🌑 Capitolo 13 🌑

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«Mi scusi, non era mia intenzione spaventarla, signorina Victoria!» disse Aaron, allentando subito la presa.

La sua mano era bollente, quasi ustionante, decisamente molto più calda di quanto ricordassi.

Mi voltai immediatamente verso di lui, sollevata di essere incappata nel fratello giusto, e mi rilassai nell'istante stesso in cui incrociai i suoi occhi sempre stanchi, ma buoni.

«Aaron, che sorpresa. Che ci fai qui?» chiesi genuinamente stupita nel vederlo a zonzo.

Non doveva essere chissà dove, chissà con chi e a fare chissà cosa?

I suoi occhi saettarono a destra e a sinistra, come per controllare che non ci fosse nessuno nei dintorni, e poi lo vidi puntare il suo sguardo sui bucaneve e sui ramoscelli d'erica che spuntavano da sotto la mia ascella e che mi solleticavano il viso.

Mi era a un palmo di distanza, così vicino da riuscire a sentire il suo respiro profondo accarezzarmi le guance.

Alla vista di quel mazzo di fiori, Aaron digrignò i denti ed emise un piccolo ringhio.

Non sembrava apprezzare particolarmente nemmeno lui il regalo del fratello.

Deglutii. Non so se fosse a causa dell'oscurità, ma mi sembrava visibilmente più pallido e malconcio del solito.

Non lo vedevo dalla nostra litigata e, da allora, le sue occhiaie erano peggiorate tantissimo, ma la cosa che mi angustiò di più era la sola vista della sua fronte imperlata di sudore.

«Ti senti bene?».
Chiesi preoccupata non dandogli nemmeno modo di rispondere.

Mi sollevai leggermente in punta di piedi e poggiai il dorso della mia mano sul suo collo.

Era rovente come un vulcano pronto a eruttare.

«Mio Dio Aaron, ma scotti tantissimo. Avrai almeno trentanove gradi di febbre». Constatai.

«Che cosa ci fai in giro ridotto così?»

Lui si tirò indietro, sfuggendo al mio tocco e accennò un timido sorriso.

«Sto bene, veramente», mentì. «Potrei parlarle in privato, per favore? È molto urgente».

La sua voce tremolava come avrebbe fatto la fiamma di una candela che si trovava proprio lì lì sul punto di cessare d'ardere da un momento all'altro.

«Non mi sembra proprio il momento adatto per parlare, Aaron. Dovresti essere a casa tua, a riposare».

Lo guardai con severità.
Era forse impazzito a uscire di casa in quello stato?

«Dammi un secondo. Poggio un attimo questi fiori e ti riaccompagno subito a casa. Ma guarda te. Non ti fai vedere per giorni e ti presenti qui moribondo».

Gli diedi le spalle e inserii nuovamente le chiavi nella toppa di casa, provando a entrare.

«No! No, la prego. Non c'è tempo».
Contestò Aaron.

Mi prese per le braccia e, con un colpo secco, mi fece voltare verso di lui, costringendo la mia schiena verso la porta fino a farla cozzare col pomello d'ottone che mi si conficcò tra le vertebre lombari.

Un piccolo gemito di dolore uscì dalle mie labbra e mi allarmai.

Che cosa stava facendo?

Le chiavi caddero a terra, dando vita ad un clangore sgradevole e il mazzo di fiori si dissipò in aria: gli steli si spezzarono e tutt'intorno a noi cominciarono a volare petali bianchi.

«La prego, mi ascolti e basta!».

I suoi polpastrelli affondavano possessivi dentro la mia carne, tenendomi ancorata a loro.

«Aaron, mi stai facendo male».

Protestai e lui allentò di poco la presa, senza mai lasciarmi andare.

Provai a svincolarmi da lui, spingendolo via con tutte le mie forze, ma non riuscii a spostarlo di un millimetro.

Il suo corpo era irremovibile, saldo come le fondamenta d'acciaio di un grattacelo, forte come le radici di un albero.

Per la prima volta da quando lo conoscevo Aaron mi fece paura.

«Sei impazzito? Ma che cavolo stai...?»

Ma non terminai la frase.
I miei occhi collisero con i suoi e finalmente lo vidi...

Era terrorizzato.

Il petto di Aaron si alzava e abbassava ritmicamente e il suo corpo era scosso da una miriade di piccoli spasmi che lo contorcevano e indebolivano.

Non voleva aggredirmi o farmi del male.
Era inconfondibilmente, senza ogni ragionevole dubbio, preoccupato e la cosa che adesso mi spaventava era che sembrava esserlo per me.

«Aaron, che cosa c'è? Dimmi tutto. Che cosa è successo?».

Presi il suo volto tra le mie mani e lo costrinsi a mantenere fisso il contatto tra di noi.
Le nostre fronti erano vicinissime e Aaron cominciò ad ansimare forte, sempre più agitato.

«Deve stare alla larga da mio fratello. Non gli deve parlare, non lo deve ascoltare o assecondare, mi ha capito?».

