Capitolo 25

- Hisashi Midoriya -

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«Che ti prende adesso, Izuku?» mi sbeffeggiò, avvicinando ancor di più. Aveva una bocca gigante ora, mi mostrava tutti i denti e rideva, rideva come un pazzo.

Strattonai i polsi, cercai di liberarmi.

«Ancora non ci rinunci?»

«Lasciami. Se mi lasci possiamo parlarne.»

«Parlare? Parlare di cosa?»

Deglutii. Ecco di nuovo quegli occhi neri, quella figura arrogante. «Parlare di cosa vuoi fare. Perché ti serve questo mio quirk

Ero confuso. M'aveva detto che non possedevo più il One For All, ma voleva estrarmi un altro quirk. Non avevo poteri, non ce li avevo mai avuti da bambino.

Che cosa voleva estrarre da me?

Stranamente mi lasciò andare. Mi rimise in piedi con un braccio e mi spinse contro le corde.

«No, non legarmi di nuovo. Per favore. Non voglio fare nulla.»

«Mi hai preso per un imbecille, Izuku?»

«Per favore.» biascicai. Dovetti conficcarmi le unghie nei palmi perché la sola idea di pregare un assassino mi dava la nausea. «Per favore, non legarmi.»

«Vedi che quando sei educato sei molto più carino? Non mi piace quello che ti ha insegnato Katsuki. Sai mio padre diceva che a stare tanto con una persona alla fine cominci a somigliargli. Tu e Katsuki stavate diventando troppo uguali. Lo giustificheresti anche se uccidesse?»

«Hiroshi, per favore. Non stiamo parlando di Katsuki ora. Parliamo del quirk

Odiavo quando faceva il nome di Katsuki. Mi ribolliva qualcosa dentro. Avrei voluto attaccarmi al suo viso e graffiarlo fino a strappargli gli occhi. Mi nasceva dentro un'aggressività che mi metteva paura. Io ero sempre stato un tipo pacato, almeno nella mia immaginazione.

«Quirk? Vuoi parlare del tuo quirk? D'accordo, Izuku. Parliamo del tuo quirk.»

Si scagliò contro di me, d'istinto sollevai una mano. Attorno alle mie dita spuntarono fiaccole nere. Somigliava terribilmente a Frusta Nera e per un attimo mi illusi che fosse quella. Provai a usarla, provai a incastrare Hiroshi, ma tutto ciò che ottenni fu un dolore acuto al polso e l'osso venne fuori. Fu atroce. Hiroshi cacciò un latrato divertito, mi indicò la mano, borbottò che ero uno stupido.

Con le lacrime agli occhi provai ad attaccarlo di nuovo, ma lui stavolta mi prese la mano, la strinse nella sua.

«Ti romperai anche questa se non smetti.»

«Cos'è questo?» biascicai. Le fitte al polso erano come coltelli roventi.

Hiroshi mi prese la mano ferita, spinse la carne da entrambe le parti. Strillai di dolore mentre lui riassestava l'osso. Mi tenne ferma la mano, mi legò uno straccio al polso. Era rotto, faceva così male che mi piegai per rimettere.

«Cos'è?» ripetei. Iniziavo a essere isterico, stanco.

Hiroshi non rispose subito. Mi legò un braccio alla corda, si allontanò. Accese un led chiaro, mi mostrò alcune foto di mio padre. Erano anni che non ne vedevo più una, mi fece male.

«Che c'entra lui?»

Anche l'incontro con papà al casinò era stato tutto frutto della mia testa?

Sperai scioccamente di no. Non ce l'avevo mai avuto qualcuno che si prendesse cura di me come avrebbe fatto un padre. L'unico che mi veniva in mente era All Might, ma a quanto pare mi ero immaginato tutto. Perfino Shoto, perfino l'incontro con la famiglia Todoroki.

«Perché tuo padre se n'è andato, Izuku?»

Mi innervosii ancor di più. A casa, la partenza di mio padre era sempre stato un tabù. Mamma scoppiava a piangere ogni volta che provavo a parlarne. Non era facile per me farlo davanti a uno sconosciuto.

«Mio padre s'è andato perché non voleva stare con noi. Ci ha abbandonato.» dissi, ripetendo quello che anni e anni di indottrinaggio di mia madre m'avevano inculcato.

«Ne sei sicuro?»

«Ho immaginato anche questo?» feci sarcastico. Lui però non rise. Si fece serio, serissimo. Mi indicò lo schermo. Mio padre se ne stava in giacca e cravatta alla soglia di casa nostra. Era la sera in cui ci aveva lasciati.

