Capitolo 25

~ Luna ~

Il silenzio. Ho tentato di accettarlo di nuovo nella mia vita ma sa di mille parole, sa di lacrime, di rabbia e dolore.
Me ne sto qui, ma non ci sono davvero. Sono stata svuotata, spezzata, abbandonata.
Sistemo l'ultimo scatolone sul ripiano in legno chiaro della cucina.
Trovare un appartamento a Berkeley in piena estate non è stato facile, ma ci sono riuscita.
Sono passate altre due lunghe settimane. Mi sono servite per sbollire, per riprendere in mano la mia vita, per allontanarmi dallo schifo in cui stavo vivendo e cadendo.
Dopo quella dolorosa notte, non sono più tornata a casa. Ho dormito in un hotel, il mattino seguente ho prelevato dei soldi dal mio conto e sono partita senza guardarmi indietro.
Recuperare le mie poche cose nel vecchio appartamento non è stato poi così difficile. Ho lasciato la chiave all'entrata e ho chiuso per sempre quella maledetta porta, segnando in qualche modo la fine di un'amicizia che credevo fosse sincera.
Recupero un coltello e apro l'ultimo scatolone. Gli altri sono già ammucchiati all'entrata, in attesa di essere smaltiti.
Lavo i bicchieri appena arrivati e li metto in ordine sulla mensola sopra il ripiano, proprio accanto ai piatti.
Quando ho finito, vado a fare una doccia e non avendo ancora avuto il tempo da dedicare alla spesa, mi sposto verso il pub che si trova proprio sotto casa.
Non è un locale poi così grande. I tavoli sono tutti in mogano, c'è un enorme bancone ad accogliere i clienti che non hanno tempo, un altro più in fondo con una serie di sgabelli alti, con la parte superiore imbottita da un cuscino in pelle color senape, per chi ha giusto qualche minuto di pausa prima di tornare al lavoro o a casa.
Dietro il bancone vi sono delle mensole ben organizzate, pulite, colme di bottiglie e bicchieri per ogni tipo di alcolico e dimensione. Piante rampicanti pendono dalle mensole. Una lavagna con il menu trascritto sopra indica le pietanze giornaliere che si possono trovare.
C'è odore di panini e frittura nell'aria.
Siedo al mio posto preferito. L'ultimo tavolo in fondo, il più piccolo e appartato.
Una delle cameriere, Gwen, corre subito a prendere la mia ordinazione.
«Allora, Luna, cosa ti porto?»
Sollevo gli occhi sulla ragazza bionda, sorridente e in attesa. Profuma in maniera quasi stucchevole di fragola e panna. È cortese e sempre pronta a servire i clienti che arrivano. Soprattutto è brava a memorizzare i gusti di chi vede spesso.
«Il menu della casa andrà bene, grazie».
«Aggiungo una fetta di crostata alla ciliegia? Ti assicuro che è una vera delizia. Sta andando a ruba».
«Non posso rinunciare al dolce, aggiungi pure quella», sorrido di rimando e lei riprende il menu allontanandosi sculettando.
Il mio nuovo cellulare ronza dentro lo zainetto.

Summer: "Ti stai perdendo un bellissimo tramonto e questo..."

Il messaggio seguente arriva con una foto. Fritto di pesce dentro un cornetto di carta e un meraviglioso cielo dalle più svariate sfumature.

Luna: "Sto cenando proprio in questo momento. Sembra buono quel fritto. L'ha preparato Rosita?»
Summer: "Esatto. Come stai?"
Luna: "Oggi ho concluso il trasloco. Non pensavo fosse tanto snervante farlo da sola. Però ho provato una certa soddisfazione nell'aprire l'ultimo scatolone. Dopo due settimane posso dire di avercela fatta."
Summer: "Avrei voluto esserci. L'appartamento sarà fantastico."

Arriva la cena. Azzanno subito una patatina intingendola nel ketchup. Le mie dita esitano sulla tastiera. Mi ha chiesto come sto e io ho evitato la domanda. Succede di continuo.

Luna: "Ti manderò delle foto."

«Perché non mi mandi una foto di te mentre te ne stai tutta sola in un pub a Berkeley».
I miei occhi si spalancano dalla sorpresa.
«Summer, che ci fai qui?»
