🌕 Capitolo 9 🌕

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Aaron mi guardò confuso e sempre più imbarazzato, incredulo davanti alla mia manifestazione di gratitudine.

«Perché mi ringrazi?» mi domandò mentre con le mani iniziava a grattarsi il collo, come a voler escoriare da dosso tutta la tensione. Gli sorrisi e mi avvicinai a lui ancora di più.

«Non ti viene in mente nulla del perché ti sto ringraziando?» lo incalzai e Aaron scosse violentemente la testa in segno di diniego.

«No, non ne ho idea», disse teso e io lo guardai con compassione, smorzando quel momento per lui pregno d'angoscia.

«Ti ringrazio per il tuo aiuto tempestivo di qualche giorno fa. Senza di te io e Billy saremmo ancora lì dentro, nel bel mezzo della foresta, dispersi molto probabilmente. Sei stato veramente una manna dal cielo e ti ringrazio per questo».
Le mie parole erano sincere e sincero era anche il timore che, se non fosse stato per lui, io e Billy non ce l'avremmo mai fatta sul serio a uscire incolumi da quel fitto antro verde che circondava il bel paesino di Barr.

«Non c'è bisogno di ringraziarmi, signorina Victoria!».

«Victoria, non "signorina Victoria"» gli ricordai paziente. «E insisto con il ringraziarti. Sei stato veramente premuroso e vorrei sdebitarmi con te in qualche modo se posso. Mi sarebbe tanto piaciuto farti un regalo, ma purtroppo non conosco molto bene i tuoi gusti, quindi se non è di troppo disturbo volevo chiederti direttamente, senza filtri, se ci fosse qualcosa in particolare che vorresti».
Aaron puntò allora i suoi occhi a terra: le sue scarpe erano improvvisamente diventate interessanti per lui, mentre il rossore che lo avvolgeva cominciava a colorirgli persino il collo.

«Non serve. Non voglio niente!» mi rispose frettoloso.

Il contrasto cromatico con la sua pelle bianca si faceva sempre più evidente e io cominciavo a trovare una sorta di perverso piacere nel vederlo in quello stato. Mi sentivo speciale, l'unica in tutta Barr a poter beneficiare del fatto di vedere Aaron in una condizione di tenera difficoltà.

«Puoi scegliere qualsiasi cosa tu desideri, dico sul serio», lo incoraggiai reprimendo una risatina di scherno generatasi dalla sua timidezza. «Parla e ogni cosa ti sarà data. Non c'è assolutamente nulla che vorresti avere?».

«No, non voglio niente, davvero!». Ripetè con fermezza.

«Andiamo Aaron», feci io persuasiva. «Ci sarà pure qualcosa che desideri ardentemente; qualcosa che hai sempre voluto e che non hai mai avuto. Posso comprarti qualsiasi cosa ti piaccia quindi ti prego di non fare complimenti. So che non sembrerebbe, ma ho da parte un bel gruzzoletto e non mi dispiacerebbe per niente separarmene se si tratta di te. Del resto te ne devo una!».

Aaron mi fissò titubante e ancorò i suoi occhi profondi ai miei, vispi e curiosi.
Pensava alla risposta da darmi, incerto nel manifestare il suo reale bisogno o nel mentire.
«E se volessi qualcosa che non si può comprare o ottenere facilmente?» mormorò Aaron vago.

«Quindi c'è qualcosa?» spalancai la bocca interessata. «Di che si tratta? Cos'è che vorresti, ma che non puoi ottenere?»

Aaron stette in silenzio e io, di conseguenza, iniziai a pensare a tutte le ipotesi che potevano combaciare con la sua descrizione.
Riflettei anche su tutto ciò che di più costoso si poteva trovare sulla faccia della Terra, ma Aaron, a giudicare dal suo stile di vita, non aveva per niente l'aria di essere una persona materialista. Scartai quindi immediatamente l'idea che si potesse trattare di un qualcosa di particolarmente caro.

Se però non si trattava di nulla del genere, allora cosa poteva essere?

«Non posso dirtelo».
Mi rispose Aaron con freddezza e io mi interrogai ancora di più.
Quale segreto stava nascondendo?
Perché non era in grado di dirmi una cosa talmente sciocca?
Allora, forse, la cosa che desiderava tanto sciocca non era.

«Perché non me lo puoi dire?» mi impicciai.
«Perché non posso e poi non mi crederesti né mi capiresti».
Mi portai una mano alla guancia e inclinai la testa sospettosa.
«Beh, se non provi nemmeno a spiegarti e a farti conoscere presumo di no, non riuscirò mai a capirti Aaron».