«Tuo padre se n'è dovuto andare.» fece all'improvviso. «Tuo padre e mio padre erano la stessa persona. Perché credi che la missione fosse proprio cercare me? Tu sapevi di avere un fratello, lo hai sentito mentre eri in coma. Alcuni poliziotti sono venuti a dire a tua madre - la legittima moglie di Hisashi Midoriya - che suo marito era deceduto. Mio padre ha lasciato tua madre perché si era innamorato della mia. Quando sono nato io, ha proposto a tua madre di portare il bambino a vivere con voi, ma lei lo ha cacciato via. Quando hai sentito della sua morte e di me, il tuo cervello ha elaborato le informazioni e ti ha fatto immaginare tutta questa missione. Credi che io sia il cattivo perché sono colui che ti ha portato via tuo padre.»

Per un attimo mi sentii mancare. Dovetti aggrapparmi al muro dietro di me, cercare di respirare piano. Qualcosa mi stava strozzando da dentro. Mi portai la mano alla gola, feci altri respiri. Hiroshi si avvicinò.

«Non toccarmi.» strillai.

Lui ritrasse la mano. Si fermò sul posto.

«Che cosa vuoi da me?» continuai. «Cosa puoi volere da me? Cos'è questo quirk? Come ho fatto a non scoprirlo prima?»

«Il medico dove ti ha portato tua madre le ha mentito. Le ha detto che non avevi quirk, ma sia lei che Hisashi ne avevano uno. Tu anche avevi il tuo. Solo che quando sei finito in coma, il quirk è finito in coma con te.» si avvicinò, mi sentii travolgere dalla nausea. Ci vedevo sfocato. «Il tuo potere è simile al mio. Siamo fratelli, Izuku. Non abbiamo la stessa madre, ma il padre è lo stesso. Io posso entrare nella mente delle persone, posso svegliarle dai loro incubi, tu puoi crearli.»

Fu un casino di sentimenti che si riversarono attorno e dentro di me. Mi aggrappai al muro, mi sentii mancare.

«Per favore, smettila. Smettila

«È la verità, Izuku.»

«No, no, no. Non può essere.»

E poi i ricordi mi vorticarono davanti agli occhi. Tutto si fece sfocato, tutto si miscelò. Mio padre, mamma, i pianti. Quella notte. Le parole di lei, quelle dei poliziotti. Mi parve di sentirle nelle orecchie. Ci dispiace signora, suo marito è deceduto. Mamma che piangeva, mamma che si disperava che chiedeva perché quel miserabile non avesse lasciato nulla per noi, neppure una lettera. Mi prendeva la mano, mi chiedeva di svegliarmi. Poi Katsuki che mi chiedeva scusa per non essere stato in grado di proteggere la mia famiglia. Hiroshi. Quel fratello che mamma continuava a chiamare demonio. Demonio. Demonio.

Sgranai gli occhi. Mi si mozzò il respiro.

«Tu non sei il cattivo.» mormorai.

Hiroshi annuì. «Esatto. Non sono io il cattivo. Sono solo un figlio.»

La corda era lenta, ci feci scorrere il dito, la allentai. «Come me.»

«Come te.»

Annuii. Lui si avvicinò, sorrideva.

«Mi credi ora?» mi prese la mano, mi accarezzò il dorso. «Volevo solo il mio fratellino. Insieme possiamo cambiare il mondo, Izuku.»

«Sì, possiamo farlo.»

Gli strinsi la mano. Lui si commosse, di slanciò mi abbracciò. La sua pelle contro la mia mi mandò scosse di ogni tipo. Strinsi i denti, lo tenni a me con la mano libera.

Sfilai l'altra dal nodo. Scivolò via senza ostacoli. In tasca lui aveva un telecomando. Non era appuntito, ma avrebbe fatto male.

«Sono così felice di averti trovato. Non volevo farti del male, credimi. Non volevo affatto che tu

Caricai il colpo, lo abbattei sulla sua testa. Fu rapido, doloroso. Hiroshi si piegò in ginocchio, strillò. Gli avevo piantato il telecomando dritto dritto nella testa, un lembo di pelle s'era aperto. Il sangue colava tutto attorno ai suoi capelli scuri.

«Bastardo! Che cazzo stai facendo?!»

«Pensavi davvero che me la sarei bevuta? Io e te fratelli? Ma ti sei visto? Mio padre non era un criminale.»

Fece per rialzarsi, barcollava. Mi allontanai velocemente, lui mi rincorse. Perdeva sangue a fiotti, ma non se ne curava. Mi raggiunse, scartai di lato, finimmo contro il muro. Lui batte la testa, io la schiena. Aveva gli occhi iniettati di sangue. Ebbi paura che potesse davvero uccidermi.

