Capitolo 12. "Sono solo un oggetto"

"Non si può essere profondamente sensibili in questo mondo senza essere molto spesso tristi".
Erich Fromm

Ho un mal di testa forte, davvero tanto forte. Non riesco a percepire dove sono, non vedo niente. Sento solo un venticello freddo che mi fa venire la pelle d'oca, ma tutto è confuso nella mia testa, peggio di una sbornia.

Che cosa mi è successo?

Nella mia mente ho dei vaghi ricordi su quello che è accaduto. Sono stata presa da Jack, di questo ne sono sicura.
Poi altri flashback risalgono nella mia mente: le mie urla, le mie preghiere e il mio pianto.

Ero stordita e spaventata.

Lui non era solo, c'era un altro uomo con lui, ma non ricordo chi fosse, la mia mente non mette a fuoco il suo viso.
Questa sensazione è frustante, mi fa sentire impotente. Ricordo di essere stata gettata dalla macchina, come se fossi un sacco della spazzatura, avvolta solo da un lenzuolo bianco tutto sporco.

Apro ancora una volta gli occhi, ora vedo la luce che abbaglia la mia vista, almeno di essere viva e di non aver perso un senso. «Jade!». una voce preoccupata ribolle nella mia testa.

Non so se stanno ripetendo il mio nome o è frutto della mia immaginazione.
Con fatica sposto lo sguardo e vedo una sagoma nera.
Mi copro il viso e tremo.
Non voglio che ricapiti. «Jade ti prego, sono io». Mi avvolge nelle sue braccia.

Lo respingo, non riesco a capire di chi si tratta. Il mio cervello percepisce i suoni in maniera assordate.
Piango ancora.
Non so per quanto tempo ho pianto in queste ore, sicuramente non mi sarò fermata un attimo.

Chi sa che cosa penseranno adesso i miei di me, forse non si sono nemmeno accorti della mia assenza. «Guardami!». Insiste.

La voce è ferma, dura, riesco a percepire la sua preoccupazione.

Poi vedo Troy: il suo viso, le sue labbra, i suoi occhi che sono spaventati dicono tutto.

Mi sento piena di vergogna e ancora più confusa. «Ti porto dentro, ok?». Mi dice dolcemente.

Non vuole spaventarmi, ma io lo sono.
È strano come il mio corpo non voglia più reagire a me. Io che sono sempre stata padrona di ogni cosa.

Prima ero una ragazza sicura e adesso che cosa mi è successo?

Riesce a prendermi in braccio, senza farmi del male. Mi porta dentro casa sua e mi fa sedere sul divano. Adesso riesco a vederci meglio, la luce è meno forte e mi riscaldo stringendomi a quel lenzuolo. «Sono tre giorni che ti cerchiamo, Jade». Si siede accanto a me.

Prende il suo telefono dalla tasca, ma io cerco di torglielo subito. «Non chiamare nessuno, ti prego». Dico distrutta.

Mi ha tenuto tre giorni prigioniera?

Non voglio crederci. «I tuoi genitori sono preoccupati per te». Mi accarezza il viso.

Gli scosto la mano.
Non voglio essere toccata da nessuno. «Se mi vedessero in questo stato sarebbe peggio». Dico guardandolo dritta negli occhi.

Loro non lo dovranno sapere.
Nessuno lo dovrà sapere perché anche se fosse non mi crederebbero mai.
Una che ha la fedina penale sporca rimane bugiarda e stronza per sempre. «Che cosa ti è successo?». Mette il suo cellulare in tasca.

Inspiro profondamente e metto le mani tra i miei capelli sporchi.
Sarebbe bello sapere ciò che mi è accaduto. Non ho dei ricordi chiari. «Come mi hai trovata?». Gli chiedo.

Sono nuda e senza dignità davanti a lui.
Mi sento sporca dentro e fuori. «Eri davanti il vialetto di casa mia fasciata dalle coperte». Risponde alzandosi.

Mi hanno buttata davanti casa sua?
Perché?
Cosa ha contro di me quel bastardo?

Poi di nuovo quei flashback: le mie urla ancora una volta rimbombano nella mia testa, legata ad una sedia imploravo pietà.

Riprendo a tremare, mi piego su me stessa e le lacrime mi attraversano le guance, scendono giù senza cessare un attimo. «Tu hai bisogno di aiuto Jade, chiamo un ambulanza».

Sollevo la testa e urlo un "no" abbastanza forte da farlo spaventare. «Io non ho bisogno di nessuno».

Si siede un'altra volta abbracciandomi.
Mi fa male, ho dei dolori sparsi per tutto il corpo ma dirglielo significherebbe spiegargli ciò che non ricordo. «Vai a farti una doccia, ti darò io quello che ti serve e appena ti sarai ripresa mi dirai che cosa è successo, ok?». Dice con calma.

Annuisco la testa insicura. Ho
bisogno di una doccia, però non voglio parlare. «Tu puoi tenere la bocca chiusa però?». Gli chiedo.

Anche lui fa un cenno con la testa, spero che manterrà la sua parola.
Vado con lui al piano di sopra, sono dentro il suo bagno e sta riempendo la vasca, si sta preoccupando di me.
Guardo il mio riflesso allo specchio, sono orribile. Il mio viso è sporco di nero, riesco a vedere delle macchie rosse sulle clavicole e poi il lenzuolo che tengo stretto copre tutto il resto, ma sono sicura che ci saranno altri lividi. «Mentre la vasca si riempie vado a farti qualcosa da mangiare». Dice guardandomi per un secondo.

