Teory of Charms
James Potter, diciassette anni, un paio di occhiali circolari, una zazzera bruna, patria del disordine perpetuo, e un costante sorriso ambiguo dipinto sulle labbra, sbadigliava annoiato, picchiettando nervosamente le dita sulla superficie liscia e lucida del banco.
S'annoiava, eccome se s'annoiava! Detestava con tutto sè stesso le interminabili ore di Storia della Magia, del resto, rifletteva, a chi mai poteva interessare quanti trattati avessero firmato i Goblin per ottenere un minimo rispetto? Di certo non a lui.
Sospirava, riflettendo sul fatto che gli altri alunni presenti in quel momento, per distrarsi dall'interminabile litanía di Binns, almeno avrebbero potuto concedersi il lusso di star lì a fissare lui, che naturalmente risultava essere molto più interessante di un noioso fantasma.
Come li invidiava, se avesse avuto uno specchio avrebbe potuto imitarli, invece gli toccava scrutare disperatamente la superficie legnosa del proprio banco, nella folle e disperata ricerca di incontrarvi il proprio riflesso.
Detestava con ogni fibra del proprio corpo essere forzato alla riflessione. Non che fosse da considerarsi una persona priva d'arguzia o scarsamente portata al ragionamento, al contrario: in effetti avrebbe potuto essere certamente annoverato tra le menti più brillanti dell'intera Hogwarts, se solo la suddetta brillante mente non fosse stata così genuinamente incline al lasciarsi distrarre, anche a distrarlo fosse stato il proprio riflesso.
Un'atmosfera languida, inerte e sonnacchiosa pervadeva l'aula, attribuendo ai contorni di cose e persone una consistenza liquida, quasi stessero sciogliendosi con una lentezza disarmante quanto inesorabile. Il tempo pareva essersi dilatato oltre ogni umana sopportazione e gli occhi vigili e attenti di James saettavano rapidi, nevrotici, da un capo all'altro dell'aula, alla strenua ricerca dell'anche più minima fonte di distrazione, che potesse trarlo in salvo da quella noia che, ne era più che certo, presto tardi l'avrebbe corroso dall'interno, fin quando un enorme foro gocciolante non avrebbe sostituito quello che era stato il suo stomaco. In effetti, quella prospettiva non gli sembrava tanto male: avrebbe quantomeno comportato che qualcuno lo guardasse; e intercettare lo sguardo di un essere umano qualsiasi per essere certo di non essere l'unico sopravvissuto alla strage muta e invisibile di cui si era immaginato nitidamente lo scenario nella mente, era in effetti tutto ciò che desiderava in quel momento.
Gettò nuovamente un'occhiata (forse la centesima da che la lezione era iniziata) al banco accanto al suo, nella speranza di imbattersi in un improvviso quanto agognato cambiamento di scenario, ma altrettanto repentinamente con cui erano nate, le speranze di James furono destinate ad infrangersi: Sirius Black, con la testa china sulla superficie lucida del banco, sembrava dormire un decisamente immeritato sonno degli innocenti (quale lui certamente non era).
Per un istante, nella mente di James balenò, fugace quanto estremamente nitida e letale, la prefigurazione di cosa sarebbe accaduto se avesse dato ascolto a quel formocolio che avvertiva dalla punta dei piedi alle punte dei capelli, che lo avvertiva di un bisogno quasi vitale di far sì che il suo migliore amico si svegliasse e lo degnasse della considerazione che più che giustamente meritava e, soprattutto, di rendergli tale risveglio quanto più traumatico possibile.
Certo, probabilmente un momento tanto sublime sarebbe finito dritto dritto negli annali dei Malandrini, e sì, James sarebbe stato rincolmato di una sincera e selvaggia gioia, che si sarebbe generata in egual misura sia dalla visione di un Sirius atterrito e grondante acqua saponata sia dalla generale baraonda che ne sarebbe derivata, non c'erano dubbi. Ma altrettanto indubbio era che che Sirius non gli avrebbe rivolto la parola per una settimana o più e quella prospettiva, be', quella prospettiva era di gran lunga peggiore che sopportare un'ora (ora solo tre quarti d'ora) di Storia della Magia in assenza del solito intrattenimento fornitogli dall'amico.
