Capitolo 26
- Hachiko -
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«Izuku.»
S’era bloccato davanti a me, mi fissava come se non fossi vero, come se stessi per finire un mille pezzi. E io anche m’ero bloccato. M’ero bloccato a mezz’aria, avevo lasciato la presa. Il Katsuki che mi pareva di conoscere, il Katsuki che io conoscevo. Kacchan. Fu un attimo e un nulla. Trovarmelo davanti fu così catastrofico per me che tremai.
Tremai tutto affondo, tutto insieme.
«Kacchan.»
Immobili, frastagliati in uno spazio che non pareva il nostro, che sarebbe sempre stato uno sprazzo. Katsuki, il mio Katsuki. Nella sua bella divisa da hero, con i guantoni alle braccia e lo sguardo che rivolgeva solo a me. Lo vidi addolcirsi e farsi creta in un secondo. Mi tremarono le ginocchia.
E in quel preciso attimo volli essere sicuro che lui non avrebbe potuto dimenticarmi. Sia che si trattasse di un'illusione sia che fosse quello che mi teneva la mano in ospedale. Katsuki, il mio Kacchan. Allungai una mano in sua direzione, volevo toccarlo, essere sicuro che esistesse e non fosse di nuovo tutto un gioco. Un gioco sciocco e pericoloso che mi stava stremando.
Poi però, Hiroshi si mosse.
La punta dell'ago mi si infilò nel collo, strillai di dolore, crollai a terra.
Vidi di sfuggita Katsuki che si slanciava in avanti, le sue mani che artigliavano il vuoto, lo scatto di Hiroshi. Avrei voluto avere le forze necessarie ad afferrarlo e stringerlo, fargli perdere i sensi.
L'odiavo.
Come odiavo lui non avevo mai odiato nessun altro.
«Izuku-»
«Non fargli premere quel pulsante!» strillai, bloccando con le mani protese il suo tentativo di raggiungermi. Non sapevo perché, ma l’istinto mi suggeriva di non lasciarglielo fare. Se Hiroshi avesse spinto su quella tastiera, se avesse spinto il bottone... tremai.
Katsuki m’ascoltò.
Si spinse in avanti, esplosioni aranciate si riversarono nell’aria, fumo e odore di bruciato. Storsi il naso, tossii. Lui volteggiava dentro la stanza come se stesse danzando, Hiroshi percorreva i pochi metri che mancavano alla tastiera con le gambe pesanti, il sangue che colava dietro come un mantello. Nel sollevare lo sguardo mi parve di capire che Katsuki era troppo lontano, che non sarebbe riuscito a prenderlo. Si tratta di una manciata di secondi. Il tempo in cui lui aveva sollevato lo sguardo su di me e m’aveva guardato. S’era assicurato che io fossi vivo. Questo c'era costato il tempo di prenderlo.
Una manciata di secondi.
Mi lasciai cadere, strisciai. Strisciai sulle gambe, sui palmi della mani. Mi sporcai del sangue di lui, mi feci male al petto. Ignorai le fitte, trattenni il respiro, mi spinsi in avanti con tutte le forze del corpo. Ma non c’era verso che lo fermassi, che io potessi afferrarlo. Saremmo morti, se Hiroshi avesse premuto quel bottone saremmo saltati in aria. Non me ne aveva dato la conferma, ma non mi serviva. Saremmo morti, lo sapevo. Me lo sentivo dentro come si sente un terremoto, una sciagura.
Allungai il palmo, la sua caviglia sfiorò la mia carne. Strinsi. Tirai. Con gli occhi chiusi, il tonfo si riversò nella stanza.
Il pavimento tremò.
Quando riaprii gli occhi tutto intorno a me mi s’infilò sotto pelle.
Tra le dita c’era la caviglia di Hiroshi. Lui era scivolato, Katsuki l’aveva bloccato poggiandoci un piede sopra. L'avevamo in pugno. Ci eravamo riusciti. L’avevo preso, l’avevamo bloccato.
Mi sentii euforico, carico, senza dolori. Durò un secondo ma mi sconquassò da dentro. Alzai lo sguardo su Katsuki, sorrisi. Avevo il sangue che mi colava dal naso, me lo sentivo sui denti, sulla lingua ma ero sollevato.
«Sei fottuto, stronzo.» biascicò lui, afferrando Hiroshi. Lo trascinò in piede dal colletto, lui mugolò di dolore. La caduta doveva avergli fatto saltare qualche dente perché quando schiuse la bocca sulla gengiva c’erano dei fori rettangolari. «Marcirai nel Tartaro.»
«Ne sei sicuro, Dynamight?»
Un secondo.
Secondi che condizionano la nostra vita. Un secondo per girare la pasta che cuoce, un secondo per bere un goccio d'acqua, un secondo per morire. La nostra vita è fatta di secondi. In un secondo Katsuki si ritrovò a terra, una siringa piantata nel petto.
