Capitolo 2
- PROMESSE -
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«Quindi partirai?» mi chiese. Si stava slacciando il costume, la zip era l'unico rumore che rompeva il silenzio degli spogliatoi.
Annuii. Ero occupato con il mio pc, stavo cercando di trovare dei documenti introvabili, e l'archivio online non faceva che complicarmi tutta la ricerca. Cliccai sul mousse e mi si aprì una pagina che mi reindirizzò al sito principale. Assottigliai lo sguardo e iniziai a cercare tra le varie scritte.
«Izuku.» le sue dita smaltate si aggrapparono al bordo dello schermo, lo tirò via dalla mia vista e fui costretto a portare lo sguardo su di lei. «Hai sentito quello che ho detto?»
Mi massaggiai gli occhi con indice e pollice. Mi bruciavano per via dello schermo e della stanchezza. La notte prima non avevo chiuso occhio, avevo continuato a ripensare per tutto il tempo alle cose che mi aveva detto Shoto, alla proposta di Aizawa, a ciò che mi avevano promesso. Quando infine il sonno aveva avuto la meglio sull'ansia, ero scivolato in un sogno lungo e irrequieto. Avevo sognato una cosa accaduta durante la mia infanzia. Quando avevo aperto gli occhi, il volto di Katsuki era ancora impresso nella mia testa, come un marchio a fuoco.
«No. Scusami, Mina.»
Lei rilasciò un grosso, spazientito sospiro. Le sue labbra colorate di rossetto rosa si tesero. «Che succede?»
Sembrava preoccupata. La sua bella fronte, solitamente liscia, ora era corrucciata in una smorfia. Aveva lasciato i riccioli sciolti e le ricadevano morbidi sulla schiena. Mi ritrovai a pensare a lei ai tempi della Yuei, al suo sguardo perennemente rallegrato, al suo esuberante modo di fare, ai capelli più corti, le dita più lunghe. L'età l'ha trasformata, pensai, l'età l'ha resa più matura. Era successo a tutti noi, ma soprattutto a lei. Non figurava più con quel sorriso euforico, le labbra sempre stirate all'insù. Era allegra, ma non come allora. Qualcosa l'aveva privata della sua gioia. Probabilmente il dolore, le missioni, le perdite. Come era stato con tutti noi.
«Sono solo stanco.» affermai.
Ma lei non si fece imbrogliare. Credo che le donne abbiano un sesto senso per queste cose, infatti, provò comunque a farmi parlare.
«Si tratta della missione? Quella con il tuo partner?» suggerì. «Se vuoi, ne possiamo parlare. Ti senti agitato?»
«No, non è così, è che... non lo so. Ho dormito male. Ho fatto molti incubi.» farfugliai, cercando di schivare la sua occhiata penetrante e le sue domande. Mina era sempre stata così, diretta e brutale, ma nonostante il tempo, non mi ci ero abituato affatto.
Mi ero sempre detto che era colpa di Shoto, della sua dolce educazione, dei suoi metodi garbati perfino quando doveva dire qualcosa di cattivo. Non sapevo come rispondere a quelle domande graffianti, laceranti.
«Non ti credo.» decretò. Incrociò le braccia al petto e mi fissò con attenzione. «Hai fatto le valigie? Parti domani.»
«Non me lo ricordare.»
«Ancora no?! E quando intendi farle, Deku?»
Usò apposta il mio nome da hero, così da farmi innervosire e causare in me la scintilla. La famosa scintilla grazie alla quale avrebbe tirato fuori tutto ciò che provavo. Non glielo permisi. Ero sempre stato un tipo tranquillo, serio. Non mi sarei messo ad urlare i miei problemi al vento.
«In effetti dovrei prepararle.» asserii, dandole ragione. Lei parve così sorpresa che non solo il suo viso si tese e arcuò attorno ai suoi occhi, alla sua fronte, ma fece anche un mezzo sorriso - che mi parve più una smorfia, ma era il massimo a cui potevo aspirare da lei. -
«Ho visto che il tuo partner è-»
Quasi come se fosse stato avvertito, il mio cellulare prese a vibrare e le parole di Mina caddero nel dimenticatoio. Almeno per me. Le feci un cenno di scuse e risposi. Era Shoto. Mi stava aspettando davanti all'edificio e chiedeva se mi andava di mangiare con lui.
Quando lo dissi a Mina, lei non parve contenta. Si accigliò e mormorò qualcosa che non riuscii a capire. Mi fermò bloccandomi dal polso, poco prima che riuscissi a mettere piede fuori dallo spogliatoio.
«Che c'è?»
