Capitolo 20
~ Toren ~
Mi sono fatto le ossa. Ho toccato più volte il fondo. Ho lasciato rimarginare vecchie ferite. Osservato le cicatrici sbiadirsi.
Non sono più quello di una volta. Le cose che un tempo mi ferivano, adesso le scanso infastidito o le spazzo via come briciole su una superficie. Eppure quando si tratta di lei, la mia armatura, in apparenza solida, si disfa.
Avrei voluto prenderlo a botte davanti a tutti quel figlio di puttana. Farlo sentire il misero moscerino che è sempre stato.
Ma chissà come sono riuscito a trattenermi. Non potevo reagire come una bestia davanti a tutti.
Ho giurato a me stesso che non succederà di nuovo. Ho già dato spettacolo una volta con Peter ed è stato sufficiente per rovinarmi la reputazione.
Anche se Declan è sulla mia lista da diverso tempo e merita di essere punito, a lui riserverò qualcosa di doloroso quando sarò riuscito ad aggiustare tutto il resto. Per il momento dovrà solo accontentarsi del naso rotto e di qualche livido sul viso per avermi attaccato alle spalle in quel vicolo.
Il pensiero delle sue sporche mani su Luna mi fa ribrezzo e mi incazzo, di nuovo. Avrei dovuto intervenire molto prima, quando lui si è seduto accanto a lei e ha provato a trattenerla. Invece sono rimasto a farle da guardia silenziosa da lontano, fumando di rabbia e gelosia.
Azzanno voracemente l'ennesimo trancio di pizza. Luna non ha smesso un solo istante di starmi accanto.
Mi piace e mi preoccupa allo stesso tempo il modo in cui se ne sta vicina, senza pretese. Non voglio che abbia bisogno di me o che mi stia troppo addosso. Non sono il suo eroe o robe simili. Continuo a ripeterlo a me stesso, nel tentativo di convincermi e non illudermi abbastanza da perdere la testa. Il mio piano per distruggere o quanto meno di mettere sottosopra la sua famiglia, sta funzionando. Eppure non voglio ferirla.
Quando mia sorella finalmente si sposta dai ragazzi, impegnati a giocare a carte, incapace di trattenermi oltre, le circondo la vita.
Ho qualcosa da chiederle. Cerco il modo per non essere privo di tatto, ma la delicatezza non è il mio forte. Sono sempre stato abbastanza diretto.
Perché perdersi in inutili chiacchiere quando puoi andare al dunque?
«Ti vogliono combinare un fidanzamento con quel tricheco senza palle?»
«Non ci riusciranno», replica risoluta, un po' troppo in fretta e mangiandosi quasi le parole.
Inarco un sopracciglio carico di scetticismo. «Come fai a dirlo?»
«Ho un piano per impedirlo. Mia nonna in ogni caso non lo permetterebbe. Odia i Wells. Li trova degli avvoltoi. Diciamo che è il mio unico vantaggio sulla questione. E se i miei vogliono attingere all'eredità e continuare a vivere da ricchi, dovranno evitare di fare passi falsi o potrei mandare tutto all'aria».
«Bene», picchietto due dita sul tavolo. Non sono ancora del tutto convinto.
«Sei geloso?»
«Non me lo estorcerai di nuovo con quel trucchetto di prima».
Sorride. «Ci riesco così bene?»
«Già...»
I suoi occhi si adagiano sulle mie labbra e vengo percosso da un fremito. Le dita si artigliano al suo fianco. Mi sporgo per sussurrarle: «Mi piacerebbe portarti nel bagno, sollevarti questo bellissimo fazzoletto che hai addosso e scoparti».
Il suo respiro accelera. Adoro quel rossore che affiora come un'eruzione sulla sua pelle. «Sei il solito animale».
Le sorrido e sul suo bel viso finalmente scompare quel brutto cipiglio, le si distende la fronte. «Ti sbagli. Gli animali lo farebbero anche qui su questo bancone, davanti a tutti e senza la minima vergogna. Quindi sono un animale educato».
«Non mi hai neanche fatto un complimento e vuoi scoparmi nel bagno».
«Ne volevi uno?»
«No. Non se non hai pensato a niente quando mi hai visto».
Dalle casse parte "Purple Rain" di Prince.
Sguscio dal divano e afferrandole la mano, ignorando l'intensità della scossa che mi si schianta addosso, comincio a muovermi insieme a lei.