Lo guardai confusa.
«Tuo fratello? Ma allora è vero. Christophe, lui è veramente tuo fratello?».

Aaron mi strinse a sé con ancora più ardore.

«Mi ha capito?».

Era disperato.

Mai avevo visto una persona talmente allarmata.

«Sì, sì ho capito».

Gli accarezzai le guance tentando di tranquillizzarlo.

«Non gli rivolgerò la parola, te lo prometto».

Aaron si rasserenò e mollò la presa, portando le sue mani sopra le mie.

«La prego, deve fare come le ho detto. Non deve avere niente a che fare con lui. È pericoloso molto più di quanto tu possa credere».

Inclinai la testa confusa e corrugai le sopracciglia.

Che cosa intendeva dire con questo?

Avevo avuto modo di testare in prima persona la sua spocchia e la sua aggressività, ma era veramente capace di fare qualcosa di pericoloso?

Cosa intendeva poi Aaron per pericolo?

Aaron notò il mio cipiglio e troncò ogni mia possibile domanda sul nascere.

«Per favore, non faccia domande. Si limiti solo a fare quello che le ho detto, la prego».
Ripetè duro.

«Perché mi hai mentito quando ti ho chiesto se avessi fratelli? Christophe è così tanto terribile?».

Aaron non rispose, abbassò lo sguardo e io decisi di non insistere.
Era del tutto inutile cercare di farlo con lui, la nostra ultima litigata me l'aveva insegnato.

Mi ostinavo a volerlo leggere così come facevo con i miei libri, ma Aaron era come un diario chiuso a chiave con un lucchetto o come la cassaforte blindata di una banca.

Non mi avrebbe mai fornito la combinazione per poterlo sbloccare e avevo il timore che non si sarebbe mai fidato abbastanza di me per potermela concedere.

Ritrassi le mani dal suo volto quando sentii il suo battito tornare a essere regolare e iniziai a massaggiare i punti dolenti del corpo.

«Non preoccuparti Aaron, davvero. Ho già avuto modo di fare conoscenza con Christophe e credimi, non ho assolutamente intenzione di intrattenere un qualche tipo di rapporto con lui. Sono seria».

Volevo convincerlo in tutti i modi che non doveva avere alcun timore.

Non ero una sciocca e non mi sarei fatta intortare da suo fratello così facilmente.

«Ma hai preso i suoi fiori...» osservò puntando lo sguardo sul mazzo, ormai completamente disgregato, che giaceva per terra.

«Solo per non sentire la signora Agnew».

Sbottai.

«Quel bastardo è riuscito ad abbindolare tutti. Lei, il sindaco Sloan, la signora Hislop, Susan... sono tutti impazziti per lui. Ma devi credermi, non ho intenzione di dargli confidenza dopo come mi ha trattata l'altro giorno».

Mi morsi la guancia; forse avevo parlato troppo. Era meglio omettere i dettagli del mio primo incontro con Christophe.

Aaron drizzò le orecchie e impallidì visibilmente.

«Che cosa le ha detto?».

Titubai. Non volevo farlo agitare ancora di più.

Come avrebbe potuto reagire se gli avessi raccontato di come aveva minacciato di sfondarmi la porta e di come poche ore dopo si fosse presentato in negozio per chissà quale scopo?

«Ecco... mi ha chiesto dove abitassi, insisteva per saperlo. Mi sono spaventata perché aveva iniziato a bussare alla mia porta nel cuore della notte».

Dissi la verità omettendo volontariamente la  parte più problematica della nostra conversazione.

«Bastardo» sussurrò.

«C'è altro?» chiese Aaron, non totalmente convinto.

C'era altro?
Mi domandai.
Sì, qualcos'altro c'era, ma era una sciocchezza.

«Ha anche detto che eri un traditore e che non riusciva a sentire il tuo odore».

Dissi senza pensarci troppo.
Quella parte del suo discorso era stata veramente assurda.

Sentire l'odore di qualcuno, che affermazione idiota.

Guardai di sottecchi Aaron, mi aspettavo si mettesse a ridere o sospirasse, ammettendo che suo fratello fosse pazzo e delirante, ma non lo fece.

Se ne stette immobile, con aria solenne.
Contrasse la mascella e poi digrignò i denti.

«Aaron...?» mi preoccupai.
Perché si era fatto così serio?

Lo inquietavano veramente così tanto le sciocchezze di suo fratello?

Provai ad avvicinarmi nuovamente a lui, ma mi respinse.

Di nuovo.

Mi respingeva in continuazione.

Tutte le volte che provavo a capirlo, che volevo aiutarlo o saperne di più rifiutava la mia voglia di entrare in contatto con lui, la mia amicizia, ma in cuor mio sapevo che desiderava l'opposto.

Tutto il suo linguaggio del corpo mi dava ragione.

Diceva che con me non aveva alcuna intenzione di averci a che fare, che voleva stare da solo, ma poi, all'improvviso, mi ricercava e mi proteggeva.

