28 • STORMYVENETIA
E, insomma, alla fine sono finita di nuovo sul giornale per davvero.
Nuovo articolo, nuovissimo fatto di cronaca, solita vecchia foto. Solo che stavolta è in prima pagina, più enorme, brutta e sgranata che mai.
Lancio il giornale sul letto della mia camera e mi poso una mano sulla fronte rattoppata. Sono stata trattenuta ventiquattr'ore all'ospedale per sicurezza, vista la botta in testa, poi sono stata mandata a casa con tre punti di sutura e un patetico cerotto proprio all'attaccatura dei capelli.
Pazienza.
I miei genitori, quando hanno saputo cosa fosse accaduto, hanno dato di matto e si sono presentati qui per riportarmi a casa. Per fortuna sono riuscita, seppur con immane fatica, a convincerli ad andarsene promettendo che sarei tornata il prossimo fine settimana. Così mi hanno comprato il biglietto del treno e se ne sono tornati a Londra con Luigino.
Non posso restare qui per sempre, lo so bene. Ma c'è una cosa che ho rimandato per troppo tempo e che, prima di rientrare, devo assolutamente affrontare: credo che sia arrivato il momento di accantonare per un attimo brutali omicidi, infamanti accuse a sfondo razziale, colluttazioni nel bosco e patetici cerotti sulla fronte per godersi uno sfrenato e meritatissimo piacere carnale.
E, infatti, questa sera ho invitato Danny a casa mia. Ho insistito affinché la nonna non rinunciasse a uscire per andare alla riunione del circolo del bridge delle diciotto o qualcosa del genere, nonostante fosse preoccupatissima all'idea di lasciarmi sola a casa, tanto per cominciare.
Dopodiché ho mandato un audace messaggio a Danny contenente un'allusione tanto sottile quando assolutamente inequivocabile, per invitarlo a raggiungermi qui dopo il lavoro. Poi mi sono fatta la doccia e lavata i capelli imprecando nel vano tentativo di non bagnare il cerotto (ok, in ospedale mi avevano vietato di farlo almeno fino alla rimozione dei punti, il che è del tutto assurdo e denota una totale assenza di comprensione, da parte del personale sanitario, di quelle che sono le più basilari dinamiche tentatrici del piacere carnale. Fatta eccezione per Suzy, ovviamente, perché, in effetti, credo proprio che lei abbia un'idea molto precisa di quelle che sono le dinamiche tentatrici del piacere carnale. Ma lei non si è ancora svegliata e quindi, per il momento, non fa testo) e ora osservo il mio set da dodici mutande con gli animali, che ho sistemato a ventaglio sul letto, domandandomi quali siano le più opportune da indossare.
In realtà ne ho già esclusa qualcuna. Sono alla ricerca di un look leggero e spiritoso che si discosti il più possibile dalle Smarties e dai sottili filamenti di neoprene con cui Tender Molle pare sia solita coprirsi i punti sensibili e che possa alleggerire un po' la tensione degli ultimi giorni.
Quale sarebbe la più leggera e spiritosa tra queste bestie? Forse la foca? O questa specie di grosso ratto? Ok, siamo seri. A chi piacciono ancora le foche, da quando sono stati resi pubblici quei terrificanti video in cui aggrediscono e divorano pinguini innocenti? A nessuno. E, quindi, vada per la pantegana gigante.
Mi disfo dell'accappatoio, mi insacco a forza nelle mutande per adolescenti e mi guardo allo specchio. Non sono sicura. Non ho un reggiseno da abbinarci.
Sto seriamente valutando la possibilità di tornare a prendere in considerazione la foca (cioè, è chiaro che mi dispiaccia per i pinguini ma, i pinguini non me ne vogliano, non abbastanza da rischiare di compromettere il mio meritatissimo piacere carnale) che, improvvisamente, qualcuno bussa alla porta della mia camera.
Ma sì, dopo tutto quello che ho passato, cosa me ne frega del reggiseno? Tanto Danny me lo strapperebbe comunque di dosso tra pochi minuti, tanto vale risparmiargli la fatica. Sarà troppo da sfacciata accoglierlo con solo uno striminzito paio di mutande addosso?
Ma no, mi dico, ripensando a Tender Molle e ai suoi pezzettini di neoprene.
