37. Una cosa semplice
"Ogni volta che mi guardi nasco nei tuoi occhi."
Jorge Riechmann
L'estate successiva, festeggiammo il nostro amore l'uno per l'altra insieme alla nascita dei gemelli e di Amélie, Non facemmo alcun rito civile, non era un matrimonio, perché entrambi non volevamo sposarci, ma era giusto che coronassimo la nostra unione dopo la lunga attesa durata anni. L'evento si sarebbe tenuto nel mio giardino di casa di mia madre in Italia. Partimmo due settimane prima, perché dovevamo ancora organizzare molto. Prima di tutto pensammo agli abiti per i nostri figli.
Per Frieda comprammo un vestito bianco con tulle a fiori colorati , soprattutto papaveri, e un nastro rosso in vita, con accanto un cappello in paglia fornito di un fiocco rosso. Ad Amélie prendemmo un vestito color celeste polvere, lungo fino alle ginocchia, da principessa, così come lo aveva sempre sognato, guardando i cartoni animati, soprattutto "Cenerentola"; le erano stati cuciti dei brillantini argentati che componevano dei fiori, e acquistammo anche delle farfalle azzurre da inserire nei capelli biondi, lunghi fino alle spalle e leggermente boccolati. Era una bambina meravigliosa con gli occhi come il cielo, assomigliava alla Venere di Botticelli, senza ovviamente le forme tipiche femminili da donna, che dopotutto non aveva ancora...
A Léon comprammo un paio di pantaloni con giacca in lino beige, una camicia bianca e un cappello da gondoliere con un nastro celeste. Eravamo molto soddisfatti delle scelte, soprattutto Amélie, che non vedeva l'ora di sembrare una principessa! Poi fu il turno mio, trovai una boutique a Orvieto, una cittadina vicina a Bolsena, in vetrina era esposto un abito stupendo. Quel giorno ero di fretta e Gabriel mi stava aspettando con i bambini al duomo, ma non riuscii a trattenermi, gli scrissi un messaggio:
Tardo, aspettatemi al bar, vi raggiungo appena ho fatto -
Entrai e una donna molto gentile dai capelli neri legati in una coda alta e un rossetto opaco, mi rivolse il buongiorno con un sorriso dolce e affabile.
«Buongiorno, il vestito giallo in vetrina è disponibile anche in altri colori?» domandai gioiosa.
«Oh sì! » li prese dallo scaffale, tutti piegati in una pila e me li mostrò.
«Lo provi uno della sua misura, così vede anche se le piace» asserì in maniera professionale.
«Ha ragione, una M azzurra?» chiesi curiosa.
«C'è la S, la M è terminata...», misi su un broncio invisibile, ma percepibile solo da me.
«Allora... rosso, invece?» domandai con aria di ripiego.
«C'è, e devo dire che le starebbe d'incanto» disse, posando l'abito sotto il mio viso per vedere se si intonasse con il colore dei capelli e della mia pelle.
Entrai nel camerino e mi chiusi la tenda blu in velluto dietro le spalle, mi sfilai i jeans e la t-shirt e misi il vestito, che però, non seppi chiudere. Chiamai, quindi la commessa per ricevere il suo aiuto.
«È un infinity dress, ci sono oltre mille modi di metterlo, deve sceglierne uno» mi fece vedere qualche possibilità e ne scelsi una, facendomi indicare con precisione tutti i passaggi da compiere per raggiungere quel risultato. Il colore mi donava, pensavo fosse eccessivo, ma poi pensai che i papaveri erano il tema principale della festa e mi convinsi a comprare quell'abito. Raggiunsi Gabriel che stava seduto alla penombra a un tavolino in legno, gustando un cappuccino con gli occhiali da sole. Stava ripetendo ad Amélie di sedersi composta sulla sedia e lei impettita fece ciò che le disse il suo papà. I gemelli erano seduti tra le sue braccia con il ciuccio il bocca. Frieda si rigirava tra le mani un orsacchiotto marrone, riproducendo qualche suono come se lo indirizzasse al peluche. Léon, che era un bambino più sulle sue, almeno per il momento, stava analizzando le sue manine, come fossero qualcosa di nuovo. Amélie stava colorando dei disegni di cartoni animati su un quaderno e in quel momento passava un pennarello rosso sul vestito di Cenerentola, improvvisamente mi ricordai del mio acquisto nella busta di carta, che nascosi subito con le mani dietro il mio corpo.
Gabriel mi sorrise e alzò un braccio con la mano aperta per indicarmi la loro posizione.Li raggiunsi e lui non si fece scappare la busta.
«Cos'hai lì?» domandò ingenuo.
«Qualcosa che non devi vedere...» risposi maliziosa.
Mi sedetti con loro e un cameriere ci raggiunse. Ordinai un caffè nero, un succo di frutto alla pesca per Amélie a temperatura ambiente e una bottiglietta d'acqua naturale per i fratellini. L'ordinazione arrivò cinque minuti dopo.