Chiude la porta alle sue spalle.
Mi lascio cadere il lenzuolo sulla mia vita e guardo il mio corpo. Sono sporca di sangue, non capisco da dove provenga però.
Rimetto il lenzuolo e mi siedo sopra una sedia vicino alla vasca. Le mie gambe stavano per piegarsi e farmi cadere, la vista del sangue mi ha fatta impressionare.
Guardo l'acqua che sembra scorrere lentamente, immergo una mano e la passo avanti e indietro.
Non mi ero mai sentita così distrutta, mai! Questa volta però non è stata colpa mia, io non ho fatto niente.
Chiudo l'acqua e metto una delle bombe da bagno di colore blu per farla colorare.
Entro dentro e mi siedo buttando la testa indietro e lasciandomi andare giù.

L'acqua sulla mia pelle, che mi riscalda, la libertà. Sento di aver desiderato questo momento. Poi la porta si apre, entra Troy che sembra imbarazzato nel vedermi già dentro la vasca. Per fortuna però non si vede niente, l'acqua è diventata abbastanza scura. «Qui c'è tutto quello di cui hai bisogno adesso, non esitare a chiamarmi se hai bisogno di altro». Dice posando il vassoio sopra la sedia.

Gli prendo il polso che mi scivola però. «Ti prego, non lasciarmi da sola». Lo imploro con lo sguardo.

Mi scruta per bene, prende un'altra sedia e si mette un po' lontano da me, guardando in basso. «Come ci sei finita davanti casa mia?». Comincia a chiedermi.

Prendo un toast e lo mordo.
Sento il mio stomaco dirmi "grazie".
Credo di non aver mangiato per tre giorni. «Mi hanno gettata lì». Dico assaporando quel gustoso panino al prosciutto.

Ringrazio il cielo per essere capitata davanti casa sua. «Chi ti ha gettata lì?». Continua.

Però non perde il controllo di se stesso, lo sa che potrebbe spaventarmi un'altra volta. «È stato Jack». Rispondo.

Mi guarda scioccato, il suo sguardo è duro come una roccia. «Jack? Il ragazzo della tua amica? Che ci faceva lui con te?».

Bella domanda questa.

Anzi, io mi farei un'altra domanda adesso: "perché Jack si trovava nello stesso quartiere di mia zia?"

Poso il panino e mi bagno un'altra volta la testa, con le mani porto i miei capelli indietro e inspiro lievemente. «Stavo facendo una passeggiata, poi ho sentito un rumore e quando mi sono voltata era nella sua auto. Ricordo di aver cominciato ad accelerare il passo, non mi ero accorta che fosse sceso. Ha messo una pezza davanti la mia bocca e poi non ricordo più niente». Rispondo.

Rimane a bocca aperta, come se l'avessi toccato davvero.
Spero che mi creda. «Sicura che si trattava di Jack?».

Ed ecco, immaginavo che non mi avrebbe creduta. «Era lui», dico convinta. «Ma non era da solo... ho dei vaghi ricordi, sono confusi. Forse c'era un'altra persona che lo aiutava».

Incredibile, non avrei mai pensato che potesse succedermi una cosa del genere.
Io che ero immune a tutto. «Lo aiutava a fare che cosa?».

Chiudo gli occhi sforzandomi di ricordare quello che è successo.
Sento ancora una volta le mie urla, poi vedo delle mani impossessarsi del mio corpo.
Forse so che cosa mi hanno fatto, credo che fosse ovvio. «Mi hanno violentata Troy».

Anche se non sono sicura che abbiano fatto solo questo.

Stringe i pugni e serra le labbra.
Fa paura, non lo avevo mai visto così.
Distolgo lo sguardo e passo il bagnoschiuma sul mio corpo e lo shampoo sui miei capelli facendo scivolare lo sporco rimasto. «Vuoi l'accappatoio?». Mi chiede guardandomi.

Annuisco con la testa, mi sciacquo e mi passa l'accappatoio. Esco dalla vasca e lo indosso, lui è uscito prima che io facessi la prima mossa. Apro il cassetto di un mobile, trovo dei reggiseni e ne prendo uno, faccio la stessa cosa con le mutandine.
Mi tolgo l'accappatoio e mi guardo nuda.
Ho i capezzoli con della crosta, vari lividi sul petto e succhiotti, un taglio sulla vita e altri su tutte le gambe.
Indosso l'intimo ed esco dal bagno chiamandolo. «Guardami». Gli dico non appena mi vede.

Voglio che guardi il mio corpo maltrattato, che mi creda. Io non sarei mai riuscita a procurarmi tutto questo.
Mi prende tra le sue braccia e mi stringe, mi lascio andare con il mio pianto infinito. «Ormai è passato». Risponde accarezzandomi la schiena.

Sento che passa il dito in una parte ruvida della mia pelle, come se fosse crosta.
Pizzica un po' ma non dico niente. «Mi hanno trattata come se non fossi niente». Gli dico con rabbia stringendogli la maglietta.

Comincio a singhiozzare, mi sento una bambina.
Una piccola e innocente bambina. «Riuscirò a metterlo dentro, te lo prometto. Abbi solo un po' di pazienza però». Mette una mano dietro la mia testa e mi bacia la fronte.

Odio pensarlo, ma vorrei che lui fosse mio, almeno potrei essere coccolata senza vergogna da lui. «Grazie Troy».

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