9 Ritorno a casa
Ritornare a casa vuol dire ritrovare i profumi e gli odori di una volta, tutto è esattamente al suo posto e niente è cambiato,
tu lo sei, non sei più lo stesso.
Mia madre era stanca e affaticata dalla situazione, la stressava fare tutto da sola e dovermi accudire ventiquattro ore su ventiquattro. Dopo l'ultima crisi epilettica aveva paura a lasciarmi sola a casa. Non aveva più tempo da dedicare a sé stessa e un giorno, in preda allo stress e alla fatica, mi disse, più per sfogo che per rimprovero:
«Il mondo non gira solo attorno a te, non posso correre tutto il giorno al tuo servizio, ho bisogno anche di tempo per me! Sono un essere umano!»
Benché avessimo discusso e fossi offesa, ci volevamo ancora bene e sarebbe stato un momento passeggero. Ma sapevo che mia madre aveva ragione, chiedevo troppo e pretendevo il massimo da una donna che stava dando già anima e corpo per me. Comunque mi sentivo in colpa, l'incidente era stata una mia imprudenza e irresponsabilità e avevo nascosto questo sentimento oppressivo sotto sorrisi e risate finte. Era come quando si nasconde la polvere sotto al tappeto, così celavo i miei sentimenti di colpevolezza nei confronti miei e degli altri.
Fu un giorno che parlai apertamente con mia zia, Patrizia.
«Hai rischiato davvero la morte e per fortuna hai sbattuto la parte destra della testa» mi disse lei. «In questo modo il contraccolpo si è ripercosso nella parte sinistra, così non hai perso la facoltà di parlare. Sei fortunata anche ad avere una madre premurosa, che si preoccupa per te, devi impegnarti! Fai esercizi, muovi il braccio e la gamba, la voce ti sta tornando lentamente, parli in modo chiaro e con più vigore, adesso, si riesce a capirti ormai, hai fatto un grande progresso da Natale scorso».
Su questo non c'erano dubbi. Non ero più ferma sul divano senza potermi muovere e non parlavo più biascicando le parole, non dovevo scrivere ciò che volevo dire. Adesso comunicavo correttamente e più o meno ad alta voce, ci stavo lavorando a lezione di canto con Selene, bravissima maestra che mostrava pazienza e determinazione. Cantavamo gli esercizi di Vaccaj e canzoni "moderne" come "You make me feel" di Aretha Franklin.
A mia zia risposi, cauta e con aria stufa:
«Lo so, è quello che sto già facendo!...»
Poi mi limitai ad annuire in silenzio. Ma mi diede forza e voglia di rivincita.
Fu quell'anno, in quell'estate, che la mia cara e amata nonna di padre, Anna, alla quale ero molto affezionata, morì per cause naturali e vecchiaia. Fu un pesante lutto per me e la mia famiglia, e un giorno dissi a mia madre:
«Sono molto triste, l'ultima volta che mi ha vista ero come un vegetale in sedia a rotelle, che non parlava e mangiava a malapena! Avrei voluto mi vedesse camminare di nuovo e parlare normalmente prima della sua morte e speravo potesse conoscere i miei figli»
Purtroppo a dividerci era stata una rampa di scale, che io non ero in grado di salire e mia nonna, invece, di scendere. La vita dunque ti porta via anche chi si ama, se non si prova dolore non si può conoscere il significato della felicità, è così che va la vita, ma vale la pena viverla e immergersi in essa come in un oceano per conoscere insitamente il suo significato.
