c a p i t o l o 14 - Gli amici non dovrebbero piacerti

Eppure resta che qualcosa è
accaduto, forse un niente
che è tutto.

Eugenio Montale



L'armadietto di Skyler è tempestato di fiori, peluche, candele e foto ricordo con alcuni pensieri scritti a pennarello sul retro.

Fiumi di studenti si riversano a intermittenza da quella mattina per lasciare qualcosa, o anche solo per contemplare ciò che resta di un armadietto vuoto.
Di una presenza scaduta.

Non che Sky lì ci tenesse poi così tanta roba, a malapena un astuccio e qualche libro; e dato che stava per lasciare il college, poco le importava sinceramente.

Ma alle persone invece sì, quel giorno importava, anche se, appunto, non presenziava quasi più. Perché una vita spenta con così poca grazia, merita d'esser ricordata; merita di far tintinnare nella mente della gente un campanello d'allarme.

E basta studiare anche solo per pochi secondi i volti per scorgerne la paura, lo stupore...

I mostri sotto al letto probabilmente rimarranno per sempre, però bisogna trovare comunque un modo per farli tacere, anche quando sono ostinati come Ebert Patel.

Alla Prison Ally University non si parla d'altro. Non si parla d'altro che di quello stronzo che ha strangolato Skyler in una chiesa e della meritata fine che ha fatto: il carcere di Manhattan.

«Ma che cosa volevi aspettarti da uno che da piccolo uccideva gli animali nella fattoria? È un pazzo!» mormora una studentessa, parlottando con un altro ragazzo.

«Fabioh non ha avuto il coraggio di presentarsi al funerale ieri, ma i genitori sì... che schifo che mi fanno», ribatte quello, lanciando un ultimo sguardo alla foto di Skyler per poi andare via con l'amica.

Le sue parole rimbombano nelle orecchie di Rikki come un tamburo, in loop, e s'interroga su come possa stare Conrad Boden in quel momento, quali pensieri stia formulando...

Arrivata sul posto da miseri istanti, non riesce a capacitarsene.
Ieri al funerale ha evitato di piangere, ma appena tornata al campus, si è chiusa nella sua stanza e ha riversato tante di quelle lacrime da perderne il conto.

La verità è che è asfissiante, deleterio, ripugnante... Rikki avrebbe così tanti aggetti da spendere che non le basterebbero le dita delle mani.

Le è anche tornato in testa di quando Ebert l'ha minacciata con un coltellino.
Avrebbe potuto esserci lei al posto di Skyler, o magari entrambe.

Un brivido le corre giù dalla schiena.

«Ehi Rik», una voce le piomba di fianco, un braccio che si posa sulla sua spalla con delicatezza.

Lei si volta di scatto un pizzico intimorita. Ma quando si accorge di Allegra, rilassa il diaframma e le concede l'accenno di un sorriso.

«Ciao Alle»

«Come stai?» La rossa storce un po' la bocca, prendendo a fissare i vari oggetti.

«Sono molto triste e dispiaciuta. Skyler non se lo meritava»

«Neanche il peggiore dei figli di puttana si merita una fine del genere!» esclama Allegra, con il tono iroso.

Rikki annuisce; infine le stringe il busto con le braccia, poggiando il capo sopra il maglione di lana che indossa.

«Conrad lo hai sentito?»

«No, non gli ho neanche scritto in realtà. Ho pensato che volesse stare un po' da solo...»

«Forse invece avrebbe bisogno di parlare...», medita la rossa.

«Magari potrei fare un salto più tardi al negozio»

E rimangono così, finché la campanella non suona e gli studenti non iniziano a prendere posto nelle varie aule.

🌓🌓

Rikki parcheggia l'auto e, scendendo, tira fuori dalla borsa una sigaretta.

Tra l'altro, le ha quasi finite; deve ricordarsi di andare a ricomprarle dal signore che con qualche soldo in più non le fa storie per il fatto che è minorenne.

Se lo appunta mentalmente, e quando sta per oltrepassare buona parte della strada e raggiungere lo studio della psichiatra, il telefono prende a squillarle.

Si scansa appena in tempo prima che la macchina che sta passando le suoni il clacson, dato che si è impalata come uno stoccafisso a ridosso delle prime strisce pedonali.

Controllando il display, il nome di suo padre ci lampeggia sopra.

«Papà?» risponde un po' dubbiosa, grattandosi una guancia e incrociando i piedi.

