Capitolo 31

~ Luna ~

Il dolore, un giorno arriva e te lo ritrovi davanti. Non ti risparmia e sei costretto a scontrarti con esso.
Pur essendo difficile da reprimere, a volte, il dolore è silenzioso. Può nascondersi negli angoli più impensabili dell'anima, ed è fatto di cose che non si possono raccontare a nessuno. È una scheggia che sfrega nel cuore fino a farlo sanguinare, fino a deturparlo lasciando il segno netto di un destino avverso.
Se c'è una cosa che ho imparato in queste settimane... è che non sempre puoi reggere tutto. A un certo punto per quanto credi di essere forte e imbattibile, ti spezzi. Il corpo, la mente, il cuore, possono reggere solo fino a un certo punto.
Non so come consolarlo. Le ultime ore sono state una sorta di montagna russa per lui. Un concentrato di così tante cose da destabilizzarlo.
Lo scroscio della doccia non cessa ormai da diverso tempo e inizio a preoccuparmi.
Lui è solito, dopo avere chiuso per qualche attimo il getto dell'acqua, insaponarsi per bene e senza fretta, massaggiare ogni muscolo fino a rilassarsi. Non è ancora successo e questo dettaglio, mi fa avvicinare alla porta con il cuore in gola.
Resto immobile e in ascolto ancora per poco. Non resistendo più, giro la maniglia e apro piano la porta, faccio un passo avanti e vago con gli occhi intorno alla stanza piastrellata e sorprendentemente in ordine.
Tor se ne sta dentro la doccia, con i palmi premuti sulla superficie, la testa china. In una posizione di sottomissione.
Senza neanche stare a pensare, sfilo via gli indumenti, tenendo addosso solo il completo intimo di pizzo nero, dopo avere legato i capelli in una crocchia scomposta alta sulla testa, lascio scorrere la porta della doccia e mi avvicino abbracciandolo da dietro.
Lui non si lascia cogliere impreparato. Non ha nessuna reazione istintiva, un po' come se mi stesse aspettando.
Non appena premo la guancia sulla sua schiena e le mie dita accarezzano il suo petto, inspira profondamente.
Bacio la sua spalla, il tatuaggio dove è raffigurata l'apertura alare del corvo, e scivolando da sotto il braccio, sfiorando le lettere sul costato per mantenere il contatto fisico, mi posiziono davanti a lui.
C'è un brevissimo attimo di esitazione da parte mia davanti alla sua stazza, al suo corpo teso, scolpito e abbandonato alla pioggia calda che gli si abbatte addosso.
Nuvole di condensa si diffondono intorno appannando tutto.
Il suo linguaggio del corpo mi sta intimando a non fare un passo avanti, a indietreggiare. Mi sta silenziosamente urlando: "Non avvicinarti al mio abisso se non vuoi essere risucchiata dentro. Non precipitare nel mio inferno se non sei in grado di controllare i miei demoni".
Mi armo di coraggio, scosto i capelli scuri dal suo viso e facendo un ulteriore passo avanti lo abbraccio, impedendogli di tenermi lontana dal suo dolore.
La mia vita sfiora il suo membro e un delizioso brivido colpisce entrambi. Sento infatti il suo respiro cambiare spezzandosi brevemente, ma non mi fermo. Riempio di piccoli baci il suo petto ampio, segnato da cicatrici e inchiostro.
Gli sto dicendo che ci sono. Che sono qui insieme a lui. Che non è solo come pensa.
«Tor?», sollevo gli occhi e i suoi sono tristi e fissi nei miei, la bocca tenuta serrata in una linea sottile, accarezzata dalle gocce d'acqua che continuano a piovere dal soffione sulla sua testa.
«Permettimi di aiutarti», sussurro.
Inizialmente strizza gli occhi. Poi, stacca una mano dalle piastrelle adagiandola sulla mia schiena, dandomi silenziosamente la sua approvazione con le sue agili dita che scendono lungo la spina dorsale, per poi risalire con la stessa piacevole lentezza lasciando segni invisibili ma devastanti sottopelle.
Accorgendosi di essere ingobbito, raddrizza le spalle e, facendomi fare un passo indietro, mi preme alla parete fredda avvolgendomi le braccia intorno al suo collo.
Muovo un po' i fianchi per mantenermi in punta di piedi, ma a lui non sembra dare fastidio questo mio gesto privo di malizia. «Permettimi di essere il tuo posto sicuro, quello in cui poter crollare».
