Capitolo 22
- Svegliati -
🍣
Raggiunsi il palazzo di Hiroshi. Avevo sudato, la giacca mi stava stretta, la camicia era grondante.
Mi fermai davanti al citofono. Il grattacielo era altissimo. Fatto interamente di vetro, sembrava che la Luna ci si specchiasse direttamente dentro. O ci nascesse, non faceva tanta differenza.
Suonai, attesi. Il mio riflesso allo specchio mi sconvolse; Katsuki mi aveva lasciato qualche vicolo prima. Si era lamentato del fatto che non potesse venire con me, mi aveva insultato un po', si era calmato. Alla fine mi ero distratto a guardare il cielo ancora per qualche minuto, quando avevo dato un'occhiata all'orologio e avevo constatato quanto fosse tardi, mi ero messo a correre come un pazzo. Ero abituato a quella fatica, il problema erano gli abiti eleganti e i quaranta gradi.
Una voce risuonò fuori dall'altoparlante, mi annunciai. Con un clic si aprì il portone, lo spinsi, entrai. Era tutto splendido, perfino dentro. C'era vetro e marmo, una ringhiera che sembrava finta, con ricami di ferro battuto e rose rosse che si arrampicavano assieme alle spine. Afferrai il corrimano, salii i gradini uno alla volta. Scorsi il mio riflesso nello specchio al secondo piano. Avevo i capelli arruffati, la bocca rossa.
Maledetto, Katsuki.
Mi aveva lasciato un bacio che mi aveva fatto vedere le stelle. M'aveva morsicchiato un labbro, s'era appropriato della mia bocca.
Così ti ricordi bene dove devi tornare, aveva detto quando mi aveva lasciato andare. Ero rosso, accaldato, perso nel riflesso di quegli occhi rossi.
Hiroshi sembrava di buonumore. Mi aprì la porta con un sorriso stampato sulla bella bocca e un completo lucido. Mi fece cenno di entrare.
Gli sorrisi a mia volta, entrai.
La casa era gigantesca. Non c'era alcun corridoio, solo un grosso salone dalle mura bianche. Quadri, mobiletti, un tavolino di vetro, una colonna di pietre nere.
«Bevi qualcosa, Izumi?»
«Ehm, quello che-» mi interruppi. La casa mi stava disorientato. Ero andato lì per la missione. Gli sorrisi. «Quello che bevi tu.»
Hiroshi si allontanò. «Siediti pure dove preferisci. Il divano è più avanti.»
Annuii. Lo vidi avanzare fino a raggiungere due porte a vetro. Erano oscurate, non permettevano di vedere cosa ci fosse dietro, ma immaginai che ci fosse la cucina. C'era un altro corridoio, delle stanze. Sentii la voce di Hiroshi, pareva star fischiettando qualcosa. Mi avvicinai al divano. Era nero, lunghissimo. Non sapevo dove sedermi così mi misi il più vicino possibile a una via di fuga.
La tv al plasma appesa al muro, rimandò la mia immagine confusa.
«Eccomi qui.»
Hiroshi riapparse dalla cucina con due cocktail pieni fino all'orlo di un liquido rosso. Me lo porse chinandosi alla mia altezza.
«Grazie.» gracchiai con la voce roca.
Lui mi sedette a fianco. Era rilassato, senza un capello fuori posto. C’era qualcosa in Hiroshi che attraeva. Lo sentivo come un magnete, mi attirava a sé, mi faceva formicolare lo stomaco. Mi tornò in mente Katsuki, la sua bocca rossa. Sta' attento a quel bastardo, aveva detto, non è come credi tu. Non sapevo cosa volesse davvero intendere con quelle parole. Mi parlava sempre a tranelli, capirlo era un’impresa.
Scossi la testa, tornai a sorridere al villain. Villain. Questo era, niente di più. Annuii alle sue parole, mi domandò cosa avessi fatto durante la giornata. Mentii. Gli dissi che avevo lavorato, che mi ero concesso un bagno caldo solo prima di andare da lui. Se non mi credette non lo diede a vedere. Accavallò le gambe, fece dondolare il bicchiere.
Io non avevo toccato il mio. Regole base di addestramento. Sicuramente era drogato. Dovevo scambiarli o evitare di berlo. Ma Hiroshi sembrava molto insistente su quel punto. Mi offrì il suo calice. Bevvi a malincuore.
