Chapter IV
Jocelyn
«Jo... Jo... Jo! Ma mi stai ascoltando?!» sbottò un Kendall visibilmente irritato e al culmine della pazienza.
«Come?» domandai ritornando con i piedi per terra.
Cavoli! Per tutto il tempo non avevo fatto altro che pensare alla cena di presentazione che si sarebbe dovuta svolgere quella sera stessa. E se c'era una cosa che Kendall odiava, era proprio quella di non essere ascoltato.
Il biondo alla mia sinistra alzò le braccia al cielo sospirando pesantemente.
«Rilassati, stai calmo... Respira... » continuava a ripetere a se stesso.
«Scusa Kendall, oggi proprio non ci sto con la testa» confessai gettando la penna sulla scrivania.
«Lo vedo, in un quarto d'ora non sei riuscita a risolvere neanche un'equazione» dichiarò leggermente preoccupato.
Rivolsi perciò uno sguardo sulla pagina quadrettata scarabocchiata e cancellata più volte.
«Avanti, spara. Cos'è che ti affligge?» chiese con tono più calmo girando la sedia verso di me.
«Nulla» mentii torturando la povera pagina di quaderno dal tanto nervosismo.
Kendall girò di scatto la mia sedia di fronte alla sua, non mi avrebbe lasciata andare finché non io gli avessi detto tutta la verità e lui non avesse trovato una soluzione al mio problema.
«Ehi, ti conosco. So quando sei sincera e quando invece menti. Perciò, racconta tutto al tuo Kendo» concluse indicandosi con un'espressione buffa da saputello sul volto.
Quel gesto mi portò a sorridere. Era impossibile tenere il broncio a Kendall, ed ecco la risposta al perché le nostre litigate duravano sempre sí e no dieci minuti.
«D'accordo» mi arresi sbuffando.
«Stasera ci sarà la cena» affermai semplicemente.
Kendall rimase in silenzio per qualche istante, fissandomi con aria indagatrice e giocherellando con la gomma bianca da cancellare.
«Beh, Jo, è normale, di sera c'è sempre una cena, a meno che tu non voglia stare a dieta» affermò ovvio.
«Ma no!» mi portai una mano in fronte.
Qui le cose sono due: o non mi so spiegare io, oppure è lui ad avere un difetto di fabbrica in quelle tanto utili quanto inutilizzate rotelle.
«Idiota! Intendevo dire la cena di presentazione»
«Ooh! Allora spiegati meglio!» mi rimproverò il biondo.
«Beh, sarà la millesima cena di presentazione a cui parteciperai, perché tanta preoccupazione? Ci sei passata tantissime volte»
Aveva ragione da vendere, e questo io lo sapevo. E allora perché ero come nervosa o intimorita?
«Qui c'è qualcosa sotto» si lasciò sfuggire Kendall tenendo sempre fisso quell'insopportabile sguardo su di me, che penetrava quasi nelle ossa.
«No, non c'è proprio nulla» risposi acida spostando lo sguardo ovunque tranne che su di lui.
«E allora guardami negli occhi»
Era la fine. Quello era il mio punto debole. Ero una bravissima mentitrice, sapevo usare benissimo le parole, ma purtroppo gli occhi non sono tanto abili quanto la bocca nel mentire.
Seppur con riluttanza, poggiai lo sguardo sul suo, con un sospiro.
«Sei nervosa, per stasera?» domandò stavolta abbassando il tono di voce.
«No» riposi. «Non lo so» mi corressi all'istante sbuffando.
Era frustrante quella sensazione di nervosismo, legata allo stesso tempo all'incapacità di capirne il motivo.
«È proprio questo il problema» continuai poggiando il capo sul palmo della mia mano.
«So benissimo che ho vissuto miliardi di serate simili, in compagnia di sconosciuti che poi non ho mai più rivisto. So benissimo che questa sarà una cena come tutte le altre, ma non riesco a togliermi di dosso questa sensazione di nervosismo, di ansia, e non riesco a spigarmelo. E questo è snervante!» aggiusi in uno sbotto che fece divertire Kendall.
La sua risata rumorosa portò il mio volto a piegarsi in una curva divertita, cambiando così espressione in modo radicale.
Quando fu passata la crisi di riso, Kendall si fece serio e mi rivolse chiaramente tutta la sua attenzione, con quel fare premuroso che tante volte gli avevo visto nei miei confronti.