Dalla sua bocca sfugge un verso cavernoso. Le sue dita, come minuscole gambe che si muovono sulla mia pelle, si spostano sul mio sedere, lo strizzano, poi raggiungono la zona sotto la natica.
Una scossa prolungata mi si abbatte sul basso ventre e afferro il suo viso con impeto, continuando a muovermi su di lui senza fretta, senza pudore.
«Permettimi di raggiungerti e riportarti da me».
Parlo ormai con un filo di voce quando mi strizza l'interno coscia. Si sposta di un passo e la cascata calda investe entrambi. Con un ginocchio mi apre le gambe e mi si preme addosso, baciandomi una sola volta la spalla con un certo ardore. Un gesto sufficiente a farmi capire che è qui con me, che posso aiutarlo perché non mi rifiuterà.
Ansimo e lui schiude la bocca. Mordicchio il suo labbro inferiore, succhiandolo appena. Passo sopra la lingua sulla parte arrossata e le sue pupille, in quel grigio tempesta, si restringono, mentre i muscoli guizzano e si tendono visibilmente.
«Parlami, ti prego».
«Continuo a sentire la delusione. Mi scorre come corrente continua lungo le vene e rischia di incendiarmi il cuore».
Finalmente lascia uscire le parole. Lo fa con un tono profondo e roco che genera in me solo brividi.
È una carezza fredda sul mio cuore. Uno schiaffo improvviso sulla pelle la sua tristezza. Mi lascia senza fiato. Mi strazia dentro. Mi strappa rimasugli di calma, di calore, lasciando solo caos, freddo, tormento.
Lo sento come se fosse mio il suo dolore.
Poggio la testa sul suo petto e chiudo gli occhi, in attesa che il mondo smetta di tremare.
Mi sento impotente. Vorrei tanto aiutarlo. Strappare via dal suo petto tutto il peso del dolore che sente e alleggerirlo.
Odio vederlo stare male. Non proprio lui che è sempre stato così tanto solido da non creparsi, da non crollare riducendosi in macerie.
«Con il tempo riuscirai ad accettare la realtà. Andrà meglio, vedrai. Un giorno non soffrirai più così tanto».
Scrolla la testa, subito dopo fa una smorfia come se il movimento gli provocasse fastidio. «Sono troppo orgoglioso per avvicinarmi ancora a lui. Per tornare a fidarmi».
«Sai, è difficile amare in un mondo che non dà solo amore. Ma se continui a vivere con l'oscurità nel cuore, il tuo mondo sarà sempre pieno di ombre. E quando poi arriverà un barlume di luce, lo vedrai solo come una menzogna».
Pur annuendo, i suoi occhi rimangono incolore e la vena sul collo pulsa visibilmente come se insieme al sangue circolassero frenetici anche i pensieri. Tutti quelli distruttivi.
«Lo so. Ma non credo che riuscirò più a vedere luce in mezzo a così tanto buio. Non so se riuscirò a vedere lui come la persona che è stata prima di tutto questo».
Mi rifiuto di pensare che la sua sia una resa. Parla in questo modo perché deluso. È comprensibile. «Invece puoi. Devi lasciare attecchire la delusione e poi liberartene affrontando il problema. Perché è così la vita. Le persone commettono errori, ma è in questo modo che si cresce e si va avanti. È così che si vive, Tor».
Non riscontrando alcuna reazione lo incalzo: «Stai solo scappando».
Distoglie brevemente lo sguardo. Un guizzo trapassa le sue iridi avvolte da una tormenta. Serra brevemente la mascella e gli si forma un solco sulla guancia che vorrei tanto sfiorare. «Sono stanco», mormora.
«Sei spaventato. Hai paura di apparire fragile di fronte alle persone che da sempre ti vedono come una roccia. Ma sgretolarsi non è sbagliato. Ci sono volte in cui è inevitabile farlo. Se continuerai a scappare, presto o tardi ti accorgerai di avere scacciato anche la felicità. Quella che meriti».
Inspira, piega il capo di lato e soppesa il mio sguardo speranzoso. «Le persone si arrendono subito con me, perché non lo fai anche tu? Sono un danno!»
Adesso lo guardo stizzita. Serro i polpastrelli sulle sue spalle. «Davvero mi stai chiedendo una cosa simile?», sospiro alzando gli occhi al cielo, imbronciandomi. «Quando ami qualcuno non prendi in considerazione la parola arrendersi».
