19. Amami se hai coraggio

Tappati le orecchie! Tappati le orecchie forte, forte e ancora più forte... Senti quanto ti voglio bene? È questo quello che conta. 

Film "Amami se hai coraggio"


La notte successiva vedemmo Jeux d'enfants - Amami se hai coraggio, mi emozionai fino al punto che una lacrima sgorgò dal mio occhio destro, scivolando lungo la guancia fino al collo; la asciugai subito con la mano; era questo l'effetto che mi faceva quel film, una storia d'amore immortale imbottigliata in una scatola a forma di carosello. Guardai Gabriel per comprenderne la reazione e giuro di avergli visto gli occhi lucidi. Come me, anche lui non era immune alle emozioni.

«Stai piangendo!» esclamai sfrontata, senza un minimo di accuratezza nell'esclamare frasi in maniera così diretta.

«Non è vero! Tu stai piangendo!» controbatté, sapendo perfettamente che io avessi ragione.

Mi accompagnò in camera, successivamente mi fece sdraiare a letto e nel momento in cui mi alzai dalla sedia a rotelle i nostri sguardi si incrociarono e si sfiorarono.

«Non so che fare, lo faccio o non lo faccio?» bisbigliai, insicura sul da farsi.

«Che cosa?» chiese lui disorientato, non sapeva affatto a cosa alludessi.
«Al diavolo! Lo faccio!» affermai poi, decisa, avendo trovato il briciolo di coraggio necessario. Le guance mi si incendiarono di colpo quando mi resi conto di quello che avrei fatto di lì a poco.

Comptine d'un autre été (soundtrack de Il favoloso mondo diAmélie) - Yann Tiersen

Mi alzai in punta di piedi, mi protesi in avanti verso di lui e gli diedi un bacio all'angolo destro della bocca; sentii l'aria diventare pesante tra di noi e mi resi conto di avere difficoltà a respirare, l'ossigeno era diventato un macigno, poi gliene diedi un altro sul collo e un altro ancora sulla palpebra dell'occhio sinistro, assaporai ogni mio piccolo movimento, a ogni tocco della sua pelle con la mia bocca, mi sbriciolavo e rimanevo senza fiato. Poi aggiunsi: «Come nel film di Amélie».

«Non ricordo...» disse con voce roca, come se la sua voce si fosse seccata, e io non capii come facesse a non rammentarsene, era la scena del film che ricordavo maggiormente!

«Ma io sì, e Amélie poi fa segno con il dito, a indicare di voler essere baciata a sua volta. È una delle ultime scene del film.» Non reagì, rimase in silenzio a guardarmi e una strana espressione gli attraversò il viso. Che abbia toccato un nervo scoperto in lui? Oppure mi è davvero così indifferente?

La domenica successiva lavorò nuovamente e io mi chiedevo cosa facesse quando non lavorava. Come gli piaceva occupare il tempo? A cosa pensava quando non era a lavoro? Chi era realmente Gabriel nella vita?

«Quando vuoi fare la doccia?» mi chiese.
«Più tardi» risposi atona, mentre dentro morivo dalla gioia; lo sbirciavo di sottecchi perché volevo stare sola con lui. Facevo finta di essere indaffarata a leggere un libro. Dopo un'oretta suonai il campanello, e lui arrivò subito quasi correndo.

«Hai fatto presto!» gli sorrisi

«Ero nei paraggi» Sì, come no, ecco perché hai il fiatone!

Lo informai di voler fare prima colazione, prima di lavarmi, così mi portò nella mensa ancora in pigiama, mi spalmò uno stritzel con burro e marmellata e mi fece un caffè caldo con latte senza lattosio.

Una volta tornati in stanza, mi aiutò a lavarmi. Accendemmo la box e mettemmo play a della musica punk; sceglievamo una canzone a testa, e ogni tanto storceva il naso per una mia scelta e io gli facevo un occhiolino disinvolta, scherzando. Finita la doccia, mi asciugò, dedicandosi completamente a me.

«Hai bisogno di un balsamo, i capelli sono completamente intrigati» m'informò, cercando di pettinarmi senza farmi male, sebbene di tanto in tanto storcessi il naso per il dolore.

Preso dal momento, mi passò l'indice sul collo e i peli del braccio mi si rizzarono come avesse ricevuto una scossa elettrica, il mio cuore fece un balzo. Dopo essersi reso conto del suo gesto involontario, fece un passo indietro e guardò nello specchio dritto nei miei occhi, ricambiai il suo sguardo smarrito.

«Ci vediamo dopo, quando hai asciugato i capelli» stava scappando, avevo intravisto il guizzo di paura nei suoi occhi, accorgendosi di non avere il controllo sulle sue azioni.

Successivamente, essendo il weekend e non avendo terapia, andai nella stanza del proiettore per vedere The butterfly effect. Venne a controllare che fosse tutto a posto circa a metà film. Gli chiesi con timidezza:

«Rimani con me?» divenne rosso, non riuscii a smettere di sorridere, sembrava divorato dalle mie stesse voglie. Si accostò al mio viso inopportunamente e rispose con occhi folli:

«Perché no?» poi il suo sguardo felice di poco prima cambiò e capii. A lui non era permesso, non poteva restare solo con me e doveva lavorare, non veniva pagato per guardare un film!