«Ciao Rikki, come stai? Ho letto l'articolo sul New York Times di quella ragazza che veniva nella tua scuola, assassinata nella chiesa di Harlem e ho pensato di chiamarti. Sarai scossa...»

«S-sì, io la conoscevo pure e non sai quanto dispiacere. Il college è in subbuglio, non si respira una bella aria»

«Posso solo immaginare, tesoro.»

«Già. Adesso scusami papà ma sto per entrare dalla psichiatra e...»

«Oh sì, sì certo. Vai pure, Rikki.»

La ragazza non sa se mettere fine alla conversazione sia giusto, perché la voce di suo padre in un momento del genere è un po' come se fosse acqua ossigenata sulle ferite. Anche se lo sente dal tono di voce che lui non è propriamente sincero, che nasconde qualcosa, che manca una punta di veleno a scucire la bontà del suo gesto.

«A casa tutto bene?»

Ed è per questo che osa lei, che prosegue, che si fa vedere interessata anche alla vita della madre e della sorellina.
Alla vita della famiglia Suarez, di una famiglia di cui lei non si sente parte.
Non più.

Sperava che almeno suo padre un po' di più l'amasse, ma per quanto si sforzi di trovare la positività anche nei piccoli gesti da lui ricavati, ultimamente di bello non c'è quasi niente.

I lemmi che le ha riservato quando si sono visti all'Harrys Crosh le hanno procurato un nuovo taglio sul cuore, forse quello più profondo e grave.
Brucia di più degli altri, brucia come un dannato, come se le stessero strappando la carne dalle ossa.

Ma non ha il coraggio di dirglielo, Rikki.
Quindi fa finta, finge come fingono loro.
Come finge soprattutto sua madre.

Al di là della cornetta avverte un sospiro, forse vorrebbe dirle qualcosa di importante, di diverso, ma si limita soltanto a un banale e corrosivo: «Come al solito. Tu però non hai ancora porto le scuse ai coniugi Logan».

La bocca si modula in un sorrisetto amaro appena prende coscienza di quella frase. E allora non ce la fa più a restare calma.

«Se è questo che ti interessa, puoi sempre farlo tu per me, papà. È un tuo collega. Ora scusami ma devo andare.» Riattacca di fretta, arrabbiata, ancora una volta delusa.

L'ha chiamata soltanto per ribadirle una cosa di cui, a lei, onestamente non frega un cazzo.
Per ribadirle che è maleducata, che se ne frega delle cose "importanti".
Perché per loro è più importante che lei si comporti da brava figlia, che darle conforto quando ne ha più bisogno.

Perché per quanto possa essere stato carino Terry, le ha lasciato nel cuore soltanto altro sconforto.
Soltanto altra voglia di sparire dalle loro vite.

🌓🌓

Una volta nello studio della psichiatra non riesce a trattenere le lacrime.

Scoppia in un pianto così dilaniante da arrivare quasi a gridare. Chiusa in sé stessa, con le gambe al petto e seduta malamente sulla sedia dello studio della Adams.
La donna le accarezza una spalla, accucciata alla sua altezza, premurosa come una madre, come quella che a lei manca da anni ormai.

Ha il cuore che le scoppia di morte, Rikki, di afflizione.
Fa fatica a respirare, con i famosi mostri sotto al letto che sono tornati a bussare alla porta dei ricordi, a mangiarla dentro fino a non far restare niente.

Inizia a vedere sfocato, ad aggrapparsi con le poche forze che le restano ai braccioli della sedia, a tentare di non crollare più di quanto già non stia facendo, ma il sangue che sgorga dagli innumerevoli solchi non le dà ascolto. E allora s'incrina, s'incrina fino a venir sopraffatta dalle troppe emozioni, dai troppi pensieri brutti.

«Rikki guardami», le intima la dottoressa, prendendole il volto e girandolo verso di sé. Ma Rikki non ce la fa, continua a guardare per terra, a disperarsi, a star male, senza rendersi conto di ciò che le capita intorno.

«Rikki», ci riprova dolce Veronica Adams. «Rikki va tutto bene, guardami»

Ma a Rikki gira la testa, e ancora una volta non obbedisce all'ordine. Così quella va a recuperare veloce un bicchiere d'acqua e glielo mette sotto il naso. Infine riprende ad accarezzarla dolcemente e a tentare di far schiantare i loro occhi insieme.

Le asciuga le lacrime e le ripete sottovoce che va tutto bene, che deve respirare, che lei c'è.

A Rikki tremano le mani.
Trema la voce.
Trema il rantolo nella gola.
Trema tutto.
Trema persino il mondo.

