Capitolo sei: L'uomo di ghiaccio
Belial non possedeva l'altezza del marito né la forma fisica estremamente muscolosa che vantavano solo alcuni abitanti di Mimica, eppure quando entrò nella stanza la sua presenza parve diventare quasi soffocante. Il suo semplice esistere metteva a tacere qualsiasi altra voce e quel suo reggersi in piedi con un eleganza quasi divina intimoriva persino le bestie più crudeli che vivevano nel deserto. Aveva un fisico tonico, bicipiti marcati e spalle molto larghe, ma a malapena sembrava raggiungere il metro e settantacinque pur indossando piccoli tacchetti nelle scarpe scure. La sua carnagione era così pallida che sembrava essere fatto di neve, aveva un volto ovale, un naso leggermente aquilino e grandi occhi viola le cui palpebre erano sfregiate da alcune cicatrici bianche come la sua pelle nivea. I ricci capelli canuti erano legati in un'ordinata coda alta, le labbra sottili formavano una cupa linea orizzontale. Le candide sopracciglia folte ricreavano poi due archi scomposti, mentre le prime rughe dovute alla vecchiaia rovinano quel volto quasi angelico. Indossava uno smoking scuro che copriva il corpo ben delinato, una cravatta nera e sull'anulare della mano sinistra erano presenti due fedi nuziali. Era così elegante da risultare quasi eccessivo e barocco in quella situazione informale. Non poteva essere molto più vecchio rispetto a Menasse, al massimo potevano avere cinque anni di differenza, eppure qualcosa in lui era antico, sfiorito e decadente. Il suo volto privo d'espressione racchiudeva in sé tutta la gioia e la tristezza del mondo, ma di quelle emozioni così forti sembrava esserne rimasto solo l'eco. Pareva quasi di vedere un corpo morto che a fatica si aggrappava ad una vita che ormai molto tempo prima l'aveva abbandonato.
Incuteva uno strano senso di timore, qualcosa che Innania aveva percepito anche il giorno prima, durante la Lotteria. Quell'uomo scaturiva nei cuori delle persone un contorto senso di lealtà nei suoi confronti.
Era qualcosa che andava oltre al semplice charme.
No, quella non era altro se non la grottesca copia di un essere umano.
Menasse divenne improvvisamente serio quando il marito entrò nella stanza, come un bambino che era appena stato scoperto nel fare una marachella.
《Hey, amore》sussurrò con tono dolce, allontandosi da Innania con passo felpato. Anche la governante dai capelli biondi parve spaventarsi alla vista del capo, rifugiandosi dietro alla schiena del biondo. I due insieme formavano una strana accoppiata. Entrambi erano persone estremamente infantili e solari piazzate in un mondo cupo e troppo maturo per loro.
《Parliamo dopo》disse secco Belial, sistemandosi con una mano la cravatta scura. La sua voce era profonda e baritonale, non sembrava particolarmente arrabbiato, né pareva dimostrare qualsiasi altra emozione. Aveva imparato molto tempo prima a non mostrare mai i propri sentimenti mentre lavorava, la calma e il sangue freddo erano essenziali per compiere decisioni sensate senza farsi influenzare dalla sua parte emotiva e irrazionale. Si avvicinò al letto dove Innania giaceva ancora in preda alle emozioni. Camminava con una calma quasi teatrale, facendo picchiare i tacchetti sul legno scuro del pavimento. Si infilò una mano nel taschino ed estrasse un fazzoletto di tela azzurra, porgendolo educatamente alla ragazzina.
《Tenga》sussurrò a bassa voce per non spaventare la Mimicana.《So che in questo momento può sentirsi confusa e disorientata. Se lei se la sente la mia domestica può aiutarla nel lavarsi e magari darle anche qualcosa da mangiare. Appena si sarà ripresa venga pure nel mio ufficio, lì le spiegherò con più calma come stanno le cose》era gentile in un modo distante e freddo, un'educazione machiavellica e a tratti inquietante, capace di far rizzare i capelli in testa. Quella figura misteriosa pareva essere circondata da un'aurea oscura e al contempo attraente, tanto che le persone lo bramavano come falene che volavano verso la luce. Quando i raggi del sole illuminarono i suoi grandi occhi di un magnetico color magenta scuro, Innania ne fu sicura: quell'uomo aveva smesso di vivere molto tempo prima.
