Capitolo 23
~ Toren ~
Ci sono momenti in cui mi piacerebbe avere la possibilità di mettere in pausa il mondo anche solo per un minuto. Spegnere tutto. Spegnere questo cuore che trema in silenzio e non accetta la distanza, questa forte e immotivata mancanza.
Una settimana.
Una fottuta settimana.
Giorni, ore, minuti e secondi infiniti passati a rivivere i momenti insieme, a cercare un dannato indizio, a sperare in un segnale.
Niente.
C'è solo silenzio dall'altra parte.
Non so se esiste qualcosa in cui poter credere veramente. Qualcosa che non sia rotto, capace di ferire come questo inferno in cui mi trovo.
Non pensavo fosse possibile smarrire così tanto la rotta per due occhi che continuo a vedere ovunque come spettri di un ricordo invadente.
«Ehi, amico».
Adagio il cacciavite sul ripiano e prendo a strofinare un tubo con un po' troppa foga. Devo tenere le mani impegnate perché altrimenti la voglia di prendere a pugni qualcosa prenderà ancora il sopravvento. Le mie nocche scorticate e livide ne sono un esempio.
«Rio è ancora alle prese con quella moto?», domando senza guardarlo. Se lo facessi potrei dare di matto e attualmente ho solo bisogno di concentrarmi su qualcosa che non siano i cattivi pensieri. Ho una brutta sensazione. È da quando l'ho lasciata di fronte alla villa che continuo a sperare di sbagliarmi.
«Non riesce a farla partire. Gli toccherà smontarla e controllare ogni pezzo», spiega appoggiandosi con una spalla alla parete. «Cosa stai facendo? Sai che non uscirà un genio da quel tubo, pertanto smettila di strofinarlo in quel modo».
Lascio cadere quello che ho in mano con impeto, seguito da un verso carico di frustrazione. «Vuoi la verità? Non ne ho la più pallida idea di cosa cazzo sto facendo. Forse devo tornare a casa, qui non sono di nessuna utilità in questo stato».
JonD soppesa il mio sguardo più a lungo del solito. Gli bastano pochi istanti per comprendere ciò che non ho apertamente rivelato.
Le sue pupille guizzano simili a quelle di un rapace. «Cosa ti tormenta?», chiede lo stesso nel tentativo di farmi sfogare, recuperando lo sgabello, dopo avere fatto strisciare rumorosamente le ruote sul pavimento per poi sedersi come se fosse appena salito in sella a un cavallo.
«Niente. Sono solo...», non concludo la frase.
Come faccio a spiegare al mio amico, senza mentire, quello che mi tormenta?
So che né lui né Rio mi prenderebbero per stupido, ma sono settimane che fingo di avere un piano elaborato. Ed è andato tutto a puttane quando mi sono avvicinato troppo e come un misero stupido moscerino mi sono bruciato; provando solo la voglia di riprovare a toccare quella luce e scaldarmi. Perché nella mia testa c'è solo un nome. Ronza in continuazione, come un disco rotto.
Sono sempre stato così: testardo, sicuro, deciso su ciò che voglio. Non avevo ancora fatto i conti con il silenzio. Nemmeno con questo strano vuoto che sa tanto di mancanza.
«Sai che con noi puoi parlare apertamente?»
Fisso i bulloni sparpagliati sul tavolo di lavoro. JonD strizza una palpebra. «Sicuro di volere continuare ad autocommiserarti in questo modo? Perché sono certo tu sappia già cosa c'è che non va. Devi solo buttare tutto fuori».
Sbatto le palpebre. «Cosa? Non mi sto...»
«Smettila di fingere», tuona quasi con rimprovero.
Lo fisso un po' confuso. Se ne accorge e con un ghigno, grattandosi il dorso del naso, finalmente mi rende partecipe. Sapevo che stava solo aspettando questo momento.