Mi guarda improvvisamente timido. O forse è solo sorpreso e sta nascondendo l'emozione generata dalle mie parole.
«Mi stai dicendo che mi ami anche se sono così? Anche se non ho una famiglia tranquilla e sono figlio della persona che fino a qualche giorno fa credevo fosse mio zio? Mi stai dicendo che ami ancora la persona che ti ha tenuto lontana dalla verità per tanto tempo?»
Ancora una volta ignoro il suo tentativo di sabotaggio. So cosa sta cercando di fare. «Non puoi smettere di amare qualcuno che ti ha dato tanto. Neanche quando ha pensato di non avere mai avuto niente da offrire».
«Sei troppo buona, cazzo. Come ho fatto a meritarti?»
Abbozzo un lieve sorriso, nella speranza che possa scaldare un po' quel ghiaccio che gli si è formato intorno al cuore. Adagio la mano proprio sul suo petto e con l'altra abbasso la sua testa dimezzando la distanza per poterlo baciare.
Non c'è esitazione alcuna quando ci sfioriamo. Ci siamo solo io e lui e questo bacio che ha un sapore dolceamaro.
In silenzio, dopo esserci insaponati a vicenda e avere sciacquato via la schiuma, usciamo dalla doccia e dal bagno. Proseguiamo salendo sul soppalco, dove ci sdraiamo sul letto.
Le lenzuola profumano di pulito e nell'aria aleggia un buonissimo odore di legno e sandalo.
Floppy continua a saltare come un matto per giocare. Gli lancio la pallina per qualche minuto, ma quando Tor gli ordina di smettere, lui concentra tutte le sue energie in disparte e sui suoi giochi.
Adagio la guancia sul petto ancora umido di Tor appena apre le braccia e mi accoglie. Ascolto per qualche istante il suo respiro, giocando con l'aureola del capezzolo sinistro.
«Vuoi parlarne?»
Inizialmente nega in modo categorico e io non insisto. Lo conosco e farlo arrabbiare non porterebbe a niente di buono.
«Hai fame?»
Mi stringe a sé per non permettermi di scendere dal letto e allontanarmi. Un comportamento possessivo, ma giustificato dal fatto che nella sua vita, Tor, non ha mai avuto alcun coinvolgimento emotivo. Non ne ha mai voluto alcuno. E dopo svariati tradimenti, lui si è indurito e non ha permesso a nessuno di avvicinarsi più di tanto a quelle barriere.
Toren è come una scintilla. So meglio di chiunque altro quanto dolorosamente potrebbe scatenare l'inferno intorno a sé.
«Ti va di prendere a pugni qualcuno?», propongo smorzando ulteriormente la tensione.
Gioca con una ciocca dei miei capelli dopo avermeli slegati e avermi massaggiato la cute. «Nessuno ha mai capito veramente chi sono. Ho dovuto mettere il mio cuore al riparo. L'ho dovuto proteggere da solo. Mentre tutti si sono voltati dall'altra parte però, tu hai continuato a guardarlo. Hai fatto da guardiana a questo pezzo che per tanto tempo rischiava di non incastrarsi più».
Voltandomi mi sistemo su di lui lasciando che siano le sue mani a guidarmi mentre lo bacio in modo più profondo, trascinando dietro ogni sentimento, assicurandomi che questo si insinui in profondità, che lo raggiunga, lo abbracci e lo risaldi dove il resto ha creato solo dei profondi squarci.
«Forse dovremmo parlarne», comincio un po' nervosa e ansiosa. «Parlare di cosa ne sarà di noi dopo che sarò tornata a Berkeley o mi sarò laureata. Che ne dici di iniziare da questo?», lo metto alla prova.
Le sue dita premono sui miei fianchi. «Non ho più certezze, ma se mi dici che ci sarai, ti risponderò che voglio restare. Lo voglio da sempre».
Le guance mi si scaldano sotto i suoi occhi seri. «Davvero? Saresti pronto a una relazione a distanza?», oso chiedere, perché fatico a immaginarlo.
«Per un po', sì. Ti aspetterò e ti appoggerò».
«Poi?»
Afferra la mia guancia abbassandomi. Sfiora la mia bocca. «Poi troveremo una soluzione permanente. Magari provare a vivere insieme. Che ne dici? Se ti spaventa o ti sembra prematuro, non...»
Sorrido baciandolo ancora e ancora, interrompendolo per rassicurarlo. «Mi piacerebbe».
