Cap. 7
ATTENZIONE: Nell'ultima parte del capitolo, quella dopo il terzo "—•—•—" c'è un argomento delicato che riguarda il pensiero di Chat Noir. Se siete sensibili o condizionabili e tali tematiche, quali il suicidio o l'autolesionismo, vi disturbano siete pregati di non leggere e di passare oltre.
Grazie e buona lettura ^^
FrancescaAbeni
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Era la seconda volta di seguito che Marinette restava ad aspettare Chat Noir sull'attico di camera sua.
Quella sera, però, faceva un po' più freddo del solito e, per sua fortuna, si era armata di felpa invernale per restare un po' più al caldo e contrastare l'umidità; ma le sue gambe erano scoperte e non voleva tornare in camera poiché credeva che se Chat Noir non l'avesse trovata lì allora se ne sarebbe andato e non essere così riuscita a chiedergli scusa per averlo fatto spaventare e per avergli riportato alla mente brutti ricordi.
Malgrado l'aria fresca ed ai suoi tentativi di resistere al sonno, le sue palpebre si chiusero e si rilassò contro lo schienale della sdraio, venendo cullata dal suo dolce dondolio.
—•—•—
Chat Noir atterrò silenziosamente sul tetto della casa accanto a quella della corvina.
Non sapeva come mai era attirato dal tornare da quella ragazza, malgrado si fosse ripromesso molte volte di starle lontano: non voleva ferirla.
Non voleva mandarla in ospedale come tutti gli altri e non voleva che, se le persone avessero scoperto che comunicava con la Belva Nera, diventasse un'emarginata sociale e che venisse etichettata come "Colei che parla al mostro" o, peggio, che le dessero anche lei il nome di "mostro".
Aveva ferito così tante persone –anche senza volerlo– da non fidarsi più nemmeno di se stesso, ed ora che aveva trovato qualcuno che non aveva paura, che passava del tempo con lui non era in grado di lasciarla andare.
Ma forse era proprio per questo che non poteva.
Quella ragazza era l'unica ad avere fiducia in lui malgrado non lo conoscesse. Si fidava del mostro che avrebbe potuto farle del male.
Doveva starle lontano, per il suo bene, ma non poteva.
—•—•—
Non seppe quanto tempo passò, ma al suo risveglio non sentì più freddo come prima.
Muovendosi per stirare i muscoli indolenziti dalla posizione scomoda, sentì che qualcosa le copriva le gambe e, aprendo pigramente gli occhi, notò essere un plaid che non aveva mai visto prima.
Come diavolo aveva fatto a finire un plaid –non suo– fin lì?
Si guardò intorno, cercando di capire da dove provenisse, notando Chat Noir impegnato a disegnare qualcosa sul suo quaderno.
"Ben svegliata"
Lesse dopo che i suoi occhi si erano abituati alla luce del sole che tramontava.
«Da quanto stai aspettando?» chiese lei stirandosi, sbadigliando subito dopo.
Chat Noir scrisse la risposta, per poi alzare il quaderno: "Nemmeno cinque minuti. Il problema è che non so da quanto tu stavi aspettando me..."
Non voleva nemmeno chiedere che ore fossero per conoscere la risposta; ora aveva cose più importanti di cui discutere.
Il ragazzo riprese a disegnare sul foglio già segnato di schizzi di penna nera, tirando fuori la lingua per concentrarsi e facendo sorridere la corvina.
Marinette, serrando le dita irrigidite e arrossate dal freddo, richiamò l'attenzione del biondo, chiamandolo con un filo di voce.
«Chat Noir, mi dispiace per averti forzato a fare qualcosa che non volevi. Se non ti fidi di me posso capirti.»
Il biondo la guardò confuso, per poi scrivere la risposta sul quaderno.
"Ti sei meritata la mia fiducia dopo che sei risalita da camera tua con il cibo. E non fraintendere: non basta un croissant, per quanto divino possa essere, per convincermi a fidarmi di te. E poi, dovrebbe essere il contrario: sono io che potrei farti del male da un momento all'altro visto che non riesco a controllare i miei poteri"
La corvina annuì leggermente, per poi stringersi alle spalle, spostando il suo sguardo verso il basso.
«Dove hai preso questo plaid? Non ne ho mai avuto uno simile in casa.» domandò, immaginando che, dato che non era sonnambula, l'avesse presa lui.
"L'ho preso da casa mia" scrisse con tanto di alzata di spalle.
La corvina arrossì, spostando nuovamente lo sguardo verso il basso all'idea che il ragazzo le aveva dato la sua coperta mentre lui era rimasto al freddo.