«Avanti!» rispondo, mi adagio sul letto in una posa seducente e mi ravvio un'ultima volta i capelli.
«... anche perché, in fondo, il prodotto vettoriale tra il braccio della forza e la forza stessa è solo una convenzione... Peppa?»
Edison, appena entrato nella mia stanza insieme a Danny ma un passo davanti a lui, smette di parlare e lancia un urlo dell'altro mondo.
«Dio mio!» grida, poi si volta di spalle.
«Che... che accidenti ci fa lui qui?» urlo, saltando in piedi e cercando malamente di coprirmi le tette con le mani.
«Oddio, Peppa, scusami» farfuglia Danny, e si volta anche lui, così me li ritrovo tutti e due girati di spalle. «Mi hai detto che volevi parlare del momento torcente e così ho pensato che...»
«Ma non intendevo parlare... per davvero! E men che meno del momento torcente!»
«Scusami, scusami, ti prego» ripete. «Edison, forse è meglio che tu vada...»
«Forse» gracchio. «Sperando che il mio ratto sia stato di tuo gradimento».
«No... è un... un capibara» farfuglia.
«Che cosa??»
«Il roditore che hai sulle... secondo la tassonomia linneana...»
«Grazie, Edison» gli dice Danny, battendogli un colpetto sulla schiena. «Puoi andare. Scusami per l'equivoco».
Aggranfio l'accappatoio e me lo infilo in fretta e furia.
«Peppa, perdonami, ti prego... siamo arrivati un po' in anticipo e ci ha aperto tua nonna...» mi dice Danny, ancora girato di spalle. «Non avevo capito, io...»
«Va bene, non fa niente» rispondo, e la mia voce ha un tono leggermente più isterico di quanto sperassi.
«Ti aspetto di sotto?» mi domanda. «Così intanto sistemo quel forno...»
«Ok, ok» rispondo. «Scendo tra dieci minuti».
Va bene, non è la fine del mondo, in fondo. Cioè, avrei sicuramente preferito dedicare la serata a godere dello sfrenato piacere carnale che Danny può offrirmi piuttosto che a starmene qui seduta al tavolo nella cucina della nonna a rigirarmi tra le mani il giornale con la mia foto orrenda mentre lui cambia la resistenza al forno.
«Ecco fatto» dice, mettendosi a sedere. «Così tua nonna non dovrà più preoccuparsi del suo salvavita e potrà ricominciare a preparare i biscotti».
Siccome non so cosa rispondere mi limito ad annuire.
«Scusami tanto» sussurra, ancora seduto sul pavimento. «Sono un idiota».
«Non fa niente» rispondo, e sappiamo entrambi che sto mentendo e che, se avessi saputo che l'alternativa era farmi vedere praticamente nuda da Edison Oldroyd, avrei preferito infilare una mano nel forno della nonna e andare incontro a una dignitosissima morte per folgorazione. Ho bisogno di allentare un attimo la tensione. «L'altro giorno hai detto che avevi qualcosa da farmi vedere. Cos'era? Hai anche tu un mastodontico roditore sulle mutande?»
«No» risponde, passandosi una mano tra i capelli in un movimento talmente sexy che, se non mi avesse beccata con le mutande con il surmolotto e nient'altro addosso solo mezzora fa — e se, quindi, non aleggiasse tra noi questo affettato imbarazzo — giuro che gli salterei addosso. «Dio, Peppa, scusami ancora...»
«Non fa niente» rispondo, di nuovo.
Danny si alza in piedi e va a sciacquarsi le mani al lavandino.
«Ti ci porto stasera, se vuoi» dice.
«Perché non subito? Ora sono curiosa».
«Pensavo...» dice, e si china su di me per baciarmi, «che potremmo rimanere un po' qui...»
Beh... ok. In fondo, forse, questi incidenti sembrano drammatici solo nel momento stesso in cui vengono vissuti. Chissà, questo incresciosissimo episodio potrebbe trasformarsi in uno spassoso aneddoto da raccontare agli amici, tra dieci anni.
Ti ricordi quella volta che tu ed Edison Oldroyd mi avete sorpresa con le mutande con il ratto gigante e poi, la sera stessa, abbiamo finito per fare sesso sfrenato sul pavimento della cucina della nonna?
