16 - IL MARCHIO
Arya e Daniel camminavano verso casa, ormai fuori pericolo. Daniel non aveva detto ancora niente e Arya si preoccupò; lo conosceva da poco tempo ma da quello che aveva visto fino ad ora non le aveva mai risparmiato un rimprovero. Pensava addirittura che ci provasse gusto nel torturarla.
Il silenzio divenne insostenibile - Ti preferisco quando sbraiti. Almeno so cosa pensi. - confessò, continuando a stargli dietro. Daniel non accennava minimamente a rallentare il passo.
– Sto cercando di non farti una sfuriata in piena notte. – replicò con tono freddo e distaccato. La sua figura slanciata svettava alla luce dei lampioni, gettando un'ombra scura e deformata sulla strada.
– Se hai qualcosa da dirmi, è questo il momento. – lo afferrò per un braccio e lo fece voltare. A dir la verità, fu lui a voltarsi, anche perché non sarebbe stata in grado di costringerlo.
– Oh, ci puoi contare che ho delle cose da dirti! Per esempio che hai mandato all'aria tutto! – tuonò, senza nemmeno guardarla. Continuava a fissare un punto imprecisato alla sua sinistra con uno sguardo glaciale.
– Io ho cercato di fare una cosa utile! Non mi sembrava che te la cavassi poi tanto bene lì da solo. – non appena lo disse, Daniel finalmente la guardò e Arya rimpianse il suo sguardo perso nel vuoto di poco prima. I suoi occhi penetranti la squadravano. Avevano la strana capacità di perforarle la mente; si fissavano su di lei ed era praticamente impossibile ignorarli. Dire che erano magnetici è dire poco.
– Da quando io ho bisogno del tuo aiuto? – le rinfacciò, sprezzante. Arya non poté far altro che tacere di fronte a quella verità scomoda.
– È comunque colpa mia. – continuò. – Non avrei mai dovuto accettare di portarti con me, ma che dio mi fulmini, se mi aspettavo tutta quella gente.
– Ci sono molte cose che non capisco di tutto questo. E non prendermi per scema, ma non riesco ancora a credere fino in fondo a quello che sta succedendo. Mi sembra di vivere in un film o in un libro, molto distanti dalla realtà.
– Fidati, mi piacerebbe che fosse tutto un gioco, ma non lo è. Soprattutto dopo quello che ho scoperto oggi. – disse, pensieroso. Sembrava turbato da qualcosa, e Arya desiderò poter capire tutto quello che le stava succedendo, la situazione era insostenibile al momento. Tutto poco chiaro e niente le sembrava andare al posto giusto.
– Se vuoi parlarmene, io sarei felice di capirne un po' di più di tutta questa faccenda.
– No, fidati se ti dico che non è il caso, avvertirò chi di dovere e sarai al sicuro. – le fece un breve sorriso tirato e si girò, continuando a camminare.
***
Una volta a casa, Arya salutò suo padre, che era in cucina a prepararsi il pranzo per l'indomani.
– Quanto starai via questa volta? – gli chiese Arya, mentre si prendeva da bere dal frigo.
– Probabilmente un paio di giorni, vuoi che prepari qualcosa anche per te? – le sorrise, come sapeva fare solo suo padre, e le indicò il contenitore ermetico che aveva in mano.
Arya non ebbe nemmeno bisogno di guardare la porcheria che si era preparato, ma cercò di non essere troppo dura. – No, grazie. Qualcosa mi inventerò. – sorrise a sua volta, e poi disse: – dovresti andare a dormire, è tardi ormai. Continuo io e te lo lascio in frigo , ok?
– Sei un angelo. – sorrise e l'abbracciò. – ti saluto ora, che domani parto presto e non ti sveglio.
– Va bene, papino. – ricambiò l'abbraccio e gli diede un bacio sulla guancia. – Buonanotte.
– Anche a te. – lasciò Arya da sola, a cucinare qualcosa di commestibile per pranzo.
Una volta che ebbe finito, andò in camera per cambiarsi. Infilò il pigiama e si mise a letto.
Era distrutta e tutto quello che le era successo apparve più reale ora che si trovava al buio della sua stanza. Si ricordò del sangue del plagiato, e di come il corpo di un uomo cadde a terra dopo il suo colpo alla nuca.
Si addormentò così, con questi macabri pensieri che le invadevano la mente.