Prende posto sull'unica sedia disponibile davanti alla mia, sistemando la borsetta sulla spalliera. «Sono venuta a trovarti, mi sembra ovvio», mi ruba una patatina dal piatto. «Carino questo posto», biascica guardando ovunque con curiosità.
«Come hai fatto a trovarmi?», domando con sospetto.
Mostra lo schermo del telefono. «Trova amici», ghigna facendomi l'occhiolino.
«Merda! Avrei dovuto disattivare qualsiasi dispositivo nel giro di qualche chilometro e le app collegate al mio account».
Ridacchia. «Devi nasconderti meglio la prossima volta. Allora, come ti trovi? Ti stai ambientando nel nuovo appartamento? Come sono i vicini?»
Metto il piatto al centro quando noto che sta per protendere di nuovo la mano. Sembra emozionata, agitata e affamata. Chiedo a Gwen di aggiungere un altro piatto per Summer.
«Chi ti ha accompagnata?»
Comincio a guardarmi intorno, in attesa che tutto cambi e la tranquillità che sto cercando si trasformi ancora in caos.
«Nessuno dovrebbe traslocare e poi passare le serate da sola. È deprimente. Così mi sono detta, perché non andare a trovarla?»
Appoggio la schiena e scrutando nei suoi occhi incrocio le braccia al petto. «Non dirlo a me. È stato faticoso, soprattutto perché non avevo mai dovuto mettere un chiodo o avvitare una lampadina prima, direi un'esperienza nuova. I vicini non li ho ancora conosciuti e il nuovo appartamento mi piace. Era quello che mi serviva», le sorrido. «Grazie, per essere venuta».
Mima un "figurati", prendendo altre patatine e azzanna il panino quando Gwen serve a entrambe la cena.
«Allora, non hai intenzione di tornare?», biascica emettendo mugolii di apprezzamento.
Mi stringo nelle spalle mangiucchiando come un uccellino il mio panino al pollo. Improvvisamente sento di non avere fame. Ma non posso continuare così. Il mio corpo potrebbe cedere.
Mi stupisce che Summer stia girando intorno al problema principale. Non ha ancora fatto un solo commento o indirizzato la conversazione verso quel fronte. In fondo, gliene sono grata.
«Perché dovrei? I miei non hanno neanche cercato di fermarmi quando hanno saputo dove sono. Mio fratello è arrabbiato perché non ho scelto lui, la famiglia e...», esito. Deglutisco. «Tanto prima o poi sarei dovuta tornare qui. Ho solo accelerato un po' i tempi».
Summer scosta la folta chioma scura dietro la spalla dopo essersi pulita le dita. «Sai, hai un'amica che potrebbe offrirti una camera. Non devi neanche chiedere».
«I miei non saranno in casa dopo l'inaugurazione del molo. Partono per un viaggio. Pensavo di approfittare della loro assenza per recuperare qualche altra cosa per stare qui. L'unico problema potrebbe essere Peter ma so come gestirlo».
Summer tamburella con le dita sul tavolo. Ha le unghie smaltate verde fluo, indossa una salopette in denim e un top giallo pastello. Non potrebbe essere più bella.
«Potresti sempre venire a trovarmi per l'inaugurazione e andare insieme. Fare fronte unito».
Corrugo la fronte. «Non voglio vedere Alissa mentre si pavoneggia o mi tratta come se fossi una povera ragazzina sola e disperata».
Beve un sorso di Coca-Cola. «Penso proprio che dovresti. Luna, non sei affatto sola e Alissa deve ancora pagare per i suoi peccati».
Non oso chiedere la ragione della sua insistenza. Penso già di sapere perché. Mi viene un solo nome, un'altra vittima di Alissa, che potrebbe volere vendetta: JonD Bennet.
Che cosa hanno escogitato?
Anche se fremo dalla voglia di saperlo, non voglio farmi coinvolgere. «Ci penserò».
Summer sa molto più di quello che dice.
A mente lucida, nei giorni scorsi, ho avuto il sospetto che sia lei che gli altri già sapessero come sarebbero andate le cose in spiaggia.
Controlla l'ora e il cellulare dopo avere mangiato l'ultimo pezzo di torta ed essersi pulita gli angoli della bocca. «Si sta facendo tardi. Mi piacerebbe restare ma ho promesso a Rio che sarei tornata prima di mezzanotte. Sai com'è, si preoccupa».
Annuisco, lascio una banconota sul tavolo offrendole la cena e l'accompagno fuori. «Ti prendi cura di loro?»