Seguiamo un ritmo lento, oscillando e ridacchiando quando sbagliamo la sequenza di passi che ci fanno scontrare.
È divertente il modo in cui continuiamo ignorando tutto il resto: le persone che ci circondano, i suoni, i problemi, il mondo intero.
Ogni cosa si mette fuori fuoco e rimaniamo solo noi in primo piano.
Le mie dita navigano sulla sua pelle e sollevandole sposto le sue braccia in direzione del mio collo. Lei si avvinghia senza battere ciglio e io le stringo con un braccio il fondoschiena.
«Dimmi a cosa stai pensando».
«Sono distratto al momento».
Ritrovo il viso pericolosamente vicino al suo. L'odore del balsamo al cocco sulle sue labbra, è un invito a peccare.
Luna, come se avesse intercettato i miei pensieri impuri, agisce. Le sue dita si slacciano dal mio collo, scivolano e risalgono dal mio petto fino alle labbra. Esercita una delicata pressione su quello inferiore. «Non puoi spezzare così il tuo voto di castità dai baci».
Tiro indietro la testa, rido, e intorno a noi tutti smettono di parlare. «Non voglio baciarti, voglio divorarti».
Mia sorella spalanca i suoi incredibili occhi scuri prima di fingere di non riuscire a vedere bene e strofinarli in un gesto teatrale e buffo. «Sto sognando o mio fratello sta ridendo?»
Ha tanto l'espressione di chi ha visto sorridere una persona che credeva avesse una paresi in faccia a ogni situazione.
«È uscito di senno. Non c'è altra spiegazione», le risponde il mio amico, seduto al suo fianco.
Penso che Hannie abbia dato la notizia della gravidanza ai miei amici, perché JonD abbassa gli occhi sulla mano aperta a stella tenuta in grembo coprendola con la sua, poco prima di sussurrarle qualcosa che la fa sorridere.
Quel bambino sarà fortunato ad avere anche loro al suo fianco.
I miei occhi catturano quelli chiari e dolci di Luna. C'è uno strano bisogno in lei. Le stringo la mano allontanandola dalla mia bocca dopo averle morso il polpastrello.
È come se il posto giusto fosse nascosto tra le nostre dita che si intrecciano. Perché quando succede, sento qualcosa sciogliersi dentro.
«Volevo farti un complimento, ma è impossibile. Potrei avere una proposta».
Non abbiamo bisogno di grandi discorsi filosofici, di molteplici domande. Riusciamo a capirci al volo. Le sto palesemente chiedendo di seguirmi, di non tornare a casa, di stare con me. Voglio la sua compagnia. Ancora di più voglio svegliarmi e vedere lei ancora addormentata nel mio letto.
«Hai cambiato le lenzuola?»
Sbuffo dal naso. «Forse nessuno te lo ha fatto ancora notare per non ferire i tuoi sentimenti da bacchettona, ma hai una sorta di malattia. Sei maniaca dell'ordine e una vera spina nel fianco».
«Stavo solo scherzando», si imbroncia.
Vorrei dirle di smettere di pronunciare il labbro inferiore in quel modo.
Cazzo se è attraente!
«Non ho avuto il tempo di cambiare le lenzuola. Non ricordi che siamo usciti di casa insieme?»
Le sue dita lottano poi giocherellano con il mio petto. Ancora una volta mi provoca un formicolio sulla pelle che mi spinge a fare un passo verso di lei. Ma siamo abbastanza vicini e il mio corpo avverte il calore del suo chiedendo di più.
«È ancora valido il tuo invito?»
Sa che non le ho chiesto apertamente niente. Sta solo cercando di rendere il tutto normale. Anche se io e lei non lo siamo.
«Quale invito?»
Guarda il tavolo dove tutti si stanno divertendo. «Quello di dormire da te».
Le accarezzo con un dito la tempia. «Pensavo di averti chiesto di dormire dentro di te».
Mi spinge e le afferro i polsi. Con una mossa agile si divincola. «Non fare lo stronzo».
«E io dovrei ospitare una che mi dà dello stronzo?»
Storce le labbra e allontanandosi va a sedersi al tavolo divorando una fetta di pizza.
So perché ha appena reagito male. La pressione che ha addosso non le permette di vivere un minuto del suo prezioso tempo come una persona normale. Sembra una bambola manovrata da fili che continuano a ingarbugliarsi, e dai suoi occhi è sempre più evidente la traccia di un accumulo di stress, di malinconia e tristezza che continuano a dilaniarla.
