25. caffellatte con latte d'avena
Il giorno dell'appuntamento non stavo nella pelle, pensai di non esser mai stata più felice, ma mi sbagliavo; la felicità può essere infinita e si modella come l'amore, può espandersi come macchie d'olio su una tela; la mattina ebbi un po' di fisioterapia nello studio del mio dottore, poi di ritorno a casa andai a fare la spesa, desideravo dell'insalata genuina per pranzo, volevo restare leggera per l'incontro. Mi preparai il pranzo e mangiai: si dice che con la gioia venga fame e io mi sarei divorata anche il tavolo. Andai in camera da letto e mi cambiai, non potevo uscire con lui in leggins e felpa, non era ciò che volevo.
Indossai un paio di jeans e un maglione dolcevita rosa antico. Se avessi potuto vedermi dall'esterno avrei notato la mia aura proprio di quel colore. Misi un velo di fondotinta, un po' di rimmel e del labello ai lamponi. Mi avviai in bici dieci minuti dopo, ero in leggero ritardo. Dall'incidente mettevo sempre il casco, così lo indossai, come anche i guanti, il berretto e il cappotto grigio topo. Infilai nella borsa anche le medicine per ogni evenienza, soprattutto nel caso di un attacco epilettico. Uscii di casa, scendendo al piano terra con l'ascensore condominiale, uscii nel cortile interno per prendere la mia bici verde acqua della marca Bianchi con i manubri e il sellino proprio come la neve. Mi misi a cavallo e cominciai a pedalare con decisione. Mentre aspettavo al rosso distante due incroci dalla caffetteria, una fitta mi penetrò lo stomaco e mi fece perdere fiato. Annaspai, ridivenne verde e cominciai di nuovo a muovermi a passo svelto, poco lontana dal luogo, svoltai a destra, percorsi metà di un lungo viale, fino ad arrivare a un ennesimo semaforo dove stavolta svoltai a sinistra, il locale era proprio a quell'angolo della strada. Legai la bici a un palo di fronte alle vetrate, non vidi nessuno ad aspettarmi. Sicura fosse oggi? squittì una vocina nella mia testa. Mi risposi di sì e scrollai la testa per rimuovere quei pensieri che mi confondevano soltanto. Raggiunsi l'altro angolo della caffetteria e vidi un uomo alto vestito di nero che mi dava le spalle. Saltellai silenziosamente verso di lui, mi tolsi i guanti e, mettendomi in punta di piedi, posai le mie mani sui suoi occhi. Il mio respiro cominciò ad accelerare disperato. Chiesi con il fiato corto e abbassando la voce di qualche tonalità: «Chi è?» sorrisi come una bambina alla quale è stata appena offerta una fetta di torta al cioccolato.
«Il lupo mangiafrutta» rispose alzando il tono in tenore, la voce maschile più acuta.
Mi prese da dietro le spalle per i fianchi e mi strinse a sé, poi si girò e io iniziai ad avere difficoltà a respirare correttamente. Con poco fiato in gola, replicai «Sbagliato... Sono-»
«Liberta...ciao»
Con il petto ansante dissi a mia volta con un filo di voce «Ciao» e i nostri sguardi combaciarono. Mi abbracciò e fu davvero bello. Mi immersi con il naso nel suo petto. Successivamente affermò:
«Dai, entriamo, fa freddo qua fuori» e notai la nuvola bianca uscirgli dalla bocca mentre parlava.
«Non ricordavo che i tuoi occhi fossero così belli» confessai senza vergogna. Vidi il suo pomo slittare lento, la sua pelle chiara si colorò all'istante per l'imbarazzo. Ci avviammo verso la porta d'entrata, lui la aprì e mi fece strada. Un calore piacevole e intenso ci avvolse completamente accompagnato da un pungente profumo di caffè.