«Tieni questo.» mi porse un piccolo talismano colorato, una forma triangolare, con un diamante rosa nel mezzo. Vedendomi confuso, me lo cacciò in mano e sorrise. «È un portafortuna.» mi spiegò, rispondendo alla mia occhiata confusa. «Ti aiuterà.»
Mi sciolsi anch'io. La tirai a me e l'abbracciai stretta. Lei - all'inizio un po' perplessa - ricambiò.
«Diventerai un ottimo insegnante.» mi sussurrò. Non risposi, la tenni più forte contro il petto.
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«Di cosa hai paura?» mi domandò.
Eravamo stesi l'uno accanto all'altro e stavo disegnando piccoli cerchi sul suo torace caldo. Il lenzuolo mi copriva solo la parte bassa della schiena e cominciavo ad avvertire freddo. Piccoli brividi, simili a lapislazzuli gelidi, mi innevavano la pelle delle braccia, delle spalle.
Shoto se ne accorse. Teneva un braccio attorno al collo, ancorandomi al suo petto solido. L'odore che lo avvolgeva, mi era entrato nella testa e pareva perseguitare ogni mio più piccolo pensiero. Ora, i miei problemi sapevano di gelsomino e acqua di colonia. Sospirai, affondai il viso contro la sua gola, sperando che così facendo il mio respiro sarebbe andato a ritmo col suo. Avevo ancora le impronte dei suoi polpastrelli addosso, eppure, mi sentivo distante, completamente staccato da quello che mi stava accadendo.
Io assistevo e basta. Ero uno spettatore e credo che Shoto se ne fosse accorto. Non ero mai così silenzioso, così sconsolato. Mi piaceva sorridergli dopo il sesso, baciarlo o stringermi così forte contro di lui da fargli - e farci - perdere i battiti.
«Non-» mi fermai, cercando di racimolare il coraggio necessario a biascicare le parole seguenti. «Non voglio andare.»
Shoto lasciò andare uno sbuffo di fiato. La sua mano mi accarezzava la schiena. Mi piaceva il modo lento e paffuto con cui mi strusciava le dita contro la pelle. Non faceva che aumentarmi i brividi.
«Piccolo.» mi chiamò, ed io sollevai il volto e lo guardai. «Sono certo che puoi farcela.»
E mentre lo diceva, pareva così convinto, che gli credetti. Non seppi perché, ma c'era qualcosa nei gesti di Shoto che inspiegabilmente sapeva consolarmi e convincermi.
Abbozzai un sorriso.
«Non è questo che intendo, lo sai.» mormorai.
Tenevo la voce bassa e lui faceva lo stesso. Era un rituale tra di noi. Forse perché i nostri genitori, i nostri amici, avevano urlato così tanto che ora, nelle nostre vite, non volevamo che pace, tranquillità, sussurri. Rispettavamo quelle tacite imposte, ci era semplice perché eravamo simili. Mi sono sempre ritrovato nei modi e nelle parole di Shoto, sempre. Non importava quale vesti assumesse nella mia vita, lui sapeva cosa dirmi, a prescindere da tutto.
E anche allora fu così.
«Te l'ho detto piccolo, andrà bene. Tu sei cambiato, sei diventato forte, sei diventato coraggioso. Non che prima non lo fossi, ma ora è una forza diversa. Non gli permetterai di farti ancora del male e neppure io glielo permetterò.»
Non disse altro e neppure io lo feci. Forse non avevamo voglia di rompere ancora la quiete presente tra le mura di casa nostra, o forse, sapevamo che il ricordo della nostra ultima sera insieme non poteva essere infangato da dubbi e incertezze. Non avevamo mai dato modo alla rabbia o alla tristezza di eccedere e anche per questo, ero grato a Shoto. Sapevo che prima di tutto, lui era il mio migliore amico, che mi avrebbe cullato e protetto se glielo avessi chiesto, sennò, sarebbe stato a guardare pronto a pararmi le spalle. Shoto era così, si lasciava amare e mi amava. Nel suo modo delicato e gentile. Ma forse, mi dicevo a volte, ciò che volevo era fuoco, non ghiaccio. Solo che lui odiava il suo quirk e odiava anche suo padre. E il fuoco, Shoto non lo voleva sperimentare. Mai più, mi aveva detto.
Mi accucciai contro la sua spalla e inspirai piano. Non seppi quando, ma le sue carezze mi confortarono così tanto che finii per addormentarmi.
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«Sì, sì, ho preso tutto.» lo rassicurai, controllando nel borsone.
Lui annuì, ancora titubante. Scese dalla macchina, io indossai il cappellino e lo seguì. Lo vidi trascinare la valigia lungo il marciapiede, sotto il sole cocente di Giugno. Ad un certo punto, la rotella si incastrò al bordo della strada. Shoto diede uno strattone al manico, cercando di farla tornare su, ma quella cigolò ma non si spostò di un centimetro. Aggrottò la fronte e ripeté il gesto, confuso. Aveva sempre quell'espressione vulnerabile in viso, sempre quei tratti delicati ma al tempo stesso riflessivi e mi faceva morire ogni santa volta che lasciava andare un anelito di fiato. Mi sfuggì un sorriso.
