Un po' di spensieratezza
Il Caso Uno, per il quale Malfoy era stato spedito nel Cheshire, si rivelò meno complicato di quanto il signor Dibert avesse sospettato.
Il mago, che aveva involontariamente usato la magia, era un diciannovenne di origini babbane, si chiamava Robbie e, quando venne interrogato da Malfoy su quanto fosse successo, ammise di non essersi reso conto subito di aver lanciato un incantesimo per evitare la disgrazia, che si stava per realizzare di fronte ai suoi occhi: un uomo di mezza età, pronto a buttarsi da un ponte per suicidarsi.
Malfoy aveva abbastanza esperienza nel suo campo per sapere che il ragazzo non stava mentendo. Era più comune di quanto si pensasse, usare la magia senza nemmeno rendersene conto, soprattutto quando si era ancora giovani e piuttosto inesperti.
Il babbano, la cui vita era stata salvata con un incantesimo, che gli aveva incollato le scarpe al parapetto in pietra da cui si voleva gettare, si trovava in uno stato di shock, mentre una signora anziana con in braccio un barboncino, il cui pelo voluminoso ricordava la pettinatura della padrona, che aveva assistito all'intera faccenda, non faceva altro che sbraitare che lei l'aveva sempre detto che esistevano gli alieni.
Ad assistere alla scena c'erano inoltre due ragazzine che dovevano aver saltato la scuola per trovarsi a quell'ora su quel ponte, dalle borse in plastica che stringevano tra le mani, Draco dedusse che dovevano aver preferito lo shopping alle lezioni del primo pomeriggio.
«Signor Malfoy, affido a lei la rimozione della memoria della babbana anziana. Ci penso io a prendere la testimonianza del signor Sullivan», disse il signor Dibert, con uno scocciato gesto della mano, mentre estraeva dalla propria valigetta un bloc-notes e una piuma incantata che scriveva da sola.
Draco eseguì gli ordini senza ribattere, lanciando qualche occhiata veloce ai suoi colleghi che si occupavano del babbano che aveva tentato di suicidarsi e delle due ragazzine che, spaventate, avevano iniziato a piangere, promettendo di non saltare mai più la scuola.
«Buon pomeriggio, signora, mi chiamo...», tentò di presentarsi alla babbana anziana, nel tentativo di calmarla prima di modificarle la memoria, ma venne subito interrotto dal guaito spaventato del barboncino e da un colpo di borsetta che gli arrivò in pieno petto.
«Non ho paura di te, alieno! Avrò anche sessantotto anni, ma so ancora difendermi dai mascalzoni!», disse con voce stridula la donna, la fronte aggrottata e la borsetta alzata, pronta a colpire ancora.
Malfoy si portò una mano a massaggiare la zona offesa dall'anziana, mentre sorrideva appena; il coraggio e la fierezza di quella donna gli avevano ricordato Hermione Granger e gli era impossibile pensare alla sua ex amante senza che gli comparisse, ogni volta, quel triste sorriso sulle labbra.
«Non sono un alieno, signora», disse, estraendo la bacchetta.
L'istante successivo, prima che la donna potesse nuovamente colpirlo, le lanciò un Petrificus Totalus, che finì coll'immobilizzare anche il cagnetto che l'anziana teneva tra le braccia.
Ci impiegò pochi minuti a plasmare i ricordi della signora dai vaporosi capelli bianchi, così da cancellare la sua convinzione di aver visto degli alieni, sostituendola con l'impressione che quella che stava vivendo fosse proprio una bella giornata e che si meritasse un nuovo paio di scarpe.
Dopo di che andò ad osservare il lavoro che alcuni neo assunti stavano svolgendo con le due ragazzine e assistette la sua collega Amanda Bianchi, suggerendole di inserire nella mente dell'uomo che aveva tentato il suicidio il desiderio di prendere appuntamento da uno psicologo per chiedere aiuto.
Complessivamente la missione non durò molto e Malfoy stava per chiedere al signor Dibert il permesso di tornare in ufficio, quando il suo capo gli disse che poteva prendersi il resto della giornata di riposo, ma di rimanere a disposizione in caso fossero sopraggiunte delle emergenze.
