Capitolo 18
«Expecto Patronum» ripeto dopo la professoressa, preparandomi ad eseguire l'incantesimo.
Impugno la bacchetta, il legno freddo a contatto con la pelle, la stringo forte. Chiudo gli occhi, iniziando a rovistare freneticamente in tutti gli armadi, cassetti e scatole del mio castello di ricordi. Trovo Severus, il suo sguardo tagliente mi trafigge mentre la parola sanguemarcio mi rimbomba nelle orecchie. Qualcosa nel mio petto si spezza. Ho voltato pagina, è vero, ma non riuscirò mai dimenticare come le Arti Oscure si siano insediate in ogni angolo di mente del mio migliore amico, calandogli un cappuccio nero sulla testa.
Mi rendo conto di aver trattenuto il respiro, chiudo di scatto quel cassetto e ne apro un'altro. È il primo settembre 1971, ho appena varcato l'entrata per il binario nove e tre quarti. Resto immobile in contemplazione, il treno scarlatto che spicca in mezzo al vapore e la piacevole sensazione all'altezza del cuore che mi informa di aver finalmente trovato il mio posto nel mondo. Alice mi si schianta addosso investendomi con il suo carrello.
Quel ricordo ne richiama immediatamente un'altro: Mary che, con la testa affacciata fuori da uno scompartimento, mi osserva con occhio inquisitore e con calma mi informa che James Potter ha appena dato fuoco alla mia gonna. Dopo avermi aiutata a spegnerla, mi sussurra che gliela faremo pagare.
L'incontro con le persone più importanti della mia vita è senza dubbio felice, tuttavia non basta, perché dalla mia bacchetta non sta uscendo neanche una misera luce. So perfettamente che è colpa dei ricordi nascosti in una scatola nera che non voglio aprire. La sua presenza è ingombrante, pesante e fastidiosa. Il coperchio cade a terra contro la mia volontà. Petunia non parla, il suo sguardo però grida mostro. Lo grida nel parchetto dietro casa, quando una margherita inizia a fluttuare nel palmo della mia mano. Quando ricevo la lettera per Hogwarts e dopo aver comprato il mio primo calderone. Lo grida ai pranzi in famiglia, durante le feste, al mio compleanno. Lo grida persino al funerale dei nostri genitori.
Apro gli occhi di scatto, la bacchetta che per poco non mi scivola dalla mano e un groppo in gola che minaccia di farmi scoppiare a piangere. Mi ricompongo il fretta, con il battito accelerato che mi martella nel petto.
Un solo studente è riuscito ad eseguire l'incantesimo. Il patronus volteggia maestoso per l'aula e il suo padrone ride, gli occhi nocciola dietro le lenti degli occhiali che sprizzano gioia. Il cervo mi ronza attorno, incantandomi con la luce brillante che emana. Potter ora mi sta fissando, mi aiuta a richiudere la scatola nera.
«Lily, so che non riuscire in una cosa al primo colpo ti fa uscire di testa» esclama Sirius, suadente, apparendo al mio fianco accanto ai bachi. Mi scocca un'occhiata indecifrabile, poggiando una spalla alla parete. «Ma persino io, che sono l'incarnazione della perfezione, non ho visto uscire dalla mia bacchetta una sola dannata scintilla. Quindi perché non la smetti di torturarti le mani in quel modo? La gente penserà che Terry del primo anno ti abbia attaccato la spruzzolosi»
Dietro di lui, una massa di studenti chiassosi e meravigliati ha accerchiato Potter. Persino la professoressa ha messo da parte il suo austero contegno per congratularsi con lui.
«Padfoot, noto con piacere che fallire miseramente non ti ha reso meno egocentrico» accenno un sorriso, rovistando dentro la borsa alla ricerca del tema da consegnare. «Da quando ti preoccupi di cosa pensano di me?»