Uh, ok, magari tra venti.
Ma, comunque, non faccio in tempo neanche ad annuire che Danny mi solleva con le sue braccia realmente possenti e mi issa sul piano della cucina che, per fortuna, è in muratura e quindi non rischia di sfondarsi nonostante la foga con cui ci stiamo baciando e strappando i vestiti di dosso.
«Quindi, alla fine, sembra che il mio capibara non ti dispiaccia» sussurro, quando sono di nuovo rimasta con solo quello addosso, mentre lui mi mordicchia il collo.
«Dio, lo odio» risponde, ansimando sulle mie clavicole. «Dobbiamo liberarcene subito».
Salto giù dal piano della cucina e gli accarezzo lentamente il torace svestito sperando che non mi venga un infarto. Lo bacio sul collo e sul petto e, nel frattempo, scendo con le mani a cercare i bottoni dei suoi pantaloni. Inverto le nostre posizioni in modo che sia lui ad appoggiarsi contro la cucina e, risoluta, uno dopo l'altro, apro tutti i bottoni. Ho già agganciato l'elastico dei suoi boxer quando, tutto a un tratto, mi torna in mente l'agghiacciante tête-à-tête con Peter e le nefaste e inarrestabili conseguenze innescate dalla mia performance.
Oh, fanculo, Danny non è Peter. Non permetterò a quell'idiota di rendermi così insicura. Così mi faccio coraggio e libero finalmente il mio premio da quegli inutili indumenti.
«Oddio... Danny... cioè...» farfuglio, sconvolta. «Cioè... è.... perché è così bello?»
«Ecco... non saprei» ansima lui.
«No, sul serio...» annaspo, incredula, «... cioè... è bellissimo».
Non ne ho mai visto uno così. Non sono sicura di aver capito in cosa si diversifica dagli altri ma... è stupendo. È un'opera d'arte che non smetterei mai di contemplare e che, quasi quasi, mi dispiace non poter condividere con altri potenziali estimatori. È come se... come se mancasse un pezzo di...
Miseria, ho capito tutto. Ho trovato la chiave.
Ride Me: circoncisione.
«Se qualcuno mi chiedesse cosa più mi piace di te» sospira Danny, passandomi una mano in mezzo ai capelli. «Risponderei che sono i tuoi complimenti senza senso. Nessuno, prima di te, me ne ha mai fatti tanti».
«Se qualcuno mi chiedesse cosa più mi piace di te, risponderei che è il tuo pisello» rispondo, trasognata.
Bene, è il momento. Siamo finalmente pronti ad abbandonarci allo sfrenato piacere carnale. Devo solo prendere un bel respiro e...
Suona il citofono. Cazzo.
«Non apriamo» faccio in tempo a dire, prima che il citofono prenda a suonare di nuovo, stavolta più insistentemente.
«Penso che sia meglio andare a vedere che succede» mi dice lui, rinfoderando le armi e sottraendo quella meraviglia alla mia vista.
I miei vestiti sono tutti sparpagliati sul pavimento della cucina, così infilo la maglietta di Danny e nient'altro e, scocciatissima, mi dirigo verso la porta.
«Che accidenti succede?» domando, spalancandola.
Le persone che mi compaiono davanti fanno un balzo indietro di fronte alla mia furia.
«Posy?» mi domanda Simon, preoccupato. «È tutto a posto?»
«Simon?» starnazzo, sconvolta. «Che ci fai qui, insieme a...»
No, non è possibile.
«Buonasera, Giuseppina» mi saluta Belinda, per niente a suo agio di fronte alla mia mise da amplesso interrotto.
«Possiamo entrare?» mi chiede Simon. «Abbiamo delle cose molto importanti da dirti».
Tanto, ormai.
Faccio strada fino al soggiorno, camminando davanti a loro a piedi scalzi e con indosso solo la maglietta di Danny. Non che sia la maglietta il problema, intendiamoci. Anzi, girare per casa con indosso nient'altro che la maglia over size del proprio ragazzo dopo uno sfrenato round di sesso estremo potrebbe addirittura essere una cosa sexy. Cioè, sarebbe una cosa sexy, se qui davanti a me e alle mie cosce nude non ci fossero la mia editor e il mio ex ragazzo omosessuale e, sopratutto, se avesse effettivamente avuto luogo uno sfrenato round di sesso estremo.