In un primo momento Malfoy pensò di tornare comunque in ufficio, con l'unico scopo di palare con Hermione e scoprire se le parole che le aveva detto avessero o meno rovinato quel fragile equilibrio che avevano creato.
Draco ebbe però paura.
Non avrebbe saputo dire con precisione di cosa, in fondo non aveva confessato ad Hermione il suo amore eterno e non aveva nemmeno ammesso di non aver mai smesso di pensarla, malgrado i lunghi anni che avevano passato ognuno a costruirsi la propria vita.
La confessione che le aveva fatto riguardava la sua crescita e apertura mentale, che gli aveva permesso di mettere da parte molti dei pregiudizi che lo avevano accompagnato in giovane età. A suo parere, niente che lo mettesse in una posizione scomoda o critica.
Eppure non trovò il coraggio di tornare in ufficio come avrebbe voluto; non trovò il coraggio di comparire di fronte ad Hermione e farle crollare, una volta per tutte, tutte le convinzioni che credeva di avere, proprio come gli aveva suggerito Pansy.
Appena trovò un vicolo appartato in quella piccola cittadina del Cheshire, si smaterializzò.
Tornare a Villa Malfoy gli provocava sempre una forte sensazione di smarrimento e inadeguatezza.
Si trovava in mezzo alle pareti che lo avevano visto crescere, in mezzo ai quadri, i mobili, le tende e i servizi da tè che lo avevano accompagnato nell'infanzia e nell'adolescenza.
Quello era il luogo dell'innocenza, della spensieratezza, e lo sarebbe sempre stato; avrebbe sempre avuto dei bei ricordi di quelle stanze pulite e impeccabilmente arredate.
Tuttavia tutto quello che c'era stato di buono e bello non poteva cancellare l'orrore di altri momenti altrettanto segnanti.
Villa Malfoy non era solo la casa dell'innocenza, era anche la casa che aveva assistito alla marchiatura del suo braccio e al dolore dei prigionieri, la cui unica colpa era stata quella di credere in un mondo magico migliore, dove il Signore Oscuro non esisteva.
Anche Hermione aveva sofferto tra quelle mura, quando sua zia Bellatrix Lestrange l'aveva Cruciata e torturata per ottenere informazioni riguardo alla spada di Godric Grifondoro.
Ripensare a quel momento, al momento in cui aveva messo in pericolo la sua stessa vita, solo per alleviare le pene che stava soffrendo la ragazza che amava, per mano della zia pazza di cui aveva sempre avuto paura, lo portarono a desiderare di abbandonare quelle mura troppo cariche di ricordi e raggiungere un luogo meno infelice.
«Signorino Malfoy», lo accolse la roca voce del vecchio elfo domestico Flick, il cui naso a patata era stato più volte vittima di scherzi da parte di un Draco giovane e irrispettoso.
«Buon pomeriggio, Flick. Mia madre è in casa?»
L'elfo, come ogni volta che qualcuno lo trattava con riguardo, si tirò le orecchie a punta, osservando a disagio il pavimento a scacchiera dell'ingresso: «La Padrona si trova nella sala degli argenti, signorino Malfoy».
Draco annuì distrattamente e borbottò un veloce: «Grazie, Flick», prima di dirigersi con passo sostenuto nella direzione indicatagli.
La sala degli argenti era un salotto le cui pareti erano interamente coperte da credenze con le ante in vetro che esponevano i più impeccabili servizi di argenteria, i piatti decorati da rifiniture d'oro e acquerelli di pavoni o piante esotiche, i bicchieri delle più svariate misure e i servizi da tè più raffinati. Al centro della sala si trovava una piccola zona lettura, con un tavolino basso e due poltroncine rivestite da fodere blu cobalto decorate da fiori gialli e rossi. Una parte della stanza era dedicata alla collezione di vasi che era appartenuta ad una lontana zia di sua madre.
Draco non ricordava l'ultima volta che era stato nella sala degli argenti; fin da piccolo gli era stato inculcato il timore di rovinare, per sbaglio, qualcuno dei tesori contenuti al suo interno e di conseguenza si era sempre tenuto a distanza, anche quando era diventato grande.