Era in una stanza buia, ma c'era qualcosa che le fece capire che non si trovava a casa sua nel suo comodo letto; era accucciata per terra e il pavimento freddo le faceva salire dei brividi lungo la schiena. Non tentò di muoversi, era come paralizzata, con la schiena al muro e le ginocchia raccolte al petto. Aspettò quelli che le parvero secoli, immersa nell'oscurità, cercando di abituarsi al buio della stanza e alla fine una voce parlò, da qualche parte di fronte a lei.
– Non puoi fuggire dal tuo passato. – il tono era melodioso e privo di accento, sicuramente di una donna, ma qualcosa nel timbro della voce la fece rabbrividire. C'era qualcosa di sbagliato e ostile, e la sua mente le gridava a squarcia gola di andarsene.
– C-chi sei tu? – chiese, titubante. Era terrorizzata perché era tutto così reale, non poteva essere un sogno. La voce nitida e le sensazioni così vere.
– Non ti è concesso saperlo, per ora. Sappi che dal tuo passato non puoi scappare, e incapperai nel tuo destino, molto presto.
Dei passi le si avvicinarono, ma era tutto così buio intorno a lei, che non sapeva dove guardare e cosa fare. Abbassò la testa, fino a nasconderla tra le gambe, come per proteggersi da qualcosa.
– Ci incontreremo prima o poi, è una promessa. – la donna misteriosa concluse lì il suo discorso e le afferrò la testa per i capelli, Arya avvertì un dolore lancinante sul collo, quasi a contatto con la nuca.
La sensazione di bruciore intensa si propagava da dietro il suo orecchio destro fino a tutta la testa, era come se qualcuno le stesse stringendo la testa in una morsa incandescente.
Il dolore arrivò all'apice, o almeno Arya lo credette, prima di cadere in uno stato di incoscienza.
Si svegliò l'indomani con un brutto mal di testa e un dolore pungente al collo.
Alla luce del sole, sembrava tutto meno reale. I suoi incubi avevano ricominciato a manifestarsi e non era riuscita a riposare. In qualche modo si sentiva più stanca e stremata di quando era andata a dormire.
In più si sentiva infreddolita, proprio come nel suo incubo, e aveva un dolore lancinante al collo. Si alzò e si avvicinò allo specchio, con un po' di vertigini.
Il riflesso dello specchio la spaventò. Profonde occhiaie violacee le solcavano il viso, dandole un aria malata. I capelli neri erano racchiusi in una lunga treccia disordinata, e proprio sul collo c'era una grossa macchia nera e dolorante.
Non poteva credere ai suoi occhi. Arya rimase immobile a fissare da vicino la lesione. Era simile ad una bruciatura, pulsante e nera. Il panico si impossessò di lei, e non poté fare altro che rimanere immobile a fissare quel segno scuro che le occupava parte del collo.
Si diresse verso il bagno, aprì la maniglia dell'acqua calda e si spogliò. Magari una doccia rilassante le avrebbe allentato la tensione, o avrebbe fatto scivolare via il nero dal suo collo.
Quando alla fine si guardò allo specchio non fu sorpresa. Quella strana bruciatura scura le pulsava più di prima, e incombeva minacciosa su di lei. La nascose con i capelli ancora umidi, raccolti in una lunga treccia nera.
Il suono del campanello la fece trasalire e si diresse subito alla porta, sicura che fosse Daniel, che probabilmente la voleva avvertire di rimanere in casa o qualche altra stupidaggine.
Aprì la porta e non credette ai suoi occhi. Davanti a lei c'era Christian, il suo migliore amico.
– Chri... che ci fai quì? – lo sguardo di Arya era scioccato; Christian non aveva risposto a nessuna delle sue chiamate e aveva ignorato anche tutti i suoi messaggi.
– Io... io volevo parlarti. – Disse a voce bassa, spostando il peso da un piede all'altro. Era nervoso e non lo stava nascondendo.
– E non hai pensato che potevi farlo anche rispondendo al telefono? Ti ho chiamato decine di volte! – la sua voce si alzava man mano che tutti i pensieri che era riuscita a tenersi dentro, fuoriuscivano bruscamente dalla sua bocca. – Tu non sai come mi sono sentita! Non ti sei mai comportato così con me.
– Mi dispiace. – disse, facendo un passo avanti verso Arya. Il suo viso dimostrava la veridicità delle sue parole, e Arya non poté far a meno di andargli incontro per annullare la distanza tra di loro.