«Sappiamo che in realtà non vuoi vendicarti dei Maddox usando Luna. Pensavi davvero che ti avremmo fatto distruggere l'unica cosa bella che ti sei concesso di provare?», comincia con aria quasi delusa. «Hai così poca stima di noi, T? Cazzo, ci conosci da anni, ma a quanto pare non abbastanza. Per quanto vogliamo farla pagare a quei bastardi ricchi, abbiamo un codice e lo rispettiamo», mi rimbecca. «Non faremo mai del male a una persona sapendo di poter fare del male a te».
Passo una mano sulla nuca. Dovrei essere arrabbiato con loro per avermi retto il gioco e al contempo raggirato, ma attualmente mi sento solo sollevato. «È così evidente?»
Conferma con i suoi amichevoli occhi nocciola, passando una mano tra i capelli. «Direi di sì. A non capirlo sei rimasto solo tu. Continui a convincere te stesso, ma non prendi in giro chi ti vede. Chi dall'esterno osserva come vi guardate. Tor, cambi espressione. Sei meno... te».
Soffio aria dal naso. «Sono meno me?», lo fisso scettico. «Che stronzata!»
«Meno teso. Più libero e direi quasi felice, tra le altre cose».
Le parole del mio amico non fanno altro che incidere un altro segno sul mio cuore.
Sono fatto di carne, sangue e nelle ossa ho fratture causate da ogni genere di delusione. Posso anche mostrarmi invulnerabile, ma non ho fatto attenzione con i sentimenti. Credevo che fosse tutto un gioco, invece sono stato battuto nel più sleale dei modi. Perché l'amore è una pistola. Luna, un proiettile esploso all'improvviso nel mio cuore; il suo unico bersaglio sin dal principio.
«Abituati a vedermi di nuovo me, perché non ci sarà più felicità».
Passa il palmo sul viso. «Che cosa diavolo è successo?»
«Ci credi se dico che non lo so? Ho provato a contattarla. Il suo telefono risulta spento o non raggiungibile. E prima che tu lo chieda, ho aspettato un paio di volte a poca distanza dalla villa come un fottuto stalker. Ma di lei non c'è traccia», sospiro. «Sono preoccupato. Le è successo qualcosa».
Rio ci raggiunge. Ha sentito gran parte del discorso continuando a smontare la moto. Lava e disinfetta le mani e si siede anche lui insieme a noi lasciandosi cadere sull'altro sgabello.
Il movimento di Rio manda una ventata di nicotina nella mia direzione e il bisogno di fumare si amplifica.
«Potrei chiedere a Summer di andarla a trovare. Avresti dovuto dircelo subito».
Passo il palmo sulla fronte con frustrazione, ignorando il suo tono da genitore apprensivo. «Potrebbe non essere una cattiva idea. Non ci avevo pensato. Ma non so come potrebbe reagire. Odia essere controllata. Insomma non mi stupirei se avesse spento il cellulare per evitarmi».
«Non avete discusso o...»
Scrollo la testa. «Era tutto tranquillo quando l'ho portata a casa. C'è qualcosa che non va».
I due si guardano comunicando silenziosamente.
Sto per ribattere, dissuaderli da qualsiasi piano abbiano appena ideato alle mie spalle, quando sentiamo lo stridio delle gomme di un'auto che si ferma.
Scattiamo tutti e tre in piedi e usciamo dal box in cui ci troviamo per andare a controllare.
Foxy sguscia fuori da una Jaguar con un sorrisetto trionfante. Indossa pantaloncini con delle frange e un top striminzito tutto pieno lustrini. I suoi capelli sono più corti rispetto all'ultima volta che l'ho vista e lievemente scompigliati a darle sempre quel tocco da tossica.
Dal lato guida invece compare Peter Maddox.
Il sangue mi arriva dritto al cervello.
Sono anni che cerco di andare avanti, di non dare peso a tutto quello che è accaduto. Sono anni che tento di non pensare alla sua stupida faccia e a tutte le torture che avrei voluto farci. Al senso di tradimento che ho sempre provato da quando ha agito alle mie spalle, prendendosi gioco di me nel più subdolo dei modi.
