🌕 Capitolo I 🌕

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novilunio
/no·vi·lù·nio/
sostantivo maschile
Il giorno o il tempo corrispondente alla fase in cui la Luna, trovandosi in congiunzione col Sole, rivolge alla Terra la faccia non illuminata.
——— 🌘 ——— 🌑 ——— 🌒 ———

Quel giorno iniziò bene: il sole splendeva alto nel terso cielo autunnale.
A metà mattinata delle nubi bianche iniziarono a punteggiarlo. Seguitò poi una brezza leggera.

Arrivati nel primo pomeriggio, più precisamente durante la mia pausa pranzo, la brezza si tramutò in raffiche di vento e il cielo si fece plumbeo.

Sospirai.

Il negozio d'alimentari dove lavoravo - l'unico in tutta Barr - registrava un'affluenza discreta in mezzo alla settimana.

Tuttavia, con l'imminente pioggia alle porte, nessun temerario avrebbe attraversato la piccola porticina di  legno che separava la modesta attività commerciale dall'esterno.

La comunità di Barr era costituita da poche persone.

L'ultimo censimento ne contava ben centosessanta e con il mio arrivo, avvenuto ormai più di un anno fa, la sua popolazione crebbe ulteriormente, raggiungendo la stravolgente cifra di centosessantuno abitanti.

La maggior parte dei residenti era composta da vecchietti certamente arzilli, ma pur sempre anziani.

La pioggia avrebbe peggiorato la sintomatologia dei loro acciacchi, quindi nessuno in quella fascia d'età sarebbe venuto in negozio.

Le prime gocce iniziarono a cadere lentamente, picchiettando sul tetto spiovente.

Mi affacciai. Il cielo era completamente nero. Chiusi la porta e strinsi addosso ancora di più il cappotto nero che indossavo.

Un rivoletto iniziò a formarsi lungo l'asfalto; pochi minuti dopo la pioggia crebbe d'intensità e il rivoletto divenne una strada d'acqua.

Sentii suonare in lontananza la campanella della scuola elementare di Barr.

Tra i centosessantuno abitanti del villaggio figuravano incredibilmente anche dei bambini.

Ovviamente, non tutti gli studenti erano di Barr; molti provenivano da altrettante realtà isolate e, di tutti loro, solo alcuni percorrevano la via che li avrebbe portati al negozio di alimentari.

La maggior parte avanzava, invece, lungo quella principale, che collegava la scuola all'unica fermata d'autobus presente nel villaggio.

Barr era strutturata tutta così.

C'erano un solo negozio, una sola scuola, una sola fermata, una sola chiesa...

C'erano però tante, tantissime macchine, biciclette e moto, unici mezzi di trasporto consentiti per evadere da quel paesino sperduto.

Non che mi lamentassi!

Dopotutto, avevo scelto da sola di rintanarmi in quel posto così remoto, così lontano dal caos cittadino e da tutti i miei problemi.

Lo chiamavano "stress da città" e mai altro nome poteva essere più azzeccato.

Provenivo da Londra, la grande Londra, metropoli multietnica e tentacolare che odiavo con tutto il cuore.

Sopportavo da anni il traffico londinese, il modo di fare sbrigativo dei suoi abitanti e il fenomeno della delinquenza giovanile, ma poi
erano bastati una laurea in economia all'università di Greenwich e un anno di lavoro all'interno di una grande multinazionale per farmi crollare definitivamente.

Diagnosi: nevrosi.

Soluzione: alzare i tacchi e trasferirsi nel luogo più recondito che riuscissi a trovare, abbandonando tutto e tutti, amici e famiglia compresi.

I miei genitori, inizialmente non la presero molto bene.

Dopotutto ero la loro unica figlia e non era semplice lasciarmi andare così, ma la mia salute mentale aveva la priorità e presto accettarono quell'insolita scelta.

Diversa fu invece la reazione dei miei "amici" che, trattandomi da reietta, chiusero tutti i ponti con me.

Dicevano che ero una codarda, che fuggire non sarebbe servito a niente, ma a me non importava.

I loro giudizi, per me, valevano zero, e io non  avrei mai rinunciato a quel piccolo angolo di paradiso scozzese in cui mi ero imbattuta; Barr esercitava su di me un effetto troppo lenitivo per potervi desistere.

