Capitolo 14
Risate sguainate, cattive, si sollevano dal piano inferiore. Tremo, ma non ho paura. Afferro il corrimano della scala, la manica sinistra della camicia bianca sollevata fino al gomito, già pronta. Scendo lentamente, le spalle dritte e il respiro pesante. I capelli neri e gli occhi grigi si riflettono nello specchio appeso alla parete, non riconosco me stesso, ma è solo un attimo, proseguo.
Il rumore dei miei passi rimbomba per il corridoio. Gli occhi di tutti i presenti si puntano su di me, i sorrisi maligni a deformargli i volti. Persino le teste d'Elfo mozzate mi stanno fissando. Il cuore scalpita veloce nel petto. È la scelta giusta? Non lo so, però Walburga annuisce orgogliosa e a me va bene così.
Si Sirius, Voldemort indossa i vestiti — vorrei dirgli, ma lui non è qui al mio fianco e non lo sarà mai.
«Regulus Black» mi chiama, la voce strascicata rimbomba per il soggiorno ora silenzioso, come un eco. Adesso ho paura, non posso più tornare indietro. «Avvicinati»
Mi sveglio di soprassalto con ciuffi di capelli scuri incollati alla fronte sudata, l'avambraccio sinistro brucia come se mi avessero ustionato la pelle con il fuoco. Nella penombra della camera intravedo i contorni scuri del marchio, le lacrime minacciano di scendermi lungo le guance.
Fisso le ombre delle sagome in movimento dei pesci nel Lago Nero, che si riflettono sulle tende del mio baldacchino. Serro gli occhi, impotente.
Il sorriso di mia madre mi balena in testa e resta impresso lì, davanti alle palpebre, come promemoria indelebile di cosa ho scelto di essere, mentre un nuvola scura attorno al cuore ha lo stesso colore della delusione negli occhi di Sirius.
***
Bussano alla porta con insistenza, ed io sbadiglio assonnata sollevando di poco la testa da sotto il cuscino. I capelli rossi mi ricadono aggrovigliati davanti alla faccia, sbuffo indignata, non solo perché non è umanamente possibile che la mia capigliatura sbarazzina, appena sveglia, assomigli quasi a quella di Potter, insomma, è un insulto alla mia brillante persona che con quell'essere non vuole averci niente a che fare. E poi, andiamo, anche una giovane Caposcuola come me ha il diritto di stare tranquilla il sabato mattina.
Beh, d'accordo, non è proprio mattina visto che l'orologio appeso alla parete segna mezzogiorno e mezza, ma il concetto è sempre lo stesso.
Alice e Mary non sono nei loro letti, come m'informano le coperte appallottolate sul pavimento della prima, e quelle perfettamente sistemate della seconda, perciò spetta per forza a me, alzare le chiappe dal mio morbido materasso e andare ad aprire. So che alla porta non sono le mie amiche, diciamo al cento per cento, perché nessuna di loro busserebbe per entrare nella propria camera da letto, e non si tratta neanche del mio ragazzo Alan, siccome lui in quanto maschio non può salire le scale del dormitorio femminile. Perciò, prima di mostrarmi a chiunque ci sia dietro il legno, mi lego i capelli in una coda e indosso un paio di pantaloni.
Mi sarei aspettata di ritrovarmi di fronte chiunque, persino quel ragazzino matto del primo anno che ha una cotta per me, ma di certo non la faccia occhialuta della Mcgranitt.
«Mi segua, signorina Evans» dice con un evidente tremolio ad intaccare il tono austero.
Il mio cuore perde un battito.
***
«Famiglia Babbana uccisa nei pressi di Spinner's End, Londra. È una notizia fresca di stampa, la data è di questa mattina» legge Peter ad alta voce, affranto, con la Gazzetta del Profeta piazzata sotto al naso e una coscia di pollo in una mano. «E non è tutto, pare che i coniug-»
«Metti via quel giornale, Wormtail» gli ordina Sirius, che ha sempre avuto una marcata repulsione per le notizie di cronaca. E io lo capisco, perché è da un anno che le prime pagine riportano solo avvenimenti terribili. «Goditi la colazione in pace»
«Tieni Pete, mangia un po' di uova» gliele allungo sul tavolo, perché so quanto sia facile far prendere dall'ansia il più grassottello dei mei amici. Ignoro lo sguardo insistente di un primino che analizza scrupolosamente le cicatrici che ho sul viso, e sospiro, a mia volta colpito dalla morte ingiusta di altri babbani.