Tanto per cambiare discorso, e anche perché non voleva arrossire di nuovo, guardò nuovamente il felino mentre disegnava qualcosa. «Cosa stai disegnando? Immagino che hai iniziato mentre stavo dormendo.» ridacchiò, incuriosita.
Chat voltò le pagine per scrivere la risposta e mostrargliela: "Nulla di importante. Mi alleno nel disegno, tutto qua"
«Sai disegnare?» chiese con gli occhi che le si illuminarono ed un sorriso a trentadue denti.
"Me la cavo. Prima di diventare quello che sono ora facevo varie attività: praticavo scherma, suonavo il piano, giocavo a basket e mi dilettavo anche nel disegno. Ora che sono rimasto da solo ho ridotto al minimo gli allenamenti"
Marinette lo guardò, sorridendogli tristemente. «Tu non sei da solo. Io ti resterò sempre accanto, qualunque cosa accada.» aggiunse, guardandolo per cercare di sollevargli il morale.
Chat restituì il sorriso, facendo un cenno con il capo in un ringraziamento silenzioso, per poi stringersi le gambe al petto e poggiando il mento sulle ginocchia, fissando un punto a terra; aveva un'espressione triste e sconsolata.
La ragazza sentì il cuore venire stretto in una morsa: vedere così una persona –che stava imparando a conoscere, in questo caso– la faceva sentire male.
«Sai, questo sarebbe il momento dell'abbraccio, e noto che tu ne hai estremo bisogno. Ed anch'io ne vorrei uno...» aggiunse, sfregandosi il braccio sinistro con un filo di imbarazzo.
Chat Noir alzò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.
Era così semplice da leggere? Ma, d'altronde, non riceveva alcun contatto umano da ormai un anno, ed aveva seriamente bisogno di un abbraccio, oltre che di essere capito.
Cautamente, si mise come a quattro zampe, avvicinandosi alla ragazza –ancora seduta sulla sdraio– mentre lo guardava con un dolce sorriso.
Arrivò a pochi centimetri dalle sue gambe, immobilizzandosi sul posto, guardandola impaurito.
«Se non te la senti non sei obbligato. Se vuoi posso farlo io.» disse, sporgendo la mano verso di lui.
Vide Chat Noir trattenersi dal tirarsi indietro e abbassare le orecchie nere da felino, fissando la sua mano con le pupille ridotte a due fessure; la corvina si fermò per qualche secondo, per poi continuare ad avvicinarsi con estrema cautela, volendo far capire al ragazzo che non gli avrebbe fatto nulla di male.
Si sentiva come se stesse per accarezzare un animale selvatico, quando, finalmente, gli toccò i capelli dorati.
La ragazza guardò stupefatta come le orecchie feline –in quel momento completamente dritte– sembravano aderire alla testa, esattamente come se fossero sue.
Istintivamente, iniziò a grattare dietro ad esse, sentendo uno strano rumore provenire dal biondo.
Si fermò di scatto, guardandolo incuriosita; subito notò Chat Noir portarsi una mano alla bocca, mentre arrossiva come un pomodoro.
Aveva davvero fatto le fusa?
«Tu puoi fare le fusa?» domandò, con gli occhi che le si illuminavano.
Chat scosse la testa, cercando di rimanere indifferente malgrado fosse stato colto con le mani nel sacco.
«Tu puoi fare le fusa!» esclamò entusiasta, riprendendo a grattargli dietro l'orecchio nero.
Il ragazzo tentò di dire qualcosa, ma dalla bocca uscì soltanto un miagolio di pura beatitudine non appena sentì le dita muoversi sul suo cuoio capelluto.
Rimase a dir poco sconvolto da questo suo comportamento: era solito a distruggere ed a fare del male, non a fare le fusa per delle grattatine dietro l'orecchio!
Riprendendo un minimo di lucidità, fissò la corvina con un broncio, per poi sedersi a gambe incrociate davanti a lei.
«Cosa c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» scherzò lei, scendendo con la mano a grattargli sotto il mento, mentre lui le rispose con una linguaccia offesa. «Vedi? Non mi hai fatto del male.» commentò poco dopo, poggiandosi con le braccia sulle sue cosce.
Il biondo la guardò dal basso verso l'alto, ancora non del tutto convinto.
«Non so come tu faccia a distruggere le cose in meno di un secondo. Hai qualche potere, immagino.»
Chat si alzò solo per prendere il quaderno e scrivere la risposta, per poi sedersi dov'era e mostrarla alla ragazza.
