Finta battaglia
Un gatto soriano stava passando per la via del mercato più affollata di Roma evitando di esser pestato dai passanti e suscitando la curiosità dei bambini che giocavano lì vicino.
Raggiunto un angolino buio di un vicolo quello che successe fu dall'incredibile: il gatto iniziò a trasformarsi, in maniera abbastanza veloce, da quel che era, in una donna, sulla trentina coi capelli neri, con qualche capello che ingrigiva, raccolti in una severa crocchia, alta e magra.
Aveva un volto severo e uno sguardo attento.
La donna si chiamava Minerva McGranitt, maga e professoressa della scuola dove andavano tutti i maghi proveniente da qualsiasi provincia romana.
Subito, con un colpo di bacchetta che le era comparsa in mano quando si era ritrasformata, si disilluse confondendosi con lo sfondo delle case di mattoni e di un impasto simile al calcestruzzo.
Mancavano pochi metri ad un portone chiuso del Colosseo, nel quale di lì a poco, da come la donna aveva capito, si sarebbe svolta una battaglia tra un ragazzino di tredici anni e un leone.
Il perché un ragazzino così giovane doveva combattere?
Era stato classificato come pazzo perché sosteneva di saper fare magie e, per i romani, chiunque non era proprio a posto e quindi essere utile all'esercito, era bestia da macello per il divertimento altrui.
E quel ragazzino era un mago sbocciato tardi e il compito di Minerva era quello di prenderlo e portarlo a scuola così potesse imparare a usare e controllare la sua magia.
Arrivò di fronte al portone e pensò l'incantesimo "Alohomora" e sentì un "click", come un lucchetto di metallo arrugginito che si apriva.
Si infilò nel portone appena aperto passando per un piccolo spiraglio e richiudendoselo alle spalle.
Per fortuna era tutto vuoto.
Non vi si era materializzata, che era la maniera più rapida, perché non sapeva se c'erano persone.
In quel momento aveva capito che si era preoccupata inutilmente.
"Ora devo 'solo' trovare quel ragazzino" si disse, leggermente ironica, mentre sceglieva una stradina piccola e buia che illuminò con la bacchetta, reggendola a 'mo di fiaccola.
"Mi devo sbrigare! Non deve mancare più di tanto all'inizio della gara!" pensò Minerva cercando di mantenere la calma e riflettere.
"Ma certo! Perché non ci ho pensato prima!" si accorse e per poco non si sbatté la bacchetta in fronte per quel momento di stupidità.
"Spense" la bacchetta (altrimenti non riusciva a fare l'incantesimo) e, silenziosamente, un delicato raggio azzurrino guizzò per le diverse strade in un secondo.
Quando ricomparì il raggio si trasformò in una sfera che si diresse ancor più a fondo nel vicolo.
"Allora ho preso la strada giusta" si disse Minerva, leggermente sollevata dal fatto che non avrebbe dovuto fare strada in più e seguì la sfera azzurrina, grande come una pallina da golf luminosa.
Dopo pochi minuti, che parsero ore alla donna, pensando che non avrebbe fatto in tempo, sbucò davanti ad una grata.
Dietro ad essa si trovava una sala circolare e, dal lato opposto al suo, filtrava della luce da un'altra grata.
Si sentiva il rumore di gente che parlava, ma non un piccolo gruppetto ma centinaia, migliaia, di persone.
"Devo essere in quelle cavolo di stanzine dove aspettano i combattenti o gli animali. Ma dove diavolo è quel ragazzo" si chiese, perplessa.
E fece la cosa più naturale per ogni umano, chiese: «C'è qualcuno?» chiese in latino, la lingua universale.
Vide un movimento nell'ombra e una voce chiedere: «È ora?».
Una figura, in controluce, comparve poco distante da Minerva.
Era alto poco meno di un metro e settanta, ad occhio e croce, ed era poco più piccolo di lei.
Riusciva a intravedere che i capelli erano di un castano scuro e gli occhi, azzurri e lucenti nel semi-buio, grandi, facendolo sembrare ancor più magro di quanto non fosse.
