L'inizio

La luce del sole entrava dalle fessure della finestra, andando a rallegrare il mio pallido volto come ogni mattina. Aprii gli occhi. La mia stanza era in disordine, come al solito, ma quel fatto era rasserenante, poichè nel mio disordine ritrovavo le tracce della ormai perduta normalità. Quel giorno era il mio compleanno, ma non un normale compleanno: compivo cento anni. Cento anni, in quello che è il mio popolo, è l'età in cui si passa alla fase adulta. Mi guardai le mani. Erano passati cento anni da quando ero nata, cento lunghi anni dalla scomparsa dei miei genitori. Da quando potevo ancora toccarli, sentire il loro calore sulla mia candida pelle. Gongolarmi nei loro baci e nelle loro carezze. Ma quel tempo era finito. Ora appartenevo ad un'altra famiglia. E tra tutte le famiglie, mi affidarono alla famiglia reale. Ebbene sì, l'indomani sarei diventata regina. Chiusi a pugno le mani, stringendole fino a che non diventarono più bianche di quello che già erano. Una lacrima mi scese lenta sulla guancia, cadendo e bagnandomi i vestiti. Vedevo ancora un po' annebbiato, ma decisi di non pensare più a queste cose. La giornata sarebbe dovuta andare al meglio. Così mi alzai, mi lavai e mi vestì velocemente. Mi fermai davanti allo specchio. Ero cresciuta molto rispetto agli altri anni. I miei lunghi capelli neri erano lisci e lucenti come l'ebano e i miei occhi azzurri, freddi come il ghiaccio, mi scrutavano attenti. Mi misi di fronte alla porta, feci un sospiro e la spalancai. La luce del giorno mi inondò e mi accecò per alcuni brevi istanti. Quando recuperai la normale vista un sorriso comparve sul mio viso. La Foresta d'Ambra si stagliava tutt'intorno a me. Gli alberi, alti fino al cielo, creavano una specie di barriera naturale da tutto ciò che ne restava al di fuori. Non mi sono mai piaciute le barriere. Mi facevano sentire in trappola, anzichè protetta. Lungo i tronchi degli stessi, sporgevano grandi pezzi di ambra, che riflettevano la luce del sole, creando un gioco di luce e colori che si diffondeva per tutta la radura. Il lago, al centro della cittadina, aveva il fondale ricoperto interamente di ambra, che faceva risplendere l'acqua, già cristallina. Tutti gli abitanti erano in festa. Vedevo gli Elfi, che facevano l'abituale giro di controllo della città. Loro ricoprivano quasi sempre le cariche militari, se non per certe eccezioni in cui diventavano druidi o medici. Gli gnomi, invece, correvano goffi per le stradine con in mano vari cestini pieni di frutta e verdura dei loro campi, pronti per le consegne. I Folletti erano la specie che più odiavo e da cui stavo maggiormente attenta. Erano pestiferi, e sempre in cerca di guai. Guardando verso il lago potevo scorgere alcune ninfe che nuotavano indisturbate. La specie che però più preferivo erano le fate. La loro magia era fantastica, ma una era la cosa che più di tutte avrei voluto, e che solo loro avevano: le ali. Loro erano gli unici a poter volare, ma questa pratica era stata vietata in città, a seguito di alcuni incidenti che accaddero molti anni fa. Il mio migliore amico era uno di loro. Era simpaticissimo, gentile e... bellissimo. Erano due anni che avevo una cotta per lui, ma non avevo mai trovato il coraggio per dirglielo. Ed eccolo lì, a camminare per la strada salutando tutti. Aveva dei capelli color oro lucenti. Tempo fa, mentre eravamo insieme, e volava, questi gli andavano sempre davanti agli occhi, facendolo sbandare e cadere a terra. Ogni volta io ridevo, e lui mi guardava con un sorriso dolce, pieno di comprensione. Era da tempo che non incontravo più i suoi occhi. Quei bellissimi occhi color verde prato. Indossava sempre dei vestiti che gli cuciva la madre, la fata sarta, di color rosso acceso. Ma era passato troppo tempo da quando lui aveva smesso di parlarmi, inspiegabilmente. Si teneva sempre alla larga da me, evitandomi e non salutandomi neppure. Il mio cuore e i miei occhi ne sentivano la mancanza. Era da così tanto tempo che non ridevo che probabilmente non ricordavo neppure cosa significasse ridere o divertirsi. Ero rimasta ferma sull'uscio di casa a fissarlo, e quando lui si girò a guardarmi, entrambi distogliemmo lo sguardo. Scesi le scale e corsi via. Attraversai la città di corsa, rischiando anche di buttare per terra uno o due gnomi che correvano nel verso opposto. Tutti quando mi vedevano mi