34. Svelare la verità
Non tutti reagiscono alla stessa maniera.
C'è chi piange dalla felicità e chi dalla tristezza.
Le mie lacrime erano di gioia, per quel tipo di felicità che ti fa scoppiare il cuore in fuochi d'artificio.
È così che mi immagino questo sentimento: un'esplosione di colori e calore, che ti scaldano il cuore.
Quella notte dormii molto male, feci un brutto incubo: sognai la fatidica cena con Gabriel, gli raccontai del piccolo problemino creatosi dopo Praga e lui nel sogno non la prese benissimo, anzi, cominciò a urlare e andare fuori di testa. Era senza controllo.
E io mi svegliai con la fronte matida di sudore, mi venne da piangere, ma dentro di me mi ripetei convulsamente "Non è reale, non è reale, non è reale".
Riuscii a richiudere gli occhi e addormentarmi, stanca per la pressione soffocante che avevo percepito.
La mattina mi svegliai alle dieci in tutta tranquillità perché non lavoravo, mi lavai e vestii e uscii per fare la spesa; comprai tutti gli ingredienti necessari per preparare la cena.
Tornai a casa appena rimediato il tutto, poi passai in posta a ritirare un pacchetto arrivato mentre non ero a casa. Rientrai e passai l'aspirapolvere in sala da pranzo e in salotto.
C'era un piacevole e avvolgente tepore entrando nell'appartamento, forse sottolineato dal fatto che fuori fosse davvero freddo.
Preparai una torta salata agli spinaci e una vellutata di zucche e patate. Accesi della musica mentre apparecchiavo la tavola.
A case of you - Joni Mitchell
Oh you're my blood like holy wine
You taste so bitter and so sweet
Oh, I could drink a case of you, darling
And i would still be on my feet
Oh, sei nel mio sangue come un vino sacro,
Il tuo sapore è così amaro e così dolce
Potrei bere una cassa di te, amore
e continuerei a reggermi in piedi
continuerei a reggermi in piedi.
Mentre piegavo i tovaglioli a triangolo accanto al piatto e ci posavo sopra le posate, la paura mi inghiottì nuovamente.
Sentii il cuore scricchiolare come una lastra di ghiaccio che si sta per rompere e frantumarsi, così il mio organo pulsante stava per implodere, scoppiai in un pianto irrefrenabile, lacrime di ogni dimensione cominciarono a scivolare velocemente lungo la mia guancia.
Corsi al bagno per guardarmi allo specchio. Gli occhi erano come coralli, le iridi marine non avevano cambiato colore ma le venuzze negli occhi erano gonfie di sangue, in poco tempo ebbi gli occhi infuocati e brucianti.
Mi facevano male, erano irritati e pizzicavano.
Mi passai un po' di acqua fredda sul viso per calmare il mio sfogo momentaneo. Forse erano gli ormoni...
Mi sentii meglio, ma quando il campanello del portone dell'edificio suonò e realizzai che da lì a poco avrei dovuto svelare la verità all'uomo che amavo, i singhiozzi fecero di nuovo capolino e iniziai a piangere in maniera isterica; andai a premere il pulsante per l'apertura dell'ingresso.
Presi un fazzoletto e asciugai il viso, cercando di non irritarlo ulteriormente.
Qualcuno, lui, bussò alla porta e io con il pezzetto di carta umido ancora tra le mani, andai ad aprire.
Vidi prima di tutto un corpo con al posto della testa un mazzo di rose rosse.
La bocca nascosta da questo'ultime asserì:
«Ciao mademoiselle, è qui la festa?» risi di cuore, perché dopotutto lui sapeva sempre sdrammatizzare anche se non si era ancora reso conto delle mie condizioni terrificanti.
«Ciao monsieur» risposi con voce tremula e sull'orlo di una crisi di nervi.
Gabriel spostò subito i fiori da davanti al viso per guardarmi.
