2 • LA PRIMA REGOLA DEL SUCCESSO

«Ok, hai urgente bisogno di ridimensionare e contestualizzare» mi dice al telefono Delphine che, oltre a essere mia amica, è anche la mia coinquilina e la mia insegnante di yoga nonché, all'occorrenza, psicoterapeuta della domenica.

«Cos'ho da ridimensionare? Non mi sono laureata in scienze infermieristiche con il massimo dei voti e non sono fidanzata con un uomo rispettabilissimo che studia ingegneria e che ogni ragazza vorrebbe nel suo letto».

«Hai mai desiderato laurearti in scienze infermieristiche?» mi domanda Delphine, perplessa.

«Beh, no» ammetto. «Ma, se anche avessi voluto, lei l'avrebbe fatto prima e meglio di me».

«Gli obbiettivi e i tempi per raggiungerli non sono uguali per tutti, Posy» dice Delphine. «E tu, con i tuoi tempi, hai conseguito i tuoi. Hai firmato un contratto con la Allen & Hawkes, per la miseria! Lei ha firmato un contratto con la Allen & Hawkes, per caso?»

«Non che io sappia» ribatto, contrariata. «Ma la sua tesi di laurea è stata pubblicata sul British Medical Journal. Me lo ha detto la nonna».

«Ma chi se ne frega del British Medical Journal!» risponde. «A chi vuoi che interessi?»

Cioè, non lo so. A me no di sicuro.

«A mia madre, per esempio» piagnucolo. «E anche a mio padre, in fondo. E, infatti, entrambi sono convinti che Susan sarebbe stata la figlia perfetta e che io sia un inutile impiastro».

«Cambieranno idea» dice Delphine che però, evidentemente, non ha il coraggio di negarlo. «Cambieranno idea quando uscirai in libreria. E allora, per ricambiare la cortesia, potrai invitare Susan Ellis e il pezzo di stoccafisso del suo fidanzato al tuo favoloso party di lancio. A te manca solo un uomo da esibire per l'occasione. Un maschio da expo. Concentrati per trovarlo».

Sì, mi manca solo un maschio da expo. Un maschio da expo e un manoscritto decente da presentare alla casa editrice. 

«Scusami, Posy» dice Delphine, approfittando del mio silenzio, «ora devo andare. Ho le clienti che mi aspettano di là per la lezione. Ci sentiamo domani, così mi racconti della festa».

Riaggancio, depressa. Non sono mai riuscita a mitigare l'impietoso paragone tra me e Susan che, praticamente da sempre, è sotto gli occhi dei miei genitori. E quello che è assolutamente sicuro è che non ci riuscirò neanche stavolta, uscendo in libreria con il mio librodimerda.

È iniziato tutto per caso, quasi per noia. Ero al terzo anno della facoltà di lettere e, già da un paio d'anni, uscivo con Simon, un figone originario dello Yorkshire proprio come me e che si era da poco laureato in giurisprudenza. Simon, dopo anni di insuccessi e cocenti delusioni, è stato la prima cosa di cui mia madre potesse finalmente andar fiera, il primo motivo che, a quanto pare, le avessi fornito per essere orgogliosa di me.

Poi, poco prima del lockdown, Simon, di punto in bianco, si è preso di coraggio e mi ha scaricata per mettersi con un contabile maschio che lavorava nello stesso studio in cui stava facendo pratica. E così è finita la mia prima e unica relazione stabile e, insieme a essa, le già scarse speranze che mia madre aveva riposto in me e nel mio futuro.

In aggiunta a ciò, da un giorno all'altro, mi sono ritrovata chiusa in casa senza poter uscire per via delle misure restrittive. Quindi, un po' per gioco e un po' per contrastare la schiacciante disperazione che, giorno dopo giorno, stava rischiando di avere la meglio sulla mia psiche già molto provata, ho cominciato a scrivere e pubblicare online Ride Me, la mia umiliante fan fiction ambientata nella brughiera dello Yorkshire.

