14


Nel sogno Arya si trovava nella sua vecchia casa, nel suo vecchio letto, con il suo vecchio cellulare scassato. Era più piccola di adesso, non ancora sviluppata, con i tratti più da bambina, la faccia più tonda e felice.
Era al telefono con Christian- che era il suo migliore amico anche in quel periodo- e stavano parlando di una loro compagna di classe che non sopportavano per niente.
Lo schermo del suo Nokia segnava le 11, ed era un'ora pericolosa per loro, soprattutto se i genitori li avessero beccati svegli.
- Se domani si permette di mangiare ancora la tua merenda giuro che gliele dico quattro - disse la versione dodicenne di Christian.
- Va bene, dobbiamo organizzare qualcosa per metterla nei guai con la professoressa di matematica, così per una volta siamo noi a ridere! - sbottò Arya, immaginandosi la scena di Giusy che seguiva la lezione con il banco fuori dall'aula.
Christian stava per rispondere, e Arya era sicura che l'avesse fatto, ma non lo sentì mai. il telefono le fu strappato di mano, e una figura alta e nera la spinse via dal letto, facendole sbattere il gomito sul comodino di legno bianco.
Arya urlò, e sentì il rumore dello schermo del cellulare che si frantumava sotto il peso di quell'uomo alto e misterioso.
Sapeva che suo padre sarebbe arrivato immediatamente, ma non ci fu nessuna voce in risposta al suo grido. Urlò ancora, con tutto il fiato che aveva in corpo, mentre quella figura la teneva sospesa in aria per un braccio. Forse aveva fatto del male anche a suo padre, e forse era questo il motivo per cui non era salito nessuno in camera sua. Il panico la assalì, e delle lacrime iniziarono a rigarle le guance.
Provò a scalciare, ma non riuscì a liberarsi, finché un ginocchio non colpì qualcosa di duro, che fece appena sbuffare l'uomo che la teneva prigioniera. Probabilmente lo aveva colpito, ma non aveva ottenuto la reazione che aspettava. Un alito caldo le sfiorò il collo, portandosi dietro un odore di marcio che le avrebbe fatto sicuramente venire i conati se il suo stomaco non fosse stato già sotto sopra. Il cuore di Arya batteva all'impazzata e il panico le occludeva le vene; ogni istante sembrava durare un'infinità, e dopo quella che le sembrò un'eternità l'uomo finalmente parlò:
- Non mi avevano detto che la pulce avrebbe fatto tutto questo rumore - disse una voce gutturale e piena di gorgoglii innaturali, scuotendo appena il braccio di Arya, provocandole delle fitte acute lungo tutta la spalla.
l'uomo iniziò a camminare, verso il corridoio e probabilmente verso la porta di casa, e passando davanti alla camera di suo padre, Arya urlò ancora più forte. Possibile che suo padre non sentisse alcun rumore?
- che cosa hai fatto a mio padre?- chiese, dando calci al suo aggressore.
- Tuo padre non c'entra niente con questa storia, tutto riguarda l'Impero.- tuonò l'uomo.
- ma di quale impero parli? Avete sbagliato persona, non siamo né reali, né tantomeno ricchi! Lasciami!- gridò spaventata, con una crisi di pianto. Si sentiva sola e indifesa. L'uomo misterioso continuava a camminare, mentre i capelli di Arya ondeggiavano a ritmo dei suoi passi.
Ma, mentre uscivano dalla porta, scorse un leggero bagliore argenteo tra le siepi verdi e ben curate del suo vecchio vialetto di casa. Strizzò gli occhi e tornò a guardare quello che prima le era sembrato un bagliore luminoso, ma che si rese conto essere due occhi chiari che riflettevano i fari della macchina accesa davanti casa sua, dove l'uomo la stava trascinando.
Per un momento Arya si calmò fissando quegli occhi e sapendo di averli già visti. Una piccola scintilla si accese nella sua mente e presto svanì, appena in tempo per lasciare quel senso di déjà vu a cui non poteva assolutamente far caso in quel momento.
Ma c'era troppa luce in quegli occhi per essere umani, e si intravedevano anche troppi sentimenti e troppa compassione per appartenere a degli animali.
Arya conosceva quegli occhi, ma non sapeva né dove né quando li aveva visti. E in quel momento se ne chiuse uno, rapidamente, come se le avessero ammiccato, per poi sparire nel buio.
Mentre la caricavano in un SUV, e le venivano legate le mani e le caviglie, l'uomo che la aveva trascinata fino a lì si accasciò a terra tenendosi l'orlo del maglione. E come era arrivato rapidamente, così altrettanto rapidamente svanì nel nulla. Molte immagini le si affiancarono nella testa, molte luci e persone che non mai visto, ma soprattutto vedeva bene quei due occhi azzurri che brillavano ancora nel buio.

Arya si svegliò di soprassalto, prendendo un respiro profondo. Al buio totale, le sembrò ancora di scorgere due cerchi argentei; come quando si guarda una lampadina accesa, poi si punta lo sguardo altrove e si continuano a vedere delle strane luci che seguono il nostro sguardo.