«Guardami», ricomincia lentamente, cercando di frenarle l'attacco di panico.

«Guardami», mormora di nuovo, e questa volta, nonostante il pianto sia sempre imminente, Rikki riesce a elevare le pupille e posarle sulla donna.

Non la vede bene, forse non la vede proprio, talmente è attratta dai pensieri, le paure, il dispiacere, i singhiozzi, i mostri, ma cerca di tenerle comunque ferme su di lei e tentare di risalire in superficie.

«Non ti lascio da sola, hai capito? Non ti lascio da sola, Rikki, io ci sono»

«P-perché mi od-diano così tanto?» balbetta incontrollata a un certo punto. «Perché Skyler se n'è andata...? Ebert è un pezzo di merda, io lo detesto, lo detesto con tutta me stessa! Prima voleva mettermi la droga nel bicchiere, poi mi ha minacciata con un coltellino, adesso ha ucciso la sua ex solo per una questione di gelosia. Che cazzo sta succedendo all'umanità?» continua a borbottare instancabile, come se stesse vomitando parole da troppo tempo rimaste indigeste nello stomaco.

«E quello stronzo di mio padre che mi dice che ancora non ho chiesto scusa a quegli spocchiosi dei Logan, come se fosse un mio problema poi! Ma è tipico dei Suarez far sempre finta di niente». Portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, la castana sputa fuori ancora astio nei confronti di Terry, mentre la psichiatria la osserva senza nessuna emozione nel tono di voce.

Le allunga un fazzoletto e quella si pulisce il viso e, recuperando il cellulare dalla borsetta, si guarda nella fotocamera interna per capire quanto dannosa sia la situazione 'trucco sciolto'.

Infine tira giù le gambe e, col respiro adesso molto più regolare, chiede scusa alla dottoressa. La donna le sorride piano.

«Prima stavi parlando di Skyler... È la stessa ragazza uccisa nella chiesa ad Harlem, vero? Stamattina mi sono imbattuta in un articolo online che ne parlava»

Rikki, tirando su col naso, annuisce. «Sì è lei»

«Così giovane... Tra l'altro frequentava la tua università se non sbaglio»

«Sì, ed eravamo anche entrate un po' in confidenza, perché lei lavorava come segretaria nello studio di tatuaggi del ragazzo che mi piace», spiega Rikki, ancora molto provata dall'attacco di panico avuto.

«Mi dispiace tanto, tesoro. E questo ragazzo come sta?» s'informa la dottoressa, perché vederla parlare le sta ridando un pochino di colore al viso.

«Passerò da lui più tardi.» Taglia corto, bevendo un sorso d'acqua.

«Per quanto riguarda i tuoi genitori, invece, dovresti provare ad andargli incontro. Soprattutto a tuo padre, che mi sembra quello più... propenso a prendersi cura di te»

«E in che modo lo starebbe facendo, dottoressa? Dicendo che mia madre ha fatto bene a picchiarmi?» scandisce acidamente Rikki, guardandola con sufficienza. «Se devo stare ad ascoltare queste porcherie, tanto vale che se ne stiano dove sono, no?»

La donna congiunge le mani sul tavolo, gli occhi tristi. «Hai ragione, Rikaela, ma tu vuoi bene a tuo padre e vedo che il suo giudizio ti pesa più che di quello di tua madre»

È vero, Rikki lo ammette, ciò che mio papà pensa, per me è importante.

Se chiude gli occhi, la giovane ha ancora davanti agli occhi il giorno in cui Terry le ha insegnato ad andare in bicicletta.
Era una giornata piovosa a SkyWron, la sua cittadina natale, di quelle dove non si vede neppure il cielo. Ma lui glielo aveva promesso, era il suo giorno libero da lavoro e voleva dedicarlo interamente a lei. Così, quando le nuvole si erano un po' diramate, i due si erano precipitati fuori e tra risate, cadute e un ginocchio sbucciato, si erano divertiti talmente tanto che Rikki, proprio in quell'istante, aveva sentito il cuore riempirsi di un'amore che solo una figlia per un papà può provare.

A rammentarlo adesso, però, non li riconosce più quei due.

Quindi, asciugandosi l'ennesima lacrima sfuggita al suo controllo, la castana lecca le labbra e considera: «Proverò a venirgli incontro».

🌓🌓

Rikki, ispirando ed espirando più volte, prende coraggio; e col sacchetto del Mc Donald's stretto tra le dita, macina i passi che le restano per raggiungere lo studio di tatuaggi di Conrad.