La ragazza annuì febbrilmente alla proposta, o, meglio, all'ordine impostole da Belial, capendo a malapena le parole che egli le rivolgeva, ancora troppo scossa per poter prendere seriamente una decisione. La felicità si era ben presto trasformata in angoscia, una paura viscerale a cui non sapeva dare un nome. Qualcosa nel profondo le diceva che quella situazione era innaturale e sbagliata, che sotto tutta quella bellezza si nascondeva qualcosa di atroce. Ne era certa, eppure una parte di lei continuava solo a pensare che il lampadario che pendeva sulla sua testa fosse bellissimo, e a quanto ne volesse uno simile.
Un giorno suo zio le aveva raccontato la leggenda di Icaro, il giovane figlio di un genio greco; il padre gli aveva donato due bellissime ali bianche fatte di cera per scappare via dalla prigione dove erano entrambi rinchiusi, ma il più giovane, innamoratosi dalla luce del sole, volle volare sempre più in alto, fino a quando le sue ali non si bruciarono e finì per precipitare nel mare. La ragazza non aveva mai capito il perchè di quel gesto così stupido, il suo cervello non riusciva a motivare l'azione di quel mitologico sprovveduto. Eppure, in quel momento, riuscì ad immedesimarsi in lui. Vedeva il sole, intravedeva quella luce brillante che non era mai riuscita a scorgere, ma c'era qualcosa di corrotto in quella fonte all'apparenza così pura. Eppure lei sapeva già che avrebbe continuato a volare, sempre più vicina ai raggi di quel sole mortale.
Con la coda dell'occhio riusciva a vedere fuori dalla finestra, oltre la quale file di alberi verdi e alti si mostravano in tutta la loro selvaggia bellezza, prati verdi abbracciavano casette che parevano fatte di vetro e un cielo di un azzurro artificiale incorniciava quell'opera creata da un gruppo di dei fatti di carne. Era un paesaggio così bello da mozzare il fiato, una vista che Innania pareva mangiare con lo sguardo, studiandone incantata ogni particolare. Per la prima volta i suoi occhi incontrarono le farfalle multicolore, i pini sempre verdi e i fitti prati color smeraldo. Le parve un miraggio lontano, qualcosa di troppo perfetto per esistere sul serio. Udì in lontananza la porta chiudersi, molto probabilmente Belial e il marito avevano appena lasciato la stanza, ma in quel momento la sola cosa che sentiva era quella magnifica sensazione che le riempiva il cuore, mentre adorava senza fiato quella terra coltivata con il sangue e le grida dei propri compaesani. La felicita che provava era così immensa che a malapena riusciva a sentirla, al suo posto percepiva un vuoto pesante che le abbracciava il cuore e una strana angoscia che le stringeva lo stomaco. Il suo corpo era ancora indolenzito, le dita della mano erano di uno strano colore viola, le nocche sbucciate, pur essendo state medicate con cura, continuavano a bruciare e anche il suo naso pareva facesse fatica a svolgere le sue normali funzioni respiratorie, ma era sopravvissuta a battaglie peggiori. Il dolore fisico passava in secondo piano davanti ad Alastore. Timidamente la giovane allungò la mano verso la finestra, come a voler sfiorare con il proprio palmo quella città bellissima e lussuosa. Non vedeva l'ora di viverla, di assaporarne i sapori e odorarne i profumi.
Voleva tutto di quel posto.
Voleva tutto da quel posto.
《Hey》sussurrò una voce dietro di lei, il tono era basso e pacato, ma dal modo in cui aveva pronunciato quelle parole si riusciva a comprendere la paura che sentiva la proprietaria di quel verso simile ad un soffio di vento.
La governante dai capelli biondi la guardava spaventata, rannicchiata in un angolo della stanza, impugnando ancora la scopa come se fosse un'arma.
《Vieni a lavarti》provò a dire in tono più sicuro, risultando però goffa e impacciata mentre parlottava velocemente continuando ad incasinare l'ordine delle parole. Innania annuì lentamente in modo meccanico, senza però muovere un solo muscoloso. Fissava la finestra con aria incantata, catturata da quella bellezza così lontana da lei.
《Lo so che, ecco, io- emh》balbettò l'Alastoriana mordendosi il labbro 《io non posso sapere come...non so cosa hai vissuto e tu dovrai- io》 continuava con una voce cosi bassa che la maggiore parve non notarla nemmeno
《So che ora devi sentirti disorientata e confusa, ma io ho bisogno di questo lavoro e sono a rischio licenziamento, quindi collabora. Tu mi puoi capire, no?》chiese dolcemente allungando timidamente la mano verso la mora.
Seguì un momento di silenzio, si sentivano gli uccelli cinguettare e il vento soffiare leggero contro la finestra.