«Jo, io non posso dirti proprio nulla, né tantomeno posso darti una risposta alla tua domanda, non ho assolutamente voce in capitolo, e non sono neanche uno psicologo. Tutto ciò che posso dirti è che troverai la tua risposta nel tempo» concluse fissandomi con una serietà che gli si poteva scorgere raramente.
«Sai di cosa ho paura?» domandai corrugando il volto.
Kendall mi incitò a continuare con lo sguardo.
Era bella la consapevolezza che almeno una persona in tutto l'universo era disposta ad ascoltarti senza sbuffare, e ad aiutarti quando ne avevi piú bisogno. Era bella la consapevolezza di non essere sola al mondo, ti faceva sentire bene, ti faceva sentire voluta bene.
«E se le mie sensazioni siano vere? E se esse non mi avessero ingannato? Se davvero questa persona che incontrerò stasera sia diversa dalle altre?»
Sinceramente non sapevo neanch'io da dove uscissero fuori tutte queste paranoie.
«Facciamo una cosa...» iniziò Kendall prendendomi una mano.
«Adesso, tu non ci pensi più e ti godi la giornata fino a stasera. Mettiamo via tutte queste cianfrusaglie...» disse chiudendo e mettendo da parte quaderni e astucci che giacevano di fronte a noi sulla scrivania «...e andiamo in giro per la città a divertirci un po', che ne dici?» domandò con un sorrisetto sornione.
«D'accordo» dichiarai convinta.
Nel frattempo un paio di colpetti sul legno della porta ci fecero voltare verso una splendida signora Schmidt più radiosa che mai.
«Scusate il disturbo...»
Se solo avessi lei al posto di quella bald... lasciamo stare.
«Ho appena sfornato dei biscotti, ve ne lascio un po' qui, nel caso vi dovesse venire fame» dichiarò la signora dalla chioma rossa posando sulla scrivania un vassoio dal profumo invitante e dalla vista paradisiaca.
«Uh, grazie mamma» si affrettò a dire Kendall per poi allungare una mano verso il vassoio.
La signora Schmidt, tuttavia, allontanò la mano chiara del biondo con uno schiaffo.
«Ahio!» si lamentò Kendall come un bambino, ritirando la mano di scatto e accarezzandola lievemente.
«Ti hanno mai insegnato che un gentiluomo offre sempre il cibo alle donne prima di ingozzarsi?» lo rimproverò sua madre con sguardo e fare severi.
«Oh, non preoccuparti... Quando mai Kendall è stato gentile? Ormai ci ho fatto l'abitudine...» dichiarai a Jennifer Schmidt, con la quale la confidenza aveva raggiunto livelli alti.
La signora mi sorrise ampiamente.
«Se dovesse comportarsi male, dagli una regolata, magari con un paio di scappellotti» si raccomandò Jennifer sotto lo sguardo scioccato di Kendall.
«Voi due...» disse il biondino indicandoci con l'indice una alla volta.
«...siete cattive» concluse socchiudendo gli occhi in due fessure.
La signora Schmidt abbandonò la stanza dopo averci salutati con un bacio, e così io e il biondino rimanemmo nuovamente soli.
Consideravo Jennifer Schmidt come una seconda mamma dopo Lydia, la nuova moglie di mio padre, ovviamente.
«Bene, adesso... Alza il culo da quella sedia ed esci fuori, goditi la vita!» esultò alzandosi e scaraventandomi letteralmente via dalla sedia su cui ero seduta.
Mi prese per mano e ci avvicinammo alla porta. Ma tutto ad un botto Kendall si fermò.
Si voltò a guardarmi, e con un'espressione buffa dichiarò: «Prima i biscotti...»
«Sei sempre il solito...» lo schernii afferrando un biscotto fumante dal vassoio e portandolo alla bocca.
«Penfi fempre a manhiare» dichiarai con la bocca piena, guadagnandomi un'occhiata truce.
«Ah si? Perché, tu cosa stai facendo? » domandò afferrando di scatto un biscotto e fissandomi con sguardo di sfida.
«Però... Buoni!» constatai masticando soddisfatta, ed evidentemente Kendall la pensava come me in quanto ne aveva già divorati voracemente un paio nel giro di un minuto, quando io ne avevo ingerito a malapena un mezzo.
Ma come biasimarlo? La signora Schmidt era una maga in cucina, e qualsiasi cosa uscisse dal suo forno o dai suoi fornelli, al 100% era un capolavoro culinario.
E questo non faceva che aumentare il mai svelato mistero del perché Kendall avesse un fisico talmente asciutto che al primo soffio di vento sarebbe potuto andare in frantumi. Perché chiunque avesse visto quanta roba ingeriva quel ragazzo (ed io l'avevo visto...) si sarebbe posto la mia stessa domanda.