«Non ti avveleno, mica!» ridacchiò. Mi mise i brividi.
Sforzai un sorrisetto.
«Ma certo che no.»
Parve soddisfatto. Mi guardò con un'espressione maliziosa, tutta contratta. Si sistemò la camicia, arricciò il colletto.
«Hiroshi, permetti una domanda?»
«Certo.»
«Di cosa ti occupi esattamente? Oltre i casinò, intendo.»
Mi mostrò un sorriso che sapeva di bugie, di irrealismo. Mi occupo di tutto e niente, Izumi. Di casini, casinò. Che cambia?
Non mi piacque quella risposta. Stava giocando, ci stavamo rincorrendo. Lui era nel suo terreno di caccia, io ero uno sconosciuto. Tastai il terreno in punta di piedi.
«Casini?»
«Casini, Izumi. Tu ne risolvi a lavoro? Ne parli sui tuoi giornali?»
«Sì.»
«Io devo risolvere quelli degli altri.»
«Che intendi?»
Lo vidi alzarsi, dirigersi verso la tv. Spostò qualcosa sul mobiletto, mi irrigidii.
Se mi avesse attaccato, avrei-
Una melodia sottile si diffuse nella stanza. Mi riempì di uno strano languore. Musica classica, vino chiaro, parole suadenti. Avevo capito cosa voleva Hiroshi da me e forse, l’Izuku di sedici anni avrebbe anche potuto darglielo. L’Izuku che ero stato avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare il mondo da un male maggiore. Perfino usare sé stesso come tramite. Ma non adesso. Non quando poche ore prima era stato il corpo di Katsuki a reclamare il mio, quando c’eravamo baciati con una flemma che m'aveva fatto tremare le ossa e il cuore.
Non avrei potuto abbassarmi a tanto.
«Hiroshi, io penso che-»
«Non fraintendermi.» mi si avvicinò, posò il bicchiere sul tavolino. «Tu mi piaci. Te l’ho già detto, non lo nego. Ma vorrei capire cosa c’è tra te e quel ragazzo.»
La saliva mi si bloccò in gola.
«Quale ragazzo?»
Sapevo bene a chi si riferiva, ma egoisticamente volevo sentirglielo dire. Volevo alzarmi e dirgli che non avrebbe mai potuto essere come Katsuki, che neppure tra mille anni Hiroshi Han sarebbe stato all’altezza di Katsuki Bakugo. Ma stetti zitto, fermo.
«Sai bene chi.» replicò acido. Distolse lo sguardo da me. M’era così vicino che sentivo il suo fiato addosso. «Quel ragazzino. Quello che ti sta sempre appiccicato. Tuo fratello.»
«Mio fratello.» ripetei. «Cosa può esserci tra me e mio fratello?»
«Per favore, Izumi! Ti guarda costantemente come se fossi nudo solo per lui.»
Dovetti conficcarmi le unghie nei palmi per impedirmi di schiaffeggiarlo. Non mi piaceva più il modo che aveva di parlarmi.
«Hai frainteso. Siamo solo fratelli, nulla di più.»
Lui afferrò il bicchiere, lo lanciò a terra. Il vetro andò in mille pezzi, il liquido si sparse dappertutto.
«Che cazzo ho frainteso? Eh, Izumi? Cosa c’è da fraintendere? Non te lo scopi forse?»
Mi indurii. «Questi non sono affari tuoi.»
Mi balzò addosso. Ebbi appena il tempo di sbarrare gli occhi, il One For All premeva per venire fuori ma non glielo permisi. Avevo un piano da portare avanti e dovevo limitarmi a respingerlo. Come avrebbe fatto un civile. Mi gravava addosso con quel suo petto possente, il profumo di dopobarba mi si sparse contro la gola. Volevo scrollarmelo dal corpo, tremavo.
«Izumi.» soffiò. Sapeva di alcool e medicine. Una specie di concentrato di erbe mediche che usavano i villain più poveri. Mi parve strano che uno come lui si riducesse in quello stato. «Che cazzo sei venuto a fare qui se non vuoi darmi nulla?»
«Hiroshi, per favore-»
Mi premette una mano contro il collo, strinse. «Rispondi!»