Sentii delle risate e vidi con la coda dell'occhio una manciata di bambini rincorrersi lungo la strada.

Stetti in allerta come una sentinella preoccupata che scivolassero, capitolando giù per la strada.

I loro ombrelli erano piegati; sfidavano la pressione che il vento esercitava su di loro.

Tirai un sospiro di sollievo quando li vidi svanire dietro l'angolo.

Le loro case, fortunatamente, erano a pochi metri di distanza, quindi avrebbero presto trovato conforto e ristoro in un ambiente caldo e asciutto.

Io, al contrario, iniziavo a battere i denti dal freddo. All'improvviso, la porta del negozio si aprì e una folata di vento mi investì in pieno congelandomi sul posto.

Sull'uscio, ammantellata in un impermeabile rosa, stava grondando d'acqua la mia titolare: la signora Agnew.
Se quello che stava gocciolando fosse pioggia o sudore poteva saperlo soltanto lei.

«Oh cara. Scusami tanto», disse con un respiro affannato, serrando nuovamente il locale.

«Non si preoccupi signora Agnew. Non sa quanto sono felice di vederla».

La signora Agnew era una donna grassoccia sulla sessantina.

Vestiva sempre con pantaloni attillati e stivali alti fino al ginocchio e immancabili erano i suoi occhialetti a mezzaluna che sistemava in continuazione.

La mia titolare era felicemente divorziata da anni, ma da quando il marito se ne era andato via da Barr, la gestione del negozietto, seppur piccolo, era diventata problematica per una persona sola.

Quando mi proposi come nuova cassiera al mio arrivo in villaggio la signora Agnew accettò senza remore e divenni così la sua collaboratrice più fidata.

Instaurammo poi, con il passare dei giorni, un legame quasi familiare: data la mia giovane età, la signora Agnew mi vedeva come una sorta di nipote e io ricambiavo il suo affetto con piacere, ma tenendo sempre bene a mente che il vincolo impiegatizio che ci univa mi rendeva a lei subordinata.

Era per non mancarle mai di rispetto che mi riferivo sempre a lei con il titolo onorifico.

«Come è andata oggi?» chiese mentre sistemava il suo imbarazzante impermeabile sull'appendiabiti. «Oggi c'è veramente un tempo da lupi».

«Finché c'era il sole molto bene devo dire» le risposi. «Stamattina sono passati i coniugi Fergusson, subito dopo la signora Hislop e per finire il piccolo William».

«Caldwell?» domandò.

Annuii e puntai con il dito lo scaffale dei dolciumi, mezzo vuoto.

«Quel discolo! Un giorno gli si carieranno tutti i denti».

Repressi una risatina. Gli abitanti di Barr, soprattutto quelli più anziani, utilizzavano a volte vocaboli molto particolari, arcaici e pomposi.

Scoccarono le 16:00 e il mio telefono squillò facendo sobbalzare la signora Agnew.

A volte, avevo l'impressione che non si fosse ancora abituata all'idea che con la tecnologia odierna si potesse ormai fare di tutto, come impostare una semplice sveglia.

Battei le mani contenta.
Il mio turno era finalmente finito.

Adesso toccava alla signora Agnew l'infelice compito di restare in negozio fino alle 19:00, mansione che avrei svolto anch'io l'indomani.

Tutti i giorni, ci alternavamo tra la mattina e la sera, ad eccezione della domenica, unico giorno in cui eravamo entrambe presenti in negozio.

Mi alzai dal bancone pigramente per permettere alla signora Agnew di effettuare il cambio e mi stiracchiai.

Le mie ossa erano intorpidite dal freddo e dall'umidità e sentii distintamente qualche vertebra scrocchiare.

La piccola stufetta che avevo a disposizione non bastava a scaldarmi e, per quanto mi fossi perfettamente integrata nella comunità, rimanevo pur sempre una ragazza di città che mal sopportava il freddo scozzese.

Un fulmine squarciò il cielo; il rombo del tuono sopraggiunse dopo qualche secondo.

Esitai sull'uscio.

Ero più che pronta a tornare a casa, ma con quel temporale forse era meglio restare lì al riparo, altrimenti mi sarei inzuppata fino all'osso.