Lo aveva già fatto quando mi aveva soccorsa nei boschi, lo aveva sempre fatto a distanza, con la sua tacita premura, e io avevo imparato ad apprezzarlo proprio per questo.

«Scusami» mormorai affranta.

Non sapevo proprio come fare per poterlo aiutare, per poterlo convincere che di me si poteva fidare, che potevamo avere un rapporto normale, senza segreti.

Lui mi guardò con una tale intensità che giuro, avrei potuto sciogliermi da un momento all'altro.

«Mi può promettere un'altra cosa?». Disse Aaron, riscuotendosi dai pensieri che lo tormentavano.

«Certo» risposi tranquilla e lui si grattò il collo con timore, tergiversando la sua richiesta.

«Quindi?» lo esortai dopo qualche secondo di silenzio.

Aaron fissò il cielo, con quel tic che avevo notato essere molto frequente in lui, e si schiarì la gola.

«Domani sera non esca per nessuna ragione al mondo. Entri in casa e si chiuda dentro a chiave».

Chiudermi dentro casa a chiave?
Perché mai avrei dovuto fare qualcosa di simile?
Cosa sarebbe accaduto l'indomani?

Glielo chiesi ed Aaron sospirò rumorosamente guardandomi esasperato.
«La prego...».

«Va bene, niente domande. Ho afferrato il concetto!». Alzai le mani in segno di resa.

«Me lo promette?».
Insistette Aaron.
I suoi occhi arancioni si fecero brillanti.

«Te lo prometto».

Il volto di Aaron si distese e stavolta fu lui ad alzare una mano e accarezzarmi una guancia.

«Bene». Mormorò a voce bassa. «Bene...»

Mi sorrise.
Amavo il suo sorriso, così raro e bello.

«Aaron?» lo chiamai mentre portava una ciocca di capelli ribelli dietro il mio orecchio.

Quanto era gentile il suo tocco.

«Posso chiederti perché hai iniziato a darmi di nuovo del lei?»

Forse era per via del calore dovuto alla febbre, ma le sue guance divennero improvvisamente paonazze.

Ritrasse la mano.
«L'ultima volta che ci siamo visti abbiamo litigato, pensavo che non approvassi. E poi, non mi sono neanche scusato».

Risi di cuore.

«Non ti preoccupare Aaron, è stata anche colpa mia. Sono molto insistente a volte, come avrai notato».

Aaron sogghignò.

«Lascia perdere la storia dell'amicizia, o quello che vuoi, ma chiamami sempre Victoria! Siamo coetanei e, soprattutto, non siamo più degli estranei ormai, va bene?».

«Va bene, Victoria».

Marcò il mio nome, sorridendomi complice.
Quanto era bello, quando era sereno.

Una smorfia di dolore trasfigurò quel prezioso momento di tranquillità e Aaron cominciò a tossire piegandosi in due.

«Aaron!» sussultai. «Stai bene?».

«Sto bene», tossicchiò. «Sto bene».

Il sudore continuava scendere copioso dalla sua fronte ed era sempre più caldo. I suoi vestiti neri si stavano incollando alla sua pelle e iniziò ad ansimare nuovamente.

«Bugiardo! Come fai a minimizzare così la tua malattia?».

«Riesco a gestire perfettamente la mia malattia».
Disse sprezzante, alzando di poco la voce, infastidito dalla mia premura.

Forse pensava lo considerassi debole, ma non era così. Volevo semplicemente dargli una mano.

Le finestre dei miei vicini si mossero, e vidi spuntare da dietro di esse delle figure minute che, sentendo il baccano, iniziavano a curiosare, tentando di captare stralci della discussione tra me e Aaron.

Anche lui, come me, notò i vecchini impertinenti affacciarsi dalle finestre e si irrigidì.

«Mi dispiace. Non volevo essere brusco».
Si scusò.

«Non preoccuparti. Solo...» lo guardai triste. «Sei sicuro di riuscire a cavartela?».

Scosse la testa.
«L'ho sempre fatto».
Sibilò.

Una nuova serie di spasmi scomposero il suo corpo e Aaron ringhiò dal dolore.

«Devo andare adesso», disse debole.

«Sí, devi andare».

Concordai. Mi sentivo talmente impotente.

«Riguardati, per favore! E prenditi delle medicine».

«Non preoccuparti per me, Victoria».

Aaron mi diede le spalle e si massaggiò le tempie.

«Ricordati solo tutto quello che ti ho detto. Hai promesso».
Mi disse prima di dileguarsi nella notte.

«Fa' quello che ti dico».

Lo salutai animatamente con una forte angoscia nel cuore.
Sarebbe stato davvero bene?

E che cosa nascondeva Aaron?
Chi erano veramente lui e Christophe?

Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti!

Il nostro Aaron diventa ogni giorno sempre più schivo e misterioso, ma la nostra Victoria si sta avvicinando sempre di più verso la verità.

Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto e a presto con il prossimo appuntamento di Moon Night: Novilunium.

A presto,
Alis Heureux

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