Quando arrivò a destinazione riconobbe subito la voce di sua madre, la quale stava elogiando la bellezza di un servizio di piatti.
«... A mio parere questi sarebbero perfetti! Sono così semplici ed eleganti... Tu cosa ne pensi? Potrebbero andare bene per il matrimonio?».
Draco entrò nella stanza e desiderò immediatamente scomparire.
Astoria, seduta compostamente su una delle poltroncine della sala degli argenti, stava osservando con attenzione quanto le stava mostrando Narcissa.
Entrambe le donne si voltarono verso la porta, prima che Draco potesse fare dietrofront e tornare da dove era arrivato e il giovane uomo ebbe la conferma di quanto temeva, ormai da qualche secondo: fare visita a sua madre, quel giorno, era stata una pessima idea.
«Draco!», esclamò Narcissa, osservando il figlio con gli occhi chiari colmi da gioiosa sorpresa: «Non ti aspettavo».
«Ho finito prima al lavoro e ho pensato di passare a trovarti», spiegò lui, avvicinandosi alle due donne.
Astoria si alzò in piedi e appena Draco fu abbastanza vicino avvolse la sua mano fredda in quella calda di lui.
«Vedo che sei in buona compagnia, madre, forse è meglio se vi lascio...»
Narcissa scosse furiosamente la testa: «No, non andare, rimani con noi. Stavamo cercando tra i servizi migliori quello più adatto per le vostre nozze, dovresti avere voce in capitolo anche tu», disse la donna, sorridendo con orgoglio nel notare il modo in cui la guancia di Astoria, la sua futura nuora, si appoggiava alla spalla di suo figlio.
«Non ti sembra troppo presto per prendere decisioni simili? In fondo non abbiamo ancora deciso una data», fece notare Draco, trattenendo la smorfia d'irritazione che stava per sorgergli sulle labbra.
C'erano dei momenti in cui Draco si dimenticava di avere una fidanzata, momenti in cui s'illudeva che la sua vita fosse a dir poco perfetta.
E poi ce n'erano altri in cui la realtà lo colpiva con la stessa forza del pugno che Hermione Granger gli aveva lanciato il terzo anno.
«Hai assolutamente ragione, caro. Forse è arrivato il momento di scegliere quando sposarci», disse la giovane Greengrass, sollevando lo sguardo sul volto pallido del proprio fidanzato.
Astoria si trovava in una posizione scomoda e non aveva idea di come uscirne, senza rovinare la sua impeccabile reputazione e di conseguenza macchiare anche quella di sua sorella e dei suoi genitori.
Astoria, in quanto strega, doveva sottostare ai voleri dei suoi genitori, nello specifico di suo padre, e del proprio fidanzato, a meno che non volesse creare uno scandalo e rovinare irrimediabilmente la propria vita.
Per quanto Astoria volesse gridare in faccia al mondo intero che lei non aveva intenzione di sposare Draco Lucius Malfoy, il timore delle conseguenze la rendeva muta e tremante di rabbia.
Tutto quello che le rimaneva da fare era sperare; sperare che Draco la lasciasse, sperare che annullasse le nozze.
Continuava a ripetersi, per calmare i nervi tesi e le dita tremanti, che Draco non avrebbe mai permesso a se stesso di sposare la ragazzina, che l'aveva ricattato per ottenere un contratto di matrimonio vantaggioso.
No, Draco non l'avrebbe permesso.
«Penso che sarebbe meglio aspettare a scegliere una data», disse Draco, scostandosi dalla propria ragazza, muovendo alcuni passi verso la poltrone, come se avesse voluto sedercisi.
Astoria non si offese dell'allontanamento del proprio fidanzato e rimase con il fiato sospeso ad osservare i movimenti di lui, nella speranza che con poche brevi frasi mettesse fine al suo tormento.
«Perché mai?», chiese con gli occhi assottigliati Narcissa, stringendo al proprio petto il piatto che fino a poco prima stava mostrando alla sua futura nuora.
«Perché quest'anno si sposa Harry Potter, madre, e le mie nozze sarebbero automaticamente messe in secondo piano», disse Draco, esponendo la scusa che già una volta aveva zittito le richieste assillanti di sua sua madre e quelle dei genitori di Astoria.