urlavano "Buongiorno principessa!", ma io non li ascoltavo. Non ascoltavo nessuno. Non volevo parlare con nessuno. Volevo solo stare sola. Corsi. Superai il lago e mi precipitai verso la torre di vedetta abbandonata. Entrai. Salii le scale a chiocciola della torre fin quando arrivai in cima. La parete rotta della torre era l'unico punto della barriera che permetteva di uscire all'esterno senza passare per le porte della città, perennemente sorvegliate da guardie armate. Mi sedetti sul bordo della barriera, con le gambe a penzoloni. Io e Elfriom, il mio migliore amico, eravamo gli unici a sapere di quel posto. Venivamo lì spesso. Quel posto era pieno di ricordi che mi riportavano a lui, ma rimaneva comunque il mio posto preferito. Guardai affascinata l'esterno della Foresta d'Ambra: la Foresta Abbandonata si estendeva sotto i miei piedi. Non avevo mai osato entrarci, ma si raccontava che fosse come una sorta di intricato labirinto, che nessuno è mai riuscito a superare. All'orizzonte si estendevano le Terre Grige, terre desertiche la cui atmosfera particolare rendeva tutto ciò che si trovava al suo interno secco, inoltre lì gli unici colori esistenti erano il bianco, il nero, e tutte le sfumature di grigio. Nessuno ha mai osato andarci. Oltre la Foresta Abbandonata, vedevo un'altra foresta, identica a quella, solo popolata dalle più terribili creature. La nebbia la copriva interamente e a guardarla il cuore mi si riempiva di tristezza, più di quanta già ne provava. Ma in un modo a nell'altro, qualcosa la spingeva a voler andarci. Sapeva che lì si trovava il limite del Mondo Opposto, ma la curiosità stava diventando tantissima. Il RE e la Regina mi hanno sempre detto di non andare mai per nessun motivo in quelle terre, ma non mi hanno mai spiegato perché. Iniziai a pensare a mamma e a papà. Gli occhi mi si velarono di lacrime. Tutto divenne sfocato, come se la nebbia fosse avanzata improvvisamente. All'interno della Foresta d'Ambra tutti erano felici, tutti erano contenti. Tranne me: una semplice e inutile umana. Un'umana che poteva vivere così tanto solo grazie alla discendenza fatata di mia madre. Mio padre era umano, come me. Probabilmente sarei dovuta andare via da quel luogo. La Foresta d'Ambra non l'ho mai sentita realmente come casa mia. Ma a nessuno importava. A nessuno importava di me. I miei occhi vagarono in quel paesaggio bellissimo, ma terrificante. Gli alberi gettavano lugubri ombre sul prato ricoperto qua e là da chiazze di fiori velenosi di un color viola intenso. Ero incantata da quei fiori. Avrei tanto voluto prenderli, toccarli, annusarli. Avrei messo fine a tutte le mie sofferenze. Sarei morta. L'idea mi iniziava a piacere, ma mi rinsavii, togliendomi quella folle idea dalla testa. "Stavo davvero pensando di uccidermi?" pensai malinconica. A quel punto scoppiai in un lungo e silenzioso pianto, con il quale tutte le mie emozioni e le mie sensazioni scivolarono via, come lacrime in un mare di tristezza. Dopo essermi sfogata, mi alzai. Ero ormai decisa a non tornare più. Scesi per il tronco dell'albero, arrampicandomi. Mi ferii una mano, ma poco mi importava. Ero decisa a non provare più nulla. Più nessuna emozione poteva fermarmi, o ferirmi . Mi avvicinai alla foresta, stando ben lontana da quei fiori. Quando feci il primo passo all'interno, gli alberi dietro di me si mossero e mi sbarrarono la strada, impedendomi di tornare indietro. La Foresta Abbandonata era degna del suo nome. Il buio regnava sovrano in quelle terre, così accesi una candela, che portavo sempre con me insieme a qualche cerino. Mi addentrai per molto tempo in mezzo a quegli alberi, ma sembrava che io tornassi sempre all'inizio, poiché ogni parte di quella foresta sembrava identica a tutte le altre. Avevo paura, tanta paura. Il mio passo si affrettò. Ero nel bel mezzo di una crisi di panico. Una folata di vento mosse le fronde di tutti gli alberi e spense la mia candela. Non avevo più cerini per accenderla. Rimasi immobile. I miei occhi stavano cercando una disperata via d'uscita. Un aiuto. Una qualsiasi traccia per poter giungere dall'altra parte della foresta. Poi sentii un rumore. Come lo spezzarsi di un ramo. <Chi...chi va là?> chiesi impaurita. Un ragazzo dai capelli biondi spuntò da dietro un albero, mentre cercava di togliersi il fusto di una pianta attorcigliatosi intorno alla caviglia. <Ah... sei tu> dissi, e mi voltai continuando a camminare. <Cosa? Sono venuto qui per vedere se eri viva... e tu mi ringrazi così?!