Chapter V

James
«Non posso permettere che mia figlia mi disobbedisca in questo modo!»

Ormai l'orologio parlava chiaro: mancavano poco meno di cinque minuti alle nove.
La tavola era imbandita da più di un'ora, e tutto era perfetto, compresa una fioca e delicata luce prodotta dalle fiammelle di tre candele che nessuno si era preoccupato di spegnere e di cui per questo motivo ne rimaneva ormai poco più della metà. Erano per di piú sorrette da un candelabro posto al centro, i cui intarsi erano in perfetta sintonia con la tovaglia, se non fosse per la cera squagliata che, ricoprendolo interamente, rovinava l'incanto.
Anche il cibo oramai doveva essersi raffreddato.

Perfetto.

Per colpa di una ragazzina ero obbligato ad accontentarmi di una bistecca a temperatura ambiente. 
Per di piú avevo trascorso l'ultima mezz'ora ascoltando -per così dire- gli sbotti alterati di Melissa contro la ragazzina che ancora non si degnava di rientrare.
Se fosse rientrata in quel momento mi avrebbe fatto un enorme piacere, almeno non avrei più sentito i continui e ripetitivi lamenti che ormai avevo fissato a memoria: "mia figlia non può prendersi gioco di me, non può disobbedirmi, appena torna la aspetta una punizione..." eccetera eccetera.
Era snervante soltanto starla ad ascoltare per dieci minuti, immaginate una mezz'ora...

Per questo, al limite della pazienza, anche a causa dei continui ticchettii prodotti da quei tacchi vertiginosi dalla punta spigolosa che era solita portare, mi alzai dal divano su cui ero comodamente disteso e mi diressi verso di lei.

«Mel...» iniziai camminando verso di lei con passi lenti.
«Rilassati, vedrai che sarà qui da un momento all'altro» le sussurrai all'orecchio afferrandole delicatamente le spalle. Sapevo che le piaceva, piaceva a tutte.

Mi sorrise maliziosamente. Bastava un tanto per accendere in lei la fiamma, che poi, non per vantarmi, era molto difficile da spegnere.

Si voltò lentamente così da incrociare le sue dita dietro la mia nuca, mentre io portai le mie sui suoi fianchi rotondi.
«Hai ragione...» ammise in un sospiro.
«Scusami, ma proprio non sopporto di essere presa in giro in questo modo... Quando succede vado fuori di me...» dichiarò con un tono simile a quello di una bambina imbronciata.

Incrociò i suoi occhi verdi nei miei, e per un attimo credetti che mi stesse per baciare.
«Fatto sta che non è neanche la prima volta che Jocelyn, mia figlia, si prende gioco di me in questo modo...»

Eccola lí... Era ricominciata a recitare il monologo...
Si allontanò da me velocemente, il che mi portò a roteare gli occhi.
Già questa Jo non mi andava a genio, e non avevo neanche idea di chi o come fosse... figurarsi conoscerla.

Mi diressi perciò nuovamente sul morbido divano, mentre i passi rumorosi di Melissa facevano da sottofondo ad una scena in cui le uniche protagoniste erano le fiammelle delle candele ondeggianti nell'aria.

Portai una mano in faccia, svogliatamente, per nascondere alla vista altrui un'impertinente sbadiglio. Che razza di serata. E io che avevo progettato di trascorrerla in camera da letto con Melissa... No, questa Jocelyn stava mandando a monte tutti i miei piani, mi stava già antipatica.

Poi, finalmente, come se le mie preghiere fossero state udite da qualcuno, si udì il rumore del legno del portone.

09:03

Come se fosse normale che un ospite -per non dire "io"- mangi alle nove di sera.

Melissa scattò subito sull'attenti, e nel suo volto si scorgeva chiaramente la rabbia e il disappunto nei confronti di sua figlia, sicuramente fonte di una potenziale sgridata o punizione.
Oh no, non mi sarei assolutamente messo in mezzo... Erano questioni tra madre e figlia, e a dirla tutta Jo meritava una punizione per il suo comportamento, se non altro per avermi scombussolato interamente la serata.

Intravidi la sua ombra proiettata per terra, e davanti a lei Melissa, a braccia conserte, che la fissava con sdegno.

Non seppi bene il perché, ma mi venne un'incontrollabile curiosità di conoscere il volto della tanto ribelle Jocelyn, curiositá che mi portò ad alzarmi dal mio comodo posto sul divano, e ad avvicinarmi alle due.

Certo che se la figlia fosse bella solo la metà della madre, potrei farci un pensierino. Pensai ciò mentre mi avvicinavo lentamente, quasi palpitante dalla voglia di vedere com'era fatta questa ragazza.

Ma perché mai avrei dovuto avere tutta questa voglia di conoscere una ragazzina che per di più mi aveva anche rovinato la serata?

Era più di una semplice curiosità, ma ignorai quest'ultimo insignificante particolare, e mi convinsi che a guidarmi fosse una semplice curiosità.

D'altronde chi non sarebbe stato curioso di conoscere una persona di cui ha sentito parlare cosi tanto? E neanche tanto bene?

E da quando in qua mi ponevo domande da solo?

Feci l'ultimo passo in avanti, e così la vidi.
Ciò che mi sorprese era che i suoi tratti somatici non avevano nulla a che vedere con quelli di sua madre, ma nonostante questo, non si poteva dire che fosse brutta.
Non aveva la tipica bellezza che fa crogiolare il cuore, affatto, ma aveva in sé qualcosa di mistico che la rendeva misteriosa. Ciò lo capii quando i suoi occhi incrociarono i miei, e per un momento la sua espressione mutò, divenendo assorta, quasi come se fosse sorpresa o colpita di vedermi lí, davanti a lei.