«Vieni qui. Ti posso aiutare.» disse Minerva, severa ed essenziale.
Non parlava il latino fluentemente, ma abbastanza.
Il ragazzo si avvicinò e, quando notò chi aveva di fronte, sgranò gli occhi.
«U-una do-donna?» balbettò perplesso.
«Mangia questo. È per comunicare meglio» e gli mostrò una pallina grigio chiaro, che permetteva di farsi comprendere da qualunque mago di qualunque lingua.
Il ragazzo, che non aveva nulla da perdere, prese la pallina velocemente e la inghiottì.
«Come ti chiami?» chiese Minerva tranquillamente.
«Chi sei? Come mi puoi aiutare? Come hai fatto ad arrivare fin qui?» chiese a raffica il ragazzino.
"Beh, è vero che non è proprio da tutti arrivare fin qui, se non sei un combattente." pensò comprensiva Minerva.
«Mi chiamo Minerva McGranitt. Ti posso aiutare se tu collabori e sono arrivata fin qui con la magia perché sono una maga. Come te. Ti posso aiutare a fuggire e portare alla scuola dove insegno: essa serve per aiutare i maghi figli di maghi o di babbani (persone non magiche) a controllare i propri poteri.» spiegò Minerva.
Il ragazzino si calmò e fece un sospiro, di leggero sollievo.
«Mi chiamo Maximus, per rispondere alla tua domanda di prima. Come mi puoi aiutare?» chiese, calmo.
«Beh, Maximus , aiutandoti ad uscire da qui. Ma non ora. Devi avere fiducia i me e nel mio piano. Io potrei entrare ora e smaterializzarmi con te a scuola ma sarebbe strano e ti cercherebbero. Ma non sembrerebbe strano se il leone ti sbranasse... Per finta ovviamente.» fece Minerva, enigmatica.
«Spiegati meglio. Manca poco.» pregò Maximus.
«Prima di tutto, vengo qui dentro con te.» iniziò e, con un colpo di bacchetta, aprì la grata e la richiuse dopo che fu entrata.
«Bene, ora ti spiego. Ora io trasfiguro questo» e indicò un giaciglio di paglia «In un corpo morsicato che ti assomiglia. Poi lo disilludo insieme a me.»
«Disiche?» domandò Maximus non capendo la parola.
«Disilludo. È un tipo di magia che ti permette di confonderti con l'ambiente circostante. Riprendendo da dove mi avevi interrotta... Ah sì, mi disilludo col tuo finto cadavere. Quando entrerai nell'arena ti seguirò e, quando arriverà il leone e sarà non troppo distante, farò alzare un nuvolone di polvere che confonderà tutto. Pietrificherò il leone. Allora toglierò la disillusione al finto te, spietrificherò il leone che vedrà subito quello lì e lo aggredirà. Io allora mi smateriallizerrò con te e, in quel momento, il vento si dissolverà. Lo "spettacolo" durerà niente ma almeno non rischiamo troppo. Però... Avrei da chiederti un favore.» "supplicò" Minerva, che intanto stava trasformando la paglia nel finto cadavere.
«Quale?» domandò, in risposta, Maximus.
«Devi creare te la nube di polvere. Perché sono già stanca: non è stato semplice arrivare fin qui e non sarà neppure una passeggiata tirarti fuori. Ti chiedo una piccola cosa. Prova a fare qualcosa più in piccolo qui» lo incoraggiò lei, concludendo la magia.
Michele si concentrò sulla polvere e immaginò che si sollevava e creava un piccolo tornado.
E la sua fantasticheria divenne realtà: vide la polvere alzarsi piano piano per poi girare su sé stessa, come sospinta da un piccolo vento che però non esisteva.
Il tornado divenne velocemente sempre più grande fino a diventare alto tutta la stanza.
Si sentirono dei passi in lontananza.
Il tornado di polvere sparì e Maximus si spaventò.
«Resta calmo » ordinò Minerva mentre si disilludeva insieme al finto cadavere.
