Capitolo 19

- My First Love -

🍣


Qualcosa mi solleticava il naso.

Ricordo che stavo facendo un bel sogno, ma c'era qualcosa che mi disturbava e avevo finito per svegliarmi. Non avrei saputo dire dove mi trovassi, ma avevo il vago sentore che qualcuno avesse tirato giù le tende, perché mi arrivavano fiocchi raggi caldi davanti agli occhi. Scacciai con la mano quel fastidio, ma si ripresentò.

«Uhm...» mugolai, innervosito. L'altra mano si mosse. Tastai qualcosa di morbido, fresco.

Lenzuola.

«Non vuoi svegliarti più, Nerd?»

La sua voce mi arrivò alle orecchie come una canzone. Schiusi le palpebre, me lo trovai davanti. Se ne stava appoggiato su un fianco, la testa sul palmo. Mi osservava. Ciuffi biondi gli coprivano la fronte, aveva la nuca scoperta, non avevo notato la rasatura in quel punto. D'istinto sollevai la mano, gliela feci scorrere sul collo, fino al retro.

«Che c'è?»

Non risposi, mi feci più vicino.

Doveva essere un sogno. Katsuki e io non avevamo mai condiviso nulla, figuriamoci un letto. Eppure, se ne stava a petto nudo, a guardarmi come se fossi la sola cosa degna di nota in tutta la stanza. Mi posò il palmo sulla guancia, mi accarezzò.

Aveva le mani calde.

Scattai a sedere, portai con me il lenzuolo, denudandolo del tutto. Il suo intero corpo mi giaceva a fianco, privo di vergogna.

Sbarrai gli occhi. Non potevo permettergli questo. Non potevo permettere che noi due oltre passassimo quella linea che ci mettessimo a-

«Smettila.»

Mi tirò a sé. Profumava nonostante avessimo sudato. Mi scoprì il viso, spostandomi i capelli, ci fece scorrere la mano.

«Izuku.» mi chiamò. Stetti fermo come uno stecco, lo lasciai parlare. «Non sono pentito di quello che abbiamo fatto.»

«Non sei… pentito?»

Scosse la testa. Mi pareva così ingiustamente bello. Qualcuno che mi torturava in quel modo da quando eravamo bambini, come minimo avrebbe dovuto mostrare graffi, giunture rotte, storte, invece era perfetto in ogni curva, in ogni spigolo del viso e del corpo. O almeno lo era ai miei occhi.

«Katsuki, io sono fidanzato

Sbuffò, roteò gli occhi al cielo, scocciato. «Non dire cazzate. Uno che è fidanzato non mi guarda come se esistessi solo io.»

Gonfiai le guance, ero pronto a replicare quando la suoneria del cellulare mi arrivò alle orecchie. Spostai lo sguardo sullo schermo. Eravamo in camera da letto. Mi ci doveva aver portato lui dopo che mi ero addormentato. Addosso a lui, sul pavimento. Arrossii al solo pensiero.

La suoneria prese a spargersi per la stanza.

«Dio, ma chi-»

Mi sollevai, lo presi. Avevo il cellulare tempestato di notifiche. Sbirciai l’ora e mi accorsi con orrore che era mezzogiorno passato.

Mi voltai in sua direzione, per metà distrutto e l’altra sconvolta. «Oh Santo All Might! Come hai potuto lasciarmi dormire tutto questo tempo?!»

Katsuki scrollò le spalle.

«Siamo i migliori, Izuku. Possiamo fare quello che cazzo ci pare.»

«Non è così.» sbottai. «Non lo è affatto. Non possiamo trascurare i nostri impegni e semplicemente metterci a… a…»

Diventai dello stesso colore di due pomodori. Abbassai la testa, sospirai.

«Kacchan.» ricominciai, ma non mi permise di aggiungere molto di più.

Mi intrappolò il mento tra le sue dita, inchiodandomi gli occhi nei suoi. «Abbiamo scopato sul pavimento della casa in affitto che ci pagano i federali. Puoi rilassarti, cazzo. Almeno per oggi, puoi far finta che oltre noi non esista nulla?»

Deglutii. Aveva ragione. Sapevo che aveva ragione. La mia era una reazione dettata unicamente dal nervosismo. Era il mio modo di sopravvivere. Lasciai andare un soffio di fiato e annuii.

«Va bene.»