Non che Sirius fosse mai stato un tipo permaloso, in fatto di scherzi, per quanto maltollerasse ogni presunto esegeta osasse esprimersi sul suo abbigliamento (assolutamente meraviglioso), ma in quello specifico frangente la sua richiesta era stata più che chiara e quantomai perentoria: "Ho bisogno di dormire, Prongs. Ho bisogno di dormire addirittura più di quanto tu abbia bisogno che qualcuno si metta a Caccabombe nel mezzo della lezione. Ho bisogno di dormire addirittura più di quanto tu abbia bisogno che qualcuno ti guardi, confermandoti che esisti. Per cui lasciami dormire e non provare per nessuna ragione al mondo a svegliarmi fin quando la lezione non sarà finita. Altrimenti..."
Ma James non aveva avuto modo di scoprire cosa seguisse quell'altrimenti, dal momento che, un istante dopo, la solita, soporifera, irrimediabilmente cantilenante solfa del professor Binns aveva preso avvio e, quasi fosse dotata di una qualche a lui sconosciuta fattura, gli occhi di Sirius si erano serrati d'improvviso, in un gesto quasi meccanico, e la sua testa era scivolata con un leggero tonfo sulla superficie del banco.
Da quel momento, ognuno dei sette approcci di dialogo che James aveva adoperato nel tentativo di svegliare l'amico si era rivelato vano; Sirius pareva aver raggiunto uno stato pressoché comatoso e ogni più piccolo dettaglio, sulla sua persona, lasciava presagire che tale stato fosse irreversibile: dalla sequenza ritmica con cui produceva sbuffi sommessi al rigagnolo di saliva che ormai stava apprestandosi a convergere in un piccolo lago, assai poco gradevole a vedersi e dalla dubbia profondità.
James si chiese se fosse il caso di tentare un'avance con quell'altro suo amico, quello seduto esattamente due banchi dietro di lui, presumibilmente con una gamba sollevata sulla sedia, nella sua consueta quanto apparentemente scomoda posizione; quello che, dopo la bellezza di sette anni ad Hogwarts ancora si ostinava, con la rigida caparbietà del primo giorno, a riportare in forma scritta (con la precisione maniacale di un monaco amanuense) ogni singolo, monocorde suono uscisse fuori dalla bocca del professor Binns. Remus Lupin, detto Moony.
Il raspare delle penna di Remus sul suo foglio di pergamena segnalò con chiarezza a James che neppure quella volta l'amico avesse mollato il colpo, non che in effetti sperasse davvero nel contrario. Certo, sarebbe stato inopportuno quanto sleale etichettare l'amico come "L'Unico Idiota che Abbia Mai Preso Appunti Durante Storia della Magia".
C'era pur sempre Lily Evans, con cui si contendeva duramente il titolo di Studente Modello, in un tremendo testa a testa che non sembrava aver modo di risolversi. E, a proposito di Evans, quel giorno era stata insospettabilmente assente da tutte le lezioni, dettaglio che la mente di James non aveva mancato di registrare, con non poco disappunto.
Stava giusto, dunque, meditando di compiere una torsione su sé stesso di centottanta gradi, finalizzata al ricordare (a gesti piu o meno eloquenti) a un Remus apparentemente dimentico della cosa quanto fosse assolutamente necessario che gli fossero rivolte tutte le attenzioni che meritava, quando accadde.
Gli infallibili riflessi da provetto Cercatore di James, sempre vigili, lo intercettarono prima ancora che avesse effettivamente avuto il tempo di identificare cosa fosse quell'inatteso proiettile e, nel medesimo istante, la sua mano destra gli si serrò attorno, intercettandone la rotta e obbligandolo a una deviazione (quasi certamente non programmata) sul proprio banco.