Mi abbraccia. «Ho solo te».
«Dentro di te sai che non è così. Non mentire a te stesso solo perché devi sedare quella parte ferita che preferirebbe vendicarsi», lo rimbecco.
«Che cosa proponi di fare? So che smani dalla voglia di dirmelo».
Cerco di non arrossire. Mi conosce. «Inizia a rispondere alle chiamate di tua madre. È preoccupata per te. Anche se ha sbagliato, ti vuole bene e lo ha fatto per proteggerti da Ben. Dio solo sa che cosa avrebbe fatto quell'uomo», comincio.
«Per quanto riguarda Chester, magari, puoi incontrarlo di tanto in tanto in un posto neutrale, farti raccontare tutto. All'inizio sarà strano, ma lo conosci e penso che per entrambi sarà solo un modo per potere ricominciare».
Chiude gli occhi. «È presto per dirlo. Ho altre priorità».
Mi faccio attenta. «Ovvero?»
«Peter».
Raddrizzo la schiena. «Che cosa hai intenzione di fare? Vuoi affrontarlo?»
«Parlare con lui. Sono stanco di nascondermi. Stanco di essere visto come il bastardo da chiunque. Voglio tornare alla normalità. Voglio che tuo padre abbia quel che si merita. E voglio sentirmi abbastanza per te».
Non rispondo subito. Da una parte c'è la mia famiglia, dall'altra l'uomo che amo. Il mio cuore si è appena sciolto e non riesco a credere che sia stato in grado di ammettere ciò che lo ha sempre frenato.
Mi solleva il mento tenendolo tra due dita dopo avermi dato un buffetto sul naso. «A cosa pensi?»
«Penso che sono io quella che non ti merita. Tu per me sei abbastanza. Lo sei, Tor. Nessuno può dire il contrario». Mi sporgo e lo bacio.
«Se me lo dici così potrei crederci. Perché adesso voglio restare qui, premuto alla tua bocca fino all'ultimo dei miei respiri».
Un giorno succede e non te ne accorgi nemmeno di esserti perso negli occhi di qualcuno. Perché l'amore, a volte, sboccia così. Matura solo dopo tanto tempo. Lo fa in silenzio.
Quello che sento per lui è un sentimento spietato. Indelebile. Impossibile da domare e da spiegare.
Incrocio le braccia sul suo petto. «Pensi davvero che Peter non sia collegato in alcun modo agli affari di mio padre?», domando pochi istanti più tardi.
Gratta la guancia, riflette prima di rispondere: «L'istinto mi dice che tuo fratello non sia invischiato nei suoi affari. Ma gioca un ruolo importante in questa vicenda, questo non lo possiamo negare».
A volte dimentico quanto quei due fossero amici. Mi piacerebbe rivederli insieme, a chiacchierare, a ridere. Erano complici, come fratelli. Avevano tantissime idee, tanti progetti. Eppure tutto si è dissolto in un attimo a causa di mio padre.
«Ti manca?»
Fa una smorfia come se avesse bevuto latte scaduto. «Detta così sembra che io sia una ragazzina tradita, che crescendo vuole ottenere vendetta prendendo di mira chi le ha reso la vita un inferno, e al contempo prova nostalgia per quel passato struggendosi».
Sorrido mollandogli un pizzicotto. «Non eludere e rispondi».
Schiarisce la voce dopo essersi lamentato per il dolore e avere afferrato il mio polso allontanando la mia mano, pronta a colpire ancora. «All'inizio, poi però ho capito che a volte le strade cambiano, i percorsi non sono mai gli stessi e bisogna lasciare certe persone indietro».
Gli arruffo i capelli e lui mi stringe i fianchi tenendomi premuta a sé. «Ma tu sei qui».
«Lo sono», sussurro sfiorandogli le labbra con il dito. «Per tutto il tempo che vuoi».
Una mano risale lenta sulla mia schiena fino alla nuca. «Grazie, Miele».
Mi accoccolo tra le sue braccia.
Ci guardiamo a lungo senza muoverci. Respiriamo l'uno l'aria dell'altro, scaldandoci col calore dei nostri corpi stretti. Ci guardiamo e non ci muoviamo. Non ne abbiamo bisogno. Perché questo per noi è fonderci, incontrarci a metà strada, incastrarci in un'unica anima.
«Rimaniamo ancora un po' qui prima di affrontare il mondo?»