«Non posso, scusami.» Era sul punto di andarsene perché era già in piedi diretto verso la porta, ma poi sembrò ripensarci, perché si voltò verso di me di scatto: «Sai che c'è? Rimango cinque minuti!» Con un balzo si fiondò sul divano, togliendosi le scarpe. Avvertii le gambe indebolirsi e lo stomaco tremare. Se ne andò una manciata di minuti dopo e tornò alla fine della proiezione. Mi osservò preoccupato con aria interrogativa. «Ho pianto di nuovo!» esclamai, con gli occhi arrossati e tirando su con il naso.

«Era così triste?» aggrottò le sopracciglia dispiaciuto.
«Non te lo ricordi?» sentii un nodo alla bocca dello stomaco.
«Poco, ricordo che la tesi si basa sul fatto che un batter d'ali di una farfalla in una parte della terra può cambiare il flusso degli eventi dall'altra parte di essa.»

«Esatto. È come dire, se io avessi studiato infermieristica, avrei potuto fare il tirocinio qui e ti avrei conosciuto prima e, in questo modo, non avrei avuto l'incidente.» confessai, chinando il capo, mentre lui mi osservava con un cipiglio. Gabriel si fece subito serio e ribatté:

«Possibile, plausibile, ma non certo. Ci sono tanti posti in cui fare tirocinio qui a Lipsia; magari lo avresti fatto altrove. E poi, forse ci siamo già incontrati al supermercato, ricordi, vivevamo nello stesso distretto, ricordi?»

«Ma tu non ti sei ricordato di me» affermai con un'espressione sghemba.

«Se è per questo, neanche tu di me» mi riprese, facendomi un occhiolino buffo.

«Ma io avevo un ragazzo» controbattei, picchiettando l'indice sul mento.

«E io una ragazza...» replicò, schioccando la lingua e guardando altrove, interrompendo il nostro gioco di sguardi.

La sera successiva fece di nuovo la notte e io con mia solita curiosità insaziabile, gli feci una domanda:

«Sei mai stato innamorato?» I suoi occhi erano come fondali marini.

«Sì, direi di sì» rispose con tono atono, come se quella donna alla quale avesse donato il suo cuore fosse stata una grande delusione. E un po' mi dispiacque per lui, pur non sapendo nulla. Tornammo in camera e mi fece alzare dalla sedia a rotelle per mettermi al letto, poiché già indossavo il pigiama.

«Avrei voluto dirti una cosa, ma ora è troppo tardi» sussurrai, una volta seduta sul letto di fronte a lui. Si abbassò, piegandosi sulle ginocchia con gli occhi all'altezza dei miei e mi fissò profondamente, cercando di mettermi in imbarazzo, credo.

«Cosa?» domandò curioso, intensificando il suo sguardo marino.
«Niente, adesso è tardi.» lo scrutai con occhi diffidenti.
Ci fissammo intensamente. Seguì un profondo silenzio, che si spanse tutt'intorno a noi come olio su una tela.

«Ti volevo chiedere se potevo baciarti.» La speranza riempiva i miei occhi, il mio respiro, il mio profumo. Ero speranza di quell'unico, semplice "Sì".

«Non oggi, Liberta.» Inspirò profondamente e ogni fiducia riposta nell'amore svanì come nuvole al vento. Mi sentii svuotata e persa.

Mi lanciò un sorriso malizioso, per nulla coordinato al momento e alla mia delusione.

«Non mi guardare così, come se fossi stupida...»
«Ti guardo perché sono in imbarazzo.»
«E perché saresti arrossito, sentiamo?»

Fece una smorfia e lui mi osservò paonazzo, sembrò voler aggiungere qualcosa, perché aprì leggermente la bocca dopo aver preso aria dal naso, ma rimase in silenzio. Posò la sua mano calda e liscia sulla mia, che tenevo poggiata al petto. Non disse nulla, fece solo quell'unico semplice gesto innocuo.

«E comunque, un bacio me l'hai già dato una volta, non vedo perché tu non possa rifarlo!» Quasi urlai, mi tappai la bocca con la mano, rendendomi conto di aver alzato troppo la voce.

«Scusami...» abbassai il viso verso il pavimento

«Ma eravamo fuori da questo posto! E poi, era solo il tuo regalo di compleanno...» Solo, questa parola riecheggiò nella mia mente a lungo. Solo...

Mi lasciò dormire, andandosene subito dopo.

Il lunedì successivo me ne andai e non sapevo se sarei tornata, la vita era imprevedibile...

Salutai tutti, lui non c'era, e partii senza voltarmi indietro. Le lacrime sfuggirono dal mio controllo e, tempo che fossi fuori dall'edificio, caddi in singhiozzi, non avevo ancora realizzato che gli sarei stata lontana per l'ennesima volta, forse perché in cuor mio credevo in un rincontro.

Non si può capire la lontananza di qualcuno se questa stessa non è reale e per me non lo era, la verità è che io ero sicura di rivederlo, non avevo paura, mi spaventava solo il tempo di attesa, che sarebbe stato interminabile.

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