Lui inarcò un sopracciglio, le ciglia bionde parevano fatte di velluto. «Va bene cosa

«Va bene ricominciamo da capo.» mormorai.

Fece una smorfia, sorrise. Mi lasciò andare il mento e mi trascinò accanto alla sua bocca. Non ci capii poi molto.

«Bravo bambino. Ora torna a letto e fai finta di adorare questo fantastico risveglio.»

«Va bene.» bofonchiai. «Ma, Kacchan?»

«Che c’è?»

I nostri occhi s’incontrarono a mezz'aria. Non m’ero ancora steso, lui mi osservò.

«Tu non hai dormito.»

Lo schiocco della sua lingua contro il palato mi fece correre un brivido lungo la schiena. Me lo percepivo addosso come un guanto. Non sapevo se m’era rimasto sulla pelle qualcosa di lui, del suo respiro incastrato tra i capelli e le clavicole.

«Izuku.»

«Va bene.»

Mi guardai attorno, smarrito. Avevo paura di dire la cosa sbagliata, di fare la cosa sbagliata. Fu lui a prendermi per mano, a condurmi davanti al suo viso. Tremavo al pensiero di lasciarmi andare. M’aveva fatto troppo male, non ero pronto a riaprirgli il cuore. O magari avevo solo paura. Fu delicato. Mi pose una mano sul volto, mi accarezzò. Aveva sempre avuto questo modo di toccarmi che pareva spezzare ogni altro legame. Katsuki non sapeva amare come facevano tutti, lui anche in quello desiderava andare oltre.

«Ciao.» soffiò. Sorrise. Uno di quei sorrisi che mi spezzavano il respiro.

Strusciai il naso contro il suo. Un brivido mi attraversò la schiena.

«Ciao.»

Ci rimettemmo a letto. Lui sdraiato sulla schiena, io sul suo petto. Mi faceva strano. Io che m'ero sempre opposto alla sofferenza, ora la infliggevo a me e a chi mi stava attorno. In quei momenti Shoto si riduceva a essere un pensiero e basta. Qualcosa di lontano da me, inarrivabile in quella casa lontana. C'era Katsuki, c'ero io. C'era anche Hachiko che dopo qualche minuto salì sul letto e si depositò sopra i nostri piedi.

Guardai il soffitto, sbirciai tutte le tonalità di bianco che la luce ci donava. Fu lui a spezzare quel silenzio.

«Sei pentito?»

Mi aveva posto la stessa domanda che gli avevo fatto io prima. Ero pentito? No, no affatto. Dispiaciuto, certo. Shoto restava impigliato nella mia carne come una scheggia in una ferita aperta, ma non ero pentito. Come avrei potuto esserlo? Volevo Katsuki da quando eravamo bambini, lo volevo con una ferocia tale che a volte restavo sconvolto. Mi piaceva sentirmi il suo respiro addosso, il tocco ruvido dei suoi palmi callosi, i polpastrelli che mi scivolavano sulla schiena.

«No.» ammisi. Arrossi di riflesso, perché non ero capace a nascondere le cose. «Non sono pentito, sono dispiaciuto.»

Non rispose subito. Lo sentii trattenere il fiato, rubandomi i battiti, e dopo un po' esplose in una dolce risata. Il suo petto tremò scosso dalle risa, facendomi sussultare la testa. Mi sollevai, appoggiandomi sugli avambracci, lo guardai.

«Perché ridi?»

«Scusami.» bofonchiò. «È che… è la prima volta che qualcuno dopo il sesso con me si dice dispiaciuto. Sei davvero… particolare

Lo guardai e in faccia dovevo avere una maschera di stupore e confusione, perché lui rise ancora e mi baciò la punta del naso.

«Izuku.»

«Mhm?»

Si fece serio. «Perché hai accettato di partecipare a questa missione con me come partner?»

M'irrigidii. Non potevo rivelargli quello che m'avevano promesso, ma non volevo neppure mentirgli. Avevamo fatto l'amore ore prima, ora sentivo con lui un legame viscerale. Simile a quello che sentivo per mia madre. Solo che Katsuki non era lei e quando mi parlava, quando mi toccava, quando mi baciava, percepivo dentro lo stomaco una cascata di emozioni. Esplodevano nello stomaco e m'inzuppavano tutte fino alle ossa.