«È tutto ok, Liby?»
«Entra.»
«Che profumino! E che calduccio!» esclamò con aria sorpresa.
Lasciò i fiori e la bottiglia di vino sul tavolino basso del salotto, in seguito lo fissai e feci un cenno verso il divano.
«Siediti, Gabriel.» Affermai rivolgendomi a lui con serietà e apparente calma.
Si mise comodo, accavallò le gambe e posò su di esse le sue mani intrecciate tra loro.
«Dimmi ti ascolto.» Aveva timore anche lui, lo percepivo dalla voce insicura che usciva dalla sua bocca.
Mi scrutò da sotto le ciglia lunghe.
Era arrivato il momento della verità e io avevo paura, una fottuta paura.
E fu quando mi accorsi che anche lui provava emozioni simili alle mie che altre lacrime calde mi bagnarono il viso.
La mia vista era annebbiata, ma percepii comunque un debole sorriso d'incoraggiamento solcargli il viso.
Non staccò lo sguardo dal mio neanche per un secondo. Mi studiò con accuratezza per un tempo interminabile.
La sua mano prese la mia e con quel gesto fu come se accarezzasse la mia anima con dolcezza.
Inspirai profondamente mentre il suo sguardo si fece vulnerabile. Lo dissi in un secondo come volessi liberarmi di un fardello:
«Sono incinta...» abbassai lo sguardo sul pavimento aspettandomi il peggio, la catastrofe.
Ma lui fece un sorriso.
Possibility - Likke Li
So tell me when you hear my heart stop
You're the only one that knows
Tell me when you hear my silence
There's a possibility I wouldn't know
Allora dimmi quando hai sentito il mio cuore fermarsi
Tu sei l'unico che sa
Dimmi quando hai sentito il mio silenzio
C'è una possibilità che non saprei
«E perché sei così preoccupata?» inarcò le sopracciglia.
«Perché tu tanti anni fa mi dissi con sicurezza di non volerne, e io non capisco come sia potuto succedere... prendo la pillola...!» raccolsi un po' d'aria, poi continuai «e credo che tu non abbia affatto cambiato idea...»
«99,8% di copertura» poi continuò «scherzi?!», arricciai il naso. Io non scherzavo affatto...
«Quale più grande desiderio dell'avere un figlio dalla donna che amo?» saltai un battito e quasi mi strozzai con la mia stessa saliva.
Cosa aveva detto? Avevo sentito bene? No, me lo ero immaginata, per forza, non poteva essere reale...
«Ripeti per favore.»
«Quale più grande desiderio dall'avere un figlio» lo zittii con la mano, poggiandola sulle sue labbra.
«Solo l'ultima parte della domanda!...»
Le lacrime ricominciarono a pizzicarmi gli occhi, minacciando di sfuggirmi al controllo.
Immagino che gli occhi mi divennero lucidi, perché lui mi guardò rattristito, come se si sentisse in colpa.
«...dalla donna che amo?» Il cuore si fermò del tutto stavolta.
Deglutii con forza e, fissandolo, chiesi: «Mi ami?» le tempie cominciarono a pulsare come tamburi. Avevo di nuovo quella strana sensazione che si provava quando mancava il pavimento sotto i piedi.
E quei due secondi che gli servirono per darmi una risposta, in realtà durarono anni.
«Sì, credo di sì, ti amo, Liberta» mi sentii svenire, percepii la testa pesante, poi Gabriel posò i suoi occhi su di me e il suo sguardo riuscì a placare i miei pensieri, che rimbombavano in testa come una sinfonia di musica contemporanea.
Mi sorrise nuovamente e io mi paralizzai sul posto, perché era troppo bello per essere vero.
D'improvviso tornai presente a me stessa.
«Mangiamo?» domandi con la pancia che brontolava.
«Certo! Tu devi mangiare per due!» mi diede un bacio sul naso con dolcezza.