Assottigliò gli occhi.

«Perché, vuoi conoscermi?». Aaron emise una risatina impregnata di sarcasmo, come se per lui fosse totalmente inconcepibile ritrovarsi come oggetto delle attenzioni altrui; come se lo stessi prendendo in giro.
«Perché no?» ribattei io stupendolo. «Non sarebbe poi così male se diventassimo amici, non credi?».

Aaron inarcò le sopracciglia e mi squadrò dalla testa ai piedi.
«Tu vorresti diventare mia amica?» chiese con scetticismo.
«Perché no?» ripetei. «Dopotutto non ci sono poi così tanti giovani a Barr. Mi trovo bene con Susan, ma è spesso via, e ad essere onesta non credo di poterla neanche considerare veramente come un'amica, quindi non mi dispiacerebbe avere qualcun altro con cui parlare ogni tanto. Qualcuno che non sia la signora Agnew intendo...».

Aaron rise nuovamente, ma stavolta non c'era ironia, solo l'ombra di una profonda spossatezza.
«Non prendermi in giro Victoria. Nessuno mi vuole qui e nessuno vuole essermi amico».
Abbassò poi nuovamente la testa nascondendo il suo sguardo al mio e, per un istante, avrei giurato di scorgere un tremolio sconnesso sulle sue labbra scolorite.
Avevo l'impressione che il suo discorso non fosse circoscritto solo alla situazione che viveva qui a Barr, ma piuttosto che fosse riferito ad una realtà che lo aveva sempre accompagnato.

L'essere isolato, l'essere giudicato sembravano essere le uniche due costanti della sua vita.

Mi si strinse il cuore e la pietà e la compassione si fecero strada in me. Avrei voluto cercare un modo per poter lenire il suo animo sofferente, ma non sapevo come fare.
Non era di certo il miglior vicino che un paese così piccolo potesse desiderare, ma nessuno meritava di essere solo. Nessuno.

«È vero. Ci sono state delle incomprensioni iniziali e questo è innegabile», ammisi iniziando a intrecciare le dita. «Sei comparso all'improvviso nel nostro amato villaggio attirandoti le antipatie di molti di noi ma poi il tuo atteggiamento, almeno nei miei confronti, è cambiato e questo io non lo posso ignorare. Sei stato gentile, cordiale e premuroso. Una persona come te non può essere malvagia e, per quel che vale, ti offro la mia amicizia se vuoi o quantomeno il mio rispetto. Mi dispiace per l'opinione che gli altri hanno di te, davvero!Vorrei tanto che il loro giudizio nei tuoi confronti cambiasse ma purtroppo non ho il potere di farlo. Non posso fare molto oltre a dire che mi dispiace tanto per questa situazione e che se vuoi sfogarti con me lo puoi fare».

Aaron mi guardò allora esterrefatto, stordito da quel fiume in piena di parole che avevo lasciato defluire dalla mia bocca in totale onestà.
Le mie parole erano riuscite a toccarlo nel profondo, a scuotere qualcosa dentro di lui.

«Signorina Victoria...» sussurrò senza fiato e allora il tremolio sulle labbra che mi parve di aver visto divenne più accentuato, tramutandosi in realtà.
«Victoria!» risi.
«Victoria...» ripeté per poi azzerare con un'ampia falcata la distanza che c'era tra noi.
«Pensi veramente tutto quello che hai detto?»
I suoi occhi erano lucidi e presto vidi sgorgare una lacrima che prontamente raccolsi con il mio indice.
«Sì!» dissi decisa e Aaron percepì la mia sincerità. Il tremolio sconnesso si irradiò per tutto il suo corpo e altre lacrime iniziarono a defluire sulle sue guance pallide.
«Oh no, mi dispiace, non volevo farti piangere Aaron. Perdonami!».
Aaron sorrise mentre mi affrettavo ad asciugare il suo pianto e, tutt'un tratto, incominciai a sorridere anch'io persa in quell'intimo, tenero momento.
Ripensai a come solo qualche giorno prima le lacrime che venivano asciugate erano le mie e le dita che si muovevano con tanta dolcezza erano le sue.