Trovammo posto di fronte alla finestra su degli alti sgabelli. Gabriel mi aiutò a sfilarmi il cappotto, dal momento che il mio braccio sinistro era ancora debole e, togliendosi anche il suo, andò ad appenderli all'attaccapanni accanto all'entrata per i bagni. Una volta pronti, andammo al bancone e ci mettemmo in fila, poi ordinammo due caffellatte con latte d'avena, offrii io, perché non è vero che gli uomini debbano sempre pagare.
Tornammo al nostro posto, aspettando che le bevande fossero pronte. Il barista ci chiamò e Gabriel le andò a prendere. Sulla schiuma c'era la forma di un cigno, adoro il latte art. Sul suo c'erano tre cuori, l'uno legato all'altro. Si risedette accanto a me, posando le scarpe sul poggiapiedi. Portai entrambe le mani fredde e bianche alla tazza per scaldarle. Lui ne prese un sorso e vidi i suoi occhi appagarsi di benessere. Soffiai sul caffè, sperando si raffreddasse, in seguito lo assaggiai, era delizioso. Guardando fuori dalla finestra, notai una ragazza incinta alzare il cappuccio della giacca e alzare gli occhi al cielo, successivamente vidi due bambini, i quali correvano a braccia e mani aperte, la bambina porse l'indice al bambino, mostrando qualcosa su di esso. Mi avvicinai alla finestra, alzandomi in piedi, e guardai il cielo vestito di tulle bianco, e composto di nuvole ovattate gonfie di neve. Cominciò a scendere polvere di zucchero da esse, fiocchi densi ed enormi.
«Guarda fuori!» feci un cenno al mio angelo di marzo.
«Nevica» un sorriso scivolò leggero sulle sue labbra, che io guardai. Un brivido prese il sopravvento e con le dita sistemai nervosamente una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
«Come stai?» gli domandai
«Bene... ma senza di te la clinica non è più la stessa, manchi tu.» Replicò, scrutandomi con la sua solita aria angelica.
«Ma sono qui adesso, meglio, no?»
«Sì» abbassò lo sguardo con timidezza, mentre con la mano destra si accarezzò il braccio sinistro. I nostri occhi s'intrecciarono di nuovo, quando li risollevò su di me; avvicinò la mano alla mia e guardammo fuori in strada attraverso la finestra. La neve aveva imbiancato tutto.
Mi prese per il braccio e mi tirò a sé, uscendo dalla porta.
«Dove vai? Abbiamo dimenticato le giacche dentro!» mi lasciò libera e si avvicinò ad un auto per raccogliere del bianco candido tra le mani e appallottolarlo.
«Non ci servono!» e in quel momento mi lanciò una palla pallida in faccia.
«Ah è così? Vuoi la guerra angioletto?» incrociai le braccia al petto
«Mai detto di esserlo!» esclamò mentre io inarcai un sopracciglio.
Si avvicinò a me, alzò un braccio e accostò la sua mano al mio viso e pensai stesse per accarezzarmi, ma poi l'altra sua mano schiacciò della neve sulla mia faccia come fosse una torta di panna. Lo guardai con occhi pieni di sfida e lui disse con un filo di voce
«Hai dei fiocchi di neve incastrati tra le ciglia» mi sorrise benevolo «E ti donano» mi lanciò un'occhiata maliziosa.
Mi alzai sulle punte e gli spettinai i capelli lunghi.
«E questo perché?» domandò deluso
«Perché ti donano» un sorrisetto di vendetta aleggiò sulle mie labbra.
Si alzò un vento da ovest e le nuvole piano piano divennero grigie, il mio naso era all'insù e guardavo il cielo, quando una goccia d'acqua s'insinuò nel mio occhio. Chiusi e riaprii le palpebre, poi asserii: «Sta piovendo...»
Un giorno di pioggia -Modena City Ramblers
È in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta
Il vento dell'ovest rideva gentile
E in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti
Mi hai preso per mano portandomi via
«Entriamo a prendere i cappotti» e così facemmo, ci risedemmo per un quarto d'ora ai nostri posti che erano ancora liberi e aspettammo che la pioggia smettesse. Quando le lacrime dal cielo terminarono, uscimmo, mi accompagnò a prendere la bici che era proprio davanti all'ingresso, poi lo seguii a prendere la sua. I pensieri mi esplosero nella mente: Dobbiamo dirci addio...Quando ci rivedremo? Succederà? Mi chiederà di andare a casa con lui adesso?
