9
Nella foto: Daniel
Arya spalancò gli occhi. Intorno a lei era tutto così buio che dovette sbattere le palpebre più volte per essere sicura di aver aperto veramente gli occhi.
Era sdraiata sul suo letto, ma non aveva la minima idea di che ore fossero. La testa le pulsava in modo strano e non capiva come fosse possibile che a causare tutto quel dolore fosse una semplice sbronza.
Si mosse per andare ad accendere l'interruttore alla sua destra, ma non trovò nient'altro apparte una lastra di legno liscia, probabilmente una testiera. Non era la sua camera.
Il mondo le crollò addosso. Piano piano dentro di lei si fece strada il dubbio. Dove mi trovo? Si chiese.
Cercò di scavare nella sua memoria alla ricerca del suo ultimo ricordo. Le immagini della sera appena passata le ritornarono davanti agli occhi, rapide e dolorose, ma non riusciva a ricordarsi di essere entrata a casa o di essersi messa a letto.
Il suo respiro accelerò, mentre il cuore le batteva all'impazzata contro il petto, così tanto che sentiva chiaramente la pressione sulla gabbia toracica.
Il buio intorno a lei era quasi accecante. Si toccò la testa e una fitta improvvisa la assalì. si lasciò sfuggire un gemito.
– Sei sveglia, finalmente. – disse una voce.
Arya gridò per lo spavento e la sorpresa. Cercò di scendere dal letto, ma finì dritta contro qualcosa. O meglio, qualcuno.
Due braccia forti la tenevano stretta e le impedivano di scappare. Si agitò nel tentativo di liberarsi e con un gomito colpì qualcosa di duro.
– Ahia, vuoi stare ferma, Arya? – la sgridò spazientita la voce.
Quel piccolo movimento aveva smosso l'aria intorno a loro, e il forte odore la colpì di nuovo. Il suo odore e il suono della sua voce fecero scattare qualcosa nel cervello di Arya, e nella sua memoria comparvero due occhi grigi come il ghiaccio.
Arya si bloccò.
– finalmente hai capito che non voglio farti del male. Se mi prometti che starai ferma, ti lascerò libera e accenderò la luce. Così avrai modo di guardarmi. – spiegò con tono cauto. Come se bastasse guardarlo per capire di essere al sicuro.
Arya annuì, e non seppe bene come fece lui a vederla in quel buio pesto, ma la lascio andare.
– brava. – osservò, quasi stupito che si fosse immobilizzata.
Si sentì scattare l'interruttore e simultaneamente la luce investì la stanza. Arya fu costretta a pararsi gli occhi con il braccio, a causa dell'intensità della luce. Appena aprì li aprì, si voltò verso questo uomo misterioso.
Ma se era così misterioso, perché non fu stupita di scoprire che si trattava di Daniel?
– sei tu! – disse lasciando uscire l'aria che tratteneva nei polmoni, ma il suo cuore non cessò di battere all'impazzata.
– Sì, ora sta tranquilla. – disse, scendendo dal letto.
– Questa è casa tua! – disse Arya, sgomenta, osservando la stanza. Uno spazio ampio dai colori chiari e l'arredamento moderno.
– Ma dici sempre ovvietà o solo oggi che hai battuto la testa? – disse alzando un sopracciglio.
Era così sexy... Quel look spettinato e appena-alzato-dal-letto -che si raggiunge solo dopo tre ore davanti allo specchio- gli stava meravigliosamente.
– Almeno io ho una scusa. Tu hai per caso un motivo per essere così antipatico? – disse, spostando le gambe e togliendosi le coperte di dosso.
Ma che cazzo..?!
Spalancò gli occhi alla vista di quello che aveva addosso. Una camicia bianca, tendente lievemente ai toni dell'azzurro, lunga quasi fino al ginocchio. Le ricordava il colore dei suoi occhi, ma cercò di scacciare quel pensiero e di concentrarsi su un altro dettaglio molto importante.
– Mi hai spogliata! – lo guardò in cagnesco, cercando di essere il più minacciosa possibile.
– A dire il vero, ti ho vestita. – le rispose. Ma distolse lo sguardo. Sembrava imbarazzato.
– Non cambia le cose! Come ti sei permesso? – chiese, con tono di accusa. Aveva violato la sua privacy e l'aveva vista in biancheria intima. Non lo avrebbe perdonato così facilmente.
– quella roba che avevi al posto dei vestiti ti arrivava si e no al sedere. E puzzava di alcool. – Come se bastasse questo per giustificare il suo comportamento.
– E poi, – aggiunse, – Non c'è niente di bello da guardare sotto la mia camicia. – incrociò le braccia al petto, con la maglietta grigia che sembrava scoppiare sui bicipiti gonfi. Lo sguardo duro e spavaldo la fissava come se avesse detto una cosa inconfutabile.
Arya si infuriò. Scese dal letto, ignorando il dolore pulsante alla testa e le vertigini, e si diresse verso la porta. Non sapeva dov'era l'uscita ma decise che valeva la pena di rischiare. Uscì su un open space molto ampio, arredato con gusto, anche se Arya lo trovò un po spoglio. I mobili lucidi erano bianchi e neri, e le sembravano adattarsi perfettamente con il resto della casa. Attraversò la grande stanza e uscì dalla porta.
Questo non sta succedendo.. questo non sta succedendo... si ripeté come un mantra.
Arrivata davanti alla sua porta la fissò. Non poteva crederci. Non aveva le chiavi.
– cazzo! – si lasciò sfuggire un'imprecazione. Non sarebbe potuta andare a casa di Christian a prendere le chiavi con solo una camicia addosso. Dovevano essere più o meno le 7 del mattino e, a differenza della notte precedente, il quartiere era molto frequentato.