"Ho una specie di potere distruttivo che si attiva in determinate situazioni, soprattutto quando sono arrabbiato o provo emozioni negative. È quello che fa crollare le case"
«Ma ora non sei arrabbiato, no? Non mi farai del male.»
Sapeva cosa stava facendo e no, non era in grado di controllare quel potere, che avrebbe potuto attivarsi da un momento all'altro.
"Ora sono felicissimo: non avevo mai conosciuto nessuno che dopo la mia "trasformazione" abbia avuto il coraggio di parlare con me. Mi sento come se fossi normale stando con te"
Marinette sorrise. «Ma tu sei normale. Non sei mai cambiato da prima, tranne per il fatto che sei un gatto in tutto e per tutto.» ghignò.
"E posso distruggere tutto ciò che tocco"
Lo sguardo della corvina si fece serio ed incrociò le braccia al petto. «Che a te piaccia o no, stasera ti darò un abbraccio, così ti mostrerò che sei in grado di controllare i tuoi poteri e che non mi farai del male. Voglio conoscerti meglio ed aiutarti a tornare la persona che eri prima.»
Cavolo, era davvero una tipa ostinata, pensò lui, non riuscendo ad evitare di sogghignare.
Solitamente, ad insistere troppo su una cosa, le persone si sarebbero arrabbiate, ma lui trovava la sua testardaggine una sorta di "voler bene alle persone": continuare ad insistere che lui poteva non farle del male e sapere così che poteva scegliere.
Il ragazzo le sorrise gentilmente, per poi chiudere il quaderno ed alzarsi.
«Te ne stai andando?» domandò, facendolo annuire.
Marinette si alzò con lui, posando il plaid sulla sdraio e accompagnandolo fino alla ringhiera, trovandosi a pochi centimetri dalla sua spalla.
Non si era mai trovata così vicino a lui, ed il fatto che solo lei ci fosse risuscita la faceva sentire speciale, oltre che entusiasta.
La ragazza si morse il labbro, voltandosi verso di lui. «Chat Noir...»
Non appena il felino girò lo sguardo per guardarla, si ritrovò stretto in un abbraccio; iniziò ad agitarsi, volendosi liberare per non farle del male, ma la corvina non mollava la presa.
«Shh... Va tutto bene.» sussurrava dolcemente contro il suo petto. «Non mi farai del male, ed io non ho paura di te.»
Chat calmò il respiro irregolare, smettendo di dimenarsi solo per godere del calore di quel corpo minuto che lo stava abbracciando.
Era una sensazione che non provava da mesi, ormai, e poterla riprovare era magnifico: il suo corpo che aderiva perfettamente al suo, anche se rigido, e sentiva il respiro caldo e regolare di Marinette contro il suo petto.
Era sicuro che lei potesse sentire quando andava veloce il suo cuore e quanto impaurito si sentiva, ma subito si sciolse, rilassandosi poco a poco.
«Visto? Nessuna ferita e nessuna sirena di ambulanza o macchina della polizia. Siamo solo io e te. Lo senti Chat? Senti cosa voglio comunicarti?»
Lo sentiva. Sentiva cosa gli stava dicendo.
Si sentiva al sicuro tra le sue braccia e non si sentiva come un animale in gabbia, braccato dalle guardie perché considerato troppo pericoloso; lei non lo considerava un nemico, un mostro.
Per la prima volta dopo un anno di paura era tornato ad essere il ragazzo che era prima.
Con mani tremanti e titubanti, la avvolse in un dolce abbraccio, godendo pienamente di quel contatto umano.
Inspirò ed espirò contro la sua testa, sentendo i capelli solleticargli le narici ed il dolce profumo della boulangerie in cui abitava inebriargli i sensi.
La strinse a sé.
Non voleva lasciarla andare, non ora che aveva trovato qualcuno con cui stare.
Entrambi sciolsero l'abbraccio di controvoglia, guardandosi negli occhi.
Sin dal primo momento che li vide, Chat Noir pensava che i suoi occhi azzurri fossero bellissimi, ma vederli con i riflessi del sole che tramontava riflesso al loro interno era uno spettacolo magnifico; il suo viso sorridente era baciato dai raggi arancio, creando un gioco tra luci ed ombre sulla sua pelle candida, evidenziandole il dolce sorriso che le ornava le labbra rosee.
Marinette, che era più bassa di lui di una ventina di centimetri, gli sorrise, scompigliandogli la frangia bionda.