«Se non vuoi rispondere è-»

«Avevo bisogno di rivederti.» lo interruppi. «Avevo bisogno di sapere che stavi bene, che stavi benissimo senza di me. Volevo capire e andare avanti, con la mia vita, con-» Non riuscii a pronunciare il suo nome. C'era qualcosa che me lo bloccava giù in gola e non ne voleva sapere di farlo uscire. Sospirai. «Avevo bisogno di sapere che non… non provavi più nulla per me e lo stesso io per te.»

Restammo in silenzio. Tra noi non c'era mai stato imbarazzo. Ricordavo una miriade di sentimenti, ma mai l'imbarazzo. Il rapporto che avevo con lui superava i legami. Katsuki - e io - sapeva che non avrei mai provato disagio al suo fianco. Quando la sua voce venne fuori, ebbi un brivido.

«E sei riuscito a capire?»

Fu un soffio. Si disperse nell'aria come vento. Avrei voluto affondarci le dita dentro e graffiarlo fino a sgonfiarlo.

«No.» ammisi. «Ho capito solo che… che non so come lasciarti andare.»

«Forse perché non dovresti.»

Sollevai di scatto lo sguardo su di lui. Cosa voleva dire? Ero confuso, avevo il petto che si agitava fortissimo, la testa che mi girava. Forse perché non dovresti. Ma io non ero un ragazzino, lui non era innamorato di me.

Lui non era innamorato di me, vero?

«Continui a parlare di quello che ami e quello che è giusto per te e per chi ti sta accanto, ma ci pensi mai a cosa sarebbe giusto per me? Scopiamo e mi getti via. Stamattina non mi hai neppure guardato in faccia. Vuoi scappare da me o dai tuoi sentimenti, Deku

«Ma cosa dici?»

Scattai a sedere, il lenzuolo cadde sui nostri fianchi. Lui non fece una piega, come se avesse già previsto una mia reazione.

«La verità.»

Si sollevò lentamente, qualche molla cigolò. Poggiò le spalle alla spalliera di legno del letto e si mise a braccia conserte.

«Tu pensi sempre a te. C'è mai una fottuta volta in cui hai pensato a me come qualcosa di più rispetto a… a qualcuno di estraneo?»

«Tu non sei un estraneo. Dio, sei tutto tranne che un estraneo. Non lo sei mai stato, tu… tu

«Io cosa?»

Mi si avvicinò. Non riuscivo a sostenere quello sguardo. Sembrava volermi bucare. Cercava dentro di me qualcosa che neppure io sapevo di possedere. Non potevo dargli quello che cercava.

Non potevo espormi a lui e-

«Perché no?»

Sgranai gli occhi. Le mani scattarono in direzione della bocca. Ci piantai i palmi così forte che si incollarono come una ventosa.

«Non fare il bambino.»

«Non sto facendo-» mi bloccai. Avevo assunto la tonalità di un pomodoro. «Senti, sai una cosa? Lascia stare.»

«Merda, ma perché dev'essere sempre così complicato tra noi due?» chiese, aveva il tono frustato.

Lo guardai in silenzio. Voleva comunicarmi qualcosa? C'era, senza dubbio, qualcosa che non riuscivo a captare. Mi accostai al suo petto, con prudenza ci poggiai una mano sopra. Il suo cuore ruggiva sotto pelle allo stesso ritmo di un leone.

«Hey.»

«Nerd.»

Ci guardammo. A mezz'aria, io sollevando il viso, lui abbassandolo. S'era fatto più giorno perché la luce ora inondava la stanza come miele. Scivolava sulle pareti e si scioglieva nelle iridi rosse di Katsuki.

«Mi dispiace.» mormorai, la voce graffiata. «Non volevo essere cattivo con te.»

«Va bene.»

«Dico sul serio.» Gli posai una mano tra l'attaccatura della mascella alla guancia. «Tu non sei un estraneo per me, non lo sarai mai. Sei il mio Kacchan.»

«Lo so, cazzo.»

Eppure, mentre sputava fuori quelle parole, aveva un tremito che lo attraversava dal petto fino alla gola. Lo sentii riversarsi fuori con le parole. Spostai gli occhi sulle sue labbra e fu questione di un attimo. Mi prese la bocca e la premette contro la sua.

Non ero abituato a quel tipo d'amore. Con Shoto erano sempre stati tocchi necessari, calcolati. Con lui tremavo ogni volta che mi toccava. Ogni volta che mi respirava addosso e il mondo attorno a noi si faceva di polvere, come farina.