Ci sedemmo a tavola e portammo le pietanze che gustammo con piacere; lui si versò del vino, poi stette per fare lo stesso con il mio bicchiere, ma io lo fulminai, fece un cenno di assenzo, ammutolito.
«Vieni a convivere con me a casa mia! Stasera! Subito!» mi propose lui all'improvviso.
«Non stiamo correndo troppo? Non sono neanche mai stata a casa tua...»
«Allora vieni stasera dopo cena!»
«Prima finiamo, poi ci penserò su...»
Gli offrii una fetta di torta alle mele e pinoli e dopo averla mangiata, lo informai: avevo preso una decisione.
«Adesso che abbiamo la pancia piena, possiamo andare da te. Prendo qualcosa da mettermi domani al lavoro e andiamo»
Un quarto d'ora dopo eravamo sul tragitto a piedi per raggiungere casa sua; si fermò davanti a un enorme portone, una metà in legno marrone scuro e l'altra in vetro con ringhiere in metallo nere.
Con la chiave lo aprì e lo seguii diretto all'ascensore, mi fece strada, lasciandomi entrare per prima nel piccolo abitacolo.
Il sorriso che mi indirizzò mi fece battere il cuore.
Si voltò verso di me e ci ritrovammo faccia a faccia, mi accarezzò le labbra con il suo pollice liscio e privo di calli.
I nostri respiri si fecero più pesanti; schiuse il labbro inferiore e mi alzò il mento per baciarmi con passione, le nostre lingue si accarezzarono con dolcezza.
Era proprio questo ciò che sognavo: due persone che si amavano e che avrebbero avuto un bambino insieme. Non è questa, forse, la felicità, il profumo di casa e famiglia? Quando ci staccammo, accennai un sorriso provocatorio.
Mi strinse a sé e anche quando arrivammo al piano del suo appartamento, sembrava non intenzionato a sciogliere l'abbraccio nel quale ero immersa con tutto il corpo. Nascose il suo viso nel mio collo, come un bambino vergognoso in braccio alla madre, ma lui voleva ubriacarsi dell'odore della mia pelle, desiderava renderlo suo; gli presi tra le mani il viso e lui posò la fronte sulla mia e mi sussurrò, guardandomi fissa nelle pupille:
«Sapevo che con te avrei perso la percezione della realtà, tu fai librare la mia anima, Liby», il suono della sua voce così calda e penetrante mi colpì le orecchie come una carezza.
Percorremmo un corridoio e alla fine di esso, si avvicinò a una porta in legno massiccio marrone ; prima di inserire la chiave nella serratura, mi baciò nuovamente, poggiandomi con la schiena al muro accanto all'entrata e schiudemmo le labbra; le nostre lingue si rincorsero fameliche.
Mi lasciò libera e lo sbirciai con la coda dell'occhio mentre girava la chiave, sentii subito dei miagolii, i suoi gatti.
«Attenta a non farli uscire che poi scappano» mi fece l'occhiolino con un sorriso sghembo.
Spalancò la porta e i due esserini pelosi gli saltarono sulle gambe, uno addirittura si arrampicò fino al busto, grazie al pantalone. Ilgatto in questione era striato di grigio, lo leccò sulla guancia e avvicinò il suo muso al viso di Gabriel che asserì:
«Ti presento Tom» gli prese la zampa tra le mani e me la porse, con due dita la strinsi e la feci molleggiare.
«È un onore conoscerti, Tom», poi prese anche l'altro striato di rosso e lo strinse con le altre dita, lo avvicinò al viso e il bellissimo micio cominciò a fare le fusa.
«E questo è Jerry» gli presi la zampa di mia iniziativa e lui mi annusò la mano. «Tanto piacere, io sono Liberta, ma il vostro padrone avrà parlato molto di me, verooo?» lanciai uno sguardo sornione a Gabriel, che arrossì.