***

L'officina non è mai stata così silenziosa. Ma dentro di me, nel mio petto, si dimena il cuore; strattonato da una parte all'altra.
So che non appena Peter varcherà la soglia, l'amore provato da sempre per lui che è la mia famiglia, prenderà il sopravvento. Proprio come so che il mio amore per Tor sarà d'impiccio per il piano che quest'ultimo ha in mente di attuare.
Ne abbiamo discusso. Abbiamo ragionato e adesso eccoci, in attesa di un confronto, si spera, pacifico.
Rio e JonD se ne stanno seduti a chiacchierare come se niente fosse. Sanno già tutto e non hanno nemmeno battuto ciglio sul loro possibile ruolo in questa storia. Sono leali e pronti a qualsiasi cosa.
Summer non è riuscita a essere presente a causa del lavoro. Ma le sono comunque grata per tutto quello che ha fatto per me e Tor, affinché chiarissimo e potessimo stare insieme.
Dita calde mi sfiorano una guancia. «Sei nervosa?»
Lo guardo storto. Continua a punzecchiarmi perché sa esattamente che a breve mi troverò al centro di un incendio. Gliene ho anche parlato mentre venivano qui. Ma il fatto che stia affrontando un problema alla volta, è una cosa positiva per lui e non posso di certo non riconoscere lo sforzo.
«Giusto un po'. Parlare con Peter non è mai così semplice come si crede».
Avvolge le mie spalle con un braccio, avvicinandomi a sé. «Tu lascia fare a me, Miele. Vedrai, chiuderemo questo capitolo per poterne iniziare uno nuovo senza ostacoli».
Premo la testa sul suo petto. «Mi prometti che farai attenzione e non cederai ai suoi insulti?»
Storce le labbra. Riflette bene su come raggiare la mia richiesta. Allora sbuffo e un sorriso fa capolino, in modo alquanto malizioso e spudorato, dalle sue labbra.
«Sai che c'è? Non voglio nessuna promessa. Solo... fa' attenzione».
Mi bacia la tempia. «Se non erro ti devo un appuntamento», cambia discorso.
Alzo gli occhi al cielo, ma nascondo l'eccitazione. «Vuoi davvero provarci?»
«Voglio fare le cose bene. Così avremo dei bei ricordi».
Avvicina le labbra alle mie. Sento un formicolio piacevole e mi trattengo dal gettargli le braccia al collo e perdermi, perché nel medesimo istante JonD fischia e Rio schiarisce la voce interrompendoci.
«Mi dispiace deludervi, piccioncini. È arrivato», dice serioso.
Io e Tor ci ricomponiamo, continuando a comunicare silenziosamente mi prende per mano e ci spostiamo verso il box.
Il nostro è un disperato tentativo. Abbiamo bisogno di scoprire cosa ha in mente di fare Peter e come fermare mio padre. Ci serve un modo per togliergli tutto il potere che ha ottenuto nel corso degli anni con i suoi giochetti.
«Stammi vicino».
«Sempre».
Peter arriva da solo, con un'auto alquanto sobria per i suoi standard. Indossa indumenti casual e ha un'espressione di disagio misto a dispiacere stampata in volto. Ma c'è dell'altro, qualcosa che da tanto tempo cova dall'interno.
Ci raggiunge e i ragazzi, dopo essersi guardati intorno, chiudono la saracinesca.
Siamo tutti faccia a faccia, sotto la luce bianca e ronzante al neon, in mezzo ad attrezzi disposti sulle mensole, odore di olio e benzina. Minuscoli rivoli di polvere si innalzano e si mostrano sotto il raggio pallido della luce.
Rio e JonD si mettono alla mia destra, Tor a sinistra facendo un passo avanti proprio quando Peter raggiunge il centro della stanza. Le mani in bella vista, le braccia un po' allargate.
«Volevate parlare e sono qui. Allora?»
Tor fa un cenno a Rio il quale piazza il borsone ai suoi piedi. Lo apre e torna in posizione.
Merda.
Inizio ad avere paura. Perché si comportano in questo modo? Che cosa non mi hanno detto?
«Ci avete frugato dentro? Avete preso qualcosa? È importante che ci sia tutto».
Tor solleva un taccuino dalla tasca interna del borsone. «Speravamo in una tua spiegazione prima di fare accusare tuo padre e farti crollare insieme a lui», lo sfoglia senza davvero guardare, poi lo lancia di nuovo dentro il borsone scuotendo le mani come se avesse toccato qualcosa di sporco.