Ineffabile saga trash in cinque volumi che comincia con l'incontro casuale della mia protagonista OC, Ronja, nordica vergine acqua e sapone, con Peter Potato — sì, quel Peter Potato, il frontman e cantante dei PC/SC, la cui musica mi ha accompagnata per l'intera stesura—, e finisce in una indicibile sequela di depravatissime prodezze sessuali all'interno del perverso circolo di equitazione di cui entrambi sono membri. Agghiacciante mostruosità letteraria di cui ho curato personalmente anche il lato grafico ed estetico, confezionandone persino la copertina: 512 per 800 pixel integralmente occupati da uno sconcertante primo piano del fondoschiena di Peter Potato fasciato da calzoni da cavallerizzo.

Ancora adesso non ricordo bene cosa avessi in mente mentre scrivevo una simile atrocità, oltre al testo della canzone Vegetables in the Wind, che ascoltavo a ripetizione anche trenta volte al giorno. Niente, probabilmente, considerando la quasi totale assenza di trama, l'assoluta sciatteria narrativa e la banalità dei dialoghi e delle dinamiche tra i personaggi.

Eppure è piaciuta.

Il giorno stesso in cui Ride Me ha raggiunto i tre milioni di visualizzazioni, ho ricevuto l'email dalla Allen & Hawkes e — dopo un primo, lungo momento di incredulità — per un attimo, sono stata tentata di rifiutare. Ride Me non era stato scritto per la pubblicazione, miseriaccia. Ride Me era uno dei tanti scriteriati abusi dell'HTML che circolano nel web, una cosina buttata giù senza impegno giusto per placare i bollori delle tredicenni bloccate a casa per il lockdown (e anche i miei). Ma non avrei mai preventivato né voluto che il mio nome fosse associato per sempre a un librodimerda.

Poi, però, vista la penosa assenza di traguardi importanti nella mia vita, ho pensato: magari è la volta buona che riesco a combinare qualcosa di concreto.

"Vedrai, con Ride Me faremo il botto" mi ha detto l'editore, durante la nostra ultima videochiamata. "Cambia nome al protagonista e inizia a pensare a un sottotitolo per il primo libro. Sfoltiscilo di almeno cinquantamila parole. Non tagliare le scene di sesso, mi raccomando. Taglia tutto il resto, piuttosto. Ti farò affiancare dalla nostra editor migliore, vedrai, è formidabile. Su, su. Va' a farti un giro nella brughiera, non sei originaria di lì? Vedrai che ti sarà di grande ispirazione".

Ok, ho pensato, alla fine si tratta solo di prendere quell'informe accozzaglia di banalità, luoghi comuni e roventi scene di sesso — spesso al limite del trash e, ancora più spesso, ben oltre quel limite —, e trasformarlo in qualcosa di leggibile.

Belinda, la formidabile editor della casa editrice incaricata di seguirmi durante tutto l'infame processo, invece, si è mostrata da subito ostile. L'unica volta in cui l'ho incontrata di persona mi ha a malapena guardata in faccia e non ha quasi aperto bocca se non, un paio di volte, per bofonchiare qualche tetra constatazione sulla morte della letteratura, lasciando intendere neanche troppo velatamente che io e il mio librodimerda, in qualche modo, avessimo fornito un sostanziale contributo al decesso.

Comunque, seppur non del tutto convinta, ho preso l'inaspettato invito di Susan come un segno, e quindi eccomi qui.

Insomma, la Allen & Hawkes (con o senza la formidabile approvazione di Belinda) vuole davvero pagarmi per commercializzare quella merda. E io ho un disperato bisogno di soldi. Soldi che mi permetteranno di cominciare a sperare di riuscire, prima o poi, a lasciare il divano di casa di Delphine e a costruirmi un futuro di cui mia madre possa vantarsi con le sue amiche durante le riunioni senza obbligo di acquisto della Tupperware.

In ogni caso, una cosa giusta Delphine l'ha detta. Avere un buon manoscritto da presentare all'editore non è tutto, per diventare una scrittrice di successo. E quindi, visto che l'ispirazione scarseggia, incanalerò tutte le mie energie nella ricerca di un maschio da expo. Un uomo della brughiera, alto e ben piazzato, il cui fisico statuario ne riveli l'inclinazione al sacrificio del duro lavoro di campagna e la sua passione per le tonificanti passeggiate all'alba.

Sì. Concentrarsi su un obiettivo alla volta è la prima regola del successo.

Rinvigorita da nuova determinazione, torno da Luigino in salotto.

Polly, il pappagallo della nonna, attira la mia attenzione sbattendo le ali dentro la sua gabbia accanto alla finestra.

