c a p i t o l o 17 - Come in apnea

Fa freddo; Rikki lo avverte persino nelle ossa. Sarà perché non è coperta più di tanto, o perché il sangue, nel vedere Bethany e Conrad, ha assunto le sembianze del ghiaccio nelle vene.

Difatti, mentre guarda il cielo e le poche stelle che lo governano, si stringe nelle braccia per cercare di placare i tremori. Il taxi che ha chiamato poco prima ci sta mettendo fin troppo, e ha paura che il tatuatore possa uscire dalla discoteca per andare a fumare e di trovarselo lì non ne ha nessuna voglia. Sa che non riuscirebbe a non vomitargli addosso tutto lo schifo che sta provando in quel momento.

Già è abbastanza il pensiero di dargli la colpa per aver dovuto ingoiare altri due calmanti e di aver straviziato con le sigarette. Infondo lo sa che è colpa sua e di quella stupida cotta che si è presa per Conrad Boden, dell'innegabile attrazione che li lega ogni volta che sono insieme, del bene che prova nel cuore, del sentirsi a casa... Rikki non dovrebbe concedergli tutto questo spazio, non dovrebbe concedergli così tanto potere. Ma come si fa a grattare via i sentimenti dall'organo vitale? Come si fa a dirgli di non battere quando si è in compagnia della persona che ci piace?

Rikki lo mima sulle labbra, sottovoce, occhieggiando la volta celeste e chiedendolo a chi tutto questo lo ha creato. Provando a fare come Skyler, a crederci. Provando a chiederlo anche a colei che adesso sta ridendo e ballando insieme a chi ha trovato lassù. E spera vivamente che qualcuno la stia ascoltando e stia tentando di mandarle delle risposte.

Il rumore di un clacson la ridesta dai quei crucci, e gettando gli occhi in avanti si accorge che la macchina gialla la sta attendendo. Così, scendendo dal marciapiedi, si affretta ad aprire lo sportello e a salirci. Riferisce poi l'indirizzo che le ha dato suo padre dell'ospedale in cui lavora e, recuperando il telefono dalla borsetta, scrive un veloce messaggio ad Allegra per informarla che se n'è andata perché le è venuto un improvviso mal di testa e che sta raggiungendo suo papà medico per vedere se può darle qualcosa.
"Tanto, si appunta mentalmente, le dirò tutto domani con calma".

Nel frangente in cui ripone l'iPhone, si augura che la sua compagna di stanza si stia divertendo, non dandosi pena per la sua scomparsa. Non sopporterebbe il contrario, e per stasera è bene mettere a tacere i sensi di colpa. Hanno già fatto troppi danni. Alle stregua dei mostri sotto al letto.

🌓🌓

L'ospedale Saint Marie si trova sulla quinta strada e troneggia come un grattacielo. Mura grigie e insegna gigante e luminosa di notte, sono le prime cose che saltano all'occhio.

Rikki non ci era mai stata prima di adesso. In realtà lei va malvolentieri in posti del genere, un po' per i ricordi legati alla sua venuta al mondo, e quindi al suo abbandono, e un po' perché le rammentano la nascita della sorellina Lindsey.

Lei non sa niente della sua famiglia biologica; solo che colei che l'ha partorita, l'ha lasciata nel reparto neonati e se n'è andata, affidandola alle cure delle infermiere. Del vero papà, invece, i referti non riportano niente. Forse lui neanche sa di avere una figlia; o anche se lo sa, se n'è fregato di lei, non l'ha voluta. E sua madre di crescere una bambina da sola non se l'era sentita.
Rikki non ha mai pensato se la loro fosse stata una scelta giusta o sbagliata, sa solo che è stata solo lei a pagarne le conseguenze. Magari avrebbe potuto essere più felice di così, magari avrebbe potuto avere una vita diversa; forse meno agiata, ma più ricca d'amore. Quello che adesso le manca, quello che ha avuto sempre in minima parte. Quello che lei, invece, cerca di dare a tutti, anche a chi stenta ad apprezzarne la presenza.

E quando questo le succede, un unico rimpianto le viene in mente: quello di esser nata. Perché anche se non fosse mai esistita, la castana è fermamente convinta che sia Terry che Penelope non si sarebbero persi niente. Anche tutte le altre persone che ha conosciuto nel corso dei suoi 19 anni. Sarebbe stato tutto più semplice se lei non ci fosse stata.

Penelope le raccontava che era una bimba minuta, magra e buona; con le guance paffutelle e la pelle olivastra, e che le piaceva rubarle la cipria e spargersela sul viso.
Non piangeva mai, neanche quando era in fasce, e pareva che non avvertisse neppure il distacco con la madre naturale. Forse perché sentiva che una madre, infondo, ce l'aveva e che anche se non era perfetta, le voleva comunque bene.