«Mi dispiace Victoria» sussurrò poi poco dopo. Mi prese delicatamente il polso e lo allontanò da sé facendo cessare il nostro contatto.
Con dei rapidi movimenti allontanò poi definitivamente le ultime gocce dai suoi occhi stanchi e rossi dal pianto.
«Non volevo piangere, davvero. È che non sono abituato a sentire queste parole gentili rivolte nei miei confronti».
Mi impietosii pensando a come dovette essersi sentito solo in questi mesi e scossi la testa.
«Non scusarti mai per aver pianto. È normale, è una cosa da umani».
Aaron rise sonoramente e io non capii cosa ci fosse di così divertente nelle parole che avevo utilizzato per cercare di confortarlo.
«Ho detto qualcosa di strano?» chiesi confusa.
Le labbra di Aaron si incurvarono.
«No, in effetti non hai detto nulla di strano», disse ancora ridacchiando. Distolse poi il suo sguardo dal mio, allontanandosi stavolta anche dalla mia figura.

Eravamo di nuovo distanti...

Osservavo i suoi movimenti cauta, in attesa; attendendo con impazienza che proferisse ulteriormente parola, ma quando lo fece mi si gelò il sangue e in me ci fu solo delusione.

«Ti ringrazio tanto per le tue parole, Victoria. Sei molto gentile, ma non credo che potrò accettare la tua amicizia!» disse freddo e io sgranai gli occhi. Aaron si affacciò nuovamente alla finestrella della mia modesta dimora e tutte le sue attenzioni vennero nuovamente rivolte alla notte.

«Perché? Ti ho forse fatto qualcosa di male?» strinsi i pugni frustrata, ma tutto sommato non potevo essere poi così tanto stupita dalla sua decisione. Aaron era stato gentile con me, ma io lo avevo evitato come tutti inizialmente, e come tutti avevo nutrito - e forse continuavo a nutrire - dei pregiudizi nei suoi riguardi.
Se Aaron avesse covato del risentimento nei miei confronti non sarebbe stata di certo una sorpresa.
Lo sentii sospirare.

«Al contrario. Tu mi hai fatto solo del bene finora, Victoria!»
«Allora non capisco. Perché non vuoi essere mio amico se non ti ho fatto niente?»
Silenzio.
«Allora?» tentai di nuovo, ma nulla, Aaron non accennava a rispondere; il mio piede sano tamburellava agitato.
«Se non ti piaccio come persona puoi dirmelo, ti giuro che non mi offenderò, promesso».

«No!» urlò allora lui girandosi di scatto. «Non è affatto così, tu mi piaci tantissimo».
Ignorai il rossore che quell'apprezzamento aveva avuto il potere di generare sulle mie goti e mi schiarii la gola.
«Allora perché non vuoi? Che problema c'è?»
Aaron mi guardò dubbioso, incerto su quali fossero le parole adatte.
Il suo linguaggio del corpo si fece agitato di fronte a quella mia insistenza; si mordeva le unghie nervoso e ciondolava a destra e a sinistra senza riposo.
«È che la mia vita è... complicata. È molto difficile per me stabilire dei legami con qualcuno e mantenerli, quindi preferisco non crearli affatto». Spiegò velocemente ma non fui soddisfatta da quella risposta, anzi, divenni ancora più sospettosa.

«Cosa intendi dire per complicata?».
Aaron si ammutolì e incrociò le braccia al petto. Vedendo il suo turbamento un orrido pensiero mi attraversò la mente.
«Tu, non sei convolto in traffici di droga o criminalità organizzata come pensano alcuni residenti vero?» esclamai senza pensare.
Aaron spalancò la bocca e un lampo d'odio attraversò i suoi occhi.
«Cosa? Certo che no!» esclamò stizzito. «Non c'entra assolutamente niente. Chi diavolo pensate ch'io sia?!».
Era sempre più agitato, ma io, nonostante mi fossi istantaneamente pentita per quella brutta uscita decisi di riprovarci.

Dovevo sapere.

«Allora perché non mi rispondi?».
Aaron stette zitto.
«Spiegami! Che intendi dire con questo?» insistetti ancora e ancora e la sua pazienza comincio a incrinarsi.
«Basta Victoria!».
La sua mascella si fece dura e il suo respiro più pesante. Decisi, stupidamente, di non demordere nonostante il suo fare sempre più minaccioso e mai scelta fu più sbagliata.
«No, non è giusto!» protestai. «Io ho risposto a tutte le tue domande, mentre te sei sempre evasivo. Perché ti fai tutti questi problemi nel dirmi una cosa così tanto stupida? Allora forse hai veramente qualcosa da nascondere!».

«Ho detto basta!» tuonò Aaron e un ringhio distinto raggiunse le mie orecchie.

Un ringhio!