Fece scendere i due gatti e mi porse la sua mano per afferrarla e seguirlo all'interno del suo personale mondo intimo.
La prima cosa che percepii fu un forte profumo di pini e muschio. Posò sulla panchina all'entrata un paio di pantofole; lasciai i miei stivali lì e mi infilai le scarpe di casa, che erano comode e accoglienti.
Gabriel rimase scalzo, invece, andò al termostato al muro in sala dietro a un grande pianoforte a mezzacoda nero della marca Yamaha e accese i termosifoni.
«Vedrai, tra poco farà così caldo da stare a maniche corte, ho il riscaldamento a pavimento e il calore è più leggero, sale.»
Poi sparì dietro a una porta e sentii dell'acqua scrosciare, probabilmente stava per farsi una doccia, ma quando tornò ne rimasi sorpresa.
Mi prese per mano e mi fece oltrepassare quell'uscio, entrammo in bagno.
Il vapore circondava i nostri corpi e rendeva la visuale minima e sfocata; si umettò le labbra quando cominciai a togliermi i vestiti, perché avevo capito dove volesse arrivare: un bagno nella vasca insieme.
Gabriel si tolse la maglietta, le sue guance s'imporporarono per l'eccessiva nebbia, inutile negarlo, si tolse i pantaloni e la sua erezione fu subito ben visibile; il suo sguardo si addolcì quando mi guardò nuda e i suoi occhi si posarono sulla mia pancia, ancora piatta e magra, non si notava per il momento nulla di strano.
Spense la luce principale e la stanza si illuminò solo grazie alla luce dei lampioni esterni, provenienti dalla strada principale di Plagwitz. Accese poi una catena di lampadine appese lungo tutto il perimetro della stanza.
Le luci erano soffuse, l'atmosfera romantica e calda. Entrò nella vasca e si sdraiò comodo e io feci lo stesso, stendendomi sopra il suo corpo, il mio sedere non era coperto dall'acqua, ma sporgeva fuori dalla superficie bagnata, così lui raccolse con la mano un po' di liquido caldo e me lo fece scivolare sulle natiche che ebbero un sussulto, la pelle d'oca si presentò all'istante.
Iniziai a baciarlo con fare seducente, Gabriel mi rivolse un sorriso languido, sapevo perfettamente quello che desiderava in quel momento e io decisi di accontentarlo.
Passai la lingua sul suo petto umido e accaldato, lui allungò la mano e mi portò i capelli dietro l'orecchio. Continuai a scendere, mentre lui fece cadere la testa all'indietro, lasciandola scivolare sul bordo della vasca, proseguii con i baci fino al suo sesso, dove mi soffermai con veemenza; le sue narici si dilatarono, come se tutto quel piacere non gli permettesse di respirare correttamente.
L'aria attorno a noi divenne elettrica, con movimenti sempre più veloci lo sentii avere dei leggeri spasmi appena percettibili, gli piaceva e l'angolo della sua bocca si sollevò con fare compiaciuto.
E poi pronunciò quelle due piccole parole che in me cambiarono ogni cosa.
Cinque lettere che avevano un potere immenso, «Ti amo, da impazzire» mi sciolsi nell'udire quel suono, che, diciamocelo, fu talmente bello da far tremare le gambe.
«Anche io ti amo, Gabriel, e sono contenta che questa volta sia stato tu a dirlo per primo».
Il desiderio si fece di nuovo palpabile per entrambi.
Ci fissammo per istanti lunghissimi; sentii il suo fiato caldo sulla pelle del collo. Mi risollevai e sedetti al lato opposto della vasca rispetto a Gabriel.
Lui incastrò le dita con le mie e si avvicinò, per tirarmi a sé, divaricandomi dolcemente e languidamente le gambe.
I suoi occhi percorsero la mia figura da capo a piedi e si succhiò il labbro inferiore.
Una vampata di calore ulteriore oltre all'acqua calda mi investì le guance, il collo e la mia intimità.