La stessa cosa con suo padre. La scucitura embrionale con il vero papà, la piccola e dolce Rikki, non l'ha mai avvertita. Probabilmente perché un papà già lo aveva trovato; uno che le faceva il solletico sul pancino per farla ridere quando era imbronciata, uno che le lavava e asciugava i capelli, uno che il cuore glielo aveva messo in mano sin da quando l'aveva presa in braccio la prima volta.
Terry si era innamorato al primo sguardo di lei, dei suoi occhietti scuri, delle labbra sottili, dei versini che emanava, dei piedini minuscoli che muoveva come una leonessa, sbattendoli sulle coperte per richiamare attenzioni.
Terry si era innamorato di lei per il modo in cui lo studiava nei momenti in cui le dava il latte con il biberon; era curiosa, di quell'uomo grande che la teneva in braccio e in silenzio le prometteva che l'avrebbe amata per sempre se ne avesse avuto l'occasione.

Il dottor Suarez, prima di attaccare il turno, passava sempre nel reparto pediatrico della struttura di degenza di SkyWron. Vedere i pargoli gli depositava un senso di pace nel cuore, come se tutti i pianeti si allineassero e la completezza scendesse a irradiarlo.
Ha sempre desiderato un figlio, ma Penelope non poteva averne; ciò nonostante non si sono mai arresi e hanno provato e riprovato, facendo visite su visite e contattando i migliori ginecologhi dell'intera America.

Ma poi, una mattina, l'aveva vista. Rikki si guardava intorno, con il ciuccio rosa in bocca. L'avevano vestita con una tutina giallina con le paperelle, e messo una copertina, che lei però, sgambettando, si toglieva sempre.

A Terry veniva da piangere ispezionando la scena, perché era cosciente del fatto che non avrebbe mai provato un'emozione del genere. E non sa se fu proprio quel pensiero a spingerlo a entrare nella stanza e a chiedere se potessero farle prendere in braccio la bambina. Fatto sta che, non appena gliela dettero, raccomandando di stare attento alla testolina, lui avvertì una scossa elettrica nello sterno, come se si fosse appena ricongiunto a una parte di sé.

Lo stesso giorno chiamò la moglie, la fece recare nella struttura e le parlò di lei, proponendole di adottarla.
Lo stesso giorno firmarono i fogli.
Lo stesso giorno, tutti e tre, percepirono di esser finalmente vivi. Perché questo è fondamentalmente il sinonimo di nascita. Questo è stata Rikki per loro.

E lei, crescendo con l'idea di essere l'unica figlia per i coniugi Suarez, pensava che le cose sarebbero andate nello stesso identico modo di allora, e circondata da una valanga d'amore che le avrebbe restituito ciò che ha perso. Ciò che la rivelazione di non essere legittima le ha annerito all'interno. Ma con l'arrivo di Lindsey, la macchia si è allargata, diventando affranto, diventando petrolio denso, diventando un mostro. Le ha ricordato che lei non ha il loro stesso sangue, mentre Lindsey sì.
Che Lindsey ha le stesse attenzioni di quando lei era bambina, mentre Rikki non ne riceve più neanche un quarto.

Terry e Penelope hanno definito Lindsey come una benedizione. Dio li ha ricompensati per aver salvato un'orfanella. Dio è stato caritatevole, Dio ricompensa sempre gli sforzi umani. Dio è grande, proprio come sosteneva Skyler.

Ed è di nuovo a Dio che Rikki, mentre preme il tasto dell'ascensore del quarto piano dove suo padre ha lo studio, chiede di ridarle un pizzico di ciò che le spetta, di ridarle l'amore di due genitori, l'armonia di una famiglia unita.
Di ridarle una madre carezzevole, che le medicava le ginocchia quando se le sbucciava in bicicletta, una madre che la riempiva di baci quando tornava da scuola e le raccontava degli altri compagnetti che le rubavano i giocattoli.

Rivuole una madre non perfetta, ma che sappia ancora cosa vuol dire crescere un figlio, e non solo con spintoni e parole cattive, ma anche con la letizia all'occorrenza. Una madre che ti apprezzi, così come sei. Una madre che ti aiuti a curare le ferite. Una madre con cui puoi sfogarti.

Non appena le porte metalliche si aprono, la castana intravede in un angolo Terry a parlare con un'infermiera, il volto deformato dalla stanchezza; la cartella che la donna tiene in mano gli intristisce le iridi.

Dunque si avvicina piano, poi «Papà!» esterna.

L'uomo si volta nella sua direzione appena riconosce la voce, aprendosi immediatamente in un sorriso. Congeda la collega e va ad abbracciare sua figlia, che gli scoppia a piangere addosso. Non è riuscita a trattenersi. Riaverlo così vicino è un toccasana per lei, alla stessa identica maniera di come lo è per lui.

«Ti va un caffè?» le propone staccandosi e puntando le pupille in quelle umide della ragazza. Rikki annuisce e insieme vanno a prendere la bevanda al distributore infondo al reparto. Infine si dirigono verso la terrazza dello stabile, cosicché possano parlare in pace.