Mi ritrovai a fare da spettatore a quel macabro spettacolo. Mi fermai.
Katsuki.
Katsuki era a terra.
Lui sarebbe finito sotto le mani di Hiroshi e-
Un lampo bianco mi balzò dinanzi agli occhi. Fu come vedere un fulmine. Lo vidi scattare nell’aria come uno squarcio. Riconobbi quella coda pelosa, quel muso attento.
Hachiko atterrò su Hiroshi, rimettendolo fuori gioco. Katsuki cacciò un mugolio di dolore, si sfilò la siringa dal petto. Si alzò barcollante. Mi raggiunse, mi tirò su. Hiroshi stava provando a fare lo stesso, ma Hachiko ringhiava pericolosamente e mostrava i canini.
«Kacchan…»
Mi fu chiaro solo quando rividi i suoi occhi e quando riebbi le sue dita addosso che quello non poteva che essere il mio Katsuki. Lo confermava Hachiko. Ce li avevo davanti agli occhi, come potevo non crederci? Eppure, il cervello mi scoppiava.
Che cosa significava tutto quello? Katsuki non doveva essere solo un'illusione?
Hiroshi era ancora nella mia testa?
Spinsi via Katsuki, lui sbarrò gli occhi. Barcollavo, ero cosparso di lividi, ossa rotte. Non mi reggevo in piedi, ma avevo paura. Quella bastava a farmi stare dritto.
«Che sta succedendo?» biascicai.
Katsuki mi guardava con quegli occhi rossi grandissimi. Allungò una mano, come a volermi afferrare, ma mi ritrassi. Non potevo farmi manipolare ancora.
«Chi sei tu?»
«Chi sono? Katsuki, chi dovrei essere? Izuku, per favore.»
«Lui… lui mi ha detto tante cose. Dice che sto immaginando tutto, che sono in coma e-»
«E tu gli credi? Izuku, per favore. Cerca di pensare, cerca di-»
«È quello che sto facendo!» sbraitai. «È quello che sto cercando di fare da quando ho aperto gli occhi. Non riesco a capire cosa sia tutto questo. Sto impazzendo, è un quirk, è tutta un'illusione? Non lo so, cazzo. Non lo so.»
Avevo in testa un casino di pensieri. Parole, ricordi, persone. Si mischiavano dappertutto. Erano come colori in una lavatrice. Girava tutto. Tremai, barcollai indietro, le mani già stese. Sarei caduto. Mi sentivo un groppo in gola, soffocavo. Katsuki mi afferrò il polso.
La sua mano era calda, caldissima.
«Guardami.» soffiò. Profumava di battaglia, di rabbia, di dolore. «Guardami, Izuku.»
«Lo sto facendo.»
Avevo un tremito nella voce. Un singhiozzo che stavo cercando di strozzare con ogni respiro, ma che non faceva che crescere.
«Guardami. Sono reale.»
«Non… non lo so.»
Allora mi prese la mano. La posò sul suo torace, su quella divisa di latex liscia, ruvida. Aveva un foro all'altezza della clavicola. Dove Hiroshi aveva premuto la siringa. Quel pensiero mi fece stringere il petto. Che gli aveva iniettato? Poi lo sentii. Il battito di quel cuore, irruento, rabbioso. La stava strappando al destino quella vita. Stava lottando per stare con me, per respirare la mia stessa aria in quella stanza.
Dovevo credere che fosse lo stesso cuore che avevo sentito battere contro il mio quella stessa sera, nel nostro letto. Nella mia testa.
«Katsuki.» biascicai, lasciando cadere una lacrima.
Lui annuì. Sorrise. Allungai la mano, posai il palmo sulla sua guancia. Era caldo, morbido sotto il mio tocco. Si lasciò sfiorare da me. Non si ritrasse.
Kacchan.
«Sei davvero tu.»
Un secondo. Un altro secondo rubato. Tutto si storse, il viso di Hiroshi si sovrappose a quello di Katsuki, i suoi tratti si storpiarono. Le labbra si ingigantirono, gli occhi si assottigliarono. Strillai. Un urlo terrorizzato che mi lasciò la gola prima ancora che potessi frenarlo. Hiroshi m’afferrò il volto, mi spinse contro la parete. La testa si scontrò contro il cemento, la vista s’appannò.
Fu un dolore simile a un soffio di acido in gola.
«Izuku!»
Volevo chiudere gli occhi. La testa mi pulsava così forte che pensavo si sarebbe spaccata in due. Quella voce mi impediva di chiudere gli occhi. Mi dava fastidio, faceva male.
«Non azzardarti a chiudere gli occhi, Nerd.»