Il suo modo di essere è travolgente per la mia anima. Sono ombre e solitudine nascoste dietro un bagliore fatto di dolcezza. Lei è diversa. È la ragione di tutti i miei pensieri tormentati e illusori.
Mia sorella chiede cosa sia successo e scrollo la testa avvicinandomi a Luna per capire.
Le passo i marshmallow. Dato che non si muove li faccio cadere sulla pizza, avvicinando subito dopo il trancio alle sue labbra.
Morde un piccolo pezzo sporcandosi di salsa. «Senti, capisco che non vuoi problemi. Troverò un'altra soluzione».
Le afferro il mento, tolgo la macchiolina. «Dormi da me. Possiamo cambiare le lenzuola prima di metterci a dormire».
Valuta la mia proposta. «Non farlo per pietà. Non tu».
Serro la presa rischiando di lasciarle un livido sulla pelle delicata.
Questo dettaglio mi ricorda quello che ha sul braccio e mi irrigidisco. «Non è pietà la mia. Chi ti dice che non ne trarrò qualcosa in cambio?»
Avvicina un marshmallow alle mie labbra imboccandomi. «Ti sei mai sentito così asfissiato?»
«Un paio di volte».
Annuisce guardando fuori dalla vecchia vetrata lesionata con aria triste. «E cosa hai fatto? Come sei riuscito a uscirne?»
«Ho trovato qualcosa da fare».
Non mi dispiace vederla riflettere. Ha quell'aria tranquilla che riuscivo a scorgere sempre quando andavo a trovare Peter e lei se ne stava tutta sola in soggiorno.
Hannie si avvicina seguita da JonD. «Il tuo amico mi dà un passaggio. Io e pisellino abbiamo bisogno di dormire».
Provo ad alzarmi. «Posso accompagnarti io...»
Lei nega mettendomi giù con una mano sulla spalla. «JonD vive vicino casa. Si assicurerà che io entri sana e salva».
«Sicura?»
«Certo».
JonD nota il mio scetticismo quando dico: «Ti sto affidando mia sorella e il mio unico nipote maschio».
Assume un'espressione seria, nessuna traccia del solito festaiolo tutto sorrisi e battute. «Non ho bevuto neanche un goccio. Mi assicurerò che entri in casa, e se sarà necessario che si metta sotto le coperte, gliele rimboccherò», solleva entrambe le sopracciglia.
Arriccio il naso e Rio, che nel frattempo ci ha raggiunti, mi spintona. «Piantala di fare il fratello geloso. Sai perfettamente che abbiamo sempre fantasticato sulle tue sorelle».
Hannie emette un verso carico di disgusto. Anch'io penso di averlo fatto.
«Eravate dei poppanti e non siete cambiati affatto. Adesso andiamo prima che mi arrivi la nausea».
Summer nel frattempo si è seduta al tavolo con Luna. Parlano come due vecchie compagne di scuola, forse anche amiche. Mi fa piacere che entrambe si siano trovate. Summer non ha mai avuto poi così tanti amici. Nemmeno Luna.
«Se si fa male non presentarti in officina».
JonD solleva i palmi in segno di resa. «Sai che tengo a loro quanto tengo a te, amico».
Lo osservo uscire insieme ad Hannie dopo avere salutato tutti.
Rio mi fa cenno e insieme cominciamo a dare una ripulita. Non possiamo stare qui, ma a noi, di tanto in tanto, piace sgattaiolare tra questi resti silenziosi. In qualche modo li facciamo rivivere.
«Non posso credere che Alissa le abbia urlato contro in quel modo. Dovevi vederla, era come impazzita».
Chiudo il sacco nero con un certo impeto. Quando Alissa ha attaccato Luna, ero nel vicolo a dare una lezione a Declan. Ho sentito qualcuno parlarne mentre mi dirigevo in spiaggia. Incuriosito, ho fermato quei ragazzi e mi hanno mostrato i video. Inutile dire che li ho minacciati e ho fatto eliminare a ognuno di loro ogni filmato. Prima però ne ho fatto inoltrare una copia al mio dispositivo.
«Se devo essere sincero non ne sono stupito. Prima o poi sarebbe successo. Sono diverse sotto tanti punti di vista».
«Non dirmi che non sei preoccupato per lei, per lo stato emotivo in cui si trova, perché non ci credo».
Con la coda dell'occhio la ragazza che per anni ho cercato di non avvicinare alla mia vita sta ancora chiacchierando.