Sorride in modo dolce. «Sempre».
Camminiamo per un paio di secondi in silenzio. «Luna...», esita.
«Uhm?», mi riscuoto.
«Sicura di stare bene? Non te l'ho chiesto perché non voglio essere pressante, ma sono preoccupata. Sembri così triste».
«Certo che sto bene. Adesso mettiti in auto e guida con prudenza», provo a essere convincente.
«Fammi sapere se cambi idea».
«Potrei passare per un saluto. Ma senza aspettative o essere coinvolta in qualche guaio».
Sbuffa quasi imbronciandosi. Poi sembra in qualche modo nervosa.
Smetto di agitarmi e la scruto attentamente. «Che c'è?»
«Niente», dice un po' troppo ad alta voce. «Anche se ci conosciamo da poco, sappi che ti voglio bene e non voglio in alcun modo vederti stare male».
Il mio cuore si strizza. «Ho apprezzato molto il tuo gesto. La prossima volta però avvisami. Adesso mi preoccuperò fino a quando non mi avrai detto che sei a casa sana e salva».
Mi abbraccia con impeto avvolgendomi nel suo calore, nel suo odore al cocco, nella sua amicizia sincera. Quella che ancora non avevo avuto modo di vivere.
«Ti scrivo appena arrivo».
«Risparmiami il fatto che sei con Rio. Non voglio avere gli incubi».
Ridacchia. «Ricevuto. Chiama se hai bisogno di qualcosa o se vuoi parlare».
La guardo andare via con un enorme peso nel petto. Grosse lacrime sgorgano ma le ricaccio dentro. Non è il momento.
Sono stata così brava negli ultimi giorni.
Mi avvio verso casa, un cumulo di pensieri nella testa, troppe domande senza risposta.
A qualche metro dall'entrata, da cui si accede al mio nuovo appartamento, arresto la mia passeggiata.
Non mi sono mai sentita tanto piccola e indifesa in vita mia. La sua presenza cambia tutto. Alto, imponente, con quell'aria distaccata, riesce a far vibrare l'aria intorno.
Non c'è modo di descrivere ciò che ho davanti ai miei occhi, increduli, spalancati.
Toren se ne sta appoggiato alla sua auto, le mani in tasca, l'espressione seria e sta aspettando. Me.
La mascella forte, i capelli corvini, le ciglia scure incurvate, gli zigomi alti e quelle labbra... capaci di pronunciare parole tanto orribili, ma desiderabili, attraenti.
Indossa una camicia bianca, le maniche arrotolate sopra i gomiti, quelle vene in evidenza, coperte dall'inchiostro inciso sulla pelle abbronzata, soda, liscia come seta. L'orologio al polso a tenere il tempo dei secondi avvolti nel silenzio, un'attesa velenosa per i miei sensi in allerta.
Pur sentendomi intimidita, non gli permetto di notarlo. Abbasso lo sguardo sui miei indumenti casual, ma non me ne curo. Con addosso una canottiera sopra l'ombelico color glicine, jeans strappati e converse ai piedi, mi sento a mio agio.
Per strada, al momento, ci siamo solo io e lui.
Non ho nessuna idea di ciò che potrebbe succedere da qui a breve. L'unica cosa che non posso cambiare è il fatto che Toren Connor sia uno stronzo e si trovi proprio a pochi passi.
D'un tratto, come se avessi ricevuto una scossa da quella parte di me ammaccata e delusa, distolgo lo sguardo.
Ho dovuto ordinare a me stessa a tenere isolato dal cuore tutto quello che provo. Ho messo ogni singolo ricordo di lui, di noi, in un angolo. E continuerò a farlo. Lui non vi avrà più accesso.
Le opzioni sono due, girare i tacchi o affrontarlo. La prima non è più possibile dato che mi avvista e come un falco non mi toglie gli occhi di dosso.
Non so perché sia qui. Non voglio neanche saperlo. Non dopo quello che ha fatto.
La delusione non l'accetti quando arriva. Ci rimani male perché ti aspetti sempre qualcosa di diverso dalle persone.
Lui non mi ha solo ferita. Mi ha fatto credere di tenerci e poi mi ha spezzata lanciandomi via come se non avessi importanza.
Raggiunta la scalinata, lo supero, recupero le chiavi e provo in fretta ad aprire il portone per poter entrare.
«Luna».