In questo momento tutto il peso del passato mi piomba addosso e quegli attimi rischiano di traboccare e riversarsi in rabbia.
I ricordi, porca puttana, sono ancora lì, indelebili come cicatrici ormai rimarginate. Possono sbiadire, certo, ma non se ne vanno mai dalla tua pelle. I ricordi te li porti addosso. Non ti liberi facilmente di loro.
Nascosto dietro lenti scure, una t-shirt bianca e pantaloni beige, Peter Maddox si avvicina con aria sprezzante.
Toglie gli occhiali da sole e con quei suoi due smeraldi accesi di sfida, mi fissa salutandomi. «Toren».
La sua voce è una frustata. Arriva glaciale e potente su di me.
«Peter», non vacillo nel pronunciare il suo nome.
«Abbiamo qualcosa di cui parlare», supera i convenevoli.
Indico il mio ufficio con sguardo impertinente, nonostante stia avvertendo già un certo fastidio che minaccia di divamparmi dentro sotto forma di violenza. «Ti chiederei di seguirmi, ma converrai con me sul fatto che quei mocassini sfortunatamente si macchierebbero», fisso il suo abbigliamento come un critico.
Rio trattiene una risata pur continuando a controllare ogni loro movimento. JonD invece mantiene uno sguardo severo e fisso su Peter. «Perché non ci dici la ragione della tua visita? Sono anni che non passi per un saluto».
Io so perché è qui. Sta facendo esattamente il mio gioco. Per una volta è lui quello a dovere combattere per qualcosa. Mi stupisce che si sia trascinato dietro anche Foxy.
Se tutto va secondo i piani, perderà, avrà quel che si merita e io finalmente sarò libero. Nessuno mi guarderà più con disprezzo per avere pestato Peter Maddox senza ragione.
«Vedo che come sempre hai i tuoi fedeli animali domestici accanto», solleva l'angolo del labbro. «Rischierò le mie scarpe costose e forse anche qualche malattia addentrandomi nel buco che chiami ufficio», fa un passo avanti. «Tanto posso permettermi un altro paio di queste e cure mediche adeguate se dovessi beccarmi qualcosa».
Avevo dimenticato quanto fosse arrogante e sfrontato. Più lo fisso, più mi rendo conto di quanto lui e Luna siano caratterialmente differenti. Non la meritano. Non meritano una persona tanto buona nella loro vita.
Ripensare a lei in questo momento è come ricevere un pugno in faccia all'improvviso.
La verità è che mi manca.
Mi manca in modo terribile. Ha fatto tremare ogni cosa. Ha riempito i miei polmoni con il suo profumo e adesso non riesco più ad apprezzare quest'aria che odora troppo di assenza.
«Andiamo, ragazzi, siete ormai grandi per queste discussioni da adolescenti», Foxy si posiziona al fianco di Peter sfidandoci con i suoi occhi allungati, truccati pesantemente da uno strato di ombretto marrone apparentemente sfumato con le dita. «Perché non passiamo al dunque?», stringe il suo braccio, ma Peter non sembra sentire la pressione delle sue dita, concentrato com'è a fissarmi in cagnesco.
«È probabile che la malattia l'hai appena presa dalla tossica», ribatte disgustato JonD, lanciando uno sguardo torvo alla cugina.
Lei si finge offesa. «Sono pulita, idiota del cazzo!», ribatte stizzita.
«Due ore di lucidità non servono quando sono anni che ti farcisci di talco. Zia Rosita meritava di meglio», arriccia il naso. «Sei una vergogna per la nostra famiglia», aggiunge guardandola dalla testa ai piedi come se avesse davanti un brufolo pieno di liquido e da schiacciare.
Rio si sposta davanti quando Foxy prova ad avventarsi sul cugino e la trascina a distanza, mentre sbracciando lei gli urla che gliela farà pagare.