«Quando rientriamo dobbiamo fare il punto della situazione con tua madre»
«Quando saremo a casa, avrò bisogno di dieci minuti di riposo.» asserii in maniera informativa, ero molto stanca. L'organizzazione della festa stava succhiando via tutte le mie energie.
Il giorno successivo chiamai un mio amico di vecchia data che faceva il barista, Matteo; sapevo che aveva iniziato a lavorare in un cocktail bar nella città vicina, Viterbo. Mia madre finì di stampare e compilare gli inviti dai colori rosso e azzurro; erano gli stessi colori che avevo utilizzato per la prima tazza che avevo fatto per Gabriel. Sulla busta degli inviti c'erano stampati un papavero e una farfalla azzurra.Ovviamente avevamo già informato tutti gli invitati per non trovarli impreparati e già impegnati.
La sera prima del grande giorno Gabriel e io eravamo sdraiati nel letto e lui mi posò con delicatezza una mano sulla guancia, sfiorandola con dolcezza, chiusi gli occhi per quel tocco che mi faceva vibrare l'anima di felicità. Mi guardò negli occhi, appena riaprii i miei e mi sussurrò con una voce piumata:
«Grazie»
«Per cosa, Gabriel?» domandai sorpresa.
«Per amarmi, per darmi la possibilità di fare lo stesso con te, per incoraggiarmi infinitmente, per esserci sempre per me e i nostri figli, io ti amo e tu sei la donna della mia vita." rispose, abbassando lo sguardo sulla mia bocca, dove posò subito dopo le sue labbra. Ci baciammo per lunghi, interminabili minuti intensi e rigeneranti. La mia anima si sciolse e ricompose sana, energica e immersa nell'adrenalina. I suoi baci erano un toccasana.
«Non devi ringraziarmi, tu mi hai dato la forza per combattere la mia condizione di disabilità, senza di te sarei ancora su quella sedia a rotelle, tu mi hai dato il vigore di lottare per tornare normale, sei stato la mia àncora di salvezza» dissi io sorridendogli affabilmente.
Quel giorno era stato montato in giardino un arco in legno, al quale si attorcigliavano rose rosse, questo era posizionato al centro di una sorta di palco o piattaforma rialzata, dove avremmo celebrato il "non rito". Ci addormentammo velocemente, la mia testa era poggiata sul suo petto, che si alzava e abbassava con un ritmo lento e cadenzato.
Alle sette della mattina successiva, ci ritrovammo tutti in soggiorno per fare colazione. Mia madre aveva pensato ai bambini: Amélie si trovava già nel seggiolone mentre i gemelli nel passeggino. Presi due yogurt e il müsli con due ciotole e li portai al tavolo. Mia madre aveva già preparato il caffè nero filtrato. Quindi tornai a prendere due tazze dalla gredenza in cucina, mentre Gabriel portò il latte d'avena. Ci sedemmo al grande tavolo in legno di castagno, e, andando verso il mio posto, lasciai un bacio sulla fronte a ciascuno dei miei figli. Mentre mangiavamo, mia madre con allegria informò Gabriel: «Tra mezz'ora vado a prendere i tuoi genitori e tuo fratello!»
«Grazie» asserì con sincerità. Finita la colazione, ci separammo, Frieda e Amélie con me, Léon con Gabriel;
Andai a farmi una doccia e lavai anche i bambini, poi salii al piano superiore dove si trovava la mia camera da letto. Presi il vestito ancora avvolto nella carta e lo stesi sul letto. Infilai prima il vestito ad Amélie,
«Ai boccoli ci pensa la nonna, ok?» E proprio in quel momento mia madre tornò a casa con gli ospiti che andarono subito a dare una mano all'uomo che amavo. Sentii solo il fratello urlare a Léon: «Ma quanto sei cresciuto! Sei un ometto adesso! Per fortuna che hai preso dalla mamma e sei bellissimo!» repressi una risata. Mamma salì le scale e portò al pianoterra Amélie per finirla di preparare e Frieda per metterle le scarpe e il cappello, dal momento che le avevo già infilato il vestito.Mi misiil vestito e attorcigliai dietro la schiena a spirale le due fasce che si trovavano all'altezza del seno che feci passare sopra le spalle, permettendo di creare una scollatura quasi a cuore. Poi le due fasce le avvolsi attorno alla mia vita. Avevo fatto cucire uno strascico azzurro del colore della divisa degli infermieri e quello scivolava morbido dietro di me. Arrivò la parrucchiera che mi fece uno chignon morbido e qualche ciocca venne resa ondulata in modo tale da incorniciarmi il viso. Nell'acconciatura vennero appuntate delle margherite bianche, il trucco fu molto leggero e naturale soprattutto sugli occhi per accentuare il colore delle iridi e del rossetto rosso chanel come il vestito.