《Innania》rispose la ragazza ad una domanda implicita, mentre con sicurezza si aggrappava alla sbarra del letto 《Mi chiamo così. E sta calma, non mordo》borbottò prima di fare un salto giù dal materasso.
《Cassandra》si presentò a sua volta afferrandole un braccio in modo che la Mimicana avesse un sostegno.
Innania aveva sempre amato il giorno del bagno. Per lei quella era la mattinata più bella del mese. L'aspettava con ansia contando con estrema precisione ogni ora che la separava dalla tanto agoniata pulita pensile. Avveniva il 29 di ogni mese, verso le nove del mattino. In quell’occasione speciale Lucas si svegliava alle cinque per andare alle terme comunali e raccogliere una bacinella di acqua calda per lavarsi, poiché la corrente elettrica e gli impianti idrici non erano la priorità della città terrena e solo il Limbo possedeva un tale lusso. Loro invece erano costretti a cammianre per chilometri solo per ricevere acqua calda con cui pulirsi, dato che quella poca che usciva dai loro rubinetti serviva per innaffiare il piccolo giardinetto e bere. Ogni tanto, nei mesi più ricchi, lo zio portava a casa anche alcune saponette colorate dal profumo simile a quello dei fiori che coltivava la vecchietta la cui abitazione era posta infondo alla loro via. Il bagno durava poco più di quindici minuti, dato che poi l'acqua si raffreddava e diveniva troppo sporca per continuare a starci dentro. Da piccola adorava quelle mattinate, ma amava ancora di più andare dai suoi amici meno fortunati, i quali potevano permettersi solo un bagno ogni due mesi, a mostrare la sua bellezza e il profumo (o meglio, la mancanza di puzza) che emanava.
Ora invece stava studiando con molta attenzione la doccia, rimendo sorpresa dalla velocità con cui l'acqua usciva dal getto e dal calore che quello strano aggeggio emanava. Da un lato intravedeva con la coda dell'occhio il balsamo, il bagnoschiuma e lo shampoo, ma ne ignorava completamente l'utilità. La stanza era molto grande, quasi quanto il vecchio bilocale dove abitava con il padre adottivo, il pavimento aveva lucenti piastrelle blu e i muri erano addobbati da una bellissima carta da parati azzurra. La doccia era di ultimo modello, fatta completamente in Plexiglass e con adesivi a forma di tartaruga appiccicati un po' ovunque. Sul lavandino di marmo era appoggiato un vestito regalatole da Menasse e della biancheria intima femminile di cui ignorava la provenienza.
Cassandra aveva preferito rimanere fuori dal bagno per lasciare all'altra un po' di privacy dopo averle spiegato come funzionava la doccia, concetto molto difficile da capire per una che per tutta la sua vita non ne aveva nemmeno vista una.
Appena la pelle ambrata della donna fu colpita dal getto caldo aprì d'istinto la bocca per provare a bere le gocce che cadevano copiose. Sentiva l'acqua scorrerle tra le gambe muscolose, bagnarle i folti capelli neri, mischiarsi alle sue lacrime e posarsi sulle sue labbra aperte in un sorriso vittorioso. Tremava ancora e sembrava stanca, eppure si reggeva con coraggio al Plexiglass, continuando a stare in piedi. Gemeva ogni volta che le gocce colpivano i lividi violacei sparsi per tutto il corpo. Alcune ferite erano ancora aperte e sentiva le nocche bruciarle, segno che si era difesa. Non aveva alcun ricordo di ciò che era accaduto dopo la fine della Lotteria, ma si rese conto solo in quel momento che lo zio poteva essere rimasto ferito...o peggio. Sentì un vuoto riempirle lo stomaco, la terra le mancò sotto i piedi e la sensazione di panico ritornò più forte di prima. L'ansia stava di nuovo per prendere il sopravvento su di lei quando sentì la voce di Cassandra.
《Hey, hai finito? Tra poco è ora di cena e tu devi ancora parlare con Belial. Sai, Menasse odia quando non si rispettano determinati orari per mangiare, crede che cenando solamente alle otto di sera ci siano più possibilità di rimanere per sempre magro. Non ne sa molto di anatomia umana però potrebbe avere ragione. Sinceramente io sono più brava con i robot che con le persone. Sono una piccola Nerd, e tu non sai cosa sia una Nerd. Sto straparlando come al solito, ignorami》disse tutto d'un fiato.
Sentendo il nome dell'albino Inannia si calmò immediatamente, non poteva perdere la calma in quel momento, non di nuovo.
Belial, lui di sicuro sapeva.
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