Si lasciò cadere sulle ginocchia, sfinita. Il dolore alla testa era aumentato insieme alle pulsazioni del suo cuore, e la rabbia e la frustrazione per quello che le stava succedendo si stavano facendo strada nella sua mente. Arya non era mai stata brava a controllare l'ira, e al momento riusciva a pensare solo a come aveva rovinato tutto con Christian, e che era bloccata sul pianerottolo di casa senza chiavi né telefono. E l'unica via d'uscita che aveva era dietro di lei, ma non sarebbe mai tornata indietro, mai. Di certo non per farsi aiutare da qualcuno che l'aveva appena trattata come uno zerbino.
L'aveva aiutata, si, ma non sapeva bene perché dato che era stato così scontroso e cattivo nei suoi confronti.
Non piangere, non piangere!
Sforzarsi di non piangere servì solo a farla spazientire di più. Diede un colpo alla porta, con la mano aperta, e il suono vibrò per tutto il pianerottolo.
– fanculo! Stupida! – sbottò. Non seppe se si riferisse alla porta che non si apriva o a se stessa, che era uscita dalla casa di Christian senza chiavi né telefono.
– Dici che prendere a pugni la porta aiuti a farla aprire? – chiese Daniel, con quel tono di superiorità che Arya aveva appena imparato a conoscere e che già odiava.
Non si voltò verso di lui. Non voleva certo farsi distrarre da quel fisico scolpito e dal viso ipnotizzante. Nè da quegli occhi, così chiari che la rapivano appena ci posava lo sguardo.
– Nemmeno i tuoi commenti inutili serviranno a far aprire la porta. – gli rispose. Il tono duro e che non ammetteva repliche.
Arya non voleva essere aiutata. Odiava non essere autosufficiente e in questo momento non lo era. E lui stava infilando il dito nella piaga, come se non fosse abbastanza essere inginocchiata sul pavimento freddo del pianerottolo.
– Probabilmente no, ma puoi passare dal balcone, se hai qualche finestra aperta. – osservò, mentre le si avvicinava.
Arya si voltò verso di lui, e lo vide. I pantaloni della tuta erano stretti alle caviglie e seguivano il profilo armonioso delle gambe. Era muscoloso, ma era anche alto e per niente tarchiato. I muscoli c'erano, si vedeva, ma erano ben proporzionati alla sua statura.
Le tese una mano, e Arya la afferrò per alzarsi, e anche se non le piaceva ammettere che aveva le vertigini, fu costretta ad accettare il suo aiuto.
– grazie. – si morse il labbro inferiore quando una fitta la colpì alla testa.
– Sicura che stai bene? Ma se ti siedi e ti riposi un po' non è meglio? Poi ti aiuto a entrare a casa, promesso. – le chiese. Sembrava più docile di prima, forse si era accorto di essersi comportato da bastardo, e cercava di rimediare...
– Sto benissimo. È il dopo-sbornia che mi fa questo effetto. – disse cercando di togliere l'attenzione dalla caduta e dalla botta in testa.
– Come vuoi, vieni. – sospirò e si avviò verso casa sua.
Arya attraversò di nuovo il grande open space e ebbe il tempo di notare alcuni dettagli che prima le erano sfuggiti.
– sei un patito della palestra? – gli chiese, passando accanto a un attrezzo tutto fili e pesi. Non aveva mai visto una cosa simile, ma non era una novità, dato che non frequentava quegli ambienti.
– No, ma mi piace essere tonico e allenato. E poi sfoga lo stress. – alzò le spalle, come per liquidare la cosa, e aprì la porta-finestra che dava sul terrazzo.
– ecco, puoi entrare da qui. – la avvertì, indicando il balcone. Ma Arya si accorse del metro e mezzo circa di vuoto tra i due balconi, alto circa cinque metri. Spalancò gli occhi.
– Tu sei matto! Io non scavalco per poi cadere e morire in uno stupido condominio a New London. Non ho intenzione di finire così la mia vita. – esclamò, scuotendo la testa. Indietreggiò distrattamente e gli finì addosso.
– Va bene, vado io. – sbuffò e percorse a grandi falcate il balcone.
– Non ci pensare proprio! – gli urlò dietro, afferrandogli il braccio. – Non la chiamo la polizia per far raccogliere i pezzettini viscidi del tuo cervello spappolato sull'asfalto! – cercò di essere cruda per fargli cambiare idea.
– Non cadrò di certo! Nemmeno io voglio morire così. E poi ci vuole molto più di una caduta da cinque metri per uccidermi. – alzò appena l'angolo della bocca, formando un sorriso sghembo che gli illuminava gli occhi. Era bellissimo.
– Sai che ti dico? Fai un po' come ti pare. Non sarò io a fermarti. Dirò che ti sei buttato, e non verrò nemmeno al funerale. – sbottò, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo.
– Non ci sarà nessun funerale. – la corresse. Si issò sul davanzale di peperino, chinò appena le ginocchia e saltò.
Arya era tesa; il salto durò solo un secondo ma sembrava non finire mai. Non sarebbe riuscito a saltare fino all'altro davanzale e rimanere in equilibrio, senza cadere all'indietro.
Invece Daniel atterrò agile e senza sforzo sull'altro davanzale.
Scese e aprì la finestra. Prima di entrare la guardò, un sopracciglio si alzava spavaldo sulla fronte.
Arya scosse la testa e uscì sul pianerottolo, aspettando Daniel.
Quando lui le aprì la porta di casa sua dall'interno, entrò e lo ringraziò.
– Ci vediamo, bella! – la salutò, come se fosse tutto tranquillo e loro fossero migliori amici da sempre.
– Speriamo di non rivederci così la prossima volta.– Disse e chiuse la porta.
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