* * *
«Non è giusto!!» spintonai Kendall e gli tirai via dalle mani la pistola collegata alla console di gioco.
«Porca miseria Jo! Ridammela!»
«No! Prima mi hai attaccata a tradimento, e ora ti ucciderò »
«No, non farlo! Sarà la terza partita che vinci!»
«Ops... Troppo tardi...» dissi dopo aver tolto al suo avatar gli ultimi due punti vita.
«ALMENO UNA, DICO, ALMENO UNA AVRÒ DIRITTO A VINCERLA VISTO CHE I SOLDI LI STO METTENDO IO!» sbottò il biondo dopo la quarta sconfitta di seguito.
«Posso darti la rivincita se vuoi» proposi con tono beffardo.
«Ma i soldi li metti tu» dichiarò deciso.
«E va bene...» sbuffai allungando una mano in tasca, ma venni preceduta dalla suoneria del mio telefono che iniziò ad entrarmi nei timpani con le plettrate decise dei Linkin Park.
Il display diceva: "Chiamata in arrivo: Satana"
«Chi è? » domandò curioso Kendall.
In tutta risposta gli mostrai il display del cellulare, e ogni dubbio sparì dal suo viso.
"Che c'è?" fu la prima cosa che dissi appena accettai la chiamata.
"Ma dove diavolo sei finita? Qui stiamo aspettando solo te! Sarà meglio che tu ti dia una mossa perché non ho ass-"
Troncai la chiamata, già stanca di udire le sue urla così squillanti quanto snervanti.
Kendall spalancò gli occhi in un'espressione scioccata.
«Che c'è? » domandai infilando il cellulare in tasca.
«Sai che a casa farà di peggio dopo quello che hai fatto?» domandò.
Feci spallucce, ormai ero abituata.
«Dai, ti accompagno» si offrì Kendall afferrando la giacca e iniziando ad incamminarsi verso l'uscita.
Il buio del cielo veniva interrotto di tanto in tanto dalla luce artificiale generata dai lampioni e dai faretti delle auto che sfrecciavano via chissà dove. Era quello il momento che preferivo della giornata. Il momento in cui il caos che aveva avuto vita nella luce del giorno, finalmente si attenuava di pari passo con la luce del sole, dando vita a quello che a me sembrava un altro mondo, chiamato "sera".
Dopo una buona mezz'ora di cammino trascorsa chiacchierando alacremente, venne il momento in cui ci separammo davanti il cancello di casa mia con il nostro solito "ci si vede". E quello fu il momento in cui tutta la sicurezza che avevo acquisito con la compagnia di Kendall, piano piano si dissolveva allo stesso modo in cui lui si allontanava sempre più da me, per poi scomparire del tutto nell'oscurità.
Presi un bel respiro, e aprii il cancello stranamente socchiuso.
Autentici brividi di... terrore? ansia? solcarono la mia schiena appena scorsi l'ombra di una figura maschile attraverso la fioca luce giallognola filtrante dalle tende di una finestra fra le tante che spiccavano dal muro bianco della casa.
Con passo incerto mi avvicinai al portone con il cuore in gola, martellante, tanto da somigliare ad un martello pneumatico.
Allungai due dita nella tasca dei jeans per poi afferrare le chiavi di casa, con mani tremanti e respiro accelerato.
Che diavolo mi stava succedendo? Perché ero talmente nervosa?
Tutte quelle domande che frullavano nella mia testa mi stavano uccidendo, perciò decisi di porre fine a questa tortura aprendo la porta, per scoprire il motivo di tanta ansia.
Di fronte a me non vidi nessuno, perciò per un attimo soltanto pensai di essere sola in casa, pensai che avessero già cenato e, stanco di aspettare, l'ospite della serata se ne fosse andato.
Ma il flusso di pensieri venne interrotto da un rumore di tacchi che andava sempre avvicinandosi, per poi lasciare posto all'immagine di mia madre, il cui viso lasciava chiaramente trapelare tutta l'irritazione che provava nel vedermi, inconsapevole che il sentimento era pienamente ricambiato.
Lei era lì, davanti a me, a braccia conserte, in attesa di una spiegazione che non le sarebbe mai arrivata.
Poi, dietro di lei, ecco che si avvicinò il motivo di tante ansie, di tante paure.
Fu allora che decisi di fidarmi sempre delle mie sensazioni, perché fino ad allora, anche se costava ammetterlo a me stessa, non avevano mai sbagliato. Neanche quella volta.
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