Peter raddrizza le ampie spalle. Non c'è traccia di timore nei suoi occhi. Non arretra, incrocia solamente le braccia al petto portando il palmo sul mento. Accarezza piano la pelle, picchiettando l'indice sul labbro. «Siete sulla strada sbagliata».
Deglutisco lentamente, quasi spaventata al pensiero che il mio gesto possa rimbombare. Ma sto faticando a respirare, a restare posata di fronte a così tanta tensione.
«Questo, quando faranno le dovute indagini ce lo diranno degli esperti», comincia a metterlo alla prova JonD.
Peter rimane imperturbabile. «Sono quasi tutti corrotti gli uomini che conoscono e che hanno avuto a che fare con mio padre. Andate dove vi pare, provateci, ma state sbagliando», replica guardando Tor dritto negli occhi. «Bisogna coglierlo di sorpresa, non dargli un vantaggio».
Non sta mentendo e questo lui lo sa. Conosce mio fratello, tanto quanto lo conosco io; forse anche di più.
«Allora cosa ci proponi di fare? Darti il borsone e fingere di non avere visto niente? Permettere ancora a tuo padre di divertirsi in quel modo fino a quando non sarai soddisfatto delle sue avventure?»
Adesso Peter appare incauto. «Darmi il mio borsone e permettermi di ottenere giustizia. Non potete mandare in frantumi il mio lavoro, anni di ricerche e indagini».
Lo guardiamo tutti un po' confusi.
«Che cosa significa?»
Ci dà un momento le spalle. Ma quando le abbassa e si volta, è come se avesse appena adagiato lo scudo al suolo.
Stanchezza, tristezza, delusione e tanto, tanto altro, affiorano dalla sua espressione.
Minuscoli aghi di pino mi si conficcano nel petto di fronte al suo sguardo.
«Significa che lavoro da anni a quello che voi credete di potere risolvere in due minuti. Ho passato del tempo, tanto, a indagare, a mettere insieme i pezzi. Ho usato qualsiasi mezzo pur di ottenere le risposte e quello che mi serviva per incastrare una volta e per tutte mio padre. Quindi scusate se adesso rivoglio indietro quello che è mio».
Sbatto più e più volte le ciglia. «Pet... stai dicendo che hai spiato nostro padre per incastrarlo?», oso domandare, interrompendo il silenzio.
Per la prima volta da quando è arrivato, si volta nella mia direzione e mi rivolge la sua attenzione. Fa un passo avanti, ma la mano di Tor gli intima di non avvicinarsi. Peter allora si ferma, esita, indurisce i lineamenti, non sopportando la sua gelosia, ma rispettandola. Infatti non lo sfida.
«Sto dicendo che sono anni che cerco di raccogliere quanto più possibile su di lui per annientarlo», sibila a denti stretti. «E sono a tanto così dal riuscirci».
JonD e Rio sono a bocca aperta. Io mi sento stordita, mentre Tor sta ancora osservando mio fratello con una calma che mette i brividi.
«Quindi non hai a che fare con i suoi loschi affari?», intervengo ancora. «Perché lasciare quel borsone dentro l'auto?»
Nega. «Lo sapresti se solo ti fossi degnata di non guardarmi e considerarmi come un mostro. Il borsone non lo avrebbe mai trovato perché non ha mai gradito quell'auto da quattro soldi. Ecco perché ti ha permesso di guidarla».
Mi sento punta sul vivo. Il sangue si accumula sulle mie guance. «Lo saprei, vero, ma solo se mio fratello si fosse degnato di non trattarmi come un oggetto di sua proprietà», sollevo il mento. «Avresti dovuto dirmi sin dall'inizio quello che avevi in mente di fare».
Lecca le labbra. «E poi? Mi avresti aiutato, oppure avresti cercato di fermarmi? Luna, non è mai stato un gioco. Ho avuto a che fare con uomini loschi e ho rischiato più e più volte di farmi male pur di riuscire a trascinarli nel baratro insieme a nostro padre», stringe i pugni dopo avere fatto schioccare le ossa delle dita. «Ho rinunciato alla mia vita per lui», scrolla la testa mostrando i denti. «Come te ho fatto quello che mi chiedeva di fare. Persino tradire il mio migliore amico è stato un suo capriccio. Ma l'ho fatto». I suoi occhi si velano di malinconia e tristezza.