> mi rispose lui, arrabbiato. Decisi di non degnarlo di una risposta. Dopo tutto questo tempo. Aveva deciso di parlarmi solo ora? Perché? Avrei dovuto essere sempre in pericolo per essere degna della sua parola? Tutti questi pensieri mi affollavano la testa, e intanto lui parlava... e parlava... e parlava. Non riusciva a stare zitto. Continuai ad ignorarlo, fino a quando urlai, in preda alla disperazione <BAAAASTAAAAA!!>. Improvvisamente si alzò il vento. Gli alberi davanti a me si spostarono, svelando la fine della foresta. Elfriom mi guardò spaventato. Io feci finta di niente, come al solito. Eravamo arrivati al confine. Davanti a noi una piccola radura, da cui partiva un ponte sospeso nel vuoto. Non sembravano esserci funi o travi a sostenerlo, anzi. Sembrava che ogni asse di legno che componeva il ponte fosse sospeso in aria, come per magia. <Fossi in te non lo attraverserei> mi disse lui. <Però... una fata fifona> dissi esausta. Non badai a quello che lui mi rispose dopo. Ero troppo occupata ad osservare il paesaggio. La foresta che vedevo dalla vecchia torre, ora si trovava di fronte a me. Da qui vedevo anche una montagna innevata, dietro la foresta. L'aria intorno a me era umida. La nebbia avanzava lenta, ma si fermava sempre ad un certo punto, come se incontrasse un muro invisibile, e saliva verso l'alto. Pur essendo quasi spaventoso, lì mi sentivo libera. Senza pesi. Avevo come voglia di volare. Volevo librarmi in aria, volare via, e non tornare mai più. Ero così estasiata, così felice, che non mi accorsi che il ponte era finito, e precipitai da uno dei lati del ponte. La caduta non durò molto. Dopo circa un secondo, qualcosa iniziò a portarmi su, ma non vidi bene chi fosse, poichè poco dopo persi i sensi.

Mi risvegliai in una tenda improvvisata, fatta di legni e foglie. Vicino a me sedeva Elfriom, intento a piangere. <Elf...> dissi cercando di alzarmi. Lui si girò, ancora con gli occhi rossi e pieni di pianto. <Stai bene?> mi chiese. <Sì>. <Non ho ancora capito perchè tu sia voluta venire qui... d'altronde si racconta da secoli ormai che quello sia il confine del Mondo Opposto. Un mondo terribile. Si racconta anche che chi entri lì dentro ha come unica salvezza l'arrivare nelle Terre Lucenti, poste all'estremità del Mondo Opposto. Chi non le raggiungerà entro la mezzanotte impazzirà, fino a diventare un demone, o, nei casi peggiori, incontrando la morte.> Rimasi in silenzio, pensando alle sue parole. Avrei tanto voluto visitarle, ma il prezzo da pagare in caso di fallimento era troppo alto. Non avrei mai permesso che lui diventasse un demone. Le sue labbra rosse si inumidirono a causa delle lacrime che continuavano a scorrere copiose sul suo viso. Sapevo che qualcosa non andava. Non lo avevo mai visto così. <Elf... c'è qualcosa che devi dirmi?> chiesi titubante. Non avrei voluto una risposta, ma lui iniziò a parlare. <Ecco... mi dispiace davvero tanto. Solo che... non ho potuto fare nulla per impedirlo. Vedi, quando sono sceso in volo a prenderti e ti ho riportata su, una creatura era apparsa nella radura davanti al ponte. Ho provato a mandarla via, ma lei era arrabbiata. Ho provato a difendermi, ma mi ha graffiato> disse mentre mostrava il braccio sanguinante. Non volevo continuasse, ma volevo sapere cosa era successo. Alla vista del braccio graffiato, i miei occhi si riempirono di paura mista ad orrore e distolsi lo sguardo, spaventata. <L'unico modo per salvarci entrambi... era entrare qui> <Qui... dove?> <Esci, e lo scoprirai>. Incuriosita, uscii dalla tenda. Faceva molto freddo. Gli alberi erano molto più alti e di un colore più scuro, quasi nero. L'erba del prato era secca, e un torrente, ormai ghiacciato, scorreva tra gli alberi. Mi voltai terrorizzata, e vidi ciò che non avrei mai voluto vedere: il ponte si trovava dall'altro lato del muro invisibile, e su di esso correva avanti e indietro una specie di orso nero dotato di zanne aguzze, che gli uscivano dalla bocca. Quando mi vide, prese la rincorsa e corse arrabbiato verso di me, ma si schiantò contro quella barriera che non gli permetteva di entrare, e che non permetteva nemmeno a noi di uscire. Eravamo entrati nel Mondo Opposto.




Zexab2000




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