Quello che aveva sognato sembrava così reale! Tralasciando la parte dell'aggressione, che doveva essere scaturita dal trauma della sera precedente, quella giornata nella sua infanzia era realmente accaduta.
Se la ricordava particolarmente bene perché stavano progettando di umiliare una loro compagna di classe, trovando un modo di farla mettere in punizione. Il dettaglio che le fece ricordare quel giorno, fu che il giorno dopo in punizione ci finì lei. Si ricordava perfettamente la telefonata di Christian, ma tra quella e la mattina della punizione , ricordava solo il buio.

Probabilmente non lo ricordo perché non è successo niente di particolare. Pensò richiudendo gli occhi.

Si rigirò nel divano, avvertendo una fitta al braccio. Era tutta ammaccata e non diede particolare importanza a questo dettaglio. Per tutto il resto della notte non sognò più, ma continuò a rigirarsi nel letto finché alla fine non trovò pace.

- Buongiorno dormigliona, sono le 11:00 e stai ancora dormendo! - esclamò Daniel, con un tono di voce decisamente troppo alto per i suoi gusti.

- Ho dormito da schifo e stanotte non ho chiuso occhio. Tutta colpa del tuo stupido divano. - sbuffò, esasperata, alzandosi a sedere. - Mi sento uno straccio, e ho male dappertutto.

- Sì, a proposito di quello, ho trovato qualcosa che potrà alleviare il dolore alle costole. - disse, iniziando a prendere delle ciotole che distribuì sul tavolo. - Che mangi di solito a colazione? - le chiese, cambiando totalmente argomento.

- Io, beh, dipende. Spesso non faccio colazione affatto. Quindi non preoccuparti. - si alzò dal letto e infilò le Superga bianche che erano finite sotto al divano.

- Ok, quindi scelgo io. Siediti. - le ordinò, per poi sedersi anch'esso. - Abbiamo latte, pane, cioccolato, cereali, yogurt e frutta. Scegli almeno due cose.

- W - wow... la colazione dei campioni. Direi.... yogurt e frutta? - Probabilmente non sarebbe dovuta sembrare una domanda, ma sperò che Daniel non ci facesse caso. Prese quello che le stava passando e si versò lo yogurt nella ciotola, fece a fette l'ananas e le fragole e le mischiò.

Lo sguardo di lui era fisso sulla tazza di latte e caffè che teneva stretta in mano. Il silenzio era imbarazzante e nell'aria la tensione si tagliava con il coltello. Arya pensò di dover dire qualcosa per alleggerire l'atmosfera.

- Quindi ora qual'è il piano? - chiese, incerta, prendendo una cucchiaiata di yogurt e portandolo alla bocca.

- Il piano? - alzò un sopracciglio, dubbioso. - chi ti ha detto che ci sarà un piano?

- Beh, deve esserci. Dobbiamo scoprire chi è stato e perché. Non posso rischiare che risucceda.- Come poteva non capire? Era stato uno shock assistere al caos di ieri. Tutto questo non era decisamente per lei, troppa violenza, troppi intrighi.

- Non dovrai preoccuparti di niente. Penserò a tutto io, sta tranquilla. Tu continua a vivere la tua vita. - affermò con nonchalance; d'altronde per lui era stato addirittura divertente battersi con quell'energumeno.

- Ci proverò, sembra che di te ci si possa fidare. Mi passi il succo di frutta, per favore? - sorrise leggermente, allungando il braccio.

Daniel le passò il cartone ma si bloccò a metà strada. - che c'è? - chiese Arya.

- Niente... ma questo livido sul braccio c'era anche ieri? - corrugò la fronte, cercando di ricordare. - Avevi una maglietta senza maniche, l'avrei notato.

Arya si scrutò il braccio. Capì al volo che la fitta che aveva avvertito era a causa di quel segno; le aveva fatto male questa notte, dopo essersi svegliata dell'incubo in cui un uomo, esattamente come quello che ha provato a rapirla, la aveva affettata per un braccio... quel braccio.
È troppo strano. Che coincidenza. Le sembrò di sentire ancora le sue grosse e callose mani sulla pelle. Ebbe un brivido e si riscosse dai suoi pensieri.

- Dopo quello che mi è successo ieri non mi stupisce avere un livido in più o uno in meno. Magari era troppo presto per vederlo ieri, oggi si sono scuriti tutti.- Alzò le spalle, liquidando l'argomento.

- Probabilmente hai ragione. - concordò Daniel. - Se hai finito di mangiare vado a prendere il necessario per sistemare quel disastro. - la guardò con i suoi occhi azzurri, aspettando un suo cenno per alzarsi.

- Sì, grazie. Se per te non è troppo disturbo.- sorrise ancora. Dopo tutto la aveva salvata e l'aveva ospitata per la notte, si meritava un po' di gentilezza.

Daniel le chiese di accomodarsi in camera e andò verso il mobile bianco davanti al letto, in fondo alla sua stanza. Tirò fuori una specie di scatola di legno intarsiato, che posò sul letto e aprì, prendendo quello che gli serviva per medicarla.
Arya riconobbe nella scatola le garze sterili, delle forbici chirurgiche e un paio di rotoli di garza per fasciare. Quando scorse un barattolo trasparente- contenente quella che le sembrò marmellata- corrucciò la fronte, perplessa. Daniel richiuse la scatola e le si diresse incontro.