Solo a quel punto si soffermò con più attenzione sul provvidenziale distrattore piombato da un punto indefinito dietro di lui. Si trattava un foglio di pergamena, malamente accartocciato al fine di cavarne fuori una piccola sfera. Posta aerea, sogghignò James, pregustandone il contenuto. Anche fosse stato insignificante, rifletteva, era indubbio che fosse meglio che starsene seduto composto e in silenzio anche fosse stato per un solo altro istante.
"Non aprilo!" Gli intimò, tuttavia, una flebile quanto ben nota voce alle sue spalle. James si voltò di scatto, incrociando il proprio sguardo beffardo e sicuro di sè con un paio di piccoli occhi acquosi, che tradivano l'atavico timore reverenziale del loro proprietario.
"Non dovrei aprirlo, dici, Pete?" Domandò James, ostentando una nota di innocente candore, accompagnata da un ripetuto sbattere delle lunghe ciglia. Peter Pettrigrew, piuttosto sudato e irrequieto nel banco dietro, roteava nervosamente i pollici e fissava ostinatamente la punta delle proprie scarpe, che parevano esercitare su di lui, in quel momento, un'attrattiva indescrivibile.
"N-no, ti prego, n-non a-aprirlo" ripeté nuovamente Peter, a mezza voce. Non che temesse che il professor Binns potesse udirlo, quello sì che sarebbe stato impossibile, assorbito com'era dal soavissimo suono della propria voce. A spaventarlo terribilmente era il pensiero che a notare l'infallibile ("Wow, Prongs!") intercettazione di James fosse qualcun'altro, seduto scompostamente nel banco dietro il suo e ora nuovamente assorto dal proprio perpetuo prendere appunti.
"E perché mai? Era indirizzato a me, del resto, no? Sennò per quale altro motivo sarebbe capitato proprio qui, sul mio banco?" Puntualizzò James, ostentando un tono eccessivamente casuale; era perfettamente consapevole dell'assoluta, ancestrale, primordiale inettitudine dell'amico, nel prendere la mira, ragion per cui non aveva dubitato neppure per un istante che il vero destinatario dovesse essere qualcun'altro; tuttavia, per quanto intrinsecamente crudele fosse quel pensiero, doveva ratificare che mettere Peter alle strette si rivelava sempre un'attività genuinamente appagante e lasciarsi sfuggire l'opportunità di ripeterla anche in quell'occasione non sarebbe stato affatto da James Potter.
Non che Peter ne fosse all'oscuro: avrebbe spergiurato che James si sarebbe divertito come non mai a veder i suoi nervi saltare, sissignore se l'avrebbe fatto. Era, dunque, doveroso che Peter Pettigrew detto Wormtail tirasse fuori il proprio coraggio da Grifondoro, ovunque esso fosse sepolto sotto strati e strati di terrore, e s'impuntasse di apparire quanto più a suo agio possibile. Almeno fin quando Remus non si fosse accorto della situazione e non fosse intervenuto a trarlo in salvo.
"In effetti no, Prongs, non era indirizzato a te" Dichiarò infine, sforzandosi di evitare qualsiasi sciocco balbettìo e di sostenere l'eloquente sguardo color nocciola di James.
"E chi sarebbe allora il destinatario, eh, Pete?" A Peter parse chiarissimo, dunque, che Prongs quel giorno aveva deciso di ucciderlo.
Il fatto era che Peter detestava frapporsi trai continui bisticci dei suoi tre amici e lo ripugnava orrendamente anche la sola idea di doversi schierare tra loro. Talvolta, tuttavia (e quella dannata ora di Storia della Magia sembrava averne tutta l'aria) per quanto lui s'impegnasse con costanza ad evitarlo, tale circostanza diveniva ineluttabile.
Era in quei momenti che la mente di Peter si mobilitiva con una rapidità prodigiosa (che si discostava grandemente dalla mancanza di attività cerebrale che lo caratterizzava durante le interrogazioni) al fine di valutare quale fosse il patteggiamento che avrebbe ridotto al minimo ogni fattore di rischio della sua incolumità fisica e mentale.