«Sei uno schifoso pezzo di merda.» mi soffiò contro l'orecchio. «Ti ucciderò e userò il tuo sangue per creare altri quirk.»

Lo colpii con tutte le mie forze allo stomaco, lui rantolò di dolore. Io serrai i denti. L'avevo spinto col polso rotto, stavo vedendo le stelle, ma non potevo perdere la testa. Dovevo restare lucido, dovevo ignorare il dolore.

Uscire di lì. Andarmene il prima possibile.

Mi guardai velocemente attorno. La porta era nera, spessa. Una lamiera che non sarei riuscito ad aprire senza chiave.

Gettai un'occhiata a Hiroshi.

Dove diavolo aveva nascosto la chiave? Dovevo legarlo. Dovevo assolutamente legarlo e frugare e-

Mi spinse a terra. Caddi con un tonfo e la schiena assorbì il colpo. Lui mi finì sopra con tutto il suo peso. Mugolai, gemetti. Il suo sangue mi sporcò le labbra, sputai.

«Lasciami! Lasciami!»

«T'ammazzo.»

Mi strinse le mani alla gola, quelle dita rozze, piene di cicatrici. Ansimai, m'aggrappai alle sue mani, provai ad allontanarle. Non ci fu nulla da fare, lui stringeva e io iniziavo a fare fatica a respirare, a vedere. Tutto attorno a me iniziava a diventare sfocato, doppio. Schiusi la bocca, volevo respirare, desideravo ardentemente respirare, ma non ci riuscivo. Lui mi stava soffocando.

Sarei morto.
Sarei morto lì per terra e nessuno avrebbe mai saputo che fine avessi fatto, chi mi avesse ucciso.

Le lacrime colarono giù da sole. Mi sentii scivolare via, ebbi davanti agli occhi un viso. Si faceva più vivo a ogni secondo. Quella mascella tagliente, quelle labbra rosse, gli occhi affilati. Riconoscevo quello sguardo felino, quel sorrisetto beffardo.

Katsuki. Il mio Kacchan.

Mi stava accarezzando il viso. Le sue dita erano un solletico. Le sue labbra si muovevano. Soffiavano qualcosa.

Devi lottare. Lotta. Lotta, Izuku.

Lottare. Dovevo lottare. Schiusi gli occhi quanto più potevo. Le lacrime mi impedivano di vedere con precisione, ma mi guardai attorno. Spostai appena la testa. Hiroshi sopra di me era pazzo, furioso, devastante. Mi avrebbe ammazzato se non avessi fatto nulla. Non sarei morto così. Tastai con la mano accanto a me, mi piegai quanto più potei. Afferrai l'ago che avevo prima nel collo.

Glielo piantai quanto più in profondità nel collo. Lo spinsi così affondo che lui strillò e cadde via da me. Le sue mani mi lasciarono andare. Tossii. Sputai saliva, sangue e lacrime. Tornai a vedere. Un bruciore fulminante mi raschiò la gola, tossii, tossii ancora.

Dovevo muovermi.

Presi la corda, mi lanciai in direzione di lui. Hiroshi rantolava a terra, si teneva la gola dolorante, strillava. Mi ci piazzai addosso. Gli strinsi le mani con la corda, le strinsi così forte che gli si fecero tutte bianche. Strillò, si dimenò, mi rifilò una testata, ma io non mi mossi.

«Muori, Hiroshi Han. Muori.» biascicai, pieno d'odio. «Non ti permetterò di farmi del male.»

Strinsi più forte, gli premetti le mani al collo, gli graffiai il viso. Gli legai le gambe. Lui era bloccato, ferito, coperto di sangue. Dovevo prendere la chiave, dovevo frugare nelle sue tasche. E così feci. La trovai nella tasca sinistra, lo graffiai con rabbia per farlo stare buono mentre lui sbraitava e mi insultava.

E poi presi la chiave.

Potevo liberarmi, potevo scappare, andare da mia madre e-

La porta s'aprì. La testa mi scattò su da sola. Davanti a me ora c'era un viso che conoscevo fin troppo bene. Un viso che mi fece perdere la cognizione di ogni cosa, di me, di lui. Katsuki si palesò in quella stanza e tutto si fermò. Lasciai andare Hiroshi, schiusi la bocca.

«Izuku.»





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Angolo autrice:

Vi chiedo scusa per il ritardo, ma a letto distrutta dalla febbre💔

Però finalmente è arrivato Katsuki (o forse no🙄)

Vi aspetto nei commenti per la petizione per farmi smettere di scrivere cose cattive.

A domani per il prossimo,

-Lilla❤️

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