Ti voglio sposare un giorno, mi aveva detto quando eravamo andati a convivere insieme. Anch'io vorrei sposarlo, pensai mentre lo guardavo armeggiare col mio bagaglio, senza che le sue labbra cacciassero mai un'imprecazione.
Mi piaceva Shoto. Mi piaceva così tanto che pensai che due mesi senza di lui, sarebbero stati una tortura. Senza averlo attorno, a casa, o dopo la doccia, o durante le mie passeggiate mattutine e serali. Mi sarebbe mancato, realizzai, e corsi a dirglielo.
«Anche tu, piccolo.» mi rispose, sciorinando un sorriso che avrebbe fatto svenire un angelo.
Lo aiutai a trascinare la valigia sull'altro lato del marciapiede e dopo si avvicinò. Lo guardai mentre mi cingeva i fianchi e si piegava a studiare le mie labbra. I nostri nasi erano a pochi centimetri di distanza, il suo respiro caldo mi investì la bocca.
«Ti amo, Zu'.»
Fece strusciare la punta del naso contro il mio. Sorrisi.
«Ti amo, anch'io Sho'.»
Stava per baciarmi quando il clacson di un auto ci fece saltare. Lo avvertimmo suonare con insistenza contro di noi e Shoto, dopo essersi separato da me, lanciò un'occhiataccia al conducente. Quello riprese a suonare. Shoto fece per raggiungerlo, facendogli cenno di abbassare il finestrino, ma prima che potesse farlo, gli presi l'avambraccio e lo tirai a me.
«Lascia stare, ti prego.»
Provò a ribattere, ma non sapeva dirmi di no ed io ero troppo bravo a convincerlo per permettergli di farlo. Mi prese la mano e ci dirigemmo in stazione. La valigia la portò lui. Non voglio che ti stanchi, mi disse, e mi circondò la vita con un braccio. Mi voleva vicino ed io lo accontentai.
Proseguimmo lungo l'interno della stazione, attraversammo i gate per l'uscita e ci ritrovammo ad osservare piccole strisce divisorie tra un treno e l'altro. Erano così grandi che noi in confronto parevamo minuscoli.
Eravamo in anticipo e Shoto aspettò con me. I miei amici si erano offerti di venire ad accompagnarmi, ma avevo gentilmente declinato. Non perché non li volessi lì, era tutto il contrario. Io volevo che restassero lì con me, volevo svegliarmi e andare a lavorare, trovarli. Trovare Mina sbracata contro lo schienale della mia sedia, con le ciambelle glassate davanti e le gambe sulla scrivania. Volevo aiutare Sero a staccare il nastro adesivo dai suoi vestiti e ridere con lui quando le nostre mani sarebbero state appiccicose e umidicce. Volevo entrare in agenzia e lanciare un sorrisetto al mio assistente, un giovane Kota, che era venuto da me due anni prima, chiedendomi di aiutarlo a diventare un hero. Volevo farli felici, tutti quanti. Ma il pensiero di dirgli la verità riguardo questa missione, mi logorava dentro.
Il fischio dei treni in partenza mi riportò alla realtà. Mi guardai attorno, riconoscendo la stazione con i grossi e lunghi treni colorati, il cielo azzurrissimo sopra le nostre teste. Avevo la maglietta zuppa di sudore e il caldo era estenuante. Ti entrava nelle ossa e te le torceva, facendo in modo che anche loro grondassero acqua.
«Stai attento.» si raccomandò mentre prendevo posto sul treno. Mi aiutò a mettere la valigia sul portabagagli e si assicurò che fossi intatto.
Solo quando lo ebbi rassicurato sul fatto che nessuno mi avrebbe mai toccato con un solo dito, - Shoto pareva scordare che ero un hero affermato da anni - e che sarei stato prudente, tanto prudente, mi lasciò andare. Si sedette accanto a me, nell'attesa, e mi prese il viso tra le dita. Non disse nulla, ma mi guardò a fondo, a lungo, come se dentro le mie iridi potesse esserci la risposta a tutte le sue pene.
«Farò il bravo.» ripetei. Lui era sempre più pallido, sempre più concentrato. «Ti chiamerò spesso. Non devi preoccuparti per me. Pensa all'agenzia, ok?»
Ridacchiai, facendogli intuire che stavo bene e che non sarei crollato, - anche lontano da lui e dal nostro mondo gentile - ma lui era perso. Perso in un modo che riconoscevo, al quale però non sapevo dare un nome. Aspettai in silenzio, e dopo un po', lui finalmente fece per parlare.