«Quindi?» chiedo, sbrigativa, mentre loro prendono posto intorno al tavolo da pranzo. «Simon, mi dispiace per quella telefonata, l'altro giorno. Ero sconvolta. Ma il caso di Suzy ormai è stato risolto, quindi...»
«Non è per Suzy che sono qui. È per Peter» dice, poi si accorge della presenza di Danny che si è purtroppo infilato la felpa e sta venendo a sedersi accanto a me. «Oddio, non sapevo che avessi ospiti».
Eh. Eppure, anche ora che lo ha saputo, non sembra intenzionato a perdersi d'animo. Anzi, siccome non indossa la cravatta, si sbottona il primo bottone della camicia, si schiarisce la voce e inizia a sparpagliare sul tavolo alcune scartoffie.
«Questo è tutto un dossier su Peter» mi dice, porgendomi un raccoglitore.
«Hai messo su un intero dossier in due giorni?»
«Ovviamente no. Era già in mio possesso».
«E perché mai?» domando. «Lo conoscevi già?»
«Direi di sì» sospira. «Visto che intenta più o meno due cause l'anno al mio assistito».
Sono nel pool di legali di un personaggio importante.
«Oddio, Simon... sei l'avvocato di Marcus Melon?»
«Sì» conferma. «Ma non è questo il punto, adesso».
«Vedi, Giuseppina» interviene Belinda, e intanto lancia un'occhiata vogliosa a Danny. «A me il sospetto era venuto subito, nel momento stesso in cui era stata approvata la pubblicazione di quello schifo di Ride Me».
«Il sospetto? Che sospetto?»
«Il sospetto che ci fosse qualcosa sotto» risponde. «È vero che vengono pubblicate tante schifezze, al giorno d'oggi. Ma Ride Me, in particolare, era veramente una merda dell'altro mondo...»
«Va bene, ho afferrato il concetto» ribatto, stizzita.
«...così, quando Simon ha telefonato in sede presentandosi come tuo legale e chiedendo delucidazioni riguardo il tuo contratto, i miei sospetti si sono intensificati. Ho cercato e scartabellato e ho trovato questi» dice, porgendomi un documento.
«Devi leggere bene prima di firmare, Posy» dice Simon, scuotendo la testa.
Osservo il foglio che Belinda mi ha messo in mano e vedo subito che, in effetti, in fondo c'è la mia firma.
«Cos'è che dovrei vedere?»
«Leggi qui» sussurra Danny, picchiettando con il dito su una postilla microscopica in fondo alla pagina.
Il romanzo viene ceduto, per contratto, integralmente al committente. È quindi resa impossibile la rivendicazione di paternità dell'opera.
«Significa che non posso... cedere la storia ad altre case editrici... no?» bofonchio, perché in realtà ho capito benissimo cosa significa.
«No» risponde Simon, infatti. «Significa che hai venduto loro tutta la tua opera, diritti compresi. Hai firmato qualcosa che sarebbe simile a un contratto da ghost writer, se solo tutelasse anche te, in qualche modo».
«Non... non mi tutela?»
«Per nulla» risponde, scuotendo la testa. «Con tutta la buona volontà, Posy... con un contratto del genere in duplice copia, temo che...»
«...che Ride Me sia perduto per sempre» conclude Belinda. «Ormai è in mano loro. Non riuscirai a riappropriartene. Riceverai tutto il compenso stabilito, comunque, ovviamente».
Questa notizia è terribile. Mi sconvolge.
Cioè, in effetti no. Non è vero.
Non mi piace l'idea di essermi fatta raggirare, ovviamente, ma più che sconvolta mi sento come... non lo so... sollevata?
«Ma... cioè...» balbetto, frastornata. «Cosa c'entra questo con... con Peter?»
«Guarda qui» mi dice Belinda, porgendomi altri fogli, la stampa di un serrato scambio di email tra la Allen & Hawkes e il signor Potato, iI padre di Peter. Il tono è confidenziale, a dire poco.
... il nuovo romanzo autobiografico... un Peter Potato come non lo avete mai visto... romanzo d'esordio del poliedrico artista...