Tremo. Il mio cuore sfarfalla al tono della sua voce. Le lacrime tornano con violenza, spingono e vogliono uscire. Prendo un lungo respiro, mi calmo, indosso la mia armatura e lo affronto. «Che ci fai tu qui?»
Guardarlo negli occhi richiede tutta la mia capacità di resistenza. Non mi è affatto di aiuto quello che sento. Davanti a me, due sfere a racchiudere un cielo grigio a minacciare gocce di pioggia capaci di annegarmi fino a trascinarmi nel suo abisso.
Sono occhi che non mi lasceranno più.
Occhi che scavano e scavano nei miei senza permesso. Accedono a una parte profonda e ferita della mia anima minacciandola di strapparla via.
«Ho bisogno di parlarti».
Sa esattamente a cosa sto pensando. Ma non comprende come mi sono sentita, tutta la rabbia che ho dovuto sedare per non permettere che mi seppellisse viva.
«Com'è che hai detto? Ah, vattene ho altro da fare».
Abbassa il viso. «Me lo merito. Ma non ce la faccio più. Ho davvero bisogno di dirti la verità».
Lo guardo storto. Mi sento derisa. «Verità? Adesso vuoi dirmi la verità?», soffio aria dal naso. «Non c'è verità. Ci sei solo tu con le tue cazzo di menzogne e paranoie. Poi ci sono io. Hai chiarito bene il concetto e me ne sto facendo una ragione. Adesso vattene, non ti voglio qui», trovo la chiave e con mani tremanti la infilo nella toppa. «Non farmelo ripetere».
«Per favore», adagia la mano sul mio braccio.
Me la scrollo di dosso come se mi avesse ustionata. «Non toccarmi».
Indietreggia, scosso dal mio tono duro. «Ti va se andiamo a bere qualcosa? Ti farebbe sentire più a tuo agio avere delle persone intorno?»
«Decisamente. Ma sfortunatamente sono stanca. Quindi penso che me ne andrò a letto», fingo uno sbadiglio. «Buon ritorno a casa Toren Terminator Connor».
Digrigna i denti. «Luna...»
Mi volto ed è talmente vicino da farmi sussultare. Percepisco il suo calore. Il suo profumo mi avvolge e intorpidisce i miei sensi.
«Un solo drink», promette con quei suoi occhi grigi imploranti. Si sta mostrando vulnerabile per convincermi a fidarmi. Ma la fiducia, come dicono, è davvero un filo sottile che se si spezza è impossibile da riannodare. La mia ha continuato a lacerarsi in più punti.
Ma conosco l'uomo che ho davanti e qualcosa mi dice di fare attenzione. Pertanto, con cautela, chiedo: «Ti accamperai qui altrimenti?»
«Tra le tante opzioni».
«E quali sarebbero?»
Morde il labbro. «Non ti piacerebbe sapere quello che ho in mente di fare».
Sospiro. «Uno solo e poi me ne vado».
Per poco non si mette a saltellare. Sto cercando di restare immobile, ma riesce sempre a stordirmi e un sorriso increspa le mie labbra.
Conosco un posto. Dal mio appartamento non è difficile raggiungere pub, ristoranti e altri negozi. L'ho scelto a posta e non potrei essere più soddisfatta di così.
Con un sorrisetto mi lascia fare strada.
«Summer era qui con te?», fisso il marciapiede, la punta delle mie Converse.
«In realtà è venuta insieme a Rio. Dovrebbero essere in un hotel qui vicino. Facevano parte del piano», confessa. «Ma lei ha insistito per venire da te da sola».
Non ribatto. Sapevo che c'era sotto qualcosa. Mi preme solo avvertirlo che non sarò più tanto indulgente. «Non usarla mai più come hai fatto con me».
Entro nel locale. Vengo investita da una calotta di caldo, fumo e odore forte di alcol. Supero il bancone già pieno di persone. Ignorando le occhiate di apprezzamento, gli ammiccamenti e i saluti, mi dirigo verso uno dei tavoli liberi.
Tor ordina da bere al bancone e mi raggiunge sedendosi davanti. Mi porge la mano ma non la prendo. Non ho intenzione di fidarmi. Mi ha distrutta.
Ritira la mano incupendosi. «È difficile», comincia ringraziando quando un ragazzo ci porta i due bicchieri pieni di liquido ambrato con ghiaccio.