«Crollerà, T.».
«Non ne sarei tanto sicuro», replico. «Tutte le volte è riuscita a farmi ricredere».
***
Usciti dal locale, lontani dal Luna Park abbandonato, l'atmosfera, una volta in auto, potrebbe tagliarsi con una lama.
Non parliamo durante tutto il tragitto e questo è già un grosso avvertimento su come andrà il resto della serata.
In casa, Luna gioca con Floppy mentre io salgo sul soppalco e tolgo le lenzuola.
Al mio cane sembra piacerle molto la sua compagnia.
Notandomi impegnato a rifare il letto, Luna mi raggiunge e mi aiuta. «Sei taciturno».
«Anche tu lo sei».
Vedo questo scambio come il nostro: "Sai che ci sono anche se in silenzio".
Abbassa le dita sulla federa del cuscino. Lotta dentro se stessa poi azzera la distanza che ci separa e le mie braccia sono pronte ad accoglierla.
Preme con delicatezza la guancia sul mio petto e intreccia le braccia intorno alla mia schiena.
«Dovrei ringraziarti. Ho saputo che mi hai difeso», comincio un po' impacciato.
«So che non sei bravo in queste cose e so che non hai bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle. L'ho fatto perché sono tanto stanca e perché mi sentivo ferita».
Indietreggio verso il letto e lei si lascia sfuggire un urletto, prima della breve risatina da ragazzina quando atterriamo insieme e rotoliamo lievemente ritrovandoci l'una sull'altro.
«Bene, mettiamoci a dormire».
«Aspetta», piazza le mani sul mio petto.
A cavalcioni su di me e con l'espressione seria stampata sul suo bellissimo viso, bella da far girare la testa, mi fa eccitare.
«Che c'è?»
Infilando la mano sotto la t-shirt, gioca con i miei tatuaggi soffermandosi sul corvo tatuato sulla spalla. L'ala della creatura si spinge verso la zona della nuca.
Luna abbassa il viso, dapprima nasconde la testa nell'incavo del mio collo.
La mia mano è già sulla sua schiena e i suoi muscoli si contraggono, il respiro da regolare si agita raggiungendo la mia pelle velocemente. Sento che mi annusa, poi mi guarda negli occhi e mi bacia la gola spostandosi lentamente sotto l'orecchio.
Premo le dita per dirle di smettere. «Non ho pensieri puri in questo momento, quindi sei in tempo per fermarti».
Sorride. Cazzo, lo fa sulla mia pelle. Mi raggiunge una scossa talmente forte da farmi gemere a denti stretti.
In una situazione tanto confusa mi ritrovo a ribaltare la situazione e in un attimo mi posiziono su di lei. Ma le sue dita scattano ancora e si attaccano al mio viso.
«Sono confusa», ammette con un filo di voce.
Abbassare gli occhi sulle sue labbra proprio in questo momento sarebbe la mia condanna. «Sapessi quanto lo sono io. Sto lottando, Miele. E se non smetti di stuzzicarmi, di spingermi al limite, sarò costretto ad agire e l'indomani non sarà piacevole per quello che ho in mente».
Con i pollici mi accarezza le guance. «Allora spiegami che cosa sta succedendo. Che cosa siamo. Perché continuiamo a...», smette di parlare quando mi abbasso e premo la fronte sulla sua. «Non lo so. Non ne ho idea. Siamo io e te. Non ti basta? Vuoi una stupida etichetta? Non posso attaccartela sul cuore perché io non sono una certezza».
Mi stacco da lei e mi stendo spegnendo la luce dal mio lato del letto, dichiarando conclusa la discussione.
Luna non si muove per un po' di tempo. So che mi sta guardando. So che sta cercando di riflettere per non replicare e provocarmi. Alla fine spegne la luce dandomi le spalle.
Ma questa distanza che si è creata è solo l'ennesima crepa sul muro di vetro dietro il quale ci nascondiamo.
«Te l'ho detto anche quando eri piccola e ti piaceva andare sui pattini, non ricordi?»
Sento un movimento. Poi mi avvolge l'addome con le braccia e preme il mento sulla mia spalla con un sospiro carico di rassegnazione. «Ti sei sempre sottovalutato e sminuito senza mai vedere quello che sei davvero, Tor. Ma chi sono io per contraddirti. Forse la ragazzina sui pattini non ha mai cambiato idea e si è solo illusa. Ma una cosa la so, se continui ad allontanarmi, rischi di perdermi. Sempre che io sia un minimo importante. In caso contrario mi sarò solo sbagliata su di te». Mi bacia sulla guancia premendo a lungo su di essa. «Non rimuginare troppo, Terminator».