«Mi ascolterai d'ora in poi quando ti dirò qualcosa?» ridacchiò, vedendolo arrossire di colpo.
Chat Noir annuì, sorridendole, per poi salire sulla ringhiera e sistemarsi dall'altra parte; le ammiccò e saltò agilmente verso terra, iniziando a correre nei vicoli non appena toccò silenziosamente il suolo.
Marinette rimase stupita dalla sua agilità e dal fatto che, malgrado l'altezza, non si fosse fatto nulla.
Con un sorriso a trentadue denti che le ornava il viso, si voltò per tornare in camera sua; raccolse il quaderno che usava il ragazzo per comunicare e la coperta sulla sdraio, dandole un'occhiata veloce: era di colore azzurro chiaro ed era più o meno larga due metri per lato, l'unica pecca erano i quattro buchi sparsi per il tessuto.
Passò dalla botola che dava sul letto, socchiudendola abbastanza per far sì che l'aria entrasse per rinfrescare il soppalco; poi scese verso la scrivania, aprendo un cassetto per sistemare il quaderno, ma lo poggiò sul tavolo, incuriosita da cosa stava disegnando mentre lei stava dormendo.
Lo aprì, iniziando a sfogliare le pagine con cura: erano solo cinque quelle occupate dalle risposte, notando di primo impatto che aveva scrittura ordinata e curata, come se non avesse mai smesso di scrivere e migliorare l'ortografia; continuò a passare in rassegna le pagine bianche, finché non arrivò verso la fine, scoprendo un foglio pieno di linee nere della penna: raffigurava la Tour Eiffel vista dal Trocadero.
Anche se era un disegno fatto interamente a penna, i tratti d'inchiostro non mostravano il minimo segno di titubanza, come se avesse avuto una foto accanto a lui da copiare o da cui prendere spunto.
Aveva sempre desiderato andare in cima alla Tour Eiffel con i suoi genitori, ma suo padre soffriva di vertigini ed il tempo che trascorrevano in famiglia era limitato per via del lavoro di entrambi e le ferie erano un lusso che potevano permettersi veramente di rado.
L'ultima volta che era stata in vacanza fu con Tom in Provenza: girarono Avignone, l'Isle sur la Sorgue, Aix en Provence, Roussillon e Velensole; fu un viaggio di circa dieci giorni e, anche se non visitarono tutto nei minimi dettagli per la mancanza di tempo, le erano rimasti impressi soprattutto i colori ed il profumo.
A proposito di colori... Marinette rimase ammaliata dal disegno di Chat da appuntarsi mentalmente di comprargli dei pastelli colorati, per far sì che potesse esprimere tutto il suo potenziale; ma la sua attenzione ricadde subito sul plaid bucato.
Riponendo il quaderno nel cassetto, si sedette sulla chaise longue, fissando la coperta azzurra per pensare a cosa fare.
Non voleva ringraziarlo soltanto tappando i buchi e lavandogliela –poiché era leggermente impolverata–, ma voleva fare qualcosa d'altro.
Si guardò intorno nella stanza, finché non le venne un colpo di genio.
Qualche giorno prima aveva comprato delle tempere per tessuto per fare dei disegni sulle sue creazioni, ma non aveva ancora avuto il tempo e la voglia di usarli, limitandosi a colorare su carta con matite e pennarelli.
Prese ago e filo, iniziando a cucire i buchi e, per i più grandi, usando pezze del medesimo tessuto e colore della coperta –che aveva tenuto in parte per le decorazioni–
Quel plaid sarebbe stata la sua tela.
—•—•—
(Questo è il punto che intendevo sopra)
Chat Noir si sdraiò sul suo letto, abbandonandosi contro il materasso morbido e malandato dal tempo.
La testa sprofondò nel cuscino morbido, mentre i suoi pensieri viaggiavano su quello che accadde quella sera.
Aveva raggiunto l'attico di Marinette alle nove di sera passate, sorridendo al fatto che il sole non fosse ancora calato: i raggi arancio davano un bel colore alla sua pelle candida ed ai capelli corvini, e guardarla dormire era una bellissima sensazione; però sembrava avesse freddo.
Facendo più veloce possibile, tornò nel suo rifugio, entrando da un buco tra le travi che coprivano la vetrata della sua stanza.
Aprì l'armadio, spalancando entrambe le ante per avere maggiore visibilità, stando attento a non staccare la maniglia ormai rotta; pochi secondi più tardi, trovò un paio di plaid che aveva usato in inverno per stare più al caldo.