Davanti alla porta, trova un cartello con su scritto 'chiuso per lutto' e la saracinesca abbassata; una lettera imbucata malamente nella posta da ritirare. Così, per non lasciarla ancora in balia di chissà chi, se la ficca in borsa.

Sembra un mortorio quel posto. Ma dentro di sé, ha come la sensazione che lui ci sia, che non sia rimasto a casa.

E perciò ci prova, bussa ripetutamente. E difatti lui, qualche minuto dopo, fa salire la saracinesca e apre la porta.

Rikki, appena ne intercetta lo sguardo, si accorge di quanto sia sciupato, triste e stanco. Ha enormi borse sotto gli occhi, lacrime seccate sulle guance e il respiro ansante.

Indossa una tuta sportiva e i capelli sono arruffati, segno che non li aggiusta da un po'.

«Posso entrare?» gli chiede lei dondolandosi piano sul posto; poi gli sventola davanti agli occhi il cibo che ha comprato. «Ho pensato avessi bisogno di un po' di compagnia, e così...» attacca, ma viene interrotta.

«Hai pensato male, ragazzina! Voglio stare da solo, quindi puoi...» rigetta, ma anche Rikki non lo fa finire di parlare, e avanza di fretta nell'atrio dello studio.

«Non me ne vado, Conrad», ostinata, proprio come quelli che ti vogliono bene davvero e sanno che per quanto tu dica no, è proprio di questo che hai bisogno.

Lui, sbuffando sonoramente, chiude la porta e riabbassa la saracinesca, facendole poi strada.

E nel frattempo che si muovono per quelle mure, a Rikki torna in testa il sorriso di Skyler, il suo profumo, la sua voce melodiosa e l'aurea da angelo che l'ha sempre messa di buon umore.

La sua positività, la sua allegria, la costanza nel credere in qualcosa di migliore.
In qualcosa che poi, se l'è portata via.

«Da quanto non mangi?» domanda la Suarez, sedendosi sul divano e appoggiando la busta nell'unico angolino del tavolino dove non ci sono sigarette, fogli, colori e matite. Infine eleva gli occhi castani sulla figura di Conrad intento a fumare una nuova Winston Blue. Il fumo gli attraversa le narici rabbiosamente e la bocca aspira dal filtro come se fosse la sua unica ragione di vita.

Lei non riesce a smettere di tenere le pupille incollate su di lui.
Sembra una sirena, una sirena che l'ha stregata col suo canto ammaliatore.

«Forse da ieri sera... non lo so, Rikki va bene? Non lo so e francamente non mi interessa!» ribatte glaciale; lei annuisce, ingoiando la stizza riservatale.

Infondo sa che non lo sta facendo apposta, non come le altre volte almeno... Oggi questa stizza ha un retrogusto di mancanza, di lacrime e sangue; di un cuore che pompa affanno e infinito odio verso la vita ed Ebert Patel.

Sceglie di cambiare argomento.

«Stavi disegnando?». Recupera uno degli schizzi posti sulla superficie e lo ispeziona. E quando si rende conto che si tratta del volto di Skyler, si ritrova a sorridere un po', studiandone ogni caretterizzazione.

«Sei bravissimo, Conrad», commenta riponendolo, ma quando sta per afferrarne un altro, la mano del tatuatore ci si posa sopra. «Puoi evitare di ficcanasare nelle mie cose?»

«Ero solo curiosa.» Rikki si scioglie dal legame, sentendosi come punta da una vespa. Ma quel contatto non le è passato affatto inosservato; difatti sottopelle sente come un formicolio che le fa venire voglia di grattarsi.

«E lo sapevi che la curiosità uccise il gatto?»

Rikki eleva un sopracciglio. «E con questo cosa vorresti dire?»

Lui afferra il labbro inferiore tra i denti, dopo dice: «Che non è il caso che tu resti qui, perché potresti restarci male».

«Per cosa?»

Conrad spegne la cicca accesa pochi minuti prima nel posacenere, e prende posto qualche centimetro più in là di Rikki, avvicinandosi la busta e iniziando a tirare fuori ciò che ha portato. Vedendo due confezioni di nuggets, lo stomaco prende a brontolare come un pazzo. «Queste sono tutte mie!» strepita poi, tirandole dalla sua parte.

Rikki, a quel punto, capendo che lui l'ha fregata, tenta di riprendersi una piccola rivincita.

Proprio come i bimbi dell'asilo che si fanno i dispetti.