Nel separarci fu come se lui avesse preso tutto di me e se lo stesse portando nel petto.

«Izuku, io-»

Non finì la frase. La suoneria del suo cellulare prese a riversarsi nella stanza, ci staccammo.

«Credo che dovresti rispondere.» biascicai, studiandomi le mani. Mi sentivo così piccolo che la stanza pareva inghiottirmi.

Lui parve esitare ma alla fine rispose. Lo sentii mormorare qualcosa mentre acciuffava i vestiti dal pavimento e se li rimetteva velocemente. Lo osservai in silenzio, chiedendomi se quelle parole che gli stavano per lasciare le labbra fossero proprio quelle che immaginavo. Prima di uscire dalla porta mi rivolse uno sguardo di scuse. Mi fece strano. Lui che s'era sempre detto noncurante degli altri, ora si scusava della sua noncuranza.

Restai fermo finché non lo sentii sbattere la porta di casa. Hachiko ai piedi del letto, se ne stava con le orecchie drizzate e gli occhi attenti. Sembrava offeso anche lui. Allungai la mano, gli dispensai una carezza sul muso. 

Mi sdraii al centro del letto, il lupo mi si appoggiò col muso sul petto. Restammo su quel materasso per quelli che mi parvero secoli. Lui mi respirava piano sul torace e teneva gli occhi chiusi. Faceva caldo, il suo pelo mi solleticava la pelle, ma non volevo che si spostasse.

«Chissà dov'è andato.» mormorai, guardando Hachiko. Lui uggiolò.

«Almeno tu sei più civile.»

Inclinò la testa di lato e sotto le mie carezze si rimise a ronfare.

Non volevo alzarmi. Non tanto per l'azione in sé, quanto per quello che sapevo sarebbe venuto subito dopo. Prendere il cellulare, venire inondato dal mondo. Volevo restare in quella bolla, volevo che Katsuki tornasse accanto a me e mi sorridesse come aveva fatto poco prima di baciarmi.

Katsuki, Katsuki, Katsuki.

Affondai il viso nel guanciale, soffocai il mio urlo nelle piume.

Non era lui che avrei dovuto avere in testa.

Mi rimisi a sedere. Il cellulare se ne stava immobile sul comodino al mio fianco del letto. Mi allungai e lo presi. C'era qualche messaggio, soprattutto del professor Aizawa che mi chiedeva come stesse procedendo la “missione”, e poi c'era una chiamata di Shoto.

Mi tornarono in mente le parole che mi aveva detto l'ultima volta al telefono. Il tono con il quale me le aveva dette. Io contavo come prima per lui? Era davvero questa la vita che volevo? Fingere di non vedere quando Shoto passava da una donna all'altra come un bambino annoiato? O Yayorozu contava di più per lui?

Le domande mi tartassavano senza sosta.

Composi il numero di Shoto, cliccai la chiamata senza pensarci troppo. Volevo che smettesse di fare così male. Attesi che mi rispondesse, il suono della linea libera, lo squillo.

«Pronto?»

Mi finì il cuore in gola. A rispondermi non era stato Shoto. Nella cornetta non avevo sentito il suo respiro silente, il suo timbro preciso.

Era la voce di una donna quella.

«Pronto?»

Yayorozu. Non la sentivo da tempo, ma l'avrei riconosciuta ovunque. Avevamo fatto le scuole insieme, avevamo combattuto insieme. Yayorozu. Ricordai il modo in cui lei guardava Shoto. Mi venne in mente quella volta in cui si era fermata a guardarlo, seminascosta alla vista degli altri. Nascosta da tutti tranne che a me. Avevo passato anni a guardare tutti. Ad analizzare. Momo guardava Shoto con una passione che avevo visto solo nello sguardo di Kirishima che guardava Mina. Solo in Mitsuki che guardava suo marito Masaru. Era amore. All'epoca, avevo fatto finta di non vederlo. Voleva bene a Shoto, Momo era solo una sua amica. Ma come avevo potuto scambiare quel tipo d'amore per quello che gli aveva riservato io? Come aveva fatto Shoto ad accontertarsi di qualcuno che lo amava a metà se avrebbe potuto avere qualcuno che l'avrebbe venerato?

All'improvviso mi parve tutto più chiaro. Shoto amava Momo. Momo amava Shoto. E io? Io ero un quarto. Non sapevo cosa provava Shoto per me. Forse mi voleva bene. Forse aveva bisogno di me, ma non mi amava. Amore era quello che avevo visto negli occhi di Katsuki, quella mattina.

