San Mungo



Blaise Zabini stava lavorando all'abito da sposa di Ginevra Weasley, quando un piccolo e anonimo assiolo gli si appoggiò su un manichino vuoto dello studio.

Lo osservò distrattamente, poi sospirò, indispettito da quell'interruzione, e recuperò la lettera legata alla zampa del volatile.

Quando, leggendo il suo nome sulla busta, riconobbe la calligrafia di Pansy, il cuore iniziò a battergli furiosamente in petto.

Le aveva scritto una lettera lunedì pomeriggio, per chiederle come stesse e se avesse voglia di cenare insieme. Non si era stupito di non ricevere risposta, ormai si era abituato alla freddezza di Pansy e al suo bisogno di solitudine ogni tanto.

Avevano litigato qualche volta al riguardo.

Lui le aveva fatto notare che si preoccupava e si sentiva escluso, quando lei non gli rispondeva prontamente ai messaggi via gufo, mentre lei gli aveva detto che se non si sentiva di rispondere aveva tutto il diritto di non farlo.

Blaise aveva capito col tempo qualcosa del carattere di Pan che aveva sempre saputo, ma che non aveva mai sperimentato sulla propria pelle: Pan si prendeva quello che voleva senza chiedere scusa. Se era del tempo libero, un nuovo abito o una promozione non faceva differenza; lei trovava sempre il modo di ottenere, con impegno e caparbietà, qualsiasi cosa desiderasse.

Blaise aprì la busta con movimenti nervosi e ne lesse il contenuto con avidità.


Ciao, Blaise.

Ho un appuntamento al San Mungo alle tre, tu sai per cosa.

Se non volessi venire, lo capirei, ma mi piacerebbe averti accanto.

Pansy



Una smorfia di dolore incrinò i lineamenti armoniosi di Blaise Zabini, probabilmente una pugnalata al cuore gli avrebbe fatto meno male, rispetto alle parole che aveva appena letto.

Erano passati solo due giorni e mezzo, dal sabato sera in cui Pansy gli aveva confessato di essere incinta e di non essere sicura di volerlo tenere.

Troppo poco per potersi abituare all'idea di essere un padre in potenza, troppo poco per prendere una decisione così importante.

Blaise sì asciugò le lacrime di dolore dal viso, poi prese dalla tasca dei pantaloni il foglietto che aveva scritto anni prima, dove aveva elencato quattro nomi: Ofelia, Enea, Agnese e Gabriele.

Li aveva segnati quando era ancora giovane e l'idea di diventare genitore era un sogno lontano e nebuloso.

Non aveva mai veramente pensato però a cosa potesse comportare la paternità e nemmeno in quel momento aveva le idee chiarissime.

Avrebbe dovuto lasciare il suo lavoro per aiutare Pansy col bambino? Avrebbe dovuto lavorare di più per guadagnare abbastanza per sostenere sul figlio? Sarebbe stato un padre troppo preso dal lavoro per avere tempo da dedicare al proprio figlio?

Lesse nuovamente le poche righe che gli aveva scritto Pansy e si rese conto che tutti quei quesiti non avevano ragione di esistere.

Presto non sarebbe stato nemmeno un padre in potenza, che senso aveva chiedersi se sarebbe stato un buon padre?

Quando rilesse l'orario scritto sulla lettera, s'irrigidì.

Blaise si guardò intorno, alla ricerca di un orologio.

Si ricordò ben presto di non averne nel suo studio, così da non potersi distrarre con questioni futili, come il trascorrere del tempo, durante le sue creazioni artistiche e un gemito di frustrazione gli sfuggì dalle labbra.

Si diresse con passi nervosi verso il negozio, dove aveva appeso alla parete un orologio che riproduceva in modo piuttosto fedele il Big Ben della Londra babbana, anche se di dimensioni più contenute.

Erano da poco passate le due e mezza e non riusciva a decidere se Pansy gli avesse scritto all'ultimo, perché indecisa, o se fosse stata colpa dell'assiolo se la missiva gli era arrivata così all'ultimo.

«Merlino sbarbato!», imprecò, correndo nel suo studio per recuperare i pantaloni e le scarpe, dato che aveva lavorato fino a quel momento in mutande e camicia.