Scegliere Sirius, al momento, non gli parve un'opzione praticabile, non era neppure particolarmente certo che l'amico respirasse, e di certo non sarebbe stato in grado di intervenire in suo soccorso, in assenza di un adeguato afflusso di ossigeno nei propri polmoni. Assoldare Remus, d'altro canto, per quanto in effetti avrebbe potuto essere ritenuta la scelta più saggia, sia in virtù della naturale diplomatica pacatezza dell'amico, che del suo diretto coinvolgimento nella faccenda, non gli sembrò altrettanto fattibile; dopo una rapida valutazione, ebbe conferma di ciò che già temeva: Remus non pareva minimamente intenzionato a sollevare gli occhi dal proprio foglio di pergamena, che seguitava a riempire di nozioni quantomai tediose, scritte in una grafia stretta e precisa.
Solo a quel punto s'accorse che in effetti James non aveva smesso di fissarlo e, anzi, a quel punto rivelava evidenti segni d'impazienza, ragione per cui si decise infine a optare per la soluzione che gli parve più sensata, al fine di arrivare vivo e possibilmente sulle proprie gambe all'ora di cena: avrebbe dato corda a James, che in senso lato poteva definirsi un'ottima maniera di portare a termine gli obiettivi che si era prefissato, ma mantenendosi quanto più vago possibile.
"Pa-Padfoot" Sussurrò infine Peter e James ebbe, per un vivido, tremendo e lunghissimo istante, la certezza che nel dirlo avrebbe vomitato. Dunque il destinatario era Sirius. Lo stesso Sirius che, quella mattina, aveva fastidiosamente eluso ogni suo tentativo di scoprire dove mai fosse stato la notte precedente e che ora aveva dato avvio a un cupo e cavernoso russare.
In effetti, per quanto le iridi incolore di Peter stessero intonando una muta supplica di non farlo, James era certo (quantomeno secondo i propri personalissimi parametri giuridici) che Sirius meritasse che quel bigliettino a lui indirizzato e dall'aspetto meravigliosamente intimo venisse rapidamente sottoposto a un suo controllo.
Si apprestò, dunque, a srotolarlo, pregustandone il contenuto e soppesando mentalmente quanti spunti di farsi beffe dell'amico avrebbe potuto fornirgli e per quanto tempo. Ad una prima occhiata, il foglio di pergamena gli parve vuoto e si chiese se non fosse già quello uno scherzo organizzato ai danni dell'amico. Tuttavia, scelse di accertarsene e spogliarsi di ogni eventuale dubbio, motivo per cui estrasse la bacchetta e sussurrò rapidamente "Revelio".
Sulla superficie fino ad allora candida del foglio, s'innestò rapidamente una singola frase, vergata con una grafia stretta e precisa: "Niente male, Black". Per quanto il messaggio non riportasse alcuna firma, alcun tratto distintivo che potesse rivelarne l'autore, James non ebbe neanche il più minimo dubbio su chi potesse essere.
Sollevò lo sguardo oltre un Peter tanto inquieto da dondolarsi convulsamente sulla propria sedia, e incontrò gli occhi ambrati di Remus. Gli parve di scorgervi un guizzo d'apprensione, ma fu solo per un istante.
James si voltò di scatto e, dopo aver accuratamente ripiegato il messaggio, lo posò delicatamente accanto a Sirius, il quale non ebbe sentore di nulla.
Ricambiò con sincerità il mezzo sorriso che Remus gli rivolse, due banchi più indietro. Non necessitiva di alcun tipo di spiegazione, in quell'istante ebbe solo la più sincera certezza che a qualsiasi questione facesse riferimento il messaggio, non era affar suo interessarsene, per quanto ardentemente avesse fino a poco prima desiderato essere tratto in salvo dallo svilente tedio di Storia della Magia.
Perché James Potter avrebbe anche potuto annoverare tutti i difetti di questo mondo, ma di certo non era un amico sleale.
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