«Ciao, Polly» le dico, aprendole la porticina.

«Peggy! Peggy!» mi urla lei, in risposta. Fuoriesce dalla gabbia e va ad appollaiarsi sul suo trespolo vicino al televisore.

«Polly» ripeto io.

«Peggy! Peggy!»

«Va bene» le concedo. «Trovi che questo vestito mi stia bene, Peggy?»

«Perché?» gracchia. «Perché?»

«Perché devo andare a una festa e vorrei essere carina» rispondo, ma inizio a sentirmi un'idiota.

«Perché?»

Mi guardo intorno, affranta, finché il mio sguardo non cade su un vecchio comò all'angolo della stanza ingombro di carte, di vasi e di cornici.

«Guarda!» esclamo, prendendo tra le mani uno dei portaritratti. «È la mia classe dell'asilo!»

Suzy, con la camicetta rosa e morbidi boccoli chiarissimi che ricordano il manto soffice di una pecorella, è seduta tutta impettita proprio al centro del gruppo. Io sono al suo fianco, sempre un passo dietro di lei. Ci sono tutti quelli che, fino al momento del mio trasferimento, sono stati i miei amici più stretti. C'è persino la signorina Lindsay, la mia maestra.

Risistemo il portaritratti sopra il suo centrino e, nel farlo, noto una lettera ancora chiusa appoggiata proprio lì di fianco. È un atto giudiziario quindi, probabilmente, una multa. Solo che l'intestatario non è la nonna ma un certo signor Davies che, se non vado errata, dovrebbe essere il padre di Fox, il mio ex compagno di classe.

Raggiungo Luigino e gli sventolo la lettera davanti alla faccia. Lui ha appena spento la PlayStation e mi lancia un'occhiata veloce e poco interessata.

«Mi sta bene questo vestito?» domando, senza più dignità alcuna, cogliendo l'attimo.

«È veramente orrendo» risponde, stiracchiandosi. «L'hai trovato nell'armadio della nonna?»

«No» sbuffo, offesa. «Ma non siamo a Londra, qui. Siamo in campagna. Non voglio sembrare eccessiva».

«Sembri una stracciona» dice lui.

E, allora, visto che sono stata provocata, raggiungo la vecchia cameretta della mamma nella quale mi sono insediata per questi giorni di permanenza, spalanco l'armadio e tiro fuori il mio pezzo forte. Un abbagliante abito in lamé color corallo chiaro, con la gonna longuette e una vertiginosa scollatura sulla schiena.

Forse non è proprio l'ideale per una serata rurale in un casale di campagna da trascorrere con gli amici. Sto ancora riflettendo sulla potenzialmente eccessiva rifrazione del fuoco scoppiettante (sul quale arrostiremo deliziose bruschette all'aglio o qualunque altra cosa siano soliti fare da queste parti il sabato sera) sul lamè, quando mi rendo conto di non avere alternative. Gli abiti eleganti che ho con me sono questi due: il lamé o lo chemisier verdone. E, con lo chemisier verdone, le possibilità di ghermire il maschio da expo si riducono notevolmente.

Mi porto i lunghi capelli ondulati tutti su una sola spalla e li fisso con qualche forcina e una generosa quantità di lacca; infilo le mie Louboutin nude col plateau e prendo la borsa e il cappotto.

Sono pronta. Stasera incontrerò il maschio da expo, me lo sento. E, a quel punto, resteranno solo un sottotitolo e cinquantamila parole da sfoltire a separarmi dal successo.

Dunque, finora abbiamo scherzato ma da questo capitolo si parte col trash vero. Lo dico nel caso in cui non ve ne foste accorti ahahah

Colgo l'occasione per avvisarvi che in questa storia, da un certo momento in poi, sarà necessario iniziare a raccogliere indizi. E voi sarete costretti a farlo con una voce narrante che non sempre è attendibile, parla una cifra e pone continuamente l'attenzione su cose assolutamente inutili. Sarà bellissimo ahahahah

Che dite, Peppa troverà il suo maschio da expo alla festa? Chi sarà? 🌝

E, a proposito della foto nel portaritratti, riconoscete qualcuno? Tra qualche capitolo la vedremo più da vicino, comunque 🌝🌝

Baci baci

🦉AppleAnia🦉

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