Con sguardo dispiaciuto abbandonò il disegno, che aveva quasi concluso,  per l'abito da sposa di Ginevra Weasley e fece uscire l'assiolo dalla finestrella leggermente aperta del suo studio, la stessa da cui era entrato poco prima.

Presa la giacca e il suo fedele ombrello babbano, un regalo di Malfoy della collezione Gucci degli anni '80, Blaise chiuse il negozio, affiggendo un cartello incantato che diceva "Torno presto" in ogni lingua esistente.

La pioggia di quel martedì picchiettava allegramente sulla stoffa dell'ombrello, calmando istantaneamente con quel suono continuo i nervi tesi di Blaise.

Il ragazzo pensò in un primo momento di correre a piedi fini all'ospedale, poi si rese conto che non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo e, estratta la bacchetta, si smaterializzò nel giardino curato all'ingresso del San Mungo.

L'ultima volta che era stato in quell'imponente e minaccioso edificio era stato qualche mese prima, per un controllo di routine, che gli aveva confermato di essere sano come un pesce.

Entrò dall'ingresso principale quindici minuti prima delle tre e si sedette su una seggiola in legno che gli permetteva di avere una buona visuale dell'intero atrio.

Conosceva abbastanza Pansy da sapere che la puntualità non faceva parte del suo vocabolario e che aveva tutto il tempo di calmare il battito impazzito del suo cuore e di sedare il tremore delle dita, prima che lei arrivasse.

Prese un profondo respiro e iniziò ad osservare la gente intorno a sé, nel tentativo di calmarsi.

Una strega anziana, seduta di fronte a lui, dall'altra parte dell'atrio, leggeva una rivista con gli occhiali spessi appoggiati sulla punta del naso.

Accanto a lei un bambino dondolava le gambe nel vuoto e si lamentava dell'attesa, con una giovane donna alla sua sinistra.

Blaise Zabini distolse lo sguardo, abbassandolo sui mocassini che indossava quel giorno, ma non ebbe tempo di rattristarsi, pensando a quello che sarebbe potuto essere, perché in quell'istante una pallida Pansy Parkinson mise piede nell'atrio del San Mungo, diretta al banco d'accettazione.

Blaise rimase ad osservarla da pochi metri di distanza, studiando i pantaloni neri, abbinati ad una blusa rossa e una mantellina leggera. Pansy aveva i capelli scuri perfettamente pettinati, il volto struccato e le labbra tese in una linea sottile.

Blaise pensò che fosse bellissima, poi si alzò dal suo posto a sedere per raggiungerla.

Quando gli occhi scuri di Pansy si posarono sul volto teso di Blaise, le labbra si distesero in un triste sorriso e la sua mano si agganciò a quella di Blaise.

Non dissero nulla, si guardarono semplicemente negli occhi per qualche secondo.

«La dottoressa Szabò non è ancora arrivata, ha avvisato via gufo che ha avuto problemi con la madre oggi», disse la ragazza al banco d'accettazione: «Dovrà aspettare signorina Parkinson, la avviserò appena la dottoressa sarà disponibile».

Pansy annuì e rimase ferma ad osservare il pavimento bianco dell'atrio per qualche secondo, poi sollevò lo sguardo sul viso di Blaise e gli occhi le si riempirono di lacrime: «Ho bisogno di aria», sussurrò, dirigendosi con passo malfermo verso l'ingresso del San Mungo.

Blaise la seguì, preoccupato del colorito giallognolo sul viso della ragazza, le loro dita ancora intrecciate in una morsa nervosa.

Una volta all'aria aperta Pansy iniziò a frugare nella borsetta che aveva a tracolla, da cui estrasse un pacchetto di sigarette Morgana e un accendino.

«Pensavo avessi smesso», disse Blaise, aggrottando le sopracciglia, leggermente contrariato.

Pansy emise un suono strozzato a metà strada tra un gemito di dolore e un verso d'indignazione, poi sollevò lo sguardo lucido sul viso di Blaise: «Pensavi male», disse con tono rabbioso, portandosi la sigaretta alle labbra.

Blaise le rubò di mano l'accendino con un silenzioso "Accio" e lo fece evanescere il secondo successivo.

Pansy lo guardò con rabbia: «Perché l'hai fatto?», urlò, asciugandosi le lacrime con le dita che le tremavano: «Perché?!»