«E va bene, allora vorrà dire che le patatine le mangio io!»

«Sei una stronza! Lasciamene qualcuna» ribatte lui, succhiando dalla cannuccia della Coca Cola.

Rikki deglutisce in fretta, perché il suo gesto lo ha sentito fin nel basso ventre.

«Io eh?», ma vedi questo, pensa. «Comunque no. O mi cedi qualche nuggets o non se ne fa nulla»

Lui, allora, conta quante ce ne stanno in entrambe le confezioni e poi gliene porge tre.

«Fattele bastare», ridacchia.

La studentessa spalanca la bocca, ma l'ilarità abbonda anche sulla sua bocca.

Scorgere Conrad più rilassato di prima, è un toccasana anche per il suo umore, e spera che la serenità gli allegerisca il corpo ancora per un po'. Sa che Skyler lo vorrebbe, che le farebbe piacere se lui non si lasciasse andare, se lui guardasse avanti.

E lei glielo promette in silenzio che lo aiuterà, che gli starà vicino anche quando non avrà voglia di nulla. Anche in serate così, in cui basta un panino del Mc per provare a sorridere.

«Non dovevi disturbarti tanto, comunque», mormora lui, pulendosi le labbra col tovagliolo e bevendo un nuovo sorso di Coca.

Rikki poggia l'hamburger sulla confezione e si scuote i vestiti per eliminare eventuali briciole.

«Non è un disturbo», ammette. «Gli amici si aiutano nel momento del bisogno.»

«Quindi noi saremo amici?»

«Se vuoi, sì»

«Però un amico non dovrebbe piacerti»

A Rikki va di traverso la saliva.

Dove cazzo vuole andare a parare? Si chiede.

Ripresasi, fa una faccia stranita. «Infatti tu non mi piaci.» Mente spudoratamente, ma se l'unico modo per stargli vicino è fare l'amica, lo accetta.

«Bene, meglio così, perché non mi piaci neanche tu.» Replica secco.

«Direi che è perfetto.» Ribatte Rikki con lo stesso tono.

Seguono attimi dove si avvertono solo le mascelle che rumicano. Poi Rikki riprende a parlare.

«Come stai?»

«Davvero me lo stai chiedendo?» sussurra scettico.

«Qualsiasi sia la risposta, Conrad, io ci sono. Non ti lascio da solo.»

Lui non risponde. In un secondo momento, gli occhi gli cadono sulla busta che esce dalla borsetta mezza aperta della ragazza, dove intravede una parte del suo nome. Deve essersi dimenticata di chiuderla.

«Cos'hai lì?» la interroga, puntando il dito per farle capire meglio di cosa sta ragionando.
E quando le pupille di Rikki ci finiscono sopra, un lampo sembra risvegliarla.

«Mi stavo dimenticando, bravo che mi hai ricordato.» Pigola, pulendosi le mani per poi dargliela.

«L'ho trovata nella cassetta della posta del negozio prima quando sono arrivata. Non volevo farmi i fatti tuoi, ovviamente, ma l'avevano messa talmente male che stava quasi per cadere.» Sciorina ancora, guardandolo incerta, con la speranza che non si arrabbi per aver ficcato il naso in cose che non la riguardano.

Ma Conrad non le dà adito, se ne frega, perché il suo cervello è interamente assuefatto dal mittente scritto a caratteri blu sulla carta giallina. E una brutta sensazione inizia a farsi largo dentro di lui. Persino quando la apre e ne legge le prime righe.

«Cosa succede? Chi te l'ha spedita?» convola la castana, scorgendolo in apprensione. Gli si fa più vicina e osserva anche lei le scritte.

Boden sospira forte. «Ivy, la sorella di Skyler.»













#Spazioautrice
Buonasera dolcissimi fiorellini🤍come state??
Allora allora ... Il capitolo. Beh il capitolo... Eccolo qua ahahaha
La situazione con la famiglia di Rikki non va migliorando, anzi...
E con Conrad... Boooh 😅 dice che gli amici non dovrebbero piacerti 😅 mica tutti i torti ahaah
Quindi, come si evolverà tra loro? Fatemi sapere cosa ne pensate 😘
E per quanto riguarda la lettera di Ivy, la sorella di Skyler.
Cosa ci sarà scritto? Avete idee?
Vi aspetto nei commenti 🖤

Vi lascio anche i miei social:
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Instagram: zaynhugstories__

P.s. grazie infinite per le 42k a Mostri 🥰🥰 vi amo tantoooo🤍🤍🤍

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