Purtroppo non erano perfetti –siccome avevano alcuni strappi dovuto ai suoi artigli– ma recuperò quello meno rovinato e saltò nuovamente verso la casa della corvina.
All'improvviso si fermò, colpito da un pensiero che già albergava nell'anticamera del suo cervello: non le aveva mai chiesto come si chiamava.
Lui la conosceva come una qualsiasi ragazza parecchio gentile e carina, una specie di principessa, insomma, e lui era il ragazzo che l'aveva salvata.
Era il suo cavaliere dall'armatura nera.
Sorrise a quel pensiero, tornando a saltare felicemente tra i tetti per raggiungere il castello della sua dama.
Conoscere il nome di una persona equivaleva legarsi a lei, diventare sua amica e, magari, qualcosa di più.
Per lui non era mai stato facile fare amicizia o parlare con gli altri, e da quando era diventato la Belva Nera si era ripromesso di restare per sempre da solo, condannato a vivere una vita che non avrebbe mai augurato nemmeno al suo peggior nemico.
Legare con le persone era fuori discussione per due validi motivi: gli altri erano terrorizzati da lui, e lui era terrorizzato da se stesso.
Avrebbe preferito morire piuttosto che continuare a portarsi addosso tale maledizione, ma aveva troppa paura della morte e di quello che c'era dopo.
Sua madre era morta, suo padre l'aveva abbandonato perché era diventato un mostro e lui si era allontanato volontariamente da tutte quelle poche persone che conosceva.
Forse, era quello che si sarebbe aspettato anche dopo la morte: sarebbe rimasto solo anche dopo che la sua vita sarebbe giunta al termine.
Aveva tentato più volte il suicidio, di buttarsi da un tetto alto, tagliarsi le vene o di trafiggersi il cuore con un coltello, ma ogni volta si fermava appena prima di farlo, fissando il terreno a diversi metri di distanza o pulendosi il rivolo di sangue che gli scendeva lungo il collo dopo essere stato ferito dalla punta in un tentativo; tagliarsi il dito per spezzare il legame tra lui e l'anello era fuori discussione, incapace di guardare in faccia tutte quelle persone a cui aveva fatto del male o a cui aveva distrutto casa.
Era uno sporco fifone.
Cos'era la sua vita in confronto a tutte le altre persone?
Lui era considerato un mostro che distruggeva ogni cosa e tutti pensavano che avrebbe fatto solo del bene a sparire per sempre, ma aveva paura di farlo.
Eppure, da quando aveva visto per la prima volta quei meravigliosi occhi azzurri sentì come se la sua vita non fosse del tutto rovinata, e quando scoprì che anche lei voleva conoscerlo meglio fu come se un camion pieno di cose belle l'avesse appena investito.
Non fu il migliore dei paragoni, ma era esattamente quello che aveva provato.
Ed ora eccolo lì, a coprire il corpo minuto di quella ragazza dal freddo col suo plaid mentre dormiva beatamente.
Recuperò il quaderno che usava per comunicare con lei, deciso che avrebbe aspettato il suo risveglio anche fino al giorno successivo.
La osservò mentre sorrideva per il tepore datole dalla coperta e mugugnare qualcosa che riguardava Jagged Stone –il cantante rock più famoso di Parigi–, sentendo gli angoli della bocca sollevarsi in un dolce sorriso per l'innocenza di quella ragazza.
Aprì una pagina bianca a caso, iniziando a scarabocchiare con la penna i lineamenti leggeri del suo viso, volendo catturare il minimo dettaglio della sua bellezza da ragazza normale.
Sicuramente si sarebbe tenuto il foglio, appena finito.
Lei era stata l'unica a trovare il vero lui sotto tutto quel nero, non dando peso alla maledizione a cui era soggetto e concentrandosi solo su quello che era.
Su chi era.
Il mondo era un luogo crudele, dove tutti avrebbero voltato le spalle davanti ad una persona bisognosa di anche solo un abbraccio, del minimo aiuto o di essere capiti.
Non voleva che la sua nuova amica soffrisse per il male che le avrebbe procurato l'umanità.
Se ne sarebbe preso cura lui.
Legarsi alle persone era fuori discussione, ma proteggere la sua principessa sarebbe stato un modo magnifico di continuare a vivere.
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I feel much betta after this! Mi sono liberata ahahahah
No, io non sono depressa, ma quando avevo scritto questo capitolo (ormai tra il 22/03 ed il 23/03) avevo appena terminato di leggere "A silent voice" e volevo sfogarmi LOL
Comunque, spero vi sia piaciuto e ci vediamo venerdì ^^
FrancescaAbeni
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