Pansy spinse il ragazzo, facendolo indietreggiare di un paio di passi poi, prima di colpirlo in viso, strinse le mani a pugno e le portò rigide lungo i fianchi, il volto stravolto dal pianto: «Perché non dici niente?! Di solito non riesci a stare zitto per più di due secondi! Perché non parli?»

Blaise sospirò e si sedette per terra a gambe incrociate, ignorando lo sporco e i germi che gli avrebbero sicuramente contaminato i pantaloni perfettamente puliti e stirati da Otto: «Cosa vuoi che ti dica, Pan?», chiese esasperato, passandosi le mani tra i capelli, spettinandoli.

Pansy chiuse gli occhi per qualche istante, poi si sedette accanto a lui: «Qualsiasi cosa, Blaise».

Il ragazzo allungò un braccio, così da stringere le spalle sottili di Pansy e avvicinarla a sé. Lei non si oppose.

«Ho quasi terminato il modello per l'abito da sposa di Weasley, oggi ero particolarmente ispirato... sono piuttosto certo che quest'abito sarà la svolta e sbaraglierò la concorrenza», disse Blaise accarezzando il braccio di Pansy attraverso i vestiti: «Questa notte ho sognato mio padre».

Pansy portò una mano sulla gamba del ragazzo e strinse leggermente le dita sul tessuto dei pantaloni.

Blaise non parlava molto del suo padre biologico, aveva pochi ricordi di lui e quei pochi che aveva erano sfocati dal tempo. Sua madre si era sempre rifiutata di parlargli di Riccardo Zabini, il suo primo marito, e la zia Arianna, sorella di Riccardo, raramente rinvangava il passato. Per questo Blaise crescendo, aveva costruito da solo quella che credeva essere la storia di suo padre.

Riccardo Zabini era nato a Firenze, dove aveva trascorso gran parte della sua vita. Era l'unico erede maschio di un'illustre casata di maghi purosangue e per questo motivo godeva di grandi privilegi.
A trent'anni aveva conosciuto Delphine Blanche Urray e si era innamorato follemente di lei, tanto da sposarla dopo pochi mesi di fidanzamento.

Riccardo e Delphine avevano avuto un figlio a due anni dal matrimonio, che avevano deciso di chiamare Blaise.

La vita di Riccardo Zabini si era conclusa all'età di quarant'anni a causa di un grave problema al cuore che nessuna pozione o medicina babbana aveva potuto risolvere.

Questa era la storia che Blaise sapeva, quella che aveva cucito pezzo dopo pezzo, basandosi sulle poche parole di sua zia Arianna e sulle poche foto datate in suo possesso.

Quella che conosceva meglio era la storia di sua madre, Delphine, che dopo un anno di lutto, aveva ripreso marito.

Molti maghi e streghe conoscevano la signora Zabini come "La vedova nera" e si diceva in giro che fosse talmente avida da uccidere gli sposi per arricchire il proprio patrimonio.

A Blaise piaceva pensare che sua madre fosse solo tanto sfortunata quando si trattava di uomini.

Pansy tremò appena tra le braccia di Blaise, poi scoppiò in un pianto silenzioso che fece tornare il ragazzo alla realtà.

«Stai bene?», le chiese lui, mettendo da parte suo padre e sua madre, per tornare a concentrarsi sul presente.

«Come mi puoi chiedere se sto bene?», chiese Pansy tra le lacrime, soffiandosi il naso con un fazzoletto ricamato: «Come potrei stare bene?»

Blaise aggrottò la fronte e stringendo maggiormente il corpo sottile di Pansy a sé, le chiese in un sussurro: «Sei sicura di volerlo fare, Pan?»

La ragazza non rispose, limitandosi a piangere in silenzio.

«Perché se non sei sicura, possiamo tornare un altro giorno», mormorò lui: «E se hai cambiato idea, sai che sono disposto a rimanerti accanto e a...»

«Stiamo parlando di un bambino Blaise, non di prendere un girino di rana da crescere insieme», disse lei con tono duro, per quanto le lacrime glielo permettessero.

«Lo so, ma io sono disposto a prendere quest'impegno e sai perché sono così sicuro?», Blaise rimase in silenzio per qualche secondo, poi disse: «Perché ti amo e crescere un figlio con te sarebbe il tipo di avventura che mi piacerebbe vivere, Pan».