Sbuffai e pensai al mio povero gatto Billy.
Mi chiesi se fosse impaurito, tutto solo nella nostra casetta.

«Mi scusi, ma credo che resterò qui per un altro po'. Magari ho fortuna e tra una mezz'ora inizia a spiovere».

Passarono altre due ore.

Io e la signora Agnew eravamo esauste e annoiate.
Le palpebre si facevano sempre più pesanti ad ogni minuto che passava.

Prese dal torpore stavamo quasi per addormentarci quando, a un tratto, sentimmo dei forti colpi provenire dall'esterno.

La signora Agnew mi guardò stralunata.
«Chi sarà mai a quest'ora? E con questo tempo soprattutto».

Feci spallucce, mi chiedevo lo stesso.

«Avanti!» gridammo all'unisono.

La porta si spalancò e un altro fulmine cadde.
Un giovane uomo entrò nel locale con un' andatura pesante.

I suoi stivali neri fecero scricchiolare le assi di legno mentre i suoi vestiti, anch'essi scuri, erano lacerati e completamente zuppi.

Notai che con sé non portava alcun ombrello e spalancai la bocca incredula, colpita dalla sua avventatezza.

Se i suoi abiti non fossero stati completamente bagnati avrei anche potuto constatare facilmente come fossero scoloriti.

La giacca di pelle era visibilmente consumata e di qualche taglia più grande: ci sciaguattava dentro.

«B-buonasera» balbettò la signora Agnew.

L'uomo aveva lasciato la porta spalancata e il freddo, per una volta, colse alla sprovvista pure lei. «Come posso aiutarla?»

Lo straniero puntò lo sguardo sulla signora Agnew, ma non proferì parola.

Colsi l'occasione per studiarne i lineamenti.

I suoi occhi avevano una tinta veramente strana: erano marroni, ma tendenti all'arancione.

Il suo volto, invece, era estremamente pallido e solcato da occhiaie scure.

A giudicare da quei solchi profondi quell'uomo non faceva una bella dormita da anni. 

Mi dispiacqui molto nel notare quel dettaglio dal momento che anch'io, nel pieno della mia nevrosi, avevo sofferto di insonnia.

I capelli neri, o forse di un castano scuro, erano fradici e appiccicati alla fronte.
Sembrava estremamente povero e stanco.

«Signore? Mi scusi, ha bisogno di qualcosa?» chiesi timidamente.

Quel silenzio stava iniziando a mettermi a disagio.
Ancorò per la prima volta lo sguardo al mio, osservandomi attentamente prima che la sua attenzione venisse catalizzata da altro.

Senza dire una parola, l'uomo prese la cassetta della frutta che si trovava alle mie spalle e la svuotò completamente dinanzi a noi.

Mele, pere e arance caddero sul bancone iniziando a rotolare. L'uomo si chinò e iniziò ad annusare copiosamente la frutta, come avrebbe fatto un cane randagio mentre rovista nel pattume.

La signora Agnew spalancò la bocca ed emise un piccolo gridolino carico di disgusto.

Sgranai gli occhi e il sentimento di ribrezzo investì in pieno anche me; quell'uomo si stava comportando in una maniera reprensibile.

Vidi la signora Agnew immobile, incerta sul da farsi.

Mi feci coraggio e presi in mano la situazione. e

«Mi scusi? Le sembra questo il modo di comportarsi? La smetta subito» lo ammonii, ma l'uomo mi ignorò sfacciatamente e iniziò a formare rapidamente una pila di frutta.

Quella che lo soddisfaceva rimaneva sul bancone mentre quella che, ipotizzavo, non riusciva a convincerlo ritornava nella cassetta.

Quando finì la sua strana e meticolosa operazione, si risollevò e prese dalla tasca della sua giacca in pelle qualche banconota stropicciata miracolosamente sopravvissuta all'alluvione e un gruzzolo di monete che depositò davanti a noi.

Si sforzò poi di farci un timido sorriso.

Io e la signora Agnew ci ammutolimmo.
Dire che eravamo perplesse, era dire poco.

Sentii la mia titolare tirarmi una debole gomitata nelle costole e mi ricossi dal mio immobilismo.

«Vuole acquistare della frutta?» chiesi confusa, schiarendomi la gola e cercando di scandire il più possibile le parole.