La brezza serale smuove un po' i capelli della giovane. Non sa che ore siano di preciso, forse non più delle due, ma l'idea di farsi la nottata in bianco non le dispiace affatto. Tanto era quello che aveva previsto con Allegra, quindi non cambia poi molto.

«Che ti succede?» le domanda suo papà, vedendola pensierosa e con gli occhi sparsi sullo skyline di New York. Il bicchierino emette del calore, che va a disperdersi nell'aria. Ne bevono entrambi un sorso.

«Mi piace un ragazzo, papà, ma lui non credo ricambi. Stasera l'ho visto insieme a una mia compagna di università in atteggiamenti poco amichevoli e mi ha fatto male. Ho avuto un attacco di panico, non forte come i soliti, ma c'è stato e sono dovuta scappare via, altrimenti sarei impazzita.» Spiega, ascoltandolo poggiare gli avambracci vicini ai suoi sul corrimano e girare la testa verso di lei.

«E pensi che ubriacarti sia la soluzione migliore?» mormora in risposta; Rikki trasalisce, ma decide di essere onesta.

«Almeno mi distraggo...»

Terry manda giù un nuovo sorso di caffé. «Perché non provi ad affrontare il discorso con lui?» Rikki stavolta non risponde, ma cambia argomento.

«Tu come stai invece? A casa come va?»

«Mamma è nervosa, ma non so per quale motivo. Ogni volta che tento di parlarle sfugge, proprio come te. Non siete così diverse»

Le sue parole le fanno elevare le sopracciglia, come a dire "ne dubito, papà". Ma a lui non sembra importare il suo atteggiamento menefreghista, perché continua: «Vieni da noi qualche volta, anche solo per pranzo o cena, ma torna, Rikki».

«Farei arrabbiare ancora di più tua moglie», ci scherza su Rikki.

«Sto parlando sul serio»

«Anche io.» Terry accartoccia il bicchierino adesso vuoto nella mano e rialza il busto; Rikki lo imita. Lo vede che controlla il telefono preoccupato. «Devo rientrare adesso, tesoro.»

«Passiamo dal signor Logan prima?»

🌓🌓

«Non ti sembra di fare un po' lo stronzo?» dice Bohijen, nel mentre tira giù il finestrino dell'auto e si accende una sigaretta. Conrad gli fa segno di dargliene una anche a lui. Le ha finite e dopo deve andare assolutamente a ricomprarle.

«Voglio farle credere che mi frequento con un'altra, sì, cosa c'è di male?» borbotta, inchiodando a un semaforo.

«A parte che è una cazzata!» Bohijen lancia le sopracciglia in aria, voltandosi verso di lui. «E poi, per quale motivo lo staresti facendo?»

«Perché lei è minorenne, Bohi! Ci arrivi? Sento già le sirene della polizia, cazzo!»

L'altro sbuffa. «Quanto sei melodrammatico.» Rotea gli occhi al cielo. «Quindi ti piace eh...» lo prende in giro, pizzicandogli un fianco. Conrad gli tira uno schiaffetto sulla mano perché il verde è scattato e deve ripartire, però non può fare a meno di ridere.

E sì, Rikki gli interessa. Continuare a negarlo sarebbe da idioti, ma la paura di soffrire ancora gli spezza ogni voglia di ricominciare. E allora sopprime tutto, si comporta da infinito bastardo e accetta le lusinghe di Bethany, tanto non è nulla di serio con lei.

A Bohijen queste cose però non le riesce a dire; esternare i suoi pensieri più profondi non è facile per lui, pure se sa che l'amico ne farebbe tesoro, aiutandolo ad aggiustarne i pezzi sbeccati.

«Sei un vero coglione», gli ricorda il socio, scendendo dalla macchina dopo che Conrad ha frenato nel parcheggio.

«Ci vediamo domani, bro.» L'altro lo saluta con la mano non ribattendo alla sua affermazione, e attende che chiuda la portiera. Una volta che lo fa, marcia verso la sua drogheria di fiducia per rifornirsi di Rothmans.

E lì, il destino ci ha messo lo zampino.
















#Spazioautrice
Ehm... Lo so che mi odiate perché ancora non li ho fatti baciare, ma a mia discolpa posso dire che non manca molto. Veramente. Giuro hahahaha
Non è un pesce d'aprile, che poi era ieri, vabbè dettagli😂
Comunque... Vi ho presentato ancora meglio Rikki e la sua famiglia e anche il mio essere stronza quando si tratta di farli soffrire 🥺🥺
Povera Rikki, che deve vedere la sua crush con un'altra... Ma il karma sarà sempre dalla parte di Conrad o...?
Boh, chi lo sa.
Anzi io lo so ahahha
Comunque, vi attendo nei commenti 🤍
Un beso carigno a tutti 😘🤍

P.s. vi lascio anche i miei social:
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