Che stava succedendo? Dov’era Katsuki? Ecco che ce l'avevo di nuovo davanti. Ma allora chi mi aveva spinto la testa al muro? Hiroshi. Hiroshi. Dov’era? Dove diavolo era quel pazzo? Di nuovo quei pezzi di puzzle davanti agli occhi, quei lembi di colore che andavano e venivano.
Di nuovo il viso di Katsuki, quello di Hiroshi.
Mani che cercavano di soffocarmi. Mani che mi accarezzavano. Chiusi gli occhi, respirai. Il peso che sentivo sulla testa, sullo stomaco non era reale.
La realtà non era quella che vedevo.
Capii.
Capii che forse mi trovavo in un limbo. Ero bloccato. Tra Katsuki mio e Hiroshi Han. Dovevo sconfiggerlo. Dovevo impedirgli di ucciderci entrambi.
Mi guardai attorno. Ecco di nuovo il laboratorio. Mettevo a fuoco e subito appariva un’altra stanza, un altro volto davanti ai miei occhi. Dovevo memorizzare. Ero bravo in questo, avevo imparato a memoria le mosse di All Might, la tavola periodica. Era come imparare a memoria qualcosa del genere.
Hiroshi.
Dovevo individuare Hiroshi.
Chiusi gli occhi, presi fiato. Li riaprii. Il laboratorio, Katsuki a terra, sangue. Sangue, tanto sangue rosso, caldo, rosso. Mi mancò il fiato. Mi aggrappai al muro dietro di me. Di nuovo. Chiusi gli occhi, respirai. Dentro di me c’era un meccanismo che sapeva già quello che dovevo fare.
Muovermi.
Aprire gli occhi, respirare. Richiuderli, riaprirli.
Hiroshi.
Era come un lampo in quella stanza nera. C'erano i led. Si stava avvicinando ai led. Correva verso la console. Il bottone. Voleva ancora premere quel maledetto bottone.
Dovevo muovermi.
Scattai avanti, inciampi, gemetti. Mi rialzai. Di nuovo lampi, Katsuki che cercava di baciarmi la fronte, Hiroshi che giaceva a terra.
Chiusi gli occhi, respirai. Li riaprii.
Un altro passo. La gamba che ciondolava, l’osso del polso spezzato che strillava. Il sangue m’era colato davanti agli occhi, tra le ciglia. Mi pulii con la mano libera, mi mossi. Ancora, ancora. Pochi passi. Dovevo prendere Hiroshi, dovevo afferrarlo e impedirgli-
Inciampai ancora.
Provai a rialzarmi. Lampi di immagini, mamma. Mamma che piangeva. Mamma che mi diceva di tornare da lei. Katsuki che prendeva a pugni la parete, lo sguardo disperato. Il ghigno di Hiroshi. La sua risata nelle orecchie.
Bastardo.
Mi era di nuovo in testa. Mi sfidava.
Cercai un appiglio per rialzarmi, ma non c’era modo di venire fuori, era tutto impiastricciato, tutto rosso. Tutto completamente rosso. Fu quando abbassai lo sguardo che capii. Mi sentii risalire il cuore in gola, fu un conato che mi sporsi in avanti e riversai a terra. La risata di Hiroshi scheggiò l’aria nello stesso istante in cui mi allontanai da lì.
Non ci volevo credere.
No, no, no. Hachiko non poteva essere… Hachiko non poteva. No, poteva esserlo. Non poteva essere morto. Eppure giaceva a terra, con le zampe riverse su un fianco, il muso sporco, schiuso. Con gli occhi che sembravano ci avessero spalmato sopra del vetro. Mi uccise in petto. Una fucilata che mi stordì a tal punto da farmi mancare l’ossigeno.
Hachiko era in una pozza di sangue e Katsuki ci si era chinato accanto, lo sorreggeva, non si curava più di niente. Neppure di Hiroshi che lo guardava dall'alto. Sporco, ferito, pazzo.
Pazzo, come un criminale appena evaso.
Quello non era sangue del sangue mio. Quello non era niente per me.
Era un mostro.
Un villain.
Un assassino.
«Kacchan.»
«Fermarlo, Izuku. Ti prego.»
Mi pregava. Katsuki mi pregava. Lo stesso Katsuki che non aveva mai chinato la testa per nessuno, ora aveva gli occhi lucidi e la voce rotta. Katsuki pregava di fermare l'assassino del suo migliore amico.
Hachiko.
Hachiko che dormiva sul letto con me, Hachiko che mi aveva fatto compagnia nelle notti passate sul terrazzo, Hachiko che ci aveva avvicinati più di quanto avrebbe mai potuto fare chiunque altro.
Capii che per Katsuki, Hachiko era il suo tentativo di amare senza riserve. Voleva amarlo ed essere perdonato.