«E qui ci sono delle bozze di quarte di copertine e di strilli editoriali» spiega Belinda.
«Loro vogliono... cioè, vogliono pubblicare Ride Me a nome di Peter?»
«Sì» conferma Simon. «E lo faranno. A livello legale sono a posto».
«A livello legale saranno anche a posto» ribatto. «Ma il romanzo è stato letto da migliaia di persone! Tutti sanno che non è stato lui a scriverlo!»
«No, non è vero» mi contraddice Simon. «Visto che hai pubblicato usando uno pseudonimo».
«Ma sul sito mi sono registrata con i miei dati!» protesto. «Ho le prove, potrei...»
«No, Peppa» mi dice Danny, indicandomi un'altra minuscola riga sul contratto, «Non puoi. Guarda qui. È un accordo di riservatezza».
«Simon te l'ha detto, Giuseppina. Questo contratto è inoppugnabile» interviene Belinda. «Del resto quelli della Allen & Hawekes non sono nati ieri»
«E, visto ciò che mi hai raccontato di Peter, scendendo anche piuttosto, ehm... nel dettaglio, mi sentirei di azzardarmi a formulare un'altra ipotesi» aggiunge Simon. «Credo, ma potrei sbagliarmi, che Peter volesse intraprendere una relazione con te per avere le spalle coperte, nel caso in cui fossero insorti dei problemi. Non sarebbe la prima volta che fa una cosa del genere, purtroppo».
No, infatti. Non sarebbe la prima volta. Danny mi passa un braccio intorno alle spalle. Per rassicurarmi, o forse per rassicurare se stesso, non lo so. So solo che Peter Potato ci ha creato fin troppi problemi.
«Non credo neanche sia del tutto colpa sua» riprende Simon anche se, a giudicare dal tono della sua voce, sembra assolutamente disgustato da Peter e da tutta questa storia, «quanto piuttosto delle persone che ha dietro. Il padre, in primis, ma anche il suo agente e tutti gli avvoltoi che si sono arricchiti grazie al suo impero. Impero che, da quando i Fruit Salade Recipe sono saliti alla ribalta, pare sia destinato ad avere vita breve. È per questo, forse, che si sono abbassati a ricorrere a simili mezzucci».
Rimaniamo tutti in silenzio per qualche secondo. Sono contenta di essermi liberata di Ride Me, lo ammetto. Avrò il mio compenso e potrò evitare di vedere il mio nome associato per sempre a quel librodimerda. Però mi infastidisce che Peter Potato e la Allen & Hawkes la facciano franca senza nessuna conseguenza.
Belinda, forse intuendo il mio stato d'animo, si allunga sul tavolo e mi prende le mani tra le sue.
«Mi dispiace tanto» dice, e io penso che forse l'avevo giudicata male e troppo in fretta.
«Grazie, Belinda, io...»
«Però, se ci pensi, la vera punizione, per loro, sarà essere costretti a stampare i propri nomi sulla copertina di quella merda di libro» aggiunge poi, e io penso che non l'avevo giudicata né male né troppo in fretta. «Ma ascoltami. Il tuo teen mystery... quello è una bomba. Ed è ancora tuo. Lascia pure quella porcheria a Peter Potato e a quei quattro poveracci venduti della Allen & Hawkes».
«Dici davvero?»
«Certo. E ti dico anche un'altra cosa: io me ne sono andata. Mi sono licenziata. Lavoro in questo campo da dieci anni e credo di avere una certa esperienza. Darò fondo alla liquidazione e a tutti i miei risparmi e aprirò la mia piccola casa editrice. Non sarà la Allen & Hawkes, certo, e dovrai rinunciare al circolo di equitazione, a quella tua odiosa sagna brodosa di Ronja e a quello sgorbio di Percival Parker-Potato. Ma io, in cambio, ti prometto serietà e trasparenza. E quindi, te lo chiedo ora davanti a tutti: vorresti pubblicare con me?»
«Alla fine è andata piuttosto bene» mi dice Danny, parcheggiando la macchina davanti al suo capannone. «Belinda mi sembra in gamba».
«Sì, lo è» concordo.
«Sarà dura, per te, rinunciare ai tuoi protagonisti?»