Deglutii ma la saliva mi restò incastrata nella trachea, mi venne da vomitare. Nessuno mi aveva mai afferrato così. Ripensai a quando era stato Katsuki a farlo, a come le sue mani sere prima fossero state così delicate da farmi sorgere i brividi. Il tocco di Hiroshi ora, era fuoco che mi corrodeva.
Avevo paura di finire in pezzi.
Anni e anni di allenamento per essere il migliore solo per finire nella trappola di un bastardo.
«Ti ho soggiogato.» mi spiegò. «È questo il mio quirk. Soggiogare. Farai quello che dico io, adesso.»
«Hiroshi, p-per-»
«Sta’ zitto, Izumi.»
Mi afferrò le mani, provai a liberarmi ma avevo le ossa flaccide, i muscoli inesistenti. Opporre resistenza mi pareva combattere contro il sonno. Scossi la testa, la mossi cercando di colpirlo, ma lui se ne accorse, sorrise. Mi tirò uno schiaffo contro la guancia, la sentii bruciare, piegarsi di lato.
«Questi tuoi ricciolini.»
Ne agguantò un po' con la mano, li strattonò. Non riuscii a trattenere un gemito. Faceva male e non riuscivo a fare nulla. Aveva drogato anche il suo drink, realizzai. Aveva fatto in modo di drogare entrambi i bicchieri perché sospettava che io-
Mi fermai. Lui riprese a guardarmi, sorrise dinanzi alla mia espressione sconvolta.
«Sì. Io so chi sei, Izumi. O forse dovrei dire, Izuku.»
Mi si bloccò il fiato in gola.
Sapeva chi ero. Sapeva chi ero. Da quanto? Da quanto tempo sapeva che ero Izuku Midoriya e che-
«Sssh. Non ti agitare o i nastri ti taglieranno i polsi.»
Le sue parole mi fecero scattare. Osservai le braccia, i lunghi nodi che aveva fatto. Non avevano chiusure, non avevano lacci. Li aveva fatti con quello che mi parve un nastro per capelli. Ma era rigido, faceva male. Mi dimenai, i muscoli protestarono.
«Ora,» iniziò, sollevandosi dalle mie gambe. «Io e te parleremo del mio lavoro.»
«Hiroshi, per favore. Non voglio farti del male.» lo pregai.
Non era droga normale. Ero abituato a reggere un po' di stupefacenti, faceva parte del mio allenamento, ma quello era su un altro livello. Mi sentivo il corpo debole come se stesse per spezzarsi da un momento all'altro. I nastri mi impedivano qualsiasi movimento, le gambe erano arrotolate su sé stesse, strette.
Mi trascinò giù dal divano, sbattei a terra, una fitta di dolore mi risalii lungo le ossa. Gemetti. Non se ne curò e riprese a trascinarmi dalle gambe.
«Sta’ zitto, Number One. Non sai neppure difenderti contro un attacco come pensi di proteggere il tuo caro Kacchan?»
«Non nominarlo!»
Si bloccò. Aveva toccato il punto giusto per farmi scattare, mi rise in faccia, soddisfatto.
«Pensavi che ti avrei lasciato andare con lui? Che fossi così stupido da credere alla vostra recita da quattro soldi?»
«Vaffanculo.» sbottai. Mi dimenai, i nastri mi tagliarono la pelle dei polsi, un liquido bollente m’imbrattò le mani.
Hiroshi rise. Una risata che riecheggiò contro le pareti, che mi fece contorcere su me stesso come se mi stesse pugnalando ripetutamente. Mi sentii mancare. Strinsi i pugni, il sangue si sparse.
«Izuku, Izuku. Quanto sei sciocco.»
«Sei tu lo sciocco. Pensi che Katsuki non sappia che sei stato tu a farmi del male? Pensi che non avvertirà gli altri quando non tornerò?»
«Pensi che Katsuki, che il mio Kacchan caro non se ne accorgerà?» mi fece il verso, rise scoprendo quei denti bianchissimi. I canini all'improvviso mi parvero luccicare. «Pensi che, pensi come, pensi, non pensi. Come potrebbe accorgersene, Izuku? Svegliati. Tutto questo non è altro che nella tua testa. Katsuki non può farti nulla. Tu non sei in missione. Tu non stai soffrendo. Svegliati.»
«Che stai dicendo?»
Non gli credevo, ma qualcosa dentro di me si mosse. Tutto iniziò a farsi sfocato, poco nitido. Le pareti presero a sbiancarsi, il soffitto parve venire giù.