Ero bella e mi ci sentivo. Quando uscii di casa, le sedie bianche in legno di fronte all'altare erano tutte occupate. La prima cosa che notai fu l'eleganza e la bellezza mozzafiato di Gabriel, sembrava un principe, il mio principe azzurro.Il mio cuore perse un battito, poi a man a mano che mi avvicinai, cominciò ad accelerare gradualmente, fino a scoppiarmi nel petto quando lui mi fece un occhiolino dolce. Le gambe iniziarono a formicolare, ma per fortuna i piedi rimasero saldi a terra perché ero scalza. Il prato mi solleticava la pianta, ma era, oltre ogni aspettativa, una sensazione piacevole.
Ai miei primi passi, alcuni musicisti con la cantante, un'amica di famiglia, cominciarono a suonare una delle mie canzoni preferite:
Bei mir bist du schoen - The Andrews sisters
Until I first met you, I was lonesome
And when you came in sight, dear, my heart grew light And this old world seemed new to me
Da me sei bello - The Andrews sisters
Fino a quando non ho incontrato te la prima volta, ero solitaria
E quando tu mi sei venuto alla vista, caro, il mio cuore è cresciuto in splendore
E questo vecchio mondo sembrava nuovo per me
Mi avvicinai lentamente all'altare. Gli occhi di Gabriel, immersi dalla gioia, fissi su di me. Mi scappò un sorriso tenero. Salii lo scalino il legno per raggiungerlo e, una volta alla sua stessa altezza, poggiai il capo sul suo petto e lasciai che mi stringesse in un abbraccio. Un turbinio di emozioni, che inizialmente faticavo a comprendere, mi avvolse completamente, ma poi mi diventò tutto chiaro: era la felicità che provavo, quella che si manifesta di rado nella vita. Non avevo mai sentito questa emozione grande che mi solleticava l'anima, e che per questo mi faceva ridere. La gola e gli occhi mi bruciavano, era tutto così inverosimile. Mi commossi e una lacrima minacciò di scendere lungo la mia guancia, ma la trattenni. Gabriel mi lasciò un bacio a fior di labbra e una fitta lancinante al petto mi mozzò il fiato. Mi sentii come se non potessi respirare.
Com'era possibile che avessi meritato tutto quell'affetto? Pensai.
Lui mi sussurrò nell'orecchio, stringendomi ancora più salda a sé: «Non riesco a lasciarti andare, Liberta, ti amo» Ero felice come non mai, felice per davvero.
A thousand years - Christina Perri
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
for a thousand years, I'll love you for a thousand more
Mille anni - Christina Perri
Sono morta tutti i giorni aspettandoti
tesoro non essere spaventato, ti ho amato
per mille anni, ti amerò per altri mille anni
Amélie corse verso di noi, i capelli sciolti che si muovevano all'aria che le sfiorava la testa come una carezza. La sua chioma bionda sembrava un gambo di grano dorato, mosso da una leggera brezza estiva.
Si lanciò in braccio a suo padre, Strusciò il suo viso sulla barba del suo papà, che a sembrare dalla smorfia che fece, le pizzicò la pelle della guancia. Poi lui asserì:
«Un bacio a mamma» e lei con entusiasmo mi abbracciò e posò le sue piccole labbra rosee sulle mie gote. Poi di slancio lei urlò:
«Adesso voi, voi!» tutti applaudirono e fischiarono, incitandoci a compiere quel passo. Gabriel mi guardò, alzò le spalle, facendole ricadere, lasciò nostra figlia libera di andare a giocare con gli amichetti della sua stessa età; mi prese le mani e lasciò cadere la sua bocca sulla mia, fece intrecciare la sua lingua alla mia, percepii le mie gote andare a fuoco al solo pensiero che i dottori della clinica e i colleghi dell'amore della mia vita ci guardassero. Sentii mancarmi il fiato nel corpo. I suoi occhi divennero color argento, bellissimi. Si avvicinò al mio orecchio e sussurrò: «Ti amo» mi sciolsi a quelle parole, che ogni volta mi facevano tremare le gambe.
La musica si movimentò e divenne un genere completamente diverso: swing, la mia musica. Mano nella mano, ci avvicinammo al portico di casa, tra le colonne di mattoni. Lui cominciò a molleggiare in un bounce a ritmo. Appuntai il vestito lungo nelle fasce invita, lasciando le gambe scoperte; seguii Gabriel nei movimenti, poi cominciò a farmi roteare e mi lanciò in uno swing out, feci la mia variazione da follower: lo swivel. Il ritmo si velocizzò ulteriormente e passammo al Balboa, un ballo utilizzato soprattutto negli anni '30 nelle navi sovraffollate dove lo spazio era ridotto, infatti questo genere prevedeva soprattutto il movimento dei piedi.
Alcuni invitati si avvicinarono a noi fotografandoci mentre ballavamo il lindy hop, mentre altri si aggiunsero a noi. La capo- infermieri, per esempio, cominciò a ballare con mio zio. Avevamo le ali ai piedi, Amélie si muoveva accanto a noi, facendo piroette e guardando il suo abito da principessa roteare attorno a lei. Prendemmo anche i gemelli in braccio, Io Léon, Gabriel Frieda e ondeggiamo con loro stretti ai nostri corpi. La felicità era questo, una cosa semplice.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top