Ringrazio anch'io e ne prendo un sorso per inumidire le labbra. «Non ho tutta la notte».
Storce il labbro. «Sei arrabbiata e lo capisco...»
«Stai già perdendo punti dicendo la cosa sbagliata».
«Cazzo!», impreca grattando la nuca. «Non rendermi le cose ostili, Miele. Ci sto provando, maledizione».
«Che ne dici allora se adesso ci salutiamo e tu vai per la tua strada e io per la mia?»
Scuote la testa. «Dico che sarebbe una pessima idea. Sono qui per darti una spiegazione, ma sono così nervoso da non riuscire a esprimere quello che da giorni continua a torturarmi. Questo perché vederti mi ha destabilizzato. Non mi sembra neanche vero averti qui di fronte».
«Perché non sei venuto prima?»
«Dovevi sbollire e anch'io dovevo farlo. Non volevo commettere altri errori dicendo la cosa sbagliata. Mi avresti trattato con disprezzo».
«Forse perché è quello che meriti?»
Mi guarda storto. Non mi faccio piccola. Sollevo il mento con sguardo fiero e lo affronto.
Beve un lungo sorso. «Non volevo ferirti».
«Ma l'hai fatto comunque. Non puoi uccidere qualcuno e poi chiedere scusa. Non è così che funziona. Tu mi hai umiliata, mi hai urlato addosso di essere insignificante per te. Mi hai fatto sentire come se non fossi altro che una pedina del tuo stupido gioco e non ti sei neanche preso la briga di dirmi la verità quando ne hai avuto l'occasione. Potevi farlo quando mi hai lasciata sotto casa, dopo che...», la voce mi trema e stringo i pugni sotto il tavolo. «Dopo che ti ho detto chiaramente quello che provavo. Bastava dirmi: "Apprezzo la sincerità, ma non sono interessato, grazie tante e arrivederci!"».
Finisce il suo drink, picchia il bicchiere vuoto sulla superficie del tavolo tondo nero lucido e ne chiede altri due.
Tracanno anch'io il mio. Parlargli, aprirmi, mi sta facendo agitare e seccare la bocca.
«Non sono bravo a chiedere scusa».
«Non sei bravo neanche a essere sincero!»
Solleva gli occhi dal bicchiere. Mi intrappola e a me viene solo voglia di piangere.
«Non voglio perderti».
«Stai continuando a girare intorno al problema e a non dare nessuna spiegazione. Non eri qui per questo?»
«Prima vorrei sapere che mi perdonerai».
Non mi stupisce affatto ciò che provo. L'ho sempre saputo che non sarei mai riuscita a provare qualcosa per qualcun altro. Mi dilania quello che invece non riesco a compiere. Il mio cuore si rifiuta di tradirlo. Di allontanarlo quel tanto che basta da riuscire a sentire ancora i miei stessi battiti. Nemmeno nei miei confronti potrei mai provare così tanto.
Mi sento sciocca perché so con certezza che perdendo lui smarrirò me stessa.
«No».
Strizza una palpebra e si accende una sigaretta. «No», sussurra giocando con il pacchetto vuoto con aria tetra, avvilito. «Ti ho usata, è vero. L'ho fatto sin dall'inizio. JonD e Rio hanno scommesso che saremmo finiti a letto entro un mese o entro fine estate. All'inizio ho rifiutato. Il mio problema erano tuo padre e tuo fratello. Tu non hai mai avuto nessuna colpa. Quando mi hanno detto che Declan ti girava intorno, hai bussato alla mia porta e ho visto l'auto però, dentro la mia testa ha preso forma un piano. Soprattutto quando ho trovato qualcosa nel bagagliaio della Mustang». Attende, cerca di far sedimentare la verità.
Non mi scompongo, solo dentro sono ridotta in frantumi. Bevo un lungo sorso e mi concentro per non prenderlo a pugni.
Una scommessa. Si può cadere tanto in basso?
«Dentro l'auto non c'era solo un borsone. È stata manomessa di proposito per nascondere della roba».
«Roba», ripeto scioccata, intuendo.
Conferma guardando ovunque. «Tuo fratello mi ha teso una trappola, allora io ho pensato di fare lo stesso a distanza di anni. Non me ne vergogno».
«E dentro il borsone cosa c'era?»
«Non è il posto adatto per questo tipo di conversazione. Sappi solo che tuo fratello lo rivuole indietro».