Arrivarono due guardie e una gli diede una spadina e uno scudo.
Intanto la grata che dava sul Colosseo si stava alzando.
«Tranquillo, ci sono io accanto a te» sussurrò Minerva vicino a Maximus, facendosi udire solo da lui.
Quest'ultimo annuì impercettibilmente mentre, coraggioso, andava verso l'arena, accolto dagli insulti della folla e punzecchiato dietro dalle guardie che gli intimavano di sbrigarsi.
«Allenta la presa sullo scudo che dopo dovrai gettare vicino al foto te... E preparati con la magia, fa alzare una leggera polvere. Quando ti dico "Via" fa alzare un turbine di polvere» ordinò Minerva, ascoltata da Maximus mentre uno gridava: «Che lo spettacolo abbia iniziò!».
Allora, dall'altra parte dell'arena si aprì un'altra grata dalla quale sbucò un leone enorme, che ruggì.
Subito corse verso Maximus, il quale solo si mise in posizione difensiva mentre era concentrato a creare un sottile venticello di polvere, riuscendoci.
«Via!» semi-gridò Minerva.
Le sue parole furono inghiottite dal rumore della folla ma il ragazzo le colse lo stesso.
Alzò la mano libera e un enorme polverone si alzò intorno a lui, Minerva e il leone, oscurando il tutto agli spettatori, infastiditi da ciò per loro inspiegabile.
«Pietrificus Totalus!» urlò la maga immediatamente facendo immobilizzare il leone, pronto a spalancare le fauci.
«Butta spada e scudo vicino al tuo manichino, subito!» ordinò lei, ora visibile come il manichino a terra.
Maximus buttò immediatamente le cose sul manichino.
«Fa diminuire la polvere piano piano. Quando ti dico "Ora" falla smettere del tutto.» ordinò Minerva, pronta a sciogliere l'incantesimo sul leone e a smaterializzarsi.
Maximus annuì facendo abbassare la polvere piano piano, rendendo il tutto agli spettatori sempre più visibile.
Fra poco la polvere sarebbe stata così poca che avrebbero potuto vederli distintamente.
«Ora!» disse Minerva mentre la magia sul leone spariva.
Tutto successe nel giro di un secondo.
Maximus sciolse la polvere dal suo incantesimo, Minerva gli afferrò la mano e fece una materializzazione congiunta mentre il leone provava a fiondarsi su di loro, schivandoli, e finendo sulla finta carcassa.
Quello che videro gli spettatori li deludette: si erano persi quello che definivano "il bello dello spettacolo".
Durante la materializzazione congiunta Maximus ebbe l'istinto di vomitare ma, quando tutto quel turbinio confuso finì, si trattenne a aprì gli occhi.
Si trovò di fronte alla scuola, molto simile ad un tempio religioso a molti piani.
«È questa la piccola scuola di Magia in cui insegno. Benvenuto anche tu, anche se in ritardo...» augurò Minerva mentre Maximus rimaneva stupito a fissare la struttura.
«Come in ritardo?» chiese Maximus, che aveva sentito esattamente quelle parole.
«È perché si arriverebbe qui a 11 anni... Ma tu sei stato un mago sbocciato molto in ritardo o che ha fatto una o due magie di nessuna granché rilevanza da bambino, dato dove vivevi.» spiegò Minerva, paziente.
«Non posso vivere qui? Come credo abbia capito, i miei genitori mi hanno allontanato da casa... E allora il governo mi ha mandato nell'arena a morire per il loro divertimento» notò in in sussurro lui.
«Ovvio! Molti sono stati allontanati, essendo solo in parte o niente figli di maghi» spiegò lei.
«Anche se non mi è mai capitato che venissero usati come bestie da macello» notò in un sussurro la donna, non sentita dal ragazzino.
«Non è solo una scuola allora. È anche una casa. Una casa per chi è diverso, strano...» notò il ragazzo.
«Non strano, speciale» puntualizzò Minerva con un sorriso sulle labbra.
N/A: ecco la seconda One Shot SevLilyPeeta_03 e piccolaGranger
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