Le labbra di Narcissa si strinsero in una linea sottile e con un incantesimo veloce ripose nella credenza il piatto che stringeva ancora tra le braccia: «Molto bene. Penso che andrò a riposare, se voi volete rimanere a bere una tazza di tè, non fate complimenti».
«Buon riposo, madre», disse Draco, cercando di nascondere il profondo senso di colpa che provava in quell'istante, certo di aver appena deluso sua madre.
Narcissa si allontanò con passo nervoso verso le scale che l'avrebbero condotta alla camera, che un tempo condivideva con suo marito; le labbra pallide, strette in una linea, e il volto amareggiato.
«È solo per questo?», chiese Astoria, incrociando le braccia al petto: «È solo perché Potter si sposa tra qualche mese che non vuoi fissare una data?»
Draco non rispose, si limitò a sollevare lo sguardo e incrociare gli occhi scuri della propria fidanzata, la donna che sembrava aggrapparsi al loro matrimonio per masochismo, più che per vero affetto nei suoi confronti.
«Che altre motivazioni pensi che ci siano?», chiese Draco, con tono freddo e scostante, dirigendosi verso la porta, deciso ad uscire nel minor tempo possibile dalla casa della sua infanzia e adolescenza, la casa dell'innocenza e del dolore.
«Tu non mi ami, Draco, e questo fidanzamento è nato da un ricatto. Pensi siano motivazioni abbastanza valide?»
Astoria pronunciò quelle parole in un sussurro, quando ormai Draco era troppo distante per percepire qualcosa oltre ad un borbottio indistinto.
Era stata lei a creare tutta quella farsa.
Era stata lei a spingere il ragazzo che credeva di amare e che pensava avrebbe amato per sempre ad accettare un contratto di matrimonio, il quale era convinta l'avrebbe resa felice per il resto della sua vita.
Ma come avrebbe potuto sapere a quindici anni che l'infatuazione che provava era appunto solo quello, un'infatuazione, e non qualcosa di più profondo?
Astoria aspettò qualche secondo, poi a sua volta fuggì da Villa Malfoy; aveva bisogno di stare un po' da sola, magari avrebbe fatto una passeggiata per Diagon Alley e poi... Poi sarebbe andata da Delilah e avrebbe cercato nei suoi occhi color carbone la forza necessaria per spezzare le catene da cui era costretta.
Draco Malfoy invece si smaterializzò fuori da un piccolo cottage rivestito di bianco e circondato da un prato verde curato in modo maniacale, in cui un bambino dai capelli blu rincorreva un gatto nero.
Andromeda Tonks stava bagnando i roseti nelle aiuole e un dolce sorriso le comparve sulle labbra quando vide la figura di suo nipote all'orizzonte.
«Draco! Che bella sorpresa», disse la donna, posando la bacchetta nella tasca del lungo vestito che indossava, mentre andava incontro all'ospite.
«Draco!», urlò Teddy, perdendo il precedente interesse per la coda in movimento del gatto nero, così da correre incontro al cugino.
Draco Malfoy prese un profondo respiro e tutta la tensione e l'irritazione che aveva accumulato, durante la breve visita a sua madre, scomparvero.
Andò in contro al cuginetto, sollevandolo in aria per qualche secondo, prima di metterselo sulle spalle, certo che a Teddy sarebbe piaciuto il cambiamento di prospettiva.
«Sei sempre più pesante, giovanotto», disse, sulle labbra un sorriso spensierato, mentre teneva tra le mani i piedi del bambino e li faceva dondolare.
«Come mai da queste parti?», chiese Andromeda, accostandosi al nipote.
«Avevo bisogno di un po' di spensieratezza», ammise Draco, non opponendosi alle mani del cugino che giocavano con i suoi capelli o gli tiravano le orecchie.
«Al galoppo!», disse Teddy, sporgendo il corpo in avanti, come se si trovasse effettivamente su un destriero e non sulle spalle di suo cugino: «Dobbiamo prendere Blacky!»
Draco non si oppose, accolse con una risata l'ordine e iniziò a correre verso il gatto nero, che la zia aveva adottato da pochi mesi per tenere compagnia al bambino di cinque anni che stava crescendo come un figlio.