Mia madre e io andavamo ogni giovedì pomeriggio al mare a riscaldarci e a respirare l'aria ricca di salsedine. Amo immergere i piedi nella sabbia calda, quando i granelli mi fanno il solletico sulla pianta del piede e le piccole dune su di essa lo massaggiano. Quel luogo guariva ogni male e ogni sentimento triste, curava lo spirito. Ero solita leggere libri in spiaggia, perlopiù romanzi: ritengo sia il posto perfetto per dedicare lo spirito alla lettura. Saltuariamente guardavo sui vari socials cosa pubblicavano i miei amici di Lipsia: era come rivivere un po' di quella vita giovanile che avevo prima dell'incidente e non mi perdevo nulla, mi sembrava di essere lì presente a gioire dei momenti con loro. Mi mancava tanto la mia vita in quella città, tra feste, compagnia di persone piacevoli con cui condividevo le stesse passioni, cene insieme, nelle quali si cucinava con musica in sottofondo e un po' di birra o vino per rinvigorire la serata. Sigarette e tante risate, si scherzava spesso ma si parlava anche di problemi globali, come di economia, politica, ambiente e umanità. Quanto mi mancava! I ricordi mi sfioravano l'anima e il cuore. Mia madre, però, portandomi alla realtà dei fatti, diceva:
«Non ti preoccupare, non ti stai perdendo nulla, Liberta. Con il Coronavirus anche gli amici si vedono meno e le feste, le discoteche e i locali sono fermi e chiusi»
Il mondo sembrava essersi fermato con me. In effetti questo virus lo aveva cambiato completamente, non solo economicamente, ma soprattutto socialmente e umanamente, si iniziava a vedere il prossimo come una minaccia e la paura teneva sotto controllo le persone. Le mascherine erano ormai d'obbligo ovunque si andasse e lavarsi le mani con il gel disinfettante era all'ordine del giorno. Non si ballava più e come me non lo faceva nessuno, le socials e gli eventi swing erano fermi e ciò mi rendeva egoisticamente felice perché così, quando avrei ricominciato a ballare, e se avessi ricominciato, non mi sarei sentita fuori allenamento e inferiore rispetto alle altre ballerine, che avevano avuto tutto il tempo per migliorare e allenarsi.
Una sera di fine ottobre ebbi una crisi epilettica, me ne accorsi pian piano sul nascere, la testa cominciò prima a muoversi lievemente a destra e sinistra, poi il braccio sinistro su e giù, dissi addirittura a mia madre ridendo:
«Guarda, mamma, mi si muove la testa, adesso ho anche un principio di Parkinson!»
Poi iniziarono le convulsioni, rimasi per tutto il tempo cosciente, misi la punta della lingua dietro gli incisivi per non rischiare di morderla o inghiottirla. Mia madre era in preda al panico e mi sdraiò di peso a terra con tutte le forze che aveva, facendomi girare sul lato sinistro per non rischiare, nel caso vomitatassi, di soffocare; comunque non successe. Poi chiamò il 118, e quando l'attacco sembrava essere finito, scoppiai con forza a piangere e non riuscii a smettere fino all'arrivo dei soccorsi, che mi diedero subito del Valium per tranquillizzarmi e mi fecero una flebo di calmanti. Il dottore disse che qualcosa mi aveva emozionata talmente tanto dall'avermi coinvolta intensamente.
Quando si ha un incidente compromettente come il mio, nel quale si finisce più volte sotto i ferri, si arriva al punto di pensare "Non m'interessa più nulla, fate quello che volete del mio corpo", ci si lascia andare e ci si guarda dall'esterno, una sorta di depersonalizzazione, tutto rimane così lontano e distante. Mi sentivo in quella maniera in quel momento nel quale esaminavano il mio stato fisico. Improvvisamente mi ricordai a cosa stessi pensando: ascoltando il telegiornale che informava ancora del virus, che si era nuovamente diffuso e che aveva portato la seconda ondata, mi era venuto il panico perché avevo paura di un nuovo possibile lockdown che avrebbe impedito il mio ritorno da Gabriel a Lipsia.
Ciò che più mi mancava era fare una bella passeggiata in campagna sulle mie gambe o il fare un po' di jogging nella natura. E poi quanto sentivo la mancanza di stare a Lipsia. Era l'aria della città, gli edifici, il caos cittadino, i supermercati, la libertà di essere sempre sé stessi, il vestirsi a proprio piacimento senza essere giudicata, la vita universitaria con altri giovani, le caffetterie con stile molto ricercato, Sentivo l'assenza di tutto questo. Ricordavo anche i bei periodi in cui ero a Dresda e a Berlino, le lunghe passeggiate sul fiume, i mercatini dell'usato, le serate di musica jazz, i mercatini natalizi con il vin brulé, che probabilmente non avrei più bevuto per lunghi anni, e i dolcetti, i brezel giganti con semi di girasole che mangiavo lungo la strada per il lavoro e l'università.
La mia vita era cambiata, ma questo l'ho già detto.
SPAZIO AUTRICE
Cari lettori,
conoscete la sensazione piacevole di risentire il profumo di casa e quel calore che vi ha cullati per metà della vostra vita e allo stesso tempo sentirvi nel posto sbagliato?
Liberta si sente così: felice di risentirsi nel suo nido e sbagliata e quindi insoddisfatta di trovarsi lì. Dove andrà? Tornerà a Lipsia o rimarrà in Italia? Dove la porterà il cuore?
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