmente eravamo tutti insieme, come un'allegra masnada.

Una volta terminato il discorso "bambina", Lydia si recò in cucina e si mise davanti ai fornelli, e ciò mi sapeva strano, in quanto non ero molto abituata a vedere davanti i fornelli donne che non indossassero divise nere e grembiuli bianchi.

«Quand'è che ti vedremo al posto di mia madre, in cucina?» Logan prese posto a fianco a me.
«Dopo una decina di interventi da parte del dipartimento dei pompieri» risposi.
«Non dirmi che nei due anni in cui sono mancato è sempre la stessa storia!»
«No! Giuro che sono migliorata!» mi affrettai a rispondere. Logan tirò un sospiro di sollievo.
«Adesso invece di mandare a fuoco l'intera cucina mando a fuoco soltanto le presine» affermai nascondendo un sorriso traditore.

Il moro alla mia destra si voltò di scatto verso di me, sorpreso.
Come poteva credere che fossi migliorata in cucina? Insomma, io e i fornelli eravamo come cane e gatto. Io odiavo loro e, a quanto pareva, loro odiavano me.

Cioè, stavamo parlando di Jo Kenneth, colei che era riuscita inspiegabilmente a versare dell'acetone sui fornelli accesi. Colei che aveva fatto scoppiare la caffettiera due volte su tre, colei che la terza volta che fece un caffè si scordò di mettere lo zucchero, e causò un momentaneo soffocamento generale degli ospiti che erano venuti in visita per sua madre. Colei che per fare il caffè utilizzava ancora le arcaiche caffettiere poiché non aveva idea di come si usassero quei complicati aggeggi elettronici che altro non facevano se non versare schiuma fino ad "allagare" la cucina.
Colei che per girare la pasta nella pentola, nel frattempo che guardava la televisione che casualmente mandava in onda un video musicale della sua band preferita, udì d'improvviso un odore di stoffa bruciacchiata, per poi scoprire con sgomento che ciò ad essere bruciato non era altro che la presina con cui impugnava i manici viventi della pentola di metallo.

Jo Kenneth. Acerrima nemica dei fornelli.

Un invitante odore a me molto familiare si fece spazio nelle mie narici, distogliendo la mia attenzione dal discorso fra Logan e mio padre, una vera e propria predica riguardo l'importanza di un giusto partito politico al governo. Motivo di numerose occhiate silenziose tra me e Lydia, che tuttavia esprimevano tutto il nostro disappunto.

Scattai sull'attenti e mi voltai in direzione del forno.
«Questi sono gamberoni» constatai annusando l'aria.
Papà è Logan mi guardarono. Non ne capivo perché.
«Che c'è? Non sentite l'odore?» domandai.
«Un momento, tu mi stai dicendo che riesci a sentire che mamma sta cucinando gamberoni, da qui?» chiese a sua volta Logan.

E ancora non capivo se mi stesse prendendo o dicesse la verità.
«Tu non senti nulla? Andiamo, è impossibile, è chiaro che ci sono dei gamberoni nel forno!» affermai indicando il forno con la mano, situato nella cucina, a fianco della sala da pranzo.

Qualche minuto dopo Lydia fece capolino dalla porta, e aveva fra le mani, per la mia felicità, una teglia di gamberoni fumanti, che teneva fra le mani ricoperte da un paio di guanti blu.

Logan e papà si guardarono, ancora.
«Mamma, Jo ha un radar per quanto riguarda il cibo» constatò Logan indicandomi con il pollice.
Lydia si fece sfuggire una risata di cuore e prese posto anche lei a tavola.

«Il primo è mio!» urlai fiondandomi sulla teglia e afferrandone un bel po' con la pinza che strappai dalle mani di mio padre.

Poco dopo mi accorsi che gli sguardi dei presenti erano tutti fissi su di me. Okay, forse avevo un tantino esagerato.
«Beh, buon appetito» affermai iniziando a tentare di togliere il guscio con le forchette.

Mamma mi avrebbe sicuramente dato della cafona, e io, per confermare la sua tesi, le avrei masticato davanti la faccia.
Tuttavia lì non c'era mamma, perciò il tutto sfociò in una risata generale, in mezzo alle battute di papà.

Il primo atto era terminato.

Atto numero due: come togliere il guscio dei gamberoni utilizzando solo forchetta e coltello.

Prego con tutto il cuore i signori lettori di dirmi come diavolo si fa.

Tentai di rompere il guscio con il coltello, di togliere la testa con la forchetta, di prendere a coltellate il povero gambero martoriato.
Sentivo Logan ridere silenziosamente della mia incapacità, e guardai l'orario.