– Non farlo mai più. – disse, abbracciandolo. Esattamente nel momento in cui le sue mani circondarono il suo corpo, Arya si rese conto quanto realmente le fosse mancato. Era stato il loro litigio più grande e uno dei pochi. Si rese conto anche di quanto le fosse familiare quel genere di contatto con Christian.
Lui le poggiò la testa sulla spalla, vicino al collo, e Arya non riuscì a trattenere un gemito. Il collo le faceva male e ora il dolore le sembrava spostarsi fino a dietro la nuca.
– Va tutto bene? – le chiese Christian, scostandosi per osservarla. Le mani erano delicatamente poggiate sulle magre spalle di Arya, con gesto protettivo.
– Sì, va tutto bene, mi hai solo tirato i capelli. – Probabilmente non era una bugia elaborata, ma la lunga treccia le copriva il segno nero e d'altronde le succedeva spesso di lamentarsi perché Christian le aveva tirato qualche ciocca.
– Odio i tuoi capelli, vorrei sapere come fai a sopportarli. – le confessò, afferrando la sua treccia prima che Arya potesse muovere un muscolo. Riuscì solo ad indietreggiare e coprirsi il collo con la mano, ma era troppo tardi.
– Hai un succhiotto? – chiese con gli occhi sgranati, mentre la sua espressione passava dallo stupito al disgustato.
– No, non è un succhiotto, te lo giuro. – Cercò di convincerlo ma lui annullò la distanza tra di loro e afferrò il polso.
– Fammi vedere allora. – tuonò, con una presa fin troppo salda sul polso che le copriva lo strano segno nero.
– Christian lasciami, mi fai male! – si lamentò Arya. Era così strano, Christian non si era mai permesso di toccarla nemmeno con un dito, mai. Neanche da piccoli, durante i loro piccoli bisticci, anzi, l'aveva sempre difesa da tutti. Arya non credette ai suoi occhi e per fortuna - o sfortuna - Christian fu distratto dal rumore della porta dell'appartamento di Daniel che si apriva.
Daniel gli fu addosso in un lampo, afferrandogli l'orlo della scollatura della maglietta, con la mano stretta talmente forte intorno al tessuto della t-shirt che le nocche erano diventate bianche.
– Non osare mai più toccarla, mai. – l'ultima parola fu quasi un sibilo, ma da far venire i brividi. Lo inchiodò con lo guardo e i suoi occhi azzurri erano del colore del ghiaccio, più chiari del solito. Arya sbattè gli occhi e quando li riaprì si rese conto di esserselo immaginato.
– E tu chi saresti? – anche la voce di Christian era ostile mentre cercava di liberarsi dalla sua stretta ferrea, ma l'espressione era strana, come se gli stesse tornando la lucidità. Anche Daniel notò il suo cambiamento e allentò leggermente la presa dalla maglietta, senza lasciarlo.
– Io sono quello che ti prende a calci nel culo se oserai di nuovo toccarla.
– Non era mia intenzione, mi dispiace. – si scusò Christian, guardando Arya con triste rammarico. – Non mi avevi detto di avere un ragazzo.
– Perché non è così. – gli confermò Arya.
– E allora chi ti ha fatto il succhiotto? Di alla medusa di calmarsi. – ormai aveva distolto lo sguardo e la sua postura non tradiva altro che sdegno.
Come avrebbe potuto dirgli la verità? Non era nemmeno sicura di cosa le fosse successo realmente.
– Succhiotto? – intervenne Daniel, interponendosi tra di loro.
– Vi ho detto che non è un succhiotto, diamine! – era esasperante, e ora aveva due impiccioni iperprotettivi difronte, invece di uno solo.
– Fammi vedere. – le ordinò, ma Arya non si mosse di un centimetro. Allora continuò : – Ho detto fammi vedere. – il tono non ammettevarepliche. così spostò la treccia e girò leggermente la testa per mettere in mostra il segno scuro.
– Oh mio dio. – Daniel si avvicinò e la ispezionò con cura. – Dobbiamo andare via, è pericoloso stare qui. – la voce era preoccupata e il suo sguardo non l'aveva lasciata neanche un secondo.
Christian, che non aveva ancora detto niente, parlò: – andare dove?
– Dobbiamo raggiungere i territori dell'impero, entro una settimana al massimo, Arya non sopravviverà più a lungo.
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