Conoscendoli, non appena saranno a distanza di sicurezza, la metteranno sotto torchio. Foxy non è brava a mantenere i segreti quando è sotto pressione. Canterà come un uccellino nel giro di qualche minuto.
Peter, ignorando il diverbio, forse anche questo dettaglio sulla ragazza che continua a insultare JonD. Con aria annoiata come se fosse il padrone del mondo, si incammina a passo sicuro e dopo essere entrato nel mio ufficio vaga con lo sguardo intorno, facendomi ricordare sempre di più la sorella.
Ma le sue intenzioni sono diverse. Sta cercando il suo borsone.
«Sai la ragione della mia visita. Perché non arriviamo alla parte in cui mi dici cosa vuoi e mi ridai ciò che mi hai rubato?»
Mi siedo comodo. Dovrei sentirmi offeso. I ricchi hanno sempre questo strano senso degli affari. Per loro tutto può essere risolto in un solo modo: con il denaro.
«Non so di cosa tu stia parlando».
Aggrotta lievemente la fronte, si siede sulla poltrona, accavalla le gambe e leccando il labbro mi fissa come una fiera pronta all'attacco. «La mia auto è stata in questo posto».
Annuisco. Inutile negare. «Confermo. Era ridotta male e l'ho aggiustata», oscillo con la sedia massaggiandomi il mento.
La mia calma lo agita. Lo noto dalle lievi goccioline che gli si stanno formando sulla fronte.
Anche se sono passati degli anni, lui su una cosa è rimasto lo stesso. È un uomo prevedibile.
Sapevo che prima o poi sarebbe tornato. Mi chiedo, perché così presto e cosa c'è in ballo?
«E quando l'hai rimessa in piedi, hai trovato qualcosa che mi appartiene?»
Fingo di pensarci. «Uhm, no. Problemi ai freni e a tutto il resto, proprio come sta scritto esattamente sulla ricevuta che ho inviato a casa tua circa una settimana fa», in contemporanea giro lo schermo per farglielo vedere, nascondendo l'irritazione perché non ha minimamente accennato a Luna.
È evidente che non gli importa quanto il contenuto del borsone. Che bastardo!
«Esattamente, a che gioco stai giocando?», Peter assottiglia le palpebre studiandomi, cercando di riuscire a prevedere la mia prossima mossa.
Ancora una volta riesco a tenere a freno ogni istinto di saltargli alla gola.
«Giocare? Ho smesso da un pezzo. Non sono più un ragazzino e non pesto i piedi facendo i capricci per ottenere qualcosa. È solo il mio lavoro e lo faccio bene, Peter. Quindi se non hai nessuna lamentela su quello, puoi alzare il culo e andartene».
Stringe i palmi sui braccioli. Ha messo su parecchia massa. Ma in uno scontro fisico sa perfettamente chi fra i due avrebbe la meglio.
«Stai davvero giocando col fuoco Toren».
«Mi stai minacciando?»
Passa il dorso della mano sulla fronte. «Rivoglio quello che hai rubato dall'auto», replica senza tanti preamboli.
«Io rivoglio tante cose che non posso avere, ma non vengo a minacciarti», mi sollevo, giro intorno alla scrivania, notando le sue spalle sempre più in tensione come se si aspettasse un mio attacco, e apro la porta. «Adesso se hai concluso il tuo discorso puoi anche andare a cercare il vero colpevole».
«In realtà no, non ho ancora concluso», dice sollevandosi con slancio. Si posta verso di me minaccioso, credendo di intimorirmi.
«Ho saputo che ti sei avvicinato a mia sorella. Toglitela dalla testa e sta' alla larga da lei», ringhia dandomi una lieve spinta. «Non sei alla sua portata e non le servono altri problemi».
«Sicuro di volere mettere me in guardia e non il tuo amico? L'hanno visto tutti quello che ha fatto al Bowling».