Le mollo una cuscinata senza guardarla. Le permetto di abbandonare il mio corpo, lasciarmi scoperto e in balia di un freddo che mi consumerà quasi quanto un fuoco divampato e indomabile in una fabbrica di legname.
***
Dopo quelle che a me sembrano ore eterne, mi volto e mi avvicino al suo corpo.
Quasi come se mi avesse percepito, mi si adagia con la schiena al petto e continua a dormire.
È una corsa frenetica per questo cuore corroso che, battito dopo battito, cerca ancora di dissimulare la verità.
Annuso i suoi capelli, raccolgo la forza necessaria per liberarmi da queste catene. «Non sono pronto».
La sua mano copre la mia, tenuta premuta sulla sua pancia.
«Non vado da nessuna parte», bisbiglia. «Solo se hai intenzione di restare».
Chiudo gli occhi. La stringo un po' di più a me. Forse per la prima volta mi sto sentendo desiderato, voluto, accettato. Non solo un mezzo per ottenere qualcosa.
Le bacio il collo e la sua pelle si solleva. «Devo pensarci».
«Non metterci di nuovo una vita».
Sorrido. Dio, non avevo pensato agli anni di struggimento che Luna ha passato a causa mia.
«Perché non me l'hai mai detto?»
«Lo sapevi. Fingevi di non vedermi e io ho iniziato a fare lo stesso. Specie quando hai rotto con mio fratello».
Si volta e mi si rannicchia addosso. È meraviglioso tenerla così stretta senza la minima paura. Sono stato un coglione a rifiutarla, a ignorarla. Mi sono perso tutto questo e quello che ha da offrirmi senza aspettarmi niente in cambio.
Le bacio la testa e la solleva sorridendo a occhi chiusi. «Rifallo».
«Sapevo cosa? Scappavi. Entravo io a casa vostra e tu te ne stavi lì, pietrificata o indifferente», le nego il bacio.
«Non volevo metterti a disagio, Tor».
«Sul serio?»
I suoi occhi spalancati e pieni di mancanze mi abbagliano.
«L'hai fatto per me?»
«Era già imbarazzante che Alissa lo dicesse a chiunque quando ci trovavamo da qualche parte. Tu comparivi e io andavo in tilt, un classico. Non volevo che la voce arrivasse fino a te. Io ero una ragazzina e tu... ormai eri un uomo. Non mi avresti mai guardata come una tua pari. Per te ero la sorella del tuo amico, la rompipalle che vi spiava».
Adesso molte cose iniziano ad avere senso. Ma lei non lo sa quanto si sbaglia.
L'ho sempre guardata in silenzio e ho visto tutto quello che un giorno voglio essere. Mi piace perché è riuscita a rianimare il mio cuore proprio quando pensavo che la mia anima si sarebbe spenta per sempre.
«Tuo fratello quindi lo sapeva?»
«Forse. Tutti se ne sono accorti, eppure tu hai continuato per la tua strada».
«Com'è possibile? Adesso torni, mi fotti il cervello e mi spingi a dire o a fare cose che non posso...», passo una mano sul viso e sospiro. «Mi teneva lontano da te perché ti ha sempre voluto bene. Tu sei sua sorella, e forse sei l'unica persona a guardare un altro e non lui», sussurro pensieroso. Al che lei si irrigidisce. «Ho pensato anch'io questo. Peter è sempre stato un po' geloso di ciò che ritiene suo. Ed è un egocentrico. Ama essere sempre primo in qualsiasi cosa».
«Che bastardo!», mi limito a borbottare. «Tenermi lontano da te solo per averti come trofeo».
Morde il labbro e sporgendosi strofina la punta del naso sul mio. «Ma non ha mai vinto», sussurra. «Non qui», conduce la mia mano sul suo cuore.
L'abbraccio. Me ne fotto se sembro un idiota. Me l'hanno tenuta lontana. Sto solo recuperando il tempo perduto, anche se non è e non sarà abbastanza.
«Tor?»
«Sì, Miele?»
«Mi chiamerai mai Luna?»
«Uhm... no».
«Bene, Terminator».
Rido e la tensione iniziale si allenta.
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