Corrugo la fronte. «Tor, se mi stai ancora mentendo e tenendo lontana dalla verità io... come diavolo faccio a crederti?»
Sbuffa. Emette un verso pieno di esasperazione. Picchia il pugno sul tavolo. «C'erano dei documenti falsi, un'agenda con dei contatti, soldi, parecchi soldi, un'arma, proiettili e altra roba in bustine. C'era anche una chiavetta», sussurra con circospezione. «Ho controllato. Dentro vi erano molte cartelle numerate, alcune associate a delle persone. Non solo, anche video incriminanti su tuo padre».
Finisco il drink sempre più assetata. In cosa diavolo si è cacciato mio fratello? Che cosa c'entra mio padre?
«Quindi vuoi fare finire in galera Peter?»
«Non solo lui», valuta la mia reazione. «Penso che tuo padre sia coinvolto tanto quanto lo è tuo fratello».
«E in tutto questo io che ruolo gioco? Sono la tua puttana?»
Mi guarda storto. «No. All'inizio volevo usarti per attirare tuo fratello e tuo padre nella trappola. Poi abbiamo passato del tempo insieme e...»
Il mio cuore scalpita. Si aspetta ancora qualcosa. Che stupido illuso!
Dalle casse parte una bellissima canzone che spinge le persone ad affollare la pista.
Tor beve d'un fiato, spegne la sigaretta. Faccio lo stesso cercando di collegare i pezzi della sua confessione. Non mi ha ancora detto tutto. Manca qualche pezzo.
Afferrandomi la mano mi porta al centro della pista. Mi avvicina a sé con impeto e preme la guancia sulla mia.
Provo a rifiutare il suo tocco. Ma ogni volta che mi sfiora la mia pelle assorbe parte del suo odore come una tossina.
Chiudo gli occhi, lo annuso e percepisco il battito scostante del suo cuore che si aggancia al mio, chiedendo ancora un attimo di pace.
«Vederti e trattarti in quel modo è stato troppo anche per me».
«L'hai fatto lo stesso. Non hai avuto nessuno scrupolo», replico piccata.
«Ho passato giorni a pensarti, durante quelle due settimane non ho fatto altro che fermarmi sotto casa tua per riuscire a vederti. Ma tu non c'eri».
«Non volevo andarmene».
«L'hai fatto. Tu mi hai abbandonato, Luna».
Sono sorpresa, ma non posso permettergli di prendersi ancora gioco di me. Le sue parole bruciano eterne nella mia anima. Mi ha uccisa. L'ha fatto guardandomi negli occhi e non ha esitato un solo istante.
Adesso davanti a me c'è una persona diversa. Ma come posso accettare le sue misere scuse quando ha fatto a pezzi il mio cuore davanti a tutti, di fronte a quelle persone che hanno riso di me per anni, di fronte ai suoi amici che sapevano...
«Va' al dunque, Toren. Non ho tempo».
Chiude per una breve frazione di secondi le palpebre. «Mi sei mancata».
Faccio un passo indietro. Coglie il mio silenzio e continua. Prima però mi riafferra. Mi tiene vicina.
«Non credevo sarebbe successo ma non trovarti al risveglio accoccolata al mio fianco o vederti al mio ritorno sul divano con Floppy addormentato tra le tue braccia mentre leggi un libro. Non poterti raccontare la mia giornata... è stato come vivere in un posto senza vita».
Porto la mano sul petto. Massaggio per attenuare il dolore per la violenza con cui si sta distruggendo il mio cuore.
«Sono andato da mia madre. Lei e mia sorella, be', mi hanno aperto gli occhi. In realtà tutti lo hanno fatto. Dicono che mi comporto da bastardo egoista».
«Lo sei».
«Lo so. Lo faccio perché quando ami una persona ti arriva dentro una scossa e rischi di perdere il controllo della tua vita, di tutto ciò che credevi fosse solido e questo fa paura».
Non oso alzare gli occhi. «E che altro ti hanno detto?»
«Che se non ti chiedo perdono, se ti perdo, sono un idiota che non merita più niente. Che non avrà più niente perché quando ha avuto tutto l'ha rifiutato».
«Lo sei», sussurro. «Sei un casino di persona, Tor», la voce trema.
Passa la mano sulla fronte trascinando i capelli indietro. «Non ti ho persa completamente, vero?», esita.
«Il problema non è questo, Tor».