Scocca la lingua contro il palato, soffocando una risata. «Mia cara, io mi preoccupo solo della nicotina, dei piaceri che può dare la vita e dei mei Malandrini. Se vuoi rientrare in questa lista devi prima fare qualcosa di grande, come regalarmi una scorta gigantesca di firewhisky, ad esempio»
«Ne faccio volentieri a meno, ma grazie dell'offerta»
«Peggio per te» strizza un'occhio con fare giocosamente ammiccante, sparendo prima che Alice e Mary possano raggiungermi.
La mia tracolla cade a terra con un tonfo quando la libero dalla presa ferrea della mia mano, sedendomi sullo sgabello dell'aula di pozioni. Il primo banco è senza dubbio uno dei posti più odiati in assoluto, perciò non mi stupisco quando Alice si immobilizza sulla soglia della porta e strabuzza gli occhi sconvolta, non appena nota dove ho deciso di posizionarmi. Tuttavia, sa benissimo che non essere riuscita ad evocare un patronus mi ha rattristata parecchio, perciò si limita a sbuffare con noia e ad avvicinarsi senza nascondere l'espressione contrariata.
Quando fa per sedersi, però, il posto le viene letteralmente rubato da qualcun altro: un individuo che ora mi sta guardando con un ghigno da sotto un groviglio incasinato di capelli scuri. «Buongiorno collega» esordisce James, la sua tracolla semivuota che fa la stessa fine della mia.
Alzo gli occhi al cielo.
«Potter ma sei scemo?!» urla Alice agitando pericolosamente una mano, come se volesse tirargli uno schiaffo rotante da un momento all'altro per aver osato scansarla.
«Vieni Prewett» Sirius le passa accanto, poggiandole un braccio sulle spalle con tanta naturalezza che inizialmente Alice non si accorge neanche di star venendo guidata infondo all'aula. «Da oggi sei il mio nuovo migliore amico, quello vecchio mi ha scambiato per una carota»
Frank sta per avere un mancamento.
«Potter cosa ci fai qui? Il reparto "incompetenti che fanno esplodere calderoni" è decisamente più indietro. Ti sei forse perso?» domando, osservandolo curiosa con le sopracciglia sollevate.
«Lily» dice, le lettere che gli scivolano leggere fuori dalla bocca come se nella sua vita non avesse mai fatto altro oltre pronunciare il mio nome. «So che mi trovo nell'aria delle rosse saccenti, pensavo che oggi potessi aiutarmi a non far saltare in aria niente»
«Impossibile, non faccio miracoli» lo squadro eloquentemente, sollevando il viso con aria di sfida, perché lui mi ha appena chiamata saccente e non è come se potessi passare sopra ad un affronto del genere. «Però posso provarci»
***
"Severus, forse non l'hai notato ma la vita non è giusta" ripeteva mia madre tutte le volte che Tobias Piton, il babbano da cui prendo il cognome, tornava a casa barcollando e con una bottiglia di whisky stretta tra le dita. Non c'era giorno nella tetra villetta di mattoni rossi, a Spinner's End, che lui non mi picchiasse o collassasse svenuto sul pavimento.
Ma non m'importava, lui poteva riempirmi di calci perché fuori quella casa, nascosto sotto una cascata di capelli rossi, c'era il mio posto sicuro.
E fino a che i fili d'erba avrebbero continuato a sfiorare le nostre braccia vicine, la vita sarebbe stata giusta.
"A tuo padre non piace la magia?"
Lily mi guarda, gli occhi verdi resi brillanti dalla luce del sole che penetra attraverso le fronde degli alberi.
"A lui non piace niente"
E adesso è tutto finito. Mi rendo conto per la prima volta che le cose non torneranno mai com'erano prima, perché Lily sta sorridendo a Potter e non a me. Vorrei strapparmi la maschera bianca che ho sul viso e raschiare via la pelle dell'avambraccio sinistro, ma non posso farlo, neanche per lei.
Ora tra i due sono io il cattivo.
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