Mi misi paura.
Una sensazione di soffocamento mi risalii lungo la gola, mossi le mani come un disperato, la risata di Hiroshi mi si ripeteva di continuo nelle orecchie, la casa si strinse, mi si infilò negli occhi. Sentii la terra tremare, il pavimento aprirsi. Gridai, Hiroshi dall'alto mi faceva mandava baci volanti. Cercai di aggrapparmi ai bordi del pavimento in frantumi, ma le schegge mi tagliarono le dita, il sangue cadde a fiotti. Mi sporcò il viso, mi finì in bocca. Mi mancava l'aria. Boccheggiai. Chiusi gli occhi, li riaprii. Ecco di nuovo il pavimento, le scarpe lucide di Hiroshi. Sollevai il viso. Katsuki. Katsuki che piangeva. Scossi la testa, mi feci pallido come un lenzuolo. Cercai di afferrarlo, la figura tremolò, mi ricordò la fiamma di una candela.
Katsuki. Katsuki.
Katsuki, chiamai, ma non ebbi risposta. Mi vidi da fuori, sdraiato in un letto. Macchinari di ogni tipo mi stavano accanto, respiravo, annaspavo, avevo occhi sbarrati ma guardavo solo verso il soffitto.
Torna qui, Izuku. Stava dicendo Katsuki, mi teneva per mano. Aveva in viso qualcosa che mi mise i brividi. Era deturpato, ferito.
Sei stato tu a ridurlo così.
Riconobbi la voce di Hiroshi. Sollevai le mani, provai a prenderlo ma lui era una sagoma che andava qua e là senza permettermi di acchiapparlo. Katsuki si chinò sul mio corpo, le immagini si spezzarono.
Qualcosa mi spinse l'anima dentro. Mi sentii graffiare nel profondo. Smisi di respirare, chiusi gli occhi.
Urlai.
Mi ritrovai sdraiato, schiusi di nuovo gli occhi. Avevo in bocca il sapore amaro del sangue. Provai ad agitare le mani ma quelle non si mossero di un centimetro. Ritentai con i piedi, fu la stessa cosa.
«Ben svegliato, Izuku Midoriya.»
La sua voce mi punse le orecchie, il petto. Mi sentivo il collo bloccato, dolorante. Spostai lo sguardo, le luci mi si infilarono dentro. Sbattei le palpebre, cercai di mettere a fuoco. Era tutto scuro, tutto illuminato.
Vedevo la figura di Hiroshi, si muoveva, tagliava l'aria.
«Benvenuto nel mio laboratorio, Number One.»
Le sue dita somigliavano a tentacoli, me le appoggiò sul collo, strinse fino a farmi perdere la vista. Quando mi lasciò andare, tossii. Sputai fuori rivoli di sangue rossissimo.
Ora i colori erano tornati a essere vivi, ora vedevo bene.
Hiroshi stava lì, ma sul suo viso era cambiato tutto. I suoi tratti s’erano sformati, la testa s’era fatta più grande, il corpo più grande. Le ossa erano come cresciute nella pelle, il sorriso s’era esteso. Aveva qualcosa di agghiacciante negli occhi, nelle palpebre pesanti.
Dietro di lui, c’erano schermi.
Schermi di ogni tipo. Ecco da dove provenivano la luce. Mi abbagliarono. Ebbi paura. C’era una console, pulsanti, colori. Ma a rapire il mio sguardo fu l’immagine che c’era nello schermo centrale.
Riconobbi i tratti taglienti di Katsuki, quelle ciocche bionde, lo sguardo vacuo. Teneva per mano un cadavere. Ne avevo visti di morti, ma vedere l’immagine di me, di un me bambino in un letto d’ospedale, morto, fu troppo. Vacillai.
Mi voltai a guardare Hiroshi, avevo in viso la paura. Paura che mi si era incastrata in ogni buco, in ogni riga del viso.
«Che cosa mi stai facendo?»
🍣
🍣
Angolo autrice:
L'ho detto che sarebbe iniziato il casino. E infatti... Non credete a nulla. Posso solo dire questo. Tutto è giusto e tutto è sbagliato.
Vi aspetto nei commenti per sapere le vostre teorie ;)
A domani per il prossimo,
-Lilla
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top