Mi balenò in mente che l'uomo fosse sordomuto o quantomeno straniero, ma ciò non toglieva il fatto che il suo comportamento primitivo mi stava dando sui nervi.

Il giovane uomo scosse la testa continuando a sorridere debolmente.

«Sì! Questi soldi bastano per comprare tutto?»

Bene, non era muto, ma un impercettibile accento mi indicava che non fosse nativo della Gran Bretagna.

Uno straniero dunque.

Io e la signora Agnew sgranammo gli occhi. Non solo quei soldi bastavano, erano addirittura eccessivi.

Presi rapidamente qualche banconota e un paio di monete nell'intento di aiutarlo a fronteggiare la monetazione inglese, mentre la signora Agnew, sollevata per il repentino cambiamento dell'uomo, si affaccendava ad emettere lo scontrino.

«Vuole una busta?» chiedi educatamente.

Scosse la testa; niente busta.

«Prego» gli sorrisi dandogli in mano lo scontrino, che subito accartocciò e lanciò con precisione millimetrica all'interno del cestino situato all'angolo del negozio.

Nel farlo, sfiorai inavvertitamente la sua pelle.

Che strano!
Pensai.
Era inaspettatamente calda, il che non aveva alcun tipo di senso: avrebbe dovuto essere ghiacciata visto che proveniva dall'esterno.

«Grazie mille e arrivederci!» esclamò la signora Agnew, più che contenta di levarsi di torno quel cliente così taciturno.

L'uomo prese il denaro rimanente lasciato sul bancone e, con un solo braccio, caricò tutta la frutta.

Uscì dal negozio senza proferire ulteriore parola e richiuse finalmente, con un po' troppa forza, la porta che era rimasta aperta per tutto il tempo.

Io e la signora Agnew ci fissammo completamente sbigottite dalla breve scenetta che ci aveva rese protagoniste.

«E quello?»

«Non lo so signora. Le giuro che in città ne ho sempre viste di tutti i colori, ma non avevo mai visto uno straniero comportarsi in modo così strano».

«Confesso di aver temuto per un attimo che si trattasse di un manigoldo».

Risi sonoramente.

In effetti, con quel suo aspetto malandato, l'uomo avrebbe potuto incutere timore a chiunque, eppure c'era qualcosa in lui che mi intrigava e incuriosiva.

Ripensai ai suoi occhi e al suo volto; così stanchi, così esausti.

«Era di sicuro particolare e ammetto di essermi preoccupata anche io inizialmente, ma non mi sembrava una persona cattiva, solo un po' disorientata».

«Beh, almeno domani mattina ci sarà qualcosa di cui parlare, vero Victoria?» la signora Agnew, come un po' tutti gli uomini e le donne di paese, era estremamente pettegola.

Scommetto che non vedeva l'ora di spiattellare a tutti quello che era appena successo.

«Parlerà anche di come sono riuscita a gestire egregiamente la situazione?» domandai sarcasticamente.

«Ovviamente!»

Scoppiammo in una fragorosa risata.
Restammo a chiacchierare per almeno un altro quarto d'ora quando la pioggia cessò finalmente di cadere, permettendomi di rincasare.

Salutai la signora Agnew precipitandomi fuori dal negozio, diretta verso la mia abitazione e, soprattutto, verso il mio gatto.

Respirai la fresca aria autunnale di inizio novembre e ammirai il cielo stellato: la luna era al suo ultimo quarto!

Angolo dell' Autrice:
Ciao a tutti!

Se siete arrivati fino a qui, significa che avete letto fino alla fine il primo capitolo di questa storia e quindi vi ringrazio molto.

Le vostre opinioni in quanto lettori sono per me molto importanti, quindi vi chiedo gentilmente di non esitare qualora notaste qualche errore grammaticale o di sintassi.

Fatemi sapere ovviamente anche che cosa ne pensate dei personaggi e della storia stessa.
Ogni consiglio è bene accetto ❤️❤️❤️
Spero che questa piccola opera vi possa piacere o quantomeno suscitare emozioni positive.

Cercherò di aggiornare la storia almeno una volta a settimana, quindi state certi che il prossimo capitolo uscirà a breve.

Vi voglio già bene!

Con affetto,
Alis Heureux

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