«Mettimi giù!», si lamentò Teddy dopo qualche minuto e, una volta ottenuto ciò che voleva, iniziò a correre lui stesso dietro al gatto, dicendo a Draco di aspettarlo e di non avvicinarsi troppo; Blacky poteva essere pericoloso.
«Abbiamo visto un documentario sui grandi felini, è convinto che Blacky crescendo diventerà una pantera nera», spiegò zia Andromeda, estraendo la bacchetta per riprendere a innaffiare i cespugli di rose.
«La fantasia di quel bambino è davvero molto fervida», disse Draco, osservando con un sorriso il cuginetto rincorrere il gatto.
«Come va il lavoro?», chiese Andromeda, curiosa di scoprire perché il nipote avesse sentito il bisogno di "spensieratezza" quel giorno.
«Bene», disse Draco, pensando automaticamente ad Hermione e un triste sorriso gli comparve sulle labbra: «Zia, so che è un argomento delicato, ma ti sei mai pentita di aver scelto la vita che hai scelto? Hai mai desiderato tornare indietro?»
Andromeda smise di bagnare i fiori e osservò il nipote con occhi attenti e un'espressione seria in volto; la zia, in quel momento, ricordò a Draco Bellatrix Lestrange, poi la donna sorrise e la somiglianza svanì: «Che domande, certo che sì».
Draco socchiuse le labbra dallo stupore, non si era aspettato quella risposta.
«Capita a tutti di pentirsi di qualcosa, è normale. Io sono stata fortunata, i miei rimpianti non mi hanno mai impedito di essere felice e non sono mai durati più di qualche secondo», spiegò la donna, avvicinandosi al nipote, così da appoggiargli una mano sulla spalla: «Cosa ti affligge, caro?»
Draco sospirò, lo sguardo perso ad osservare Teddy che continuava ad inseguire Blacky lungo il prato: «Sono fidanzato con la persona sbagliata, zia».
«Questo è un problema», disse la donna, facendo comparire con un veloce incantesimo due sedie di legno scuro, così da sedersi e invitare il nipote a fare o stesso.
«Non so come dirlo a mia madre senza spezzarle il cuore», aggiunse Draco, sospirando: «Anche perché sono innamorato di un'altra».
Andromeda annuì, pensierosa: «Penso che tua madre e la tua fidanzata meritino di conoscere la verità».
«Sono innamorato di una Nata Babbana».
Zia Andromeda smise di annuire, voltando il capo nella direzione del nipote, negli occhi sembrava esserci una punta di sorpresa, oltre che di orgoglio: «Una Nata Babbana?»
«Già», confermò Draco, sentendo il peso di quanto appena confermato scivolargli appena dalle spalle: «Solo che temo di essere in ritardo, credo che lei ami un altro e che non ci sia niente che possa fare».
«Voglio esserci quando dirai a tua madre che rovinerai per sempre l'immacolato albero genealogico dei Black e dei Malfoy», disse Andromeda, una punta di cattiveria nello sguardo e un sorriso soddisfatto ad illuminarle il volto.
Draco scrollò le spalle: «Non è detto che arriverà mai quel giorno».
Teddy, con in braccio Blacky, corse in contro alla nonna e al cugino con un sorriso enorme stampato in volto e la salopette che indossava sporca di erba e terra sulle ginocchia: «Preso!»
Draco scacciò tutti i pensieri poco piacevoli che gli affollavano la mente e sorrise; aveva proprio bisogno di un po' di spensieratezza.
***
Ciao popolo di Wattpad!
Sono tornata, vi sono mancata?
So di essermi fatta attendere, ma confido nel fatto che ne sia valsa la pena, anche se effettivamente in questo capitolo non succede nulla di particolarmente esaltante, mi dispiace.
Vi farò però un piccolo spoiler per quanto riguarda il prossimo: Draco ed Hermione passeranno un bel po' di tempo assieme ;)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di lasciarmi qualche commento per farmi sapere cosa ne pensate.
Come sempre ricordo, per chi volesse, che esisto anche su Instagram e il nome dell'account è lazysoul_efp.
Un bacio,
LazySoul_EFP
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top