Pansy Parkinson singhiozzò e si soffiò nuovamente il naso:«Non ho intenzione di lasciare il mio lavoro o mettere da parte la mia carriera. Mi piace il mio lavoro e tu adori il tuo. Chi si prenderà cura di lui mentre noi non ci saremo?»

«Troveremo un compromesso, Pan. Siamo una buona squadra, sono certo che ce la caveremo», provò a rassicurarla lui, posandole un bacio sul capo: «Inoltre, non so se lo hai notato, ma io non ho superiori a cui render conto; potrei riempire lo studio di giocattoli e passare tutto il tempo a giocare con nostro figlio».

«E chi si prenderà cura del negozio e i clienti?», chiese la ragazza, aggrottando la fronte.

«Assumerò una commessa», disse con nonchalance Zabini, scrollando appena le spalle.

L'immagine di Blaise nel suo ufficio sacro e personale alle prese con pannolini, biberon e giocattoli rumorosi la fece sorridere di tenerezza per qualche secondo e una calda sensazione di pace calmò i singhiozzi che le sconquassavano il petto, permettendole di tornare a respirare normalmente.

Pansy spostò il volto, così da poter studiare con attenzione l'espressione di Blaise.

Aveva preso appuntamento al San Mungo per abortire, perché spaventata e insicura. Aveva passato gli ultimi giorni nell'insonnia, tormentata da possibili scenari futuri e ogni volta che si era immaginata con in braccio un bambino, suo figlio, era stata colta da forti attacchi di ansia e nausea.

In quel momento invece, immaginarsi accanto a Blaise con un bambino, loro figlio, sembrava causarle solo un'irragionevole impazienza e una felicità sconfinata.

«Sei sicuro, Blaise?»

«Non sono mai stato tanto sicuro di qualcosa in vita mia», disse lui, accarezzando via le lacrime dal volto di Pansy: «Tranne per quella scommessa che avevamo fatto il sesto anno su Malfoy, in quel caso ero sicurissimo di vincere».

Pansy ridacchiò, scuotendo la testa: «Ti rendi conto che avere un figlio vorrà dire diventare adulti responsabili?»

Blaise fece una piccola smorfia: «Pan, devi smetterla con questa storia; non sono un bambino, vorrei ricordarti che ho un appartamento tutto mio...»

«Che Otto mette in ordine per te», gli ricordò Pansy, decisa a punzecchiarlo un po', per allentare la tensione.

«Ho un atelier...»

«Che è anche gioielleria, o hai di nuovo cambiato idea?»

Blaise sbuffò, infastidito: «E con questo cosa vorresti insinuare?»

Pansy distolse lo sguardo: «Sei sicuro che non cambierai idea? Tra qualche settimana? Sei sicuro di volerti prendere questo tipo di responsabilità?»

Blaise prese con infinita delicatezza il volto di Pansy tra le mani e parlò solo quando gli occhi scuri di lei, arrossati per il pianto, furono nei suoi: «Sono spaventato anche io, Pan, ma l'idea di diventare padre e di vivere quest'esperienza con te... Come potrei cambiare idea?»

Rimasero in silenzio per qualche istante, fu Blaise a spezzare il silenzio: «E tu? Sei sicura, Pan?»

La ragazza gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò forte: «Ho paura, ma penso di volerlo tenere».

Blaise sentì calde lacrime rigargli le guance e il cuore esplodergli di felicità: «Ho già pensato a dei nomi».

Pansy sollevò gli occhi al cielo, ma non disse niente e lasciò che Blaise la stritolasse in un dolce abbraccio.





***

Buonsalve popolo di Wattpad!

Eccoci alla fine del diciassettesimo capitolo, che spero vivamente vi sia piaciuto!

Metà l'ho scritto durante la traversata Olbia-Genova di qualche giorno fa (dovevo pur trovare un modo per impiegare otto ore di ritardo), il resto oggi.

Chiedo scusa se vi sembra un po' frettoloso o poco curato rispetto a quelli precedenti, ma oggi ho mille pensieri per la testa e non sono in grado di occuparmi serenamente della rilettura come vorrei. Cercherò di rileggere e magari modificare qualche frase poco riuscita entro la prossima settimana, quindi entro il prossimo capitolo.

Per quanto riguarda il background familiare di Zabini mi sono inventata tutto di sana pianta, così come le sigarette della marca Morgana.

Se volete mi potete trovare su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul_EFP

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