Sussulta, esita e io ghigno, intuendo di averlo colto alla sprovvista. «Come, non lo sai? Il tuo caro amico non voleva che si divertisse e in pista le si è attaccato addosso come un maniaco. Non dirmi che non riesci più a trattenere i tuoi cani fedeli. Inoltre è stata lei ad affidarmi l'auto quando ha rischiato di farsi male. È stato interessante passare del tempo con qualcuno che non ha disdegnato le mie attenzioni».
I suoi occhi diventano incandescenti. Freme, stringe i pugni in vita e digrigna i denti. «Non sono questioni che ti riguardano, quindi sta' molto attento a ciò che dici. Luna è mia sorella. Di lei mi occupo io. Sono solo venuto...»
«Per che cosa esattamente? Sei arrivato qui con quell'aria da saputello ricco, mi stai accusando senza avere uno straccio di prova e adesso, be', mi minacci pure perché ho difeso la tua sorellina dopo che uno stronzo le ha messo le mani addosso e l'ha presa per puttana?», mi avvicino a lui sovrastandolo di almeno dieci centimetri. «Sta' alla larga da me e portati dietro quella tossica del cazzo», indico fuori dall'ufficio.
«Se vuoi un coniglio, scaricala il prima possibile. Gli servono solo i tuoi maledetti soldi come garanzia o forse per pagare i debiti accumulati con gente poco raccomandabile. Ma questo lo sai già, dato che avete degli amici in comune».
Peter si allontana di un passo come se lo avessi colpito, gira sui tacchi furente, pronto ad andarsene.
«E un'altra cosa».
Si volta e attende.
«È stato bello scoparmi la tua sorellina», sorrido come un sadico figlio di puttana facendogli persino l'occhiolino.
Peter parte subito all'attacco, ma viene placcato da Rio e JonD, mentre gli altri operai si fermano, in attesa di un comando per difendermi.
Di Foxy non c'è traccia. Deduco sia andata a piangere e a chiedere aiuto altrove.
«Sei un figlio di puttana! Non ti permetterò di toccarla ancora. Mi hai sentito?», urla dimenandosi. «Ti farò a pezzi e lei dimenticherà persino il tuo nome. Se sarà necessario la costringerò a infilarsi quel cazzo di anello al dito, così non potrai più fare niente, nemmeno guardarla».
Sorrido ampiamente, cercando di nascondere la voglia di afferrarlo e farmi dire dove si trova Luna.
«Rilassati. È stata solo una scopata. Non avevo intenzione di frappormi fra te e le tue idee patriarcali del cazzo. Dopotutto condividevamo ogni cosa una volta, no?», non smetto di ghignare mentre i miei amici lo trascinano fuori e lo spingono con poca cautela verso la sua auto.
«Me la pagherai!»
«Oh, andiamo, Peter, non dirmi che sei geloso perché la tua sorellina ha preferito me», ridacchio.
Si dimena. «Lasciatemi!»
A braccia conserte mi godo la scena. «Sarà proprio bello rivelare a tutti quello che so».
Smette di muoversi. Il viso una maschera di cera adesso. «Non oseresti».
«Prova a sfidarmi ancora e divulgherò tutto in un attimo», schiocco le dita e mi allontano dandogli le spalle. «Da dove vuoi che inizi? Dal segreto o da quello che ho trovato dentro quel borsone?»
Non sento la sua risposta. Chiudo la porta del mio ufficio dichiarando conclusa la discussione e come un leone in gabbia rifletto, metto a punto un piano.
Quando comprendo cosa fare, mi rendo conto che sarà dannatamente difficile. Luna non capirà all'inizio, mi odierà, poi però questo mi permetterà di vederla e dirle quello che sento. Forse mi darà, spero, un'altra possibilità. E questa volta non la sprecherò.
JonD si assicura che sia sobrio e ancora intero prima di entrare e appoggiarsi allo stipite della porta. Non fa alcun commento sarcastico quando mi vede lanciare la palla da baseball su e giù nel palmo. Tiene soltanto le mani ficcate dentro le tasche e quando ci raggiunge anche Rio, dice: «Dacci i dettagli del piano, capo».
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