«Allora cosa?», tentenna poi mi si avvicina.
Siamo in mezzo alla folla. Tutti continuano a ballare ma noi ce ne stiamo in piedi, l'una di fronte all'altro.
«Mentre cercavi di non perdere il controllo, ad attuare il tuo piano di vendetta, l'unica persona a essersi persa per davvero qui sono stata io», dico con affanno.
«In realtà ho perso un pezzo del mio cuore quando ti ho incontrato per la prima volta in giardino a casa mia. Era la festa di compleanno di Peter. E mentre tutti si divertivano in piscina, tu te ne stavi a osservare il tramonto con l'aria di chi avrebbe tanto voluto essere un delfino».
Solleva l'angolo del labbro arrossendo lievemente. «Te ne ricordi».
«Già, proprio come ricordo tutte le cose che mi hai nascosto e quelle che mi hai detto».
Diventa improvvisamente timido. Scosta un sasso immaginario sul pavimento della pista e poi mi guarda da sotto le lunghe ciglia scure, avvolgendomi la schiena con le braccia. Sento la pressione dei polpastrelli che si ancorano alla mia pelle, sopra il tessuto.
«Indossavi una salopette color pesca, una camicia con le ciliegie sotto ed eri a piedi nudi», ribatte. «I tuoi capelli erano tenuti legati da due fermagli a forma di ciliegia. Li hai tolti e nascosti nel vaso di terracotta non appena tua madre si è voltata».
Sono sorpresa che ricordi quei dettagli.
«Ti sei accorta di me, mi hai sorriso timidamente e dopo averti fatto cenno che avrei tenuto la bocca chiusa sei scappata».
«Ho capito che mi avresti rubato qualcosa di più di un semplice pezzo di cuore».
«E che saresti stata l'unica che avrei amato sempre».
Ed eccolo.
Profondo. Incredibile. Indelebile.
Un sentimento feroce, inspiegabile.
Lo sento io e lo sente anche lui. Non possiamo scappare. Non possiamo più negare quello che sentiamo.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Non le trattengo. Neanche quando facendo un altro passo avanti mi sfiora con il polpastrello le guance.
«Cosa vuoi davvero, Toren?»
«Te».
Non esita. Coglie al volo la domanda per rispondere, aprendo parte di quel cuore irrobustito, irrigidito, tenuto al buio e incatenato, che ha paura di battere con vigore.
Scatta in avanti, mi abbraccia.
Nell'istante esatto in cui lo fa, la mia sicurezza nel tenerlo lontano vacilla.
«Ti voglio e sto impazzendo. È una maledetta agonia vedere nel tuo sguardo tutto quello che sto rischiando di perdere. Voglio che ogni cosa torni al suo posto. Ma so che non sarà possibile. Lo so perché prima la mia anima ha bisogno di essere medicata».
«Riesci a essere sincero ed egoista allo stesso tempo. È più importante la tua vendetta di me».
Scrolla la testa. Il ciuffo gli ricade sulla fronte e mi costa un enorme sforzo di volontà non scostarglielo dal suo bellissimo viso e toccarlo.
Ha rubato la mia pace, strappato pezzi del mio cuore, della mia anima troppo debole per difendersi. Ha sussurrato alla mia pelle che sono fatta per lui.
Pur aspettandosi una brusca reazione da parte mia, mi tiene maggiormente stretta e io glielo lascio fare.
Ho dato tanto, tutta me stessa in ogni cosa che ho fatto. Ma non sono mai stata nessuno.
Indifesa, umiliata, respinta, sola. Mi sono sentita persa, chiusa fuori, al freddo, sotto un temporale continuo.
Sono rimasta in silenzio ma ho continuato a urlare a perdifiato contro il destino che ha giocato sporco dandomi l'ennesimo pugno sul cuore. Adesso ho paura dell'amore. Perché quando ti affezioni, quando ami qualcuno, corri il rischio di ferirti. E a volte la persona a farlo è proprio quella a cui hai affidato una parte fragile e malmenata del tuo cuore.
Ho troppo da metabolizzare, da accettare, pertanto sciolgo l'abbraccio sentendo subito addosso il peso della scelta che sto per fare.
«Prenditi cura di te, Tor», mi allontano più in fretta che posso.
Devo tenere al sicuro l'ultimo pezzo della mia anima, devo ricucire lo strappo e suturare la profonda ferita che mi ha inflitto.

🖤

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