Mi sfiorò la gola con la punta del naso e una scia di brividi percorse tutta la mia spina dorsale.
Entrambe le sue mani risalirono lungo le mie cosce, fino a stringere le mie natiche nei suoi palmi.
Afferrandomi per quei lembi di carne mi strinse a sé. Agganciai le gambe attorno ai suoi fianchi e ci incastrammo, a quel punto il mio cuore perse un battito e affondò nello stomaco. Un sorriso si fece spazio sul mio viso; il mio corpo cercò di andare incontro al suo.
E quando Gabriel affondò la prima volta dentro di me, dopo settimane che non ci eravamo sfiorati, mugolò sul mio collo.
Mi feci cadere all'indietro con le spalle sul bordo della vasca e spinsi il suo bacino verso il mio, cominciò a torturarmi lentamente, poi sempre più velocemente, un gemito lasciò le mie labbra. Le sue braccia forti mi circondavano, stringendomi a sé, al suo cuore così buono.
Il mio, invece, era impazzito. L'acqua attorno a noi si muoveva con i nostri corpi in onde rumorose e cadenzate, rilasciando dei suoni simili allo scrosciare della pioggia.
La percezione che ebbi di lui dentro di me divenne talmente forte da dover quasi urlare.
Soffocai un gemito forte, tappandomi la bocca con la mano, mentre lui spingeva sempre più forte e in profondità dentro di me.
Le dita dei miei piedi si arricciarono, il suo viso divenne completamente rosso e ebbi il presentimento che avesse smesso di respirare.
Ebbi un meraviglioso e lungo orgasmo, mentre lui venne dentro di me, liberandosi completamente.
I capelli gli ricadevano davanti al viso, ma tra le ciocche notai i suoi occhi marini che mi toglievano ogni volta il fiato. Mi osservava, per davvero, con un sorriso dolce e con lo sguardo sfiorava la mia anima.
Fece scorrere un dito sulla mia clavicola e cominciò a massaggiarmi la testa con tenerezza. Gli carezzai la mandibola con lentezza.
Ci addormentammo lì, nudi, nell'acqua tiepida, sotto la catenella di luci accese al muro.
Un mese dopo lasciai casa mia per trasferirmi da Gabriel.
Dovetti mettere tutto in scatole e decidere quali mobili tenere, optai per il comò all'ingresso e il tavolo basso in salotto che era molto particolare e in metallo, sul piano superiore erano incastonate mattonelle in ceramica viola scuro e bianche: una scacchiera. Molti vestiti e oggetti, soprattutto da cucina, li regalai ad amici e conoscenti.
Quando andai a vivere dall'uomo che amavo, avevo paura, la convivenza non aveva portato nulla di buono durante la relazione precedente.
Lui lavorava quasi tutti i giorni e si svegliava alle 4:30, s'infilava sotto la doccia e io puntualmente nel frattempo gli preparavo il caffè con latte d'avena, lo versavo nella tazza che gli avevo regalato e la lasciavo pronta sull'isola in cucina con un bigliettino con su scritto: "Buon lavoro, mio angelo. Ti amo". E io lavoravo tutte le mattine a scuola come insegnante e, quando lui aveva il giorno libero, stava a lui prepararmi la colazione e mi faceva trovare dei puncake con sciroppo d'acero pronti sul mio piatto preferito a pois colorati.
La pancia cresceva piano piano, di mese in mese e si gonfiava come un palloncino giallo di felicità.
SPAZIO AUTRICE
Pensavate che Gabriel avrebbe reagito in questo modo o lo avrebbe fatto come James? Notate una differenza tra i due personaggi maschili? Vi piace il nostro uomo dagli occhi marini?
Vi ricordo che mancano tre capitoli al termine di questa storia! Curiosi? Cosa succederà ancora? Leggete nei prossimi aggiornamenti ^^
Aggiornerò presto, giuro!
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