«No, non tanto» mi rendo conto. Anzi, non sono sicura di essere ancora in grado di scrivere di Ronja, dopo tutto quello che è successo. Credo proprio sia arrivato il momento di lasciarla andare insieme al suo amato Percival Parker-Potato. Loro due non mi riguardano più. «E poi ne ho già un'altra pronta, sai? Si chiama Prudence. Quello che sarà difficile, piuttosto, sarà trovare un nuovo titolo. Sono proprio negata per queste cose. Che ne pensi di Mare di Merda? Sarebbe una tua citazione, tra l'altro».
«Lo apprezzo molto» sorride. «Ma credo sia il caso di cercare qualcos'altro».
«Però sarebbe proprio perfetto» insisto, «e non solo come metafora ma anche in senso letterale, se pensiamo al pozzo nero... ok, mando un messaggio a Belinda e le chiedo cosa ne pensa».
«Comunque, se il mio parere dovesse interessarti, non credo che Ride Me fosse così brutto» aggiunge, mentre io digito freneticamente sul telefono.
«Cosa? Non mi dirai che... lo hai letto?»
«Non tutta la saga» precisa. «Però sì. Più che altro sono stato costretto. Molly ne andava pazza».
«Ma... cioè...» mi impappino, perché non voglio pensare di aver contribuito ad alimentare la fissazione di Molly per Peter Potato, visto che sappiamo bene come poi è andata a finire. «Come hai fatto a scoprire che ero io l'autrice? Ho sempre usato uno pseudonimo, online...»
«Ma non l'ho scoperto. L'ho sempre saputo. Vieni con me» dice, e si dirige verso il carrello sul quale, fin dalla prima volta in cui ho messo piede in questo capannone, sotto un telone bianco, è issata una cosa enorme. Resto esterrefatta a osservarlo tirare faticosamente via il telo e ciò che ne fuoriesce mi lascia senza parole e con il respiro mozzato.
«Danny...» balbetto, «ma questa... è la barca di mio nonno?»
«Sì» risponde.
«Dove... credevo fosse stata rottamata...»
«L'ho ricomprata al cantiere navale, infatti».
«Ma tu l'hai... aggiustata?»
Non trovo le parole. È la stessa piccola barchetta a vela del nonno con la battagliola bianca, i camminamenti in teak e... e con la murata blu su cui è scritto, con un ricercato carattere corsivo, StormyVenetia. Il nome della barca e il mio pseudonimo.
«Vieni» mi invita, porgendomi la mano, a salire sulla scaletta.
Sono certa che mi stia dicendo delle cose, ma la sua voce mi giunge alle orecchie da lontano, mentre mi guardo intorno estasiata e faccio scivolare le dita sopra qualsiasi superficie in cui si imbattano le mie mani.
... stazione meteo... randa avvolgibile fissa... bompresso... trinchetta di riserva...
«... tenditore per strallo di poppa» conclude.
«Tu... hai fatto tutto questo per me?» chiedo, con un filo di voce.
«Sì» risponde. «Quando Susan ci ha detto che avevi accettato il suo invito e che saresti tornata... ho pensato...»
Oddio, è in imbarazzo. È così... carino. Oltre ad essere sessualmente irresistibile e tutto il resto, certo. Mi avvento sulle sue labbra prima che abbia il tempo di finire la frase.
«Il tenditore per lo strallo di poppa è stupendo» gli sussurro. «Ma, dimmi... qualcuno sa che siamo qui?»
«Non credo».
«A qualcuno potrebbe mai venire in mente di venirci a cercare?»
«Direi proprio di no».
«E, per caso... c'è una doccia, giù in cabina?»
«Non ricordo» risponde, con un sussurro roco e sexy. «Vogliamo scendere a controllare?»
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E insomma, ragazze, siamo arrivate alla fine ç_ç
O FORSE NO?
Cioè, la storia sarebbe finita. Tutte le faccende sono state risolte e il povero Danny è finalmente finito nelle spietate grinfie di Peppa. Però la scena dopo i titoli di coda a cui vi accennavo l'altro giorno, come prevedibile, alla fine è diventata lunga come un capitolo normale e quindi per non ammorbarvi pubblicando due capitoli nello stesso giorno, la pubblicherò domani.
Baci baci
🦉AppleAnia🦉
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