5. RollerCoaster

Si dice che la vita sia una montagna russa: piena di alti e bassi in una continua alternanza dell'uno e dell'altro.

Su e poi giù.

Giù e poi su.

E ogni curva è un'esperienza.

Ogni caduta comporta un dolore, certo, ma anche la forza di rialzarsi.

Ogni discesa una salita. E viceversa.

Un circolo infinito.

Ma bello e fondamentale.

Ogni singolo passo ci forgia, ci rende chi siamo, ci dona qualcosa in più da aggiungere al nostro grande bagaglio di vita.

Una valigia che da vuota pian piano si riempie e appesantisce.

Esperienze, nella vita ne collezioniamo milioni. Addirittura miliardi.

Io ne ho qualcuna a cui, chissà perché, sono maggiormente legata.

Forse semplicemente perché hanno un fondamentale elemento in comune: un percorso che sfocia in una vetta. Un panorama immenso e bellissimo da contemplare e stampare a caratteri indelebili nel cuore e soprattutto nell'anima.

Poi però si scende. Ma non è un male: mai.

Sapete perché?

Perché quando torniamo giù a valle oppure a terra e con i piedi nuovamente al suolo, con noi portiamo tutto ciò che abbiamo incrociato o incontrato durante la salita e poi in cima.

A contemplare quel cielo.

Cieli magnifici e sempre diversi. Mai uguali.

Ci avete mai fatto caso?

Cieli azzurri, nuvolosi, rosso sangue e poi rosa pallido.

Cieli stellati.

Quelli sono i più belli. Fanno parte dei desideri, ma ne parlerò un'altra volta.

Promesso.

Ora voglio raccontarvi le vette alle quali più tengo, gli orizzonti e i cieli che più ho apprezzato fino ad oggi.

La prima di cui ho memoria la raggiunsi con mio padre. Andammo in gita in montagna con l'oratorio, mi ricordo i campi verdi che attraversammo, i sentieri ricchi di radici insinuose, il sole caldo, le rocce. Ricordo il sudore e il fiato corto quando cominciò la salita. Ogni passo era sempre più pesante del precedente. Era faticoso e io ricordo di essermi per un po' aggrappata ai fili del suo zaino: avevo paura di rimanere in dietro e diciamocela tutta, lui era più forte e resistente di me. Poi d'un tratto arrivammo in cima e un panorama immenso e bellissimo mi si parò innanzi. Rimasi a bocca aperta per qualche istante. Dura pietra e cielo combaciavano perfettamente e io mi sentivo come immersa in un piccolo paradiso. Ricordo che mangiammo e poi scendemmo nuovamente a valle. Durante il percorso raccolsi delle violette: le ho ancora, sciacciate tra i fogli del mio vecchio diario segreto dove appuntavo ogni cosa.

L'altra vetta che ricordo invece fu quando, sempre con l'oratorio, salimmo fino in cima al Duomo. Ricordo che uno degli educatori ci disse che una volta arrivati lassù ci sarebbe sembrato di esser in paradiso e tutto questo perché,parole sue, saremmo stati "stanchi morti". Aveva ragione, ma non per quello che lui credeva; la stanchezza c'era eccome! Del resto avevamo fatto centinaia e centinaia di scalini, ma da quello che di fatto era considerabile un semplice tetto riuscì a vedere tutta la città. La mia città ed era stupenda, semplicemente magnifica. Da lì potevo vedere ogni cosa, avevo una nuova prospettiva che portava i miei occhi lontano, dove non erano mai stati, in piccoli angoli e strade che forse non avevo mai notato e che probabilmente non avrei mai percorso. Rimanemmo poco, giusto il tempo di memorizzare il nuovo aspetto di una città che era ancora tutta da scoprire.

Come cambiano le cose se si modifica la propria prospettiva, vero?

Affrontai altre vette ovviamente.

Fra le tante ricordo quando andai con le scuole medie in gita a Parigi e salimmo sulla Tour Eiffell; ricordo come all'ultimo piano tutto oscillasse eppure non mi facesse alcuna paura. Posso ancora sentire, se mi concentro, il forte ululare del vento, posso ancora vedere le case e strade, i monumenti trasformarsi all'improvviso in piccoli e apparentemente uniformi puntini.

Ricordo anche di quando in quinta superiore andai a Montreal, ci portarono su una grande terrazza dalla quale si poteva scorgere tutta la città. Ci arrivvammo dopo una passeggiata in mezzo ai boschi. Anche quella volta l'orizzonte si stendeva all'infinito. Non avrei mai toccato tutta l'immensità di quella città, ma ne avevo un bel quadro in testa, che avrei tenuto a mente quando, una volta giù, mi sarei ritrovata a passeggiare per i suoi enormi grattacieli.

Ho in mente tante vette e paesaggi sperduti nell'infinito, tante discese ricche di significato, tante soste a riprender il fiato, a raccogliere qualcosa o magari a guardarsi intorno perché ogni dettaglio è fondamentale.

Ogni piccola cosa va messa da parte.

Non avremo mai l'infinito, nemmeno se lo abbiamo scorto per un secondo, ma avremo sempre tutto ciò che ci ha portato ad esso, tutto quello che abbiamo potuto imparare e memorozzare, che abbiamo visto e ora sappiamo che c'è, che esiste. Non avremo mai tutto, ma ne avremo una parte e se lo vorremo davvero tutte le altre che avremo il coraggio di andare a cercare. Avremo perfino ciò che da quell' infinito ci ha allontanato perché anche ciò che ci porta via, qualunque cosa essa sia, ha un suo senso e profondo significato.

A noi scoprire quale anche se forse non lo capiremo mai.

Ma se non ci provassimo sarebbe come non essersi mai mossi, come non aver visto mai nulla.

A che servono sennò le esperienze?

A che servono sennò tutte queste salite senza discese?

Queste discese senza salite?

L'importante è mettere tutto in valigia e continuare.

Continuare sempre e a testa alta, con curiosità e voglia di far proprio ogni vecchio e nuovo percorso.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top