E Hachiko non solo glielo aveva donato, ma l’aveva anche salvato. L'aveva amato. L'aveva amato come solo un cane può fare.
Mi spezzai. Fui preda di una rabbia che mi corrose da dentro. Mi scagliai in avanti, l’ira cieca negli occhi. Hiroshi mi vide arrivare, il sorriso gli si smorzò, si scagliò contro la console.
Fu una lotta a sangue. Corsi, mentre le gambe stanche non si reggevano quasi. Le costole strillavano a ogni movimento, la testa stava per esplodere. Lampi. Katsuki che strillava. Hiroshi che mi accarezzava. Mamma che mi schiaffeggiava. Visi, mani, braccia che si allungavano e mi tiravano, mi storcevano.
Non volevano che raggiungessi Hiroshi.
Lottai. Li spinsi via a schiaffi. Graffiai, strillai. Lo avrei raggiunto a costo di strapparmi gli occhi dalle orbite. Serrai la mascella, strinsi i pugni. Avanzai a tastoni. Avanzai sputando a terra, sangue e saliva. Sudore che mi colava da ogni poro. Distruzione davanti e dietro. E le iridi cristalline di Katsuki ancora in testa. Piantate dove nessuno avrebbe più potuto schiodarle.
Avanzai.
Hiroshi aveva le mani che si muovevano come pazze, gli occhi che spuntavano da fuori tanto erano sgranati. Dovevo fermarlo. Dovevo impedire che uccidesse ancora. Solo così avrei salvato Katsuki. E me stesso. E la memoria di Hachiko. Il solo pensarci mi metteva dentro un’angoscia che mi si riversò nelle vene.
Ancora, ancora un passo.
Le mani si allungarono, le dita si strinsero attorno al nulla. Hiroshi si spostò di un solo millimetro, raggiunse il bottone. Non ce l’avrei fatta. Era finita. Ero stanco, stremato, lontano.
Era finita.
Tutto si sarebbe arrestato così, senza che io o Katsuki potessimo frenare il tutto.
Ci avevo rinunciato.
Perché combattere? Il destino aveva deciso così. Non potevo altro.
«Izuku. Non azzardarti a lasciarlo!»
La voce di Katsuki fu come spada. Mi trafisse da parte a parte. Il cuore in petto mi riprese a battere. Fu una giostra che mi si muoveva in gola e la forza mi uscì da ogni poro.
«Combatti, Nerd!»
E lo feci. Lasciai che quella sensazione si sprigionasse fuori da me, che andasse dappertutto. E ne venne fuori Frusta Nera. Lo intrappolò con la corda, si bloccò. L’ago penzolava dal suo braccio, lo tirai fuori.
«È finita, Hiroshi Han. Sei finito.»
«No! Non è così. Non è ancora finita.»
Sorrisi.
«Esci dalla mia testa.» soffiai. «Esci dalla mia testa e ti lascerò vivere.»
Hiroshi ebbe un fremito. Il suo viso si storse. Una smorfia gli deformò la guancia, si piegò in una risata che parve un singhiozzo. Fu un vagito che spezzò ogni cosa. Non sarebbe uscito dalla mia testa, non mi avrebbe mai lasciato. Nella sua ideologia malata io ero il protagonista, la sua pedina.
«Ho altri cattivi da salvare, Hiroshi, mi spiace.»
«Grazie.» biascicò.
Agguantai l’ago, glielo infilai dentro alla gola. Il sangue sgorgò come una fontana. Fu un disastro, una rinascita. Mi lasciai imbrattare, lo lasciai cadere.
Era morto col sorriso sulle labbra.
Il corpo cadde a terra, lo seguii. Le ginocchia si scontrarono col pavimento gelido. Sorrisi anch'io. Gli occhi scattarono su Katsuki, tutt’attorno si fece sfocato.
Tasselli che si muovevano, nebbia, lampi. Tutto bianco, grigio, voci, visi.
«Ce l’abbiamo fatta, Kacchan.» mormorai, guardandolo. Era ancora lì, immerso nel sangue di Hachiko. Era l'unica figura che non si sfocava. «Abbiamo vinto.»
«Hai vinto, Izuku.»
Il suo sorrisetto fu l'ultima cosa che vidi prima di chiudere gli occhi.
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Angolo autrice:
Correggere i capitoli con la febbre è una delle cose che dovrebbero inserire nello show dei record🥹
Però,
abbiamo vinto.
Anche se c'è stata una perdita. Una perdita molto dolorosa. Hachiko è un omaggio al cagnolino di una persona a cui tengo tanto, che è venuto a mancare due anni fa, ma ogni volta che ci penso è sempre come se fosse ieri. Perciò, buon viaggio piccola anima❤️
Per quanto riguarda noi... siete pronti per l'ultimo capitolo?
-Lilla
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