Erano passati sei minuti, e io ero ancora con quel gamberone nel piatto, e lo stomaco spiacevolmente vuoto che reclamava a gran voce il cibo che gli si stava negando.

Gettai forchetta e coltello e decisi finalmente di usare le dita.

A mali estremi, estremi rimedi.

E anche il secondo atto di quel dramma domestico era terminato.

«Che fine ha fatto Kendall?» domandò tutto ad un tratto Logan, come se gli fosse arrivata un'illuminazione d'improvviso.
«Oh già, Schmidt! Quel biondino combinaguai» affermò Lydia. Inutile precisare che anche Kendall un tempo fu suo alunno, e se io avevo mandato a fuoco la sala ricreativa, lui aveva fatto anche di peggio. Insieme, eravamo un duo formidabile.
Mi accorsi solo allora che Lydia era alle prese con i piatti da lavare, perciò mi offrii di aiutarla.

«Aspetta! Ti aiuto io» affermai prima di alzarmi e affiancarla al lavandino.

Lydia mi rivolse un'occhiata che intesi al volo.
«Tranquilla, non romperò nulla» la rassicurai alzandomi le maniche della maglietta.

«Potevi invitare anche lui» suggerì papà riagganciandosi al discorso precedente.
«A dir la verità non ci ho pensato. Sarà per la prossima volta» feci spallucce insaponando un piatto, attenta a non farmelo scivolare dalle mani, come già era successo in precedenza.

«Tesoro, Kendall è un bel ragazzo» sussurrò Lydia al mio orecchio. Controllai che nessuno ci stesse ascoltando, e notai con piacere che i maschi della casa erano intenti a discutere fra di loro.

«Lo so, non lo metto in dubbio, ma non l'ho mai visto più di un amico. E sono sicurissima che anche per lui è così. Sinceramente non mi viene da pensare a lui come un fidanzato, a dir la verità mi suona strana vederlo come un fidanzato in generale» dissi trattenendo una risatina.
Poi aggrottai le sopracciglia e guardai la donna bionda alla mia sinistra intenta a sciacquare le stoviglie.
«Perchè questa domanda?» chiesi.
«Nulla, per parlare un po'. Mi fa piacere essere la tua confidente ogni tanto, mi farebbe piacere anche essere qualcosa di simile ad una mamma per te»
«Oh lo sei, fidati. Più di quanto credi» affermai sorridendole. E ciò era la pura verità, perché quando sentivo la parola "madre" mi veniva in mente Melissa, ma quando dicevano "mamma", immediatamente pensavo a Lydia.
C'è differenza.

Madre indica un legame parentale, un fatto biologico.
Mamma indica un legame affettivo e psicologico, e per me mia mamma non poteva che essere Lydia.

Lydia non era mia madre, ma era mia mamma.
Melissa era mia madre, ma era affatto mia mamma.

«Tuo padre mi ha detto che in casa c'è una persona in più»
E lì mi oscurai del tutto.
«Giá. È il nuovo giocattolo di mia madre»
«Beh, non è una novità, ma sai, tuo padre mi ha anche detto che questo è diverso dai precedenti»

Oh signore, no. Ma perché dite tutti così?

«Ha due braccia, due gambe, due occhi e un naso proprio come tutti gli altri. Non vedo nulla di diverso» ironizzai.
Lydia sospirò.
«Credimi, se l'ha detto o tuo padre ci sarà un motivo sotto. Lui non è il tipo che arriva a conclusioni affrettate»
«Beh, diciamo che hanno avuto un piccolo battibecco» confessai.
Lydia storse la bocca e dichiarò annuendo «sí, so anche questo».

Per un attimo poggiai la pentola sul lavandino e mi rivolsi a lei.
«Sei a conoscenza di qualcosa che non so e che dovrei sapere?» chiesi.
Lei sospirò e si voltò verso di me, concedendomi tutta la sua attenzione.

«Nulla, nulla di importante. Ma ti chiedo solo una cosa: sta' attenta. D'accordo?»
Tutta quella segretezza iniziava a farmi preoccupare. Che accidenti aveva di così speciale quel fantoccio di plastica?

Seppur con un po' di incertezza, annuii, ritornando a lavare piatti, con i pensieri altrove.

Poi suonò il campanello.
«Vado io» Logan si alzò di scatto dalla sedia e si allontanò verso la porta.

«Lydia, non dirmi che sono stata io» dissi indicando una leggera spaccatura al bordo di un piatto di porcellana.
Lei avvicinò l'oggetto e lo squadrò attentamente.
«Credo ci sia già da u-»

«Ma si può sapere chi diavolo sei?» sbraitò Logan.

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