- Togliti la maglietta, per favore. - le disse, aprendo il barattolo con quella strana poltiglia verde scuro.

- Potrei alzarla, fa lo stesso? - chiese, imbarazzata. Sperò con tutta sé stessa che Daniel non notasse le sue guance rosse per la vergogna.

- Non essere sciocca, non vedo perché non dovresti toglierla. Mi sembrava di averti già detto che lì sotto non ci sia niente di interessante o che valga la pena di guardare.

Arya serrò la mascella. Un conto erano i commenti sarcastici, ma ora stava andando troppo sul personale.
Si sfilò la maglietta senza degnarlo di uno sguardo. Mentre il tessuto le scivolava via dalla pelle, si scoprì che i lividi sulla sua pelle si erano davvero scuriti, ora tendevano ad una tonalità bluastra.

- Sei conciata proprio male, eh? - scherzò, ma si avvertiva sotto il tono da sbruffone che era veramente dispiaciuto.

- E quindi questa è la seconda volta che ti devi prendere cura di me. - gli ricordò Arya mentre lui le applicava quella sostanza sulle macchie violacee.

Lui sbuffò leggermente, sempre concentrato su quello che stava facendo. Nonostante le sue mani si muovessero delicatamente sulla sua pelle, Arya sentiva comunque dolore. Cercò di distrarsi.

- Come hai fatto a sapere che stavo tornando a casa? Mi hai seguita anche alle 4 di notte? - chiese, saziando la sua curiosità.

- Sapevo che saresti andata da lui, e ti avevo visto portar via un po ' di bottiglie d'alcool. - disse, come se fosse normale spiare la gente in ogni momento della giornata. - quello che non mi aspettavo è che saresti tornata a casa, di solito sono i ragazzi a scappare di notte dopo il sesso. Pensavo che fossi più il tipo da coccole e colazione insieme. Evidentemente mi sono sbagliato. - alzò le spalle, considerando sicuramente di poco conto il comportamento di Arya.

- Io... veramente... non ho fatto niente di tutto questo. Christian è solo un buon amico. Non c'è mai stato altro. - Cercò di convincere almeno se stessa, ma tenne lo sguardo basso, evitando gli occhi di Daniel.

- E allora perché sei scappata di notte da casa sua? - era curioso, si sentiva dalla voce, il modo in cui pronunciò la frase, con finto disinteresse.

- Non mi hai ancora detto come sei riuscito a capire che ero nell'androne del palazzo. - evitò la domanda. perché lui sapeva praticamente tutto di lei, mentre Arya non sapeva proprio niente su Daniel?

- Facciamo così, io ti risponderò se tu risponderai a me. - la squadrò con i suoi occhi azzurri e impenetrabili.

- D'accordo. - lo sfidò. - Dimmi perché sei riuscito a trovarmi, nonostante non avessi idea che fossi lì.

- semplice. - sorrise. - Mi hai citofonato. - disse, trattenendo una risata. Si aprì in un sorriso perfetto che gli illuminò gli occhi.

- Ma che dici? Io non ti ho citofonato! - esclamò, incredula.

- Non credo tu l'abbia fatto di proposito, perché quando sono sceso e mi hai visto eri stupita di trovarmi lì. - le spiegò continuando a sorridere, anche se meno intensamente.

- Ma non vale! Io pensavo ad una rivelazione-shock , per esempio un super potere localizzatore. - si lamentò, assumendo un'espressione offesa.

- Beh, se mi concentro abbastanza ho delle sensazioni... riguardo a dove ti trovi. Ma sono molto imprecise.

- Ah... - corrugò la fronte, chiedendosi quanto tempo aveva passato con Daniel senza neanche saperlo, a tutte le volte che l'aveva seguita e l'aveva protetta.

- Ora è il mio turno. Perché sei uscita di casa a quell'ora, nonostante fossi ubriaca marcia?

Arya prese un bel respiro. Perché l'aveva fatto? Aveva agito d'impulso o era un'azione meditata? - Ho pensato che le mie azioni avessero rovinato tutto quello che c'era stato di bello tra me e Christian. - disse, alla fine. Sperò che si sarebbe accontentato di questa spiegazione vaga e confusa.

- Cosa hai fatto di così orribile?

- l'ho baciato. - disse tutto d'un fiato, e in quel momento le ricadde tutto addosso, ripensò ad ogni istante e a come cercò di cambiare le cose.

L'espressione di Daniel si incupì, serrò appena le labbra e poi continuò: - E basta?

- Certo che si! Cos'altro avrei dovuto fare? - esclamò, rendendosi poi conto che probabilmente non voleva una risposta vera e propria. Era già abbastanza imbarazzante così.

- Beh, se non riuscirà a superare un tuo rifiuto è proprio una pappamolla. - sbottò con sguardo gelido, ma non più pensieroso. - Ho finito quì. - si pulì le mani su uno straccio e la guardò.

Arya capì che era il momento di tornare a casa.

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