Capitolo 3 - Tessa
Correvo il più velocemente possibile.
Riuscivo a sentire i nervi tesi, i muscoli quasi atrofizzati.
Quell'odore acre costante non smetteva di invadere le mie narici.
I passi dietro di me diventavano sempre più pesanti, sempre più vicini.
Sentivo che le gambe mi sarebbero cedute da un momento all'altro.
Non avevo più fiato, sentivo i miei polmoni contorcersi per la fatica.
Volevo fermarmi ma la paura mi costringeva ad andare avanti, a non arrendermi.
Era come se i miei piedi andassero avanti da soli, non riuscivo a controllarli.
<Sono qui.> esclamò una voce lontana.
Davanti a me c'era il nulla, il buio più totale.
Mi sembrava di essere bloccata in un limbo da cui sarebbe stato impossibile uscirne.
Una luce apparse esattamente davanti a me.
Chiusi gli occhi istintivamente senza però mai smettere di correre.
Che cos'era?
Era accecante.
Aprii leggermente gli occhi, la luce si affievolì e a quella che sembrava la fine apparve un'ombra scura.
Mi tendeva la mano.
<Vieni da me.>
Sentivo la terra sotto i miei piedi sprofondare.
Non mi accorsi di essermi fermata finché non vidi la luce sparire completamente e non venni inghiottita completamente dal buio.
Mi risvegliai di soprassalto.
Sentivo i capelli appicciati al collo per il sudore.
Mi sedetti portandomi le ginocchia al petto.
Mi presi la testa tra le mani.
Sembrava così reale eppure era soltanto un altro incubo, nulla di insolito.
La sveglia suonò improvvisamente e io sussultai per lo spavento.
Mi sembrava di non aver praticamente dormito.
Mi alzai controvoglia.
Mi aspettava una giornata intensa a lavoro.
Ero una psicologa al MCH's center.
Era un lavoro impegnativo.
C'erano pazienti collaborativi ed altri che invece erano più difficili da gestire.
Ci andava fermezza ed era una cosa che a me ancora mancava.
Mi davano sempre i casi più facili perché sapevano che non ero abbastanza rigida e severa per gestire quelli più complicati.
"Sei troppo empatica per lavorare in questo reparto."
Sebbene il mio carattere non fosse totalmente adeguato per questo tipo di lavoro mi consideravano una delle più capaci.
Era facile per me leggere le persone.
Bastava che mi soffermassi sullo sguardo o magari su un angolo della bocca un po' più tirato per capire se un paziente stava mentendo o no.
Mi guardai allo specchio.
Avevo delle leggere occhiaie.
Dovevo assolutamente dormire di più.
Presi un elastico dalla scrivania e mi legai i capelli in una coda stretta.
Mi diressi in bagno e mi lavai la faccia e poi i denti.
Mi tolsi il pigiama e mi misi un outfit abbastanza comodo e che mi consentisse facile movimento.
Poi indossai il camice con sopra la mia targhetta.
"Dottoressa Tessa Laurence"
Un appellativo fin troppo esagerato.
Non ero una dottoressa.
Non aveva neanche mai finito gli studi.
Ero solo brava a capire le persone e per farlo non ci andava una laurea.
Uscii dalla stanza assicurandomi di averla chiusa bene.
Poi mi diressi al piano inferiore.
Nell'aria si sentiva il solito odore di medicinali e di alcool.
Non ci avevo ancora fatto l'abitudine.
Mi ritrovai davanti alla grata che mi avrebbe concesso di entrare nella zona dedicata ai pazienti.
Presi il badge e lo passai.
Fece un suono stridulo ma poi la grata si aprì.
Da lontano vidi la postazione di Sam.
Era intento a segnare le entrate di oggi da parte del personale.
Era ricurvo sul foglio e teneva la penna fin troppo stretta.
Il ciuffo di capelli biondi e ribelli gli continuava a ricadere sulla fronte.
Aveva le spalle larghe e sembrava avere i muscoli tesi.
Il naso era allungato e piccolo.
Non appena si voltò verso di me incrociai il suo sguardo intenso, i suoi occhi erano quasi neri.
Gli sorrisi e lui fece lo stesso.
Mi fece un cenno con la testa per dirmi di raggiungerlo e così feci.
<Ciao, Tess.> disse mostrandomi un sorriso <Come stai?>
<Tutto bene, te?>
<Non mi lamento.> disse <Ma non mi saluti?>
Io scossi la testa sorridendo, poi mi sporsi in avanti e gli stampai un bacio casto sulle labbra.
<Il paziente della stanza numero 14 ti sta aspettando.> disse tornando a compilare i moduli.
Annuii e mi proseguii fino alla fine del corridoio.
Senza bussare entrai nella stanza del paziente.
Era seduto per terra con le gambe al petto e si dondolava avanti ed indietro.
Richiusi la porta alle mie spalle e mi avvicinai con cautela.
Mi sedetti sulla sedia situata sotto la finestra.
<Lester.> lo richiamai dolcemente.
Era affetto da un disturbo dipendente di personalità.
Disturbo caratterizzato da comportamento sottomesso e adesivo legato ad un eccessivo bisogno di essere accuditi.
Era necessario stargli accanto e fargli capire che non volevi ferirlo ma aiutarlo altrimenti la reazione sarebbe stata totalmente inaspettata.
Lester si voltò verso di me.
I suoi grandi occhi blu erano colmi di lacrime mentre le labbra erano socchiuse.
<Sono Tess, ti ricordi di me?>
Lui annuì.
Pensare al fatto che avesse solo 12 anni e fosse rinchiuso lì dentro mi metteva i brividi.
<Come stai oggi?>
Lui si alzò di scatto e corse verso di me.
Strinsi le spalle ma poi appena mi saltò in braccio stringendomi mi rilassai.
Lo strinsi a mia volta e gli accarezzai i capelli.
<Va tutto bene, tesoro.>
<Voglio giocare.> esclamò.
<Sai come funziona Lester.> gli dissi <Devi aspettare le pause per poter andare fuori a giocare con gli altri bambini.>
Lui sospirò e andò a sedersi sul letto.
<Posso disegnare?> mi chiese piegando la testa da un lato.
Sorrisi ed annuii.
Stavo per passargli il necessario quando una voce proveniente dall'altoparlante mi interruppe.
<La dottoressa Laurence è attesa nel mio ufficio.>
Nonostante la voce robotica era chiaro che colei che mi stava cercando era la dottoressa Brown.
Ogni volta che mi toccava andare in quell'ala della struttura mi veniva l'ansia.
Diedi un foglio e dei pennarelli colorati a Lester, poi dopo averlo salutato uscii dalla stanza.
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