Gli occhi di Aaron erano furiosi e brillavano di una luce sinistra. Il caratteristico bagliore arancione si fece visibilmente più intenso e contribuiva a conferirgli un'aria terrorizzante e predatoria, nonché innaturale.
Mi ritrassi spaventata dal quell'improvviso suono animalesco che Aaron produsse e lui, rendendosi conto subito dopo di quello che aveva fatto, si allontanò da me il più che poté abbassando lo sguardo.
Passò qualche secondo e quando lo rialzò i suoi occhi erano tornati come prima.

«Che cosa... che cos'è stato?» quasi balbettai. I miei occhi confusi incrociarono i suoi inorriditi.
Aveva avuto paura anche lui!

«Ma che problemi hai?» quasi inciampai nel mentre che mi riparavo dietro l'isola della mia cucina.
Non mi sentivo più al sicuro, non mi sentivo più bene; la repentinità con la quale Aaron cambiava il suo atteggiamento mi turbava.
«Prima piangi, poi mi dici che ti piaccio e adesso mi ringhi addosso? Si può sapere che cosa ti prende?».
Dio solo sapeva con che coraggio fossi riuscita a pronunciare quelle parole.

«Io... scusami Victoria», disse lui provando ad avvicinarsi, per confortarmi forse.
«No!» gridai e il suo passo si interruppe. «Non ti avvicinare. Anzi, vai fuori da casa mia».
Aaron sgranò gli occhi e un'espressione addolorata si formò sul suo volto.

«Victoria!» mi guardò visibilmente dispiaciuto. «Per favore, non volevo. Io non...».
«Non mi interessa, va fuori. Non ti voglio più qui dentro».
«Victoria, giuro che non volevo spaventarti».

Sembrava essere sincero, ma non mi importava.

«Fuori!» ordinai e Aaron, scuro in volto, accettò a malincuore la mia decisione scappando via senza neanche salutarmi. Richiuse svelto la porta dietro di sé lasciandomi da sola col mio tormento.

Strinsi i pugni per la tensione e le nocche si fecero bianche.
«Mi ha veramente ringhiato contro?» mi chiesi col fiato spezzato. «E i suoi occhi? I suoi occhi sembravano illuminati, ancora più arancioni... Com'è possibile? Ho forse visto male?».
Il dubbio era lecito. Pensai a un gioco di luci, o forse era stata un'alterazione sensoriale dovuta al fatto che fossi agitata...

Le mie elucubrazioni vennero interrotte da un tonfo succeduto da un miagolio disperato. Sentii chiaramente delle unghie graffiare la porta della mia camera e solo in quel momento realizzai con colpa di aver lasciato Billy al chiuso per tutto quel tempo.
Recuperai le mie stampelle e corsi ad aprire la porta al gatto di cui mi ero completamente dimenticata.
E pensare che lo avevo rinchiuso lì proprio per garantire ad Aaron un maggiore confort.
Mi morsi una guancia indispettita.

«Sai Billy? Forse non avevi poi tutti i torti a soffiargli contro». Gli confessai e la piccola palla di pelo emise un suono quasi compiaciuto.
«Mi dispiace tanto per averti lasciato qui. Dovevo immaginare che volessi semplicemente difendermi da lui. Del resto voi animali avvertire il pericolo, no? Forse è per questo che tutti i cani gli ringhiano contro. Forse è veramente cattivo?».
Billy miagolò, come per confermare la mia tesi.

«Eppure non sembra cattivo...» riflettei. «Però, perché si comporta così? Perché è a tratti garbato, a tratti sgarbato? Sul serio... cosa gli prende?».

Billy si sdraiò a terra a pancia in su e io iniziai ad accarezzarlo.

Ma sì. Pensai. Se quello era il suo desiderio allora lo avrei accontentato. Nessun tipo di rapporto.
Lo avrei lasciato da solo, e da solo sarebbe rimasto.
Da me non avrebbe ricevuto più alcuna attenzione e un altro passo in avanti non lo avrei di certo fatto.
Col cavolo che mi avrebbe nuovamente ringhiato contro.
Cosa pensava di essere? Un cane?

E Billy, come se mi avesse letto nel pensiero, iniziò a farmi le fusa!

Angolo Autrice:
Eccomi qui!
Sono finalmente ritornata dopo: covid, ospedali, tragedie varie (no qui scherzo) e una meritatissima vacanza.
Come avrete notato ho completamente rivoluzionato la copertina, che mi è stata fatta da una gentilissima grafica che potrete trovare qui su Wattpad con il nome di theotites .

Se stai leggendo questa parte, ti rinnovo i miei ringraziamenti ❤️
Vi piace?
A prestissimo,
Alis

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