«Ho una domanda per te, Pad» trilla James, con un sorriso raggiante sul viso, piazzato lì, sulle sue labbra, con il fine di sollevarci il morale. Perché se c'è una cosa che Prongs odia più di qualsiasi cosa al mondo, dopo i serpeverde, certo, è vedere le persone tristi. «Preferiresti rasarti tutti i capelli a zero o lasciare Frank legato e imbavagliato nella cantina di Mielandia, subito dopo aver ricevuto la notizia di un presunto tradimento da parte della Prewett che, non solo gli spezzerà il cuore, ma scatenerà in lui violenti istinti omicidi che obbligheranno la sua anima a vagare sulla terra per l'eternità, portandolo ad escogitaste piani malvagi, uno più inutile dell'altro, per farla pagare a colui che gli ha rubato la ragazza?»
«Facile, scelgo di salvare i miei capelli»
E ora che James ha ottenuto un risposta idiota al suo quesito altrettanto idiota, assecondando in questo modo la sua falsa sete di conoscenza, Peter si lascia andare ad una risata, ed io sorrido divertito. Perché tra noi Malandrini è così che funziona, ma non ho idea di chi l'abbia deciso.
«A proposito» si scompiglia i capelli già indecentemente arruffati, rizzandosi sulla panca per osservare con attenzione la tavolata. «Dov'è Evans? Ho un piano davvero intelligente per conquistarla»
«Ne dubito. Ma tu sapevi che la tua battitrice ha un'ossessione per il mio pacco?» sbotta d'un tratto Sirius, ghignando.
«Non è vero, Black!» urla Dorcas, rossa come un peperone, seduta poco distante. «Tappati quella fogna»
Non oso intromettermi nella loro conversazione, anzi, scelgo di assecondare l'idiozia di James, per evitare eventualmente di essere coinvolto in qualcosa di imbarazzante. «Hai provato a controllare la mappa? Magari è in giro per il castello ad adempiere ai suoi doveri di Caposcuola, cosa che dovresti fare anche tu, invece di stare qui a ingozzarti»
«Moony, sei un fottuto genio»
Alzo gli occhi al cielo, ma accetto il complimento, perché effettivamente si, lo sono.
***
Non è reale, ma in realtà so che lo è, perché sento il pavimento freddo contro le ginocchia, la testa pesante, i capelli incollati alle guance bagnate e il sapore delle lacrime salate sulle labbra. Le lettere sbilenche di Petunia continuano a scorrermi davanti agli occhi, nonostante la pergamena sia infilata nella busta all'interno della mia tasca. Mi scoppia la testa: le parole della Mcgranitt rimbombano nel silenzio del corridoio, non c'è nessuno, ma io le sento comunque.
Avverto il bisogno di gridare, prendere a pugni la parete, però non riesco a muovermi. Serro le palpebre, il petto scosso dai singhiozzi.
"Morti... morti... morti"
Quindi è questo il vuoto che si prova quando strappano via una parte di te. È come se avessi un'enorme voragine al posto del cuore.
Sento l'odio e la rabbia che fanno vibrare ogni singola cellula del mio corpo, perché i miei genitori erano buoni e la guerra, Voldemort, me li ha portati via per sempre.
"Sei un mostro, Lily. È tutta colpa tua e del tuo sangue malato. Hai ucciso mamma e papà"
Fa troppo male, non sono forte, non riesco a gestirlo.
«Evans? Ma che diamine-»
Non mi importa di resistere, di mostrarmi invincibile, ormai mi ha vista, sono crollata e non so se potrò mai riprendermi. Tutto mi sembra ovattato, lontano. Rumori di passi, l'odore del suo profumo, adocchio un paio di jeans strappati e so ha chi appartengono, ma non ho il coraggio di alzare la testa e guardarlo negli occhi.
Adesso le iridi nocciola di Potter riempiono tutto il mio campo visivo, perché è in ginocchio proprio al mio fianco. Non so cosa ci faccia qui o come abbia fatto a trovarmi. Il calore della sua mano sulla mia spalla per un attimo è in grado di alleviare il peso che mi comprime il petto.
Non dice niente, e lo capisco, perché Potter non è quel genere di persona in grado di prendere il controllo in una situazione del genere. Non lo sono neanche io, perciò va bene così.
Poi succede e in milioni di universi non ha assolutamente senso, in questo invece sembra perfettamente giusto e appropriato. James Potter abbraccia me, Lily Evans. Mi stringe forte, le braccia che circondano il mio corpo come se volesse evitare che mi sfracelli in piccoli pezzi sul pavimento.
Piango sulla sua spalla, le dita strette attorno alla sua t-shirt sgualcita, sperando di poter trarne confronto. Subito mi si para davanti alle palpebre l'immagine dei miei genitori in stazione, il nostro ultimo abbraccio, il modo frettoloso con il quale li ho congedati. Ed adesso non ci sono più, non potrò mai rivederli. Il tepore delle labbra di mia madre su una guancia o gli occhi verdi di mio padre, il profumo della loro pelle e la consistenza dei loro capelli tra le dita, sono sensazioni fresche che ho perfettamente impresse nella mente, ma che al tempo stesso sembrano già così sbiadite.
«Lily...»
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