Mi sentii mancare.

«Pronto?!» ripeté lei, più forte.

Non risposi. Trattenni il singhiozzo che premeva per venire fuori. Riattaccai senza neppure guardare. Avevo bisogno d'aria. Mi avvolsi il lenzuolo addosso, lo agguantai con così tanta irruenza che quello si strappò lungo il bordo. Hachiko sobbalzò sentendosi sbalzare via. Guaì e si allontanò. Mi lasciai scivolare sul pavimento, il fresco mi ridiede uno sprazzo di ragione.

Fece tutto ancora più male.

Lanciai il cellulare sul materasso. Lo volevo lontano da me come se avesse potuto esplodermi tra le mani. Quello riprese a squillare, ma non mi disturbai a rispondere. Doveva essere Shoto. Avevamo chiuso. Mi aveva promesso di non avere una relazione con quella donna, ma era lei che mi rispondeva al suo cellulare. Non mi importava, faceva solo male la delusione.

Volevo bene a Shoto.

Gli hai fatto lo stesso, non l'hai mai amato veramente.

Non riuscivo a zittire quella vocina dentro di me. Gemetti, mi artigliai i capelli, mi graffiai la cute.

L'hai tradito con Katsuki alla prima occasione. Hai sempre amato un altro. Ti sta bene.

Mi stava davvero bene? Me l'ero meritato? Mi strinsi forte le cosce, affondai le unghie nella carne. Il dolore si placò. Piano piano ripensai a Shoto. Mi faceva venire la nausea pensare a come avevamo chiuso tutto. Stavo piangendo. Me ne accorsi solo quando la lingua calda di Hachiko si accostò alle mie guance e leccò via le lacrime.

Faceva male.

Avevo accettato il dolore tempo prima, era parte di me da quando All Might mi aveva donato il suo quirk. Ma questo era un altro tipo di ferita. Lasciai colare il sangue. Hachiko mi stette accanto. Piansi ancora. Avevo bisogno di affogare. Lo feci. Il lenzuolo si inzuppò delle mie lacrime, del moccio. Poi, come era arrivato, il dolore si placò.

Avevo qualcosa aggrovigliato nello stomaco, ma faceva meno male.

Accarezzai il muso peloso di Hachiko, mi rimisi sul letto. Il lupo mi seguì. Feci per stendermi dalla mia parte del letto, ma come se fossi guidato da una mano invisibile, esitai. Sulla parte di Katsuki, il letto era più caldo. Mi ci accovacciai e lasciai che Hachiko si stringesse a me.

Il cellulare continuava a squillare. Non avevo le forze per raccoglierlo. Per cacciarlo dalla mia vita.

Chiusi gli occhi, mi addormentai.

🍣

Avevo sentito una porta socchiudersi. Attorno a me era buio, il respiro di Hachiko mi solleticava la pelle.

Il caldo si era affievolito. Avevo la pelle morbida, un po' appiccicosa sulle gambe, ma riuscivo finalmente a respirare. Mentre cercavo di mettere a fuoco le cose che mi circondavano, i ricordi mi piovvero addosso come grandine. Restai sott'acqua per quelli che mi parvero secoli. La telefonata, Shoto, Momo. Per un attimo avevo sperato si trattasse di un sogno. Un incubo. Non era così. Mi toccai il viso, sentii le guance umide di pianto.

Passi.

Scattai a sedere. Hachiko drizzò le orecchie. Il petto mi stava andando così veloce che avevo paura di sentirlo esplodere. Una sagoma, la porta schiusa, la luce accesa.

Socchiusi gli occhi. La figura di Katsuki se ne stava immobile lungo l'uscio, guardandomi confuso. Aveva in viso una di quelle espressioni che gli avevo visto di rado. Capii che non era arrabbiato, ma sembrava come… divertito.

«Che fai ancora nel letto?» mi chiese, raggiungendomi. «Poi sono io che ti impedisco di lavorare.»

Non riuscivo a credere di trovarmelo davanti. Sospirai. Si era seduto al lato del letto, facendo inabissare un po' il materasso. Hachiko gli zompettò incontro, si lasciò accarezzare dalla sua mano ruvida. Sollevai la mano, lo schiaffeggiai. La sua testa si spostò di lato, i capelli gli finirono sulla fronte, tra gli occhi. Non gli permisi di fare nulla, mi gettai tra le sue braccia, stringendolo a me.