«Izuku...» Si mise una mano in tasca, frugando alla ricerca di qualcosa. Lo osservai senza batter ciglio, incuriosito. «Io volevo-»
Ciuuuuuf.
Il fischio si riversò lungo le pareti di acciaio del treno. Non mi accorsi di essermi drizzato con la schiena, il mio quirk allerta, come capitava ogni volta che avvertivo una potenziale minaccia. Anche Shoto era scattato su.
«Sembra che sia arrivato il momento.» mormorò, guardandomi con una malinconia nuova.
Sorrisi, manifestando il mio dispiacere. Shoto si chinò su di me e prima ancora che potessi riflettere, mi stava già baciando. Ed era stupendo. Aveva sempre le labbra fresche, buone. Sapeva di muschio e cioccolato bianco, come se ne mangiasse ogni mattina a colazione. Sorrisi, contro la sua bocca e mi aggrappai con le dita ai suoi capelli. Schiusi le labbra. Ci sfioravamo ed io sentivo le sue dita dappertutto su di me, ma sapeva anche di dolore, di malinconia e non resistetti. Lo strinsi a me con forza, lui affondò il viso nell'incavo che mi allacciava collo e spalla e respirò il mio odore.
Come se volesse farne scorta per quando non ci sarei stato. Ma mi sembrava sciocco, perché a soffrire sarei stato io, non lui. Lui aveva le nostre lenzuola che sapevano ancora dei nostri odori, delle nostre bocche, delle nostre risate. Io gli avevo lasciato ricordi in ogni angolo della casa, come biscotti. Lui doveva solo chiudere gli occhi per vederli e rivederli. Doveva solo toccare un mobile per scoprire le nostre immagini impresse nel legno. Ero io che non avrei avuto altro che frammenti di lui.
«Non piangere.» mi disse e portò via la lacrima che aveva preso a solcare la mia guancia, con un pollice.
Aveva le labbra un po' rosse, un po' gonfie e mi piaceva così tanto che credevo sarei morto.
«Signori, è ora che gli accompagnatori scendano.» ci fece notare il controllore, tenendo su un'espressione indecifrabile. Forse ci aveva riconosciuto, ma non ci chiese nulla.
«Ci vediamo tra due mesi.» mi promise. Mi posò un bacio sulla fronte e andò via.
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Passai il viaggio attaccato al finestrino. Non riconoscevo l'immagine che il vetro mi rimandava. Avevo dovuto tingere i capelli. Ora, quello che un tempo era un verde fogliame, era diventato un castano chiaro, più corti e ricci. La parrucchiera se n'era assicurata per bene. I miei tratti erano diversi. Il quirk aveva fatto un buon lavoro. Naso sottile, elegante, guance smaliziate, labbra carnose, fronte alta. Solo gli occhi erano gli stessi. La signorina Beauty, aveva detto che non sapeva quali fossero i risultati di un quirk come il suo sugli occhi. Non aveva voluto provare. Mi aveva sistemato le sopracciglia, aveva scalato i riccioli sulla fronte, dietro la nuca e ai lati. E il mio look.
Mi aveva fatto divieto di indossare abiti che ritraevano All Might o qualsiasi altro hero o personaggio di manga o anime. Sarebbe stato un vero e proprio sacrificio per me. Amavo esprimermi con il mio stile e persino durante una missione così delicata desideravo farlo.
Dopo un po', sospirai e cacciai un libro fuori dal borsone che mi ero portato appresso. Lo avevo iniziato da poco e anche se non era il mio stile, Shoto aveva insistito affinché lo portassi. Lo aprii e iniziai a leggere. Per qualche minuto ci riuscii, ma poi i dubbi e le ansie tornarono a manifestarsi nella mia testa. Passai il resto del viaggio a torturarmi le mani e sperare che sarebbe davvero andato tutto bene. E che il brutto presentimento che sentivo, non fosse altro che ansia.
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SPAZIO AUTRICE:
Eccoci qui con il secondo capitolo. Izuku si è messo in viaggio, - e sono restata in tema col caldo di questi giorni - e ha salutato il suo caro Shoto. Lui gli ha promesso che farà il bravo, ma la promessa sarà reciproca? Chissà. Per ora ci fermiamo qui, nel prossimo "episodio" leggeremo finalmente del fatidico incontro.
Per quanto riguarda le date di uscita dei capitoli mi sto ancora organizzando per bene, - il progetto è ancora in fase di scrittura - però, il prossimo uscirà tra Domenica e Lunedì!
Grazie per avermi dedicato il vostro tempo💛
La vostra,
- Lilla
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