«DOVE DIAVOLO SEI STATA? ABBIAMO ASPETTATO SOLTANTO TE, HAI IDEA DI CHE ORE SONO?! E COME HAI OSATO CHIUDERMI IL TELEFONO IN FACCIA?!» Melissa iniziò a strillare a voce così alta che immediatamente capii il motivo per cui Jocelyn non avesse una particolare voglia di tornare a casa da sua madre, ma anzi, se poteva evitarlo, lo faceva volentieri aggirandosi alla larga da lei.

Jo distolse lo sguardo dal mio, che divenne scocciato non appena incontrò quello di sua madre.
In tutta risposta, Jo alzò il palmo della mano, ponendolo fra lei e sua madre, come per incitarla a zittirla, e ci riuscì, perché la donna tacque all'istante.

«Non parlare. Ti prego. Taci, sul serio» intimò Jocelyn assumendo l'aria di una che la sapeva lunga.

Oh no.
Melissa aveva incominciato a cambiare colorito, era divenuta dello stesso colore del rossetto rosso fuoco che portava alle labbra.

«RAZZA DI INSOLENTE! NON TI AZZARDARE A DIRE MAI PIÙ A TUA MADRE DI TACERE. TU NON SEI NESSUNO!»

A quelle parole stavolta fu Jocelyn a cambiare radicalmente espressione, mentre io ero un semplice spettatore pronto ad assistere, a braccia conserte, ad una imminente rissa tra madre e figlia.

«Sennò che fai? Eh?»
La biondina si avvicino a sua madre, sfidandola, e io stranamente quasi mi divertivo a vederle intente ad aggredirsi a vicenda.
«Mi butti fuori di casa? Ma volentieri! Mi togli il cellulare? Ecco, tieni!» continuò gettando letteralmente in malo modo il telefono addosso a sua madre, che afferrò per pura fortuna.
«Mi sequestri i gioielli? Puoi prenderli tutti fino all'ultimo, non mi servono. Perché io non mi nascondo dietro le apparenze, dietro i finti sorrisetti, dietro chili e chili di trucco, perché io non sono come te, e ringrazio Dio di non essere come te!» si sfogò la ragazza enfatizzando l'ultima parte della frase.

Melissa parve spiazzata, si guardò attorno più volte come disorientata, poi il suo sguardo si posò su di me, supplicandomi in qualche modo di intervenire.

«James, tu neanche intervieni?! FA QUALCOSA! »

Fui colto decisamente alla sprovvista, cosa avrei dovuto dire? Cosa avrei dovuto fare? Io ero estraneo a tutta la faccenda, e francamente non mi andava di intervenire e dire ciò che davvero pensavo su una ragazza in piena crisi adolescenziale e una madre incapace di domare la propria figlia. Erano semplicemente ridicole.

«Ma certo, di' qualcosa, James» intervenne la ragazza marcando il mio nome.
«Nasconditi sempre dietro gli altri, come un'autentica vigliacca. Coraggio James, forza, di' qualcosa, fai contenta questa povera donna che non sa più neanche come difendersi»

Tutto ciò che riuscii a fare fu un starmene con le mano in mano, a braccia incrociate, al che Jo sospirò scuotendo il capo, per poi sparire al piano di sopra con passo veloce.

Che caratterino...

Melissa si voltò verso di me, sprizzando fuoco dagli occhi. Brutto segno.
Se la sarebbe presa anche con me.

«Perchè non le hai detto niente? Dovresti difendere me, non far vincere lei!» dichiarò con gli occhi lucidi dalla rabbia, per poi lanciare il telefono di Jo, che ancora teneva in mano, sul divano.

Che fantastica serata! Non sarebbe potuta andare peggio di così...

Con passi incerti mi avvicinai a lei, non appena udii piccoli singhiozzi provenire dalle sue labbra.

Quella ragazzina c'era andata giù pesante.

Decisi perciò di confortarla con un abbraccio, che ricambiò nell'immediato.
Cosa sei obbligato a fare pur di apparire alla gente un uomo dotato di sentimenti.

«Hai visto come mi tratta? Non mi considera neanche più sua madre» confessò con voce interrotta dai singhiozzi.

E cosa avrei potuto dire per consolarla?
L'unico cosa che feci, perciò, fu stringere la presa e lasciare che le sue lacrime di rabbia inzuppassero la mia camicia, preso da un attimo di compassione. Una donna in lacrime è pur sempre una donna in lacrime.

«James...» mi chiamò sollevando lo sguardo fino a raggiungere il mio.
«Cosa c'è?»
«Sta' lontano da Jo. Hai visto che considerazione ha di me, e non vorrei che a causa sua tu cambiassi idea su di me, su di noi... Me lo prometti?» domandò infine.

Sarei dovuto stare lontano da Jo.
Sarei dovuto stare lontano da lei.

Seppur titubante, alla fine la rassicurai con un incerto «Si» appena udibile, ma che bastò a tranquillizzarla e a farle poggiare il capo sulla mia spalla.

Continuai a stringerla mentre tuttavia la mia mente vagava verso tutt'altre mete.
Rivolsi lo sguardo alle scale, cercando invano di scorgere la figura di colei da cui avrei dovuto stare lontano.

Sarei soltanto dovuto stare lontano da un'impertinente e ribelle ragazzina, tutto qui. Ma allora perché avevo come l'impressione che ciò non fosse un'impresa del tutto semplice?

Sciocchezze... A me interessava la madre, non lei. A me interessava un'affascinante donna dalla bellezza esasperante, non un'adolescente che non arrivava neanche al metro e settanta e con la delicatezza di uno scaricatore di porto.

Tutte quelle stupide paranoie erano soltanto abominevoli sciocchezze.

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