Quel pomeriggio ebbi una risposta temporanea alla montagna di quesiti nella mia mente.
Stava ancora liberando la bicicletta dalla catena, quando gli posai una mano sulla spalla e lui si voltò e mi guardò, poi capì perché al mio silenzio il sorriso sulle sue labbra si incurvò verso il basso e Gabriel s'incupì. Aveva capito, eravamo vicini al famoso "The end" e io trasalii di dolore. Inalai un profondo respiro il tempo di raccogliere i pensieri, ero inchiodata lì a fissarlo. Le mie viscere si sarebbero strappate in due da lì a poco, presi coraggio e asserii:
«Dimmi che non mi hai mai amata» la mia voce si perse sulla strada. Lui non mi guardò, anzi abbassò lo sguardo, prese la bici e si avvicinò a me. Sentii precipitare lo stomaco, perché rimase in silenzio senza posare gli occhi su di me. Ero come invisibile. Reagii d'istinto:
«Dillo!» un urlo mi si strappò dalla gola.
Si avvicinò di un ulteriore passo, le lacrime mi bruciarono gli occhi, ma continuai a fissarlo, aspettando una sua reazione e finalmente alzò gli occhi su di me, trafiggendomi con le sue pupille con un pugnale tanto feroce da farmi male per davvero:
«Non ti ho mai amata...» distolse subito lo sguardo come se dovesse nascondere una lacrima impigliata tra le ciglia. Il cuore accelerò senza avere intenzione di fermarsi.
«E ora dillo di nuovo» rimase di sasso. Mi guardò di sottecchi e si accasciò abbattuto sulla bicicletta. I suoi occhi si fecero enormi e mi guardò per davvero, per la prima volta ficcò il naso dentro la mia anima per cercare di capirmi. Mi impietrii e mi portai i capelli dietro l'orecchio, mentre l'imbarazzo mi serrava nella sua morsa.
Scosse la testa
«Non puoi dirlo per davve-» tentò, prima che posassi il mio indice sulle sue labbra per zittirlo.
«Non ti ho mai amata, Liberta.»Disse con un filo di voce. Mi si fermò il respiro e non riuscii a decifrare l'espressione ne suoi occhi.
Mi strinsi le braccia al corpo, infreddolita.
«Vedi? Non è stato poi tanto difficile e a forza di dirlo, ci si autoconvince per davvero...»
Serrò la mascella. Mi avvicinai di due passi e i nostri visi combaciarono, posai le mie labbra sulle sue: un bacio dell'addio. Il suo intero corpo tremava, come anche il mio. Fui attraversata da un'ondata di sofferenza, mentre la sua espressione era tormentata. Sentii una voragine aprirsi dentro di me, una di quelle che distruggono tutte le tue certezze e lui era sempre stato la mia àncora di salvezza dalla quale dovevo staccarmi se non volevo farmi trascinare negli abissi. Salimmo sulle bici e partimmo ognuno per la sua strada. Passo dopo passo mi sentivo sempre più confusa e le gambe erano come piombo. Il mio viso prese fuoco, le guance mi bruciarono e le lacrime sgorgarono senza il minimo sforzo. La sua voce che pronunciava quelle parole s'insinuò nei miei pensieri. Al rosso dovetti passarmi una mano all'altezza dello sterno. Ero una donna spezzata ormai, cosa mi era rimasto?Mentre pedalavo, il corpo fu scosso da singhiozzi. La paura di perderlo rubò tutta l'aria dai miei polmoni. Ma io lo avevo perso. Era così.
SPAZIO AUTRICE
Un ricontro, è verosimile? Vi è piaciuti o preferite le separazioni drastiche?
Risulta essere una scena forzata?
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