«Ma che-»

Gli avvolsi il collo con le braccia, lasciai andare i singhiozzi.

«Hey.» mi chiamò, accarezzandomi i capelli. «Che succede?»

Non risposi. Piansi, aggrappato al suo collo. Katsuki si rassegnò, mi abbracciò a sua volta. Aveva una presa più esitante della mia, ma mi infondeva un calore che mi riempiva fino a dentro l'anima.

«Dove sei stato?» mormorai dopo che le lacrime mi ebbero riempito le guance. Mi volsi a guardarlo.

«Aizawa voleva vedermi.»

«Davvero? Voleva vedere solo te?» gli chiesi, con una punta di supponenza.

Sbuffò, si passò una mano tra i capelli. «Era mia madre.»

M'irrigidii, gli spostai le mani dal collo, le lasciai cadere in grembo.

«È successo qualcosa?»

«No, è che-» sospirò, guardò in direzione della finestra. «Papà non sta bene.»

Non lo avevo mai sentito chiamare Masaru papà. Ero abituato a sentirlo usare quei suoi nomignoli, quei sinonimi cattivi, ma ora lo diceva come se stesse sanguinando e io me ne stavo lì a piangere perché il mio ragazzo mi aveva tradito.

«Lascerò Shoto.» mormorai. «Cos'ha tuo padre?»

«Cosa?»

Lo vidi sbarrare gli occhi. Si raddrizzò con le spalle. I ciuffi biondi cadevano sulla sua fronte come ciocche di cotone. Era così grande, con le spalle così imponenti che al suo confronto sembravo un fuscello.

«Cos'ha zio Masaru?»

«No, quello che hai detto prima.»

Arrossi. Il cuore mi finì nello stomaco. «Lascerò Shoto. Mi… mi tradisce.»

«Izuku-»

«È tutto ok, io-»

Mi prese il viso tra le mani. Le sue dita callose mi strinsero la mascella, mi portò all'altezza del suo. Iridi dello stesso colore della fragole, del sangue, dell'amore profondo.

«Stai piangendo per quel bastardo?»

Chinai la testa. «Sto piangendo per tutto quello che avrei potuto dare e ricevere.»

«Izuku. Guardami

Feci come mi chiese. Avevo gli occhi rossi come se me li avessero pestati. Mi sentivo la gola secca, la saliva quintuplicata.

«Ora ci sono io.» mormorò. Mi stava guardando. Mi stava guardando davvero, ora. «Smettila di piangere, cazzo. Io… sono l'ultimo che può dirtelo, ma credo che sia la cosa giusta per tutti.»

«Cosa?»

«Che guardiate avanti. Che tu lo abbia lasciato.»

«Io… non l'ho ancora lasciato.» ammisi.

Lui sospirò. Mi prese di nuovo il viso, premette le nostre labbra insieme. Ecco cosa cercavo. Il calore della sua bocca. Gli salii a cavalcioni, spinsi le dita tra i suoi capelli. Quella missione era stata una coltellata per tutti e due. Sentii le sue dita stringermi i fianchi, scendere lungo i fianchi scoperti. Scivolò con la bocca fino al mio orecchio.

«Ed esattamente dormire sulla mia parte del letto, nudo, col mio cane a fianco, come dovrebbe essere un mettere i paletti?»

Feci scontrare i nostri nasi. Gli avevo scompigliato tutti i capelli. Grugnì. Sospirai, sorridendo mestamente.

«Non ho mai detto che dobbiamo mettere paletti.»

Affogai le proteste nella sua bocca. Lo strinsi a me con un'irruenza che ci fece precipitare sul letto. Io sopra di lui, lui sotto di me. Lo guardai dall'alto, sorridendo, con le labbra rosse e gli occhi lucidi.

«Kacchan.»

«Dimmi.»

Mi fece scorrere la mano fino al sedere, prese un gluteo tra le mani, strappandomi il respiro.

«Continuiamo a fare quello che stavamo facendo. O quello che già hai in mente.» soffiai, chinandomi di nuovo sulla sua bocca.

Lui rise. Mi fece vibrare tutto il petto.

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Angolo autrice:

Katsuki sposa me, per favore🙈

Tutti nei commenti per criticare questi dannatissimi telefoni che interrompono sempre :)

A domani per il prossimo,


-Lilla

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