Tor si è appena irrigidito. La sua fronte si corruga per un attimo. «Stai cercando di fottermi?»
Peter scrolla ancora la testa. Una goccia di sudore imperla la sua tempia. «Sto solo dicendo la verità. Capisco che non mi credi», strizza le dita sul dorso del naso. Prende un breve respiro gonfiando il petto.
«Quindi hai fatto quello che hai fatto per accontentare tuo padre. Ma non hai mai cercato di fermarlo», constata a mente lucida e con distacco Rio.
Peter morde il labbro. I suoi occhi cercano i miei. «Ho fatto quello che mi diceva di fare, vero, ma non ho mai smesso di raccogliere prove per poterlo inchiodare e riprendermi la vita che merito».
«Ma a quale prezzo?», domando d'impulso. «Hai tradito il tuo migliore amico, mangiato e bevuto con uomini subdoli, pericolosi. Hai trattato me come un oggetto, obbligandomi a comportarmi come una figlia perfetta e devota. Mi hai persino impedito di stare con chi amo, e per che cosa?», alzo il tono della voce. «La verità è che sei esattamente come lui! Quindi scusami se non ti credo. Andava fermato e non assecondato per tutto questo tempo».
Peter adesso mi si avvicina. Ma in un attimo Tor mi si piazza davanti facendomi da scudo e spinge mio fratello ad arretrare.
«Non... toccarla», sibila.
«Non sono come nostro padre. Non lo sono mai stato. Volevo solo che la smettesse di usare le persone, il patrimonio dei nostri nonni. Volevo che smettesse di tradire nostra madre spingendola a impasticcarsi. E volevo che smettesse di trattarci come due marionette. L'ho fatto per me e per te. E credimi, non passa giorno in cui io non provi ancora rabbia e la voglia di saltargli alla gola per il modo in cui mi ha costretto a tradire il mio migliore amico o ad assistere ai suoi sporchi giochetti di potere».
Tor schiude le labbra. Peter lo affronta posizionandosi davanti a lui. «Sono stato costretto e, in un certo senso, l'ho fatto per tenerti lontano da tutta questa merda. È stato meglio così. Ho preferito che mi odiassi, che provassi disgusto».
Mi sento frastornata. Peter è sempre stato vittima di mio padre. Non posso crederci!
Sollevo lo sguardo, apro la bocca, ma ci pensa Tor a chiedere quello che anch'io vorrei sapere: «Che cosa ha su di te?»
Mio fratello distoglie lo sguardo, si volta, fa qualche passo verso la saracinesca come se stesse andando via, poi torna indietro agitato.
«Ho avuto dei problemi in squadra. Lui li ha risolti e da allora...»
Tor strizza una palpebra. «E che altro?»
Esita. «Partite truccate. Debiti di gioco, tutto a causa sua».
Indietreggio portandomi la mano al petto. «Gesù, Pet!»
«Ha minacciato di farmi squalificare. Ma giocare è sempre stata la mia unica valvola di sfogo. Non ho mai avuto nient'altro. Così, mentre lui pensava che fossi a distanza, sottomesso al suo volere, ho continuato a lavorare per distruggerlo. Non è stato per niente facile avvicinarmi a quei mostri che lui chiama soci in affari».
Tor continua a soppesare ogni singola parola che sente. «Stai trattenendo qualche altro dettaglio».
Peter passa il palmo sulla nuca arrossendo lievemente. «Riguarda Luna».
Mio fratello sposta gli occhi da lui a me. «Voleva farti fidanzare con uno dei suoi soci».
«Cristo!», esclama disgustato Tor. Lo stesso stanno facendo Rio e JonD, insultando mio padre.
Il mio stomaco si strizza e la nausea mi raggiunge, perché rivedo le immagini di quei video. Quelle ragazze usate e violate per puro diletto.
È così? Mi avrebbe venduta?
«Non avrei mai accettato», mi rifiuto persino di immaginarlo.
Peter ficca le mani dentro le tasche. Sembra così vulnerabile ora. «Gliel'ho impedito minacciandolo».
«In che modo?», la voce mi trema.
«Se lo avesse fatto, avrei rivelato le sue scappatelle e i suoi affari».
Il cuore mi traballa nel petto. «Hai fatto questo per me?»
«Sei sempre stata la mia sorellina e non avrei mai permesso a nessuno di toccarti o che ti facessero del male».
Gli occhi mi si riempiono di lacrime. «Perché...»
«Non è stato facile all'inizio sapere che eri tornata qui e che ti stavi avvicinando a lui. Ti sapevo al sicuro a Berkeley. Sono venuto per non permettere a nostro padre di usarti. Io... non pensavo che... non è stato facile per me, Luna. Insomma, vederti con lui dopo averlo tradito e tenuto lontano senza mai dirgli che ero dispiaciuto».
Tor indietreggia di un passo. «Cosa?»
«Mi dispiace», dice sincero, guardandolo dritto negli occhi. «Avrei voluto dirti la verità un migliaio di volte, ma sapere che mi odiavi era in un certo senso la mia punizione».
Inspira piano. «Non sarà facile vederti vicino a mia sorella. Ho sempre saputo che prima o poi voi due vi sareste in qualche modo ritrovati. Ho sempre notato il modo in cui la proteggi, l'hai fatto anche quando non era tuo dovere farlo. Io... te ne sono grato, perché non ne sono stato in grado. Non l'ho fatto bene come te».
«Oh, Pet», soffio. «Avevi le tue ragioni. Ma avresti dovuto parlarne. Sono sicura che avremmo potuto risolvere tutto insieme».
Scuote la testa mestamente. «Non avrei mai voluto mettervi in pericolo. Stare lontano da lui era la priorità».
«Perché?», domanda JonD, rimasto in silenzio e in ascolto.
«Perché mio padre avrebbe usato qualsiasi cosa pur di fargli male. Tor sapeva della signora Spencer. Era una minaccia per i suoi affari».
Tor si volta un momento e va ad appoggiarsi al ripiano di lavoro. I palmi sulla superficie. Le spalle tese. Di colpo lancia qualcosa e urla con rabbia.
«Hai mentito per tutti questi anni per tenermi al sicuro?»
«Era l'unico modo...»
«No, non lo era, cazzo!», sbraita. «Ti ho odiato. Ho desiderato che ti spezzassi come un ramoscello. Ti rendi conto di essere un coglione?»
Peter annuisce, comprendendo il senso delle sue parole. Stringe le labbra nascondendo un sorriso mesto. «Ho meritato gli insulti, le minacce e tutto il resto. La mia non è una giustificazione volta a farvi passare dalla mia parte. Volevo solo dire a qualcuno la verità».
Ho un vuoto allo stomaco. Tremo, la paura si impossessa di me. «Che cosa significa? Che hai intenzione di fare?»
«Fermare nostro padre con qualsiasi mezzo. È giunta l'ora. Mi serve solo quel borsone».
«Qual è il tuo piano, farti ammazzare?», strillo. «No. Non lo permetterò!»
«Lo faremo, ma a delle condizioni», replica Tor avvicinandosi a lui.
Rio e JonD hanno raddrizzato entrambi le spalle e sembrano sul punto di unirsi al piano. Qualcosa però li trattiene ancora.
«Tor, io non posso...»
«Lo farai! Ho perso fin troppo tempo dietro alla tua famiglia. Se all'inizio avevo lasciato correre, da quando ho trovato quel borsone non ho fatto altro che immaginare Ector nel posto che davvero gli spetta: una stanza senza comfort, dietro le sbarre».
Peter inizialmente scuote il capo, rifiuta categorico una simile opzione. Ma quando Tor gli si avvicina, sembra cedere. «Non cerco il tuo perdono, ma sappi che sono davvero dispiaciuto».
Tor gratta la guancia. «Non ti perdonerò per quello che mi hai fatto. Voglio solo avere la possibilità di chiudere e andare avanti».
«Anch'io».
«Un'altra cosa...», gli molla inavvertitamente un pugno facendolo cadere a terra. «La prossima volta non osare minacciarmi o darmi ordini. E per quanto riguarda tua sorella, è libera di stare con chi vuole e se a te non sta bene, accettalo lo stesso».
Peter si lamenta. Mi precipito da lui guardando storto Tor, la sua mano di nuovo livida.
Peter mi fa cenno di stare bene. Strizza un occhio sollevando il mento. «Ricevuto. Hai messo in chiaro che mia sorella è tua finché sarà lei a volerlo», stringe i denti tossicchiando, leccando il sangue dall'angolo del labbro. «Non vi impedirò più di stare insieme».
«Bene».
«Quindi, adesso ci serve solo un piano per attirare Ector Maddox nella trappola e farlo confessare», li interrompe JonD